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giovedì 18 giugno 2009

NOLENTE di Tony Sozzo (Lupo Editore). Rec. di Silla Hicks

Solo i miracolati hanno un lavoro e una famiglia a trent’anni, e lo dico io che sono stato fino a ieri uno di loro e che anche adesso uno stipendio a fine mese continuo ad averlo, ed è una fortuna, perché anche la mia non vita ha comunque un prezzo.
Tutti gli altri, sono una mandria che si aggira senza prospettive né speranze, cresciuta senza la fame che ti spinge avanti a tutti i costi ma anche senza quel progetto che ti fa vivo non solo nel corpo ma dentro al cuore: ogni giorno li vedo, caracollare avanti e indietro, con i vestiti e tutto il resto di dieci anni più giovane ma dentro una pelle che sta invecchiando pur senza essere mai stata grande.
Niente responsabilità, niente bambini e niente nemmeno rabbia, si trascinano, angeli caduti dal limitare di quell’adolescenza che è stata un nido troppo morbido e che adesso è diventata una gabbia da cui non sanno uscire.
Chiedono a papà le chiavi del SUV o della Punto, a seconda dei casi, ma in ognuno non sanno dove andare, e con chi, e quando, non ridono né piangono, semplicemente sono, un giorno appresso all’altro, finché non arriva la vita e li strattona o - raramente - li prende per la mano.
Non so di chi è la colpa, ammesso che ce ne sia una: ma non credo che dipenda dal lavoro che non c’è, sarebbe troppo facile, e poi non è nemmeno vero: i miei colleghi sono stranieri, soprattutto slavi, e sì che Valerio non l’avrebbe presi, lui che ha cercato in tutti i modi camionisti italiani se solo ne avesse trovati da assumere, tempo indeterminato e orario completo e tutto, venti giorni l’anno di ferie pagate più i riposi, invece niente, lauree quante ne vuoi, ma patente E e CAP praticamente nessuna.
Perché è dura, questa vita, sì, e la paga non ti fa ricco ma solo tranquillo di mangiare ogni giorno, anche se noi c’abbiamo pagato il mutuo quindici anni, e c’avremmo mantenuto i bambini che volevamo e che non potevamo avere: a tratti ho l’impressione che semplicemente non s’abbassino, e d’altronde sono troppo in alto, hanno studiato e via dicendo, e pazienza se quando nomini Proust credono corresse in Formula 1 e di Fassbinder non hanno visto niente, figurarsi parlare di Fritz Lang. Il fatto è che crescere costa sforzo, e questo è tutto: costa sforzo camminare da soli per andare da qualche parte, e combattere e ferirsi le nocche e innamorarsi, soprattutto, perché cazzo se è vero che l’amore fa male.
Costa sforzo alzarsi dal letto, ed uscire là fuori e affrontare i giorni come un’autostrada, dove ci sono caselli, e code, ma alla fine, prima o poi – se non t’addormenti dopo dodici ore di guida, o non muori di freddo in una piazzola sotto la neve della bassa, o non ardi in un traforo perché le porte tagliafuoco hanno lucchetti che nessuno s’è ricordato di aprire – alla fine, insomma, se dio vuole, arrivi. Sia pure a sederti a un tavolo coperto da una tovaglia di plastica, in una casa vuota, con una birra in mano a scrivere, tenendo tra le braccia il tuo fascio di ricordi, che è tutto quello che ti resta, ma ce l’hai, cazzo, ce l’hai, e se ti tocchi le cicatrici capisci che ci sei ancora, anche se ti coricherai dentro un letto vuoto e t’addormenterai piangendo.
Così, basta, cazzo, basta, non si vive nolente, si vive volente, e vaffanculo se fa – e lo fa, è da credere – un male cane.
Questo è ciò che mi resta tra le dita, di questo libro che ho finito in due giorni e ci ho pensato due settimane, cercando di darci un senso che non fosse la rabbia che provo davanti a questa inettitudine che non ha niente a che vedere con Zeno Cosini, ma solo con il tempo in cui vivo. Questo ragazzo – ragazzo? No, mi spiace: uomo, perché a vent’anni sei ragazzo, ma a trenta no, e questo è quanto, lo si ammetta o meno non cambia – che ciondola in ambiente universitario fuori tempo massimo e frequenta ragazzine fuori sede mi fa rabbia, tanto più quanto più so che non è un parto di fantasia. Mi fa rabbia perché non fa niente, niente e dico niente, per avere una vita e non serbatoio di ore: mi fa rabbia perché persino quando crede di amare non si scuote, e dio sa se l’amore non è un elettrochoc per chicchessia l’abbia mai provato. Mi fa rabbia pensare che esista – che esistano – e mi fa rabbia non trovarci una ragione: non perché io abbia la pretesa di capire il mondo, no, ma perché ho il brutto vizio di farmi domande, e l’incapacità di trovare risposte mi frustra, né più né meno come uscire dal cinema senza vedere la fine.
Quindi, è la rabbia, che mi resta, di questo libro: la rabbia di non riuscire a spiegarmi perché ci siano tanti miei quasi coetanei – io sono nato il 10 novembre del ’72, non nell’anno mille – che non vanno da nessuna parte, mentre la clessidra li si vuota tra le mani. Perché – lo si accetti o no – il tempo passa. E diventa sempre tardi, non importa quanto sia stato presto, fino a ieri.
Così, non so dire se di queste pagine, fiumana di quello che vorrebbe essere stream of consciousness, questo sì a tratti – nelle intenzioni - Sveviano, che scorre lenta, tortuosa, persino incerta, come il protagonista, mi resti altro.
Ma che volete farci, sono un camionista, io. Un operaio. Non ci sono andato neanche un giorno, all’università. Convivevo già, a diciannove anni. Volevo crescere, diventare grande. L’amore mi ha fatto a pezzi. Non posso capire, cosa significhi avere trent’anni, oggi. Avere il mondo in mano e il cuore vuoto e ignorarli entrambi, e lasciarsi nolentemente vivere.
Perché ci ho provato a vivere, io, prima di diventare questo. Non so se Ettore/Italo – ironia della sorte, come me sospeso tra questo paese e quell’altro – mi definirebbe un lottatore o no, ma so che ci ho provato, a non essere un inetto, a piangere e ridere ed esistere. So che ci ho provato, a sentire l’amore. E che ne è valsa la pena di tutto. Anche del dolore, anche di stasera. Che ne vale sempre la pena, perché, altrimenti, allora sì che non c’è nessun senso.
E tra il nolente e il niente – per me, sempre per me – è meglio il niente.
No, non mi riferisco al nichilismo, abusato dal protagonista come la frase ti amo sulla bocca della maggior parte della gente. Voglio dire il niente che è niente davvero. Staccare la spina. Game over.
Certo, è un peccato. Perché, credetemi, c’è sempre la vita, là fuori.


VOLENTE O NOLENTE Rec. Di Silla Hicks
(NOLENTE di Tony Sozzo – Lupo Editore, Copertino, 2008)

Il libro del giorno: Goffredo Fofi, La vocazione minoritaria (Intervista sulle minoranze) a cura di O. Pivetta (Laterza)

«Quel che a me interessa di più sono le minoranze che chiamerei etiche: le persone che scelgono di essere minoranza, che decidono di esserlo per rispondere a un’urgenza morale. Se alla fine ci ritroviamo sempre in un mondo diviso tra poveri e ricchi, oppressi e oppressori, sfruttati e sfruttatori, nelle più diverse forme e sotto le più diverse latitudini, bisogna ogni volta ricominciare, e dire a questo stato di cose il nostro semplice ‘no’». Ritratto di un pensatore libero che non ha smesso di credere nello spirito critico.

"Una genealogia spesso inedita, una mappa intricata e vitalissima di cui l'autore è testimone prezioso e inesauribile artefice, sempre impegnato, come dichiara nella difficile arte del combattere. Uno dei tanti meriti del libretto è l'indicare sempre il necessario alimento morale di qualsiasi rivolta: una critica che non si fondi sull'adesione emotiva a una parte di quello stesso esistente (anche solo a ciò che concretamente siamo stati), su una esperienza vissuta di uguaglianza creaturale, sull'amore tangibile per le persone, su un senso spontaneo di giustizia, si condanna all'aridità e all'ideologia"

di Filippo La Porta tratto da Il Riformista del 18/06/09, p. 18

casa editrice Laterza: http://www.laterza.it/


Goffredo Fofi, La vocazione minoritaria (Intervista sulle minoranze)
a cura di O. Pivetta
2009, Saggi Tascabili Laterza, pp. 176, € 12,00

mercoledì 17 giugno 2009

Talkink: uno speciale da paura di Angela Leucci ( redazione Talkink)




















Alla boa del primo anno di lavoro, il periodico monotemaico di letteratura e fumetti Talkink edita il primo speciale. Tema: la paura.

È stato un anno da paura, un anno di notti insonni, di copertine in forse fino all'ultimo momento, di bozze da correggere e di esordienti che ci hanno inondato di materiale. Il primo anno di Talkink, periodico monotematico di narrativa, poesia e fumetti si chiude e un altro se ne apre, con questo speciale sulla paura. Con una splendida copertina, realizzata dal maestro Lele Vianello, autore di mille e mille avventure, come la misteriosa “Calle de la paura”, contenuta in questo numero. “Calle de la paura” racconta una suggestiva storia ambientata a Venezia, in cui un uomo, per sfuggire agli orrori del manicomio, finisce in un incubo di esperimenti umani e gendarmi conniventi e forse segreti massonici. Un fumetto di tensione con una struttura narrativa molto “francese”, che non esula da colpi di scena e ironia di fondo e di sfondo. Tra gli esordienti di questo numero, molto interessanti sono le storie a fumetti di Francesco Murrone e Mauro Gulma. La prima narra la vicenda di Virginia Cacioppo, l'ultima vittima della saponificatrice di Correggio, Leonarda Cianciulli: un pasticcino parlante avvisa la futura vittima del suo destino, ma ormai è troppo tardi e Virginia verrà sacrificata per scongiurare la paura atavica della morte. La seconda storia tratta invece il più celebre mostro informe della nostra infanzia di occidentali, il Baubau: una paura che prende le forme che l'immaginazione le da, un po' nonna defunta, Babbo Natale, capitan Coraggio e infine coniglio di pezza, a metà tra quello di Donnie Darko e il Genio delle Pippe. Infine, nell'albo troverete la terza puntata del detective Wild, l'investigatore somigliante a Gene Hackman nato dalla penna di Ilaria Ferramosca. Molto altro ancora lo scoprirete solo vivendo (e leggendo). Per ordinarci, ci trovate nelle fumetterie e librerie di tutta Italia sui cataloghi Mega e Anteprima.

Il libro del giorno: Contro il giorno di Thomas Pynchon (Rizzoli)

In un mondo su cui, ancora una volta, incombono catastrofi - il crollo del campanile di San Marco, l'asteroide di Tunguska, la Prima guerra mondiale - si inseguono anarchici, giocatori d'azzardo, milionari, matematici, scienziati eretici, antesignane del libero amore, sciamani, sensitivi, aeronauti e killer prezzolati. Sono impegnati in un caleidoscopio di avventure - tra l'Esposizione Mondiale di Chicago nel 1893 e il Messico infuocato dalla rivoluzione, tra la Hollywood del cinema muto e i Balcani, tra Parigi, Vienna e luoghi difficili da trovare sull'atlante - che raccontano l'avidità senza freni del capitalismo globale, la falsa religiosità, l'ottimismo ingiustificato e il sogno irraggiungibile dell'utopia. Ogni, riferimento al nostro tempo è puramente casuale. Con questo romanzo monumentale e trascinante, che giunge dopo dieci anni di silenzio, Thomas Pynchon non descrive il mondo com'è, ma come potrebbe essere con appena qualche ritocco. Alcuni si ostinano a credere che sia questo uno degli scopi principali della letteratura.

"(...) ammirevole ma terrificante, lutulento e a tratti molto divertente, verboso e pieno di storie, folle e generoso, ma in definitva troppo denso, complesso, e se esiste la parola, gigantistico, per conquistare e bloccare l'attenzione del lettore"

di Irene Bignardi tratto da La Repubblica del 17/06/09, p. 43

casa editrice Rizzoli: http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/rizzoli/

Contro il giorno di Thomas Pynchon 2009, 1127 p., Rizzoli

martedì 16 giugno 2009

Beppe Lopez e il suo Giornali e Democrazia (Glocal editrice) venerdì a Lecce nel Teatrino del Convitto Palmieri

Venerdì 19 giugno, alle 18,30, nel Teatrino del Convitto Palmieri, Piazzetta Carducci a Lecce, Glocal Editrice con la Libreria Palmieri, la Biblioteca Provinciale “N. Bernardini” e il presidio del libro Fondo Verri presentano Giornali e Democrazia, libro scritto da Beppe Lopez, primo direttore del Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto. Analisi del degrado dell'informazione in Italia partendo dallo "spartiacque" della fine degli anni Settanta e dalla vicenda-metafora del primo quotidiano locale moderno e popolare: il Quotidiano di Lecce.
Ne discutono con l'autore: Giovanni Pellegrino, Donato Valli, Marcello Strazzeri. Previsti i saluti del sindaco di Lecce Paolo Perrone, del direttore del “Nuovo Quotidiano di Puglia” Giancarlo Minicucci e del direttore della Biblioteca Provinciale Alessandro Laporta. Interverrà, con vignette disegnate nel corso della serata, Nico Pillinini.

Il Quotidiano di Brindisi, Lecce e Taranto nacque esattamente trent’anni fa, il 6 giugno 1979. E costituì, per una serie di ragioni, un punto di riferimento innovativo a livello nazionale e non solo sul piano meramente giornalistico. Nacque, si insediò e fu interrotto: come successe, in generale, al processo di democratizzazione e di socializzazione avviato e stroncato in quegli anni in Italia.
Da quello spartiacque della vita nazionale nasce il processo di restaurazione e di omologazione di cui il degrado che vivono oggi la nostra democrazia e la nostra informazione è il frutto maturo. Con questo suo libro, Beppe Lopez (che ha attraversato - da giovanissimo pubblicista, da cronista politico, da direttore di giornali e di agenzia, e infine da abile narratore e saggista - quasi mezzo secolo di storia italiana) racconta dunque una vicenda-metafora, che intreccia protagonisti e questioni cruciali per capire il passato e il presente dell’informazione e della democrazia nel nostro Paese: la Repubblica, l’assassinio di Moro e la fine del compromesso storico, il craxismo, la degenerazione della “sinistra socialista” in “sinistra ferroviaria”, Carlo Caracciolo, Paese Sera, il caso-D’Urso, Tangentopoli, la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”, le provvidenze per l’editoria, La Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe Gorjux, Giuseppe Romanazzi, Francesco Gaetano Caltagirone e le grandi conglomerate editorial-finanziarie…

Fondo Verri
Presidio del libro di Lecce
Via Santa Maria del Paradiso 8, 73100 Lecce
tel.fax: 0832 304522
marinoma8@fondoverri.191.it

L'Orizzonte culturale del megalitismo di Marisa Grande domani a Lecce

I monumenti megalitici hanno assolto nel Salento quel compito risanatore dell’attività vibrazionale della terra che fu anche degli henges dell’area euro-asiatica, delle piramidi in Egitto, delle ziqqurat in Mesopotamia e delle piramidi meso-americane. L’organizzazione megalitica salentina descriveva sul territorio un modello a “tela di ragno”, quale riflesso della calotta celeste, la mitica “tela cosmica” nel cui centro si riteneva risiedesse la Grande Ragno, la dea tessitrice dell’Universo e detentrice del filo che intesseva il destino degli uomini e di tutto il cosmo. Le “cellule megalitiche” salentine erano composte da grandi specchie centrali, collocate sulle brevi alture delle Serre, e da raggiere di menhir elevati con un passo costante ritmato da precisi riferimenti astronomici. Le specchie erano cumuli di pietre che richiamavano simbolicamente il grembo fecondo della Madre Terra, nel cui interno scorrevano le sue acque primeve in forma di fiumi sotterranei. Esse costituivano i “nodi cosmogonici” e i “poli cosmologici” della cellula geodetica “a tela di ragno”, composta da quel sistema megalitico “centripeto, centrifugo e concentrico” che riproduceva sulla terra la medesima forma-onda di energia in espansione scaturente da un centro astrale di riferimento. Le specchie vibravano o franavano lungo le loro stesse pendici nel momento del passaggio turbolento delle acque ipogee, che trasportavano per mezzo dei sali ionici disciolti flussi di elettromagnetismo che, in particolari fasi della vita della terra, si manifestavano a carattere distruttivo. Fungendo da veri e propri sismografi litici ante litteram, le specchie, che riecheggiavano all’esterno l’attività vibrazionale interna della terra, captando ed espandendo nell’area della cellula geodetica megalitica i flussi di elettromagnetismo circolante “allo stato caotico” nel sottosuolo, permettevano ai geomanti-sacerdoti-astronomi, che già auscultavano il “cuore pulsante” del pianeta dall’interno delle sue cavità carsiche, di monitorare lo stato di salute del territorio. Il materiale impiegato per elevare i monumenti megalitici salentini -calcare locale, se pur non specifico come il quarzo di Newgrange, le pietre blu e le pietre sarsen di Stonehenge, o i graniti delle piramidi egizie- doveva avere comunque caratteristiche di “buon conduttore”, poiché i menhir, monoliti infissi nel terreno come gli aghi dell’agopuntura, avevano la funzione risanatrice propria dei “catalizzatori” e dei “trasformatori” dell’elettromagnetismo caotico in “onde di flusso coerente” per riequilibrare lo stato dei campi magnetici sotterranei ed aerei, salvaguardando, con la loro funzionalità, la stabilità del territorio della cellula geodetica megalitica di loro pertinenza.

MARISA GRANDE

La scrittirce Marisa Grande presenta, il 17 giugno 2009 alle ore 20.00, presso Alex Bar in Via Vito Fazzi a Lecce, il libro - L'orizzonte culturale del megalitismo - (Besa editrice).
Intervengono: Stefano Donno, Lilly Astore, Pompea Vergaro

Un saggio assolutamente innovativo, che riscrive la storia dell'uomo basandola sul suo ancestrale rapporto con il cosmo. Affronta la complessa tematica della distribuzione dei megaliti nel mondo (dolmen, menhir, specchie, colline sacre, ziqqurat, piramidi...) ricomponendo la cultura di chi li ha costruiti e ne mette in luce il rapporto tra i sistemi megalitici e le dinamiche astronomiche e geologiche.
L'autrice, partendo dal suo territorio, il Salento come fulcro del modello megalitico a "tela di ragno", spazia in tutte le direzioni, ricalcando nella trama, affascinante come un giallo, le tappe archeologiche e storiche di coloro che intesero stringere il pianeta in una rete di risonanze equilibranti, ai fini di influire positivamente sulle correnti di flusso del campo elettromagnetico terrestre.

Marisa Grande, fondatrice del Movimento Culturale "Synergetic-Art", in qualità di socia S.I.A (Società Italiana di Archeoastronomia) - c/o Osservatorio Astronomico di Brera - Milano, con il suo saggio offre un contributo utile al piano elaborato dalla Società in occasione dell'Anno dell'Astronomia 2009, consistente nel raccogliere documenti da proporre agli Stati dell'UNESCO ai fini del riconoscimento dei "siti di valore astronomico".

Sveglia il vulcano che è in te di Giuseppe Arena

Giuseppe Arena sa che nell'Universo esiste un'Energia che non solo governa ogni cosa, ma che la muove, le da forma e sostanza, le da la giusta direzione. E questa Energia Universale, è un vero e proprio “Bancomat” cosmico: pensi, chiedi, ottieni. E come tutte le fonti di energia, anche l’Energia Universale, è soggetta ad una serie di norme disciplinanti che sottostanno ad un’unica legge: la Legge dell’Attrazione. L’autore in questo suo lavoro dal titolo “Sveglia il vulcano che è in te” conduce il lettore attraverso una serie di riflessioni ed esercizi pratici propedeutici a trovare tutte quelle modalità idonee a migliorare la vita ed essere noi i protagonisti delle nostre esistenze, e non semplici marionette in mano al Destino. Il punto teorico di partenza, è che tutti noi abbiamo consapevolezza chi più chi meno, del male nel mondo e sappiamo che una tale negatività non cessa di tormentarci, oggi come ieri. Giorno dopo giorno la nostra esperienza si confronta con forze oscure e passioni negative che minacciano di farci ammalare nel nostro intimo. E allora insicurezza, paura degli altri, mancanza di coraggio, senso di impotenza di fronte ai propri limiti e alle realtà negative del mondo: questi sono i sintomi più diffusi tra gli uomini e le donne del nostro tempo. Tutto questo inficia alcuni aspetti della vita che rischiano di farci perdere il senso dell’orientamento, e soprattutto ci fa dimenticare una cosa fondamentale: avere cura di sé. E allora come possiamo trovare un giusto equilibrio tra amore e professione ad esempio? Come possiamo restare in prossimità della nostra essenza più autentica? Con quali accorgimenti, precauzioni, complicità o saggi adattamenti, possiamo scandire le nostre giornate e modellare i rapporti tra noi e gli altri, con il mondo? Giuseppe Arena, sviluppa una serie di percorsi (Come comunicare efficacemente, Come utilizzare l’intelligenza emotiva, Come comunicare con il cuore, Come chiedere all’universo, Come selezionare i desideri) che danno risposte utili e puntuali a quelle domande fatte pocanzi. Arena fa un pò come Aristotele nell’Etica Nicomachea, ovvero quando distingue le due virtù, una intellettuale e l’altra pratica: sophia e phronesis. Sophia è l'abilità di pensare in maniera positiva sulla natura del mondo, di capire tutti i meccanismi del suo funzionamento, e che riguarda un aspetto fondamentalmente teoretico. Phronesis è quella capacità di prendere in considerazione il modo di azione su come attuare cambiamenti, soprattutto nella vita. Fondendo i due aspetti propri di un’antropologia del comportamento, Arena adatta, le sue letture sulla Legge dell’Attrazione, le sue conoscenze di PNL (programmazione neuro linguistica), di life coaching, e non è un caso che citi Anthony Robbins (il quale come formatore ha rappresentato e rappresenta in assoluto un modello di eccellenza per moltissimi professionisti in tutto il mondo del coaching e del life coaching che ne ricalcano le orme e lo stile), e ad una forma di saggezza pratica particolarmente efficace. Sveglia il vulcano che è in te, è un ulteriore ed utile contributo alla letteratura sull’auto-aiuto!

info: http://svegliailvulcanocheinte.blogspot.com/

Il libro del giorno: Il cappio di Enrico Bellavia e Maurizio De Lucia Maurizio, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli (collana Futuropassato)

Senza il pizzo non ci sarebbe la mafia. L'analisi di un fenomeno eloquente, che racconta dall'interno come Cosa Nostra, con feroce competenza, muove i suoi tentacoli nella società civile. È la più antica attività della mafia. Ponte privilegiato con l'economia legale e la politica, sistema basato su un'eccezionale organizzazione sul territorio: è il racket, il "pizzo". Uno strumento di controllo criminoso, in cui sono coinvolti attori di tutti i livelli, dal piccolo commerciante che corre a "mettersi a posto" prima ancora di ricevere minacce, all'imprenditore del Nord che arriva in Sicilia, partecipa alla spartizione degli appalti pubblici e versa regolarmente la cosiddetta "tassa Riina". Ripercorrendo la storia di Maurizio de Lucia, il magistrato che più di ogni altro ha indagato il fenomeno, questo libro svela le strutture gerarchiche, il linguaggio e le prassi di un sistema delinquenziale di impressionante complessità; ma racconta anche i segnali di rivolta che arrivano dalla Sicilia, da Palermo, a dimostrazione del fatto che la lotta al racket può cominciare solo da lì, dalla terra in cui la mafia affonda le proprie radici e continua a esercitare quasi incontrastato il proprio potere.

"Palermo è qualcosa di molto speciale. Non è solo crimine e non è solo violenza. A volte è connivenza, a volte è convenienza. E' tassa, patto, è un impasto di utilità che alla fine diventa amicizia. I confini sono sempre labili, tutto è sfumato fra il carnefice e la sua vittima quando si mette a posto. Così si dice: mettersi a posto. E' il pizzo a Palermo. In una Sicilia che si tormenta con la sua voglia di mafia, un magistrato e un giornalista si sono addentrati in misteriosi sviluppi per scoprire cos'è l'Anonima Estorsioni"

di Attilio Bolzoni tratto da La Repubblica del 16/09/06, p. 51


casa editrice BUR: http://bur.rcslibri.corriere.it/bur/


Il cappio di Enrico Bellavia e Maurizio De Lucia Maurizio
2009, 264 p., BUR Biblioteca Univ. Rizzoli (collana Futuropassato)

lunedì 15 giugno 2009

Non è successo niente di Giuseppe Aloe (Giulio Perrone editore)

Un romanzo potente e avvincente che, con tinte da NOIR psicologico, indaga le pieghe dell'animo umano e ci fa riflettere sulla difficoltà di tracciare una linea netta e definitiva tra sanità e follia. È un caso urgente, gli dicono. E il professore in pensione, ottantenne rivoluzionario e riconciliatore, fa la valigia. L'istituto di igiene mentale che ha diretto per vent'anni è ancora come lo ha lasciato: stesse stanze, stesse voci nei corridoi, stessa pace incrinata, all'ombra del muro di cinta; e anche qualche vecchio paziente da riconoscere con affetto amaro. Tutto com'era, serenamente illogico: un'elegia della demenza. Durante la sua permanenza accadono fatti gravi. Sei pazienti sgozzati. Sei pazienti e un gatto. Apparentemente nessun movente, nessuna logica. E mentre gli inquirenti cercano una risposta razionale, l'anziano professore s'inoltra per i tortuosi camminamenti della follia, verso i sottintesi irraggiungibili nelle parole dell'unico testimone; e anche verso un passato – quello dei malati, ma soprattutto il proprio – costellato di sofferenze ormai ridotte al silenzio, seppure mai del tutto sopite: la malattia del fratello, quella della moglie, la paternità mancata. Ed eccolo, adesso, il professore in pensione, mentre tenta di interpretare il linguaggio dei matti per risolvere un giallo che non sente più suo, sciogliendo con lunghi bagni e molte sigarette la sensazione ferrosa della vecchiaia; ridotto a una stanza vuota. A chiedersi cosa rimane, oltre le favole che ci si racconta per vivere, per distrarsi: se qualche cosa o solo un altro tipo di niente. Eppure, attraverso la riproduzione di un disordine coglie un segno, un’angolazione, un indirizzo. È così che anche per lui, ossessionato da un passato incombente, si apre forse una nuova stagione di libertà.
Giuseppe Aloe, con una scrittura esperta e toccante, costruisce un romanzo in cui il vertice dell'esperienza umana pare non risiedere nelle certezze della normalità ma nella possibilità d'entrare nella pazzia per poi uscirne; e nell'abitudine a percepirsi mai stabili. Sempre con qualche sasso nella scarpa; con qualche demone con cui fare i conti, prima o poi.

Affermazioni di Stuart Wilde (Macro edizioni)

Spesso veniamo trascinati dagli eventi che accadono nella vita di ogni giorno, piccole sfide che magari tendiamo ad ingigantire, e che nella maggior parte dei casi ci fanno perdere il controllo su noi stessi, cortocircuitando le nostre abilità di problem solving, che in talune occasioni sembrano assolutamente inutili o per lo meno inservibili. Contrattempi che inevitabilmente siamo soggetti a subire, una lettera che aspettavamo da tempo con una comunicazione importante, arriva magari con due settimane di ritardo cambiando magari il corso delle nostre decisioni, oppure il sistema postale va in tilt per alcuni giorni e le bollette che scadevano proprio in quel lasso di tempo ci fanno correre non solo il rischio del taglio della luce, ma anche ed inevitabilmente perdite di tempo e aumento dello stress, che ci costringono a districarci nel complesso mondo della burocrazia e dei suoi terribili tentacoli. Ma questo problema di profondo disagio nel non riuscire a controllare tutto nelle nostre esistenze, contiene una serie di problematiche che ci toccano da vicino, e che in più di qualche occasione ci fanno percepire come un sottile, costante, anche se latente, senso di inadeguatezza nei confronti della vita. Non riusciamo a ritagliarci del tempo per noi, per i nostri cari, per la cura dei nostri amici, e non si tratta solo, per citare il grande sociologo Zygmunt Bauman, di essere nel gigantesco gorgo di una società liquida. Vediamo un po’ da vicino come stanno le cose. Stress, consumismo ossessivo e comnpulsivo, paura sociale e individuale, città alienanti, legami fragili, mutevoli e disarticolati: il mondo di oggi ha una fisionomia dalla consistenza di eidola platonici. L’uomo di oggi" gestisce quotidianamente situazioni che mutano forma ancor prima di venirsi a creare, e soprattutto con un perpetuo misurarsi con i limiti fenomenologici della scadenza che azzzera il senso del tempo e della sua utilizzabilità per tutto ciò che non rientra in abitudini e procedure. E allora cosa fare? Se tutto ciò che ci circonda è “liquido”, dunque in perenne “mutaforma” dove trovare la giusta direzione da seguire, e soprattutto come rimanere in piedi? Per Stuart Wilde, prima in “Affermarsi” e poi più di recente in “Affermazioni”ci invita quasi a riscoprire quelli che erano un pò gli insegnamenti etico-pratici di Socrate, ovvero sia la necessità del conoscere se stessi che quella (forse in maggior accordo anche con lo stesso Wilde) dell’ascoltare la voce del proprio “daimon” una specie di essere divino inferiore agli dei ma superiore agli uomini, che con la sua voce interiore ci dissuade dal compiere una certa azione. Ora per l’autore man mano che si continua a seguire la guida interiore, la fiducia e la consapevolezza aumentano, finché arriveremo al punto di "accettare" tutto quello che accade. Cominceremo a cercare e trovare la giusta direzione in ogni evento attirando nient'altro se non il Bene. Addirittura questo tendere sempre verso il Bene, che ci farà puntualmente trovarci nel posto giusto al momento giusto e con le persone giuste, ci farà oltrepassare ogni nostro limite, addirittura facendoci pervenire ad una consapevolezza totale del tutto. Se ci prendiamo un solo attimo per riflettere, in fondo la vita non deve essere necessariamente complicata, perciò se si riesce a mantenere l’equilibrio, se si sviluppa la capacità di percezione, se si impara ad essere distaccati, a concentrarsi su ciò che è reale, capendo dove si è e cosa si vuole nel qui e ora, credendo fortemente in se stessi, allora avremo bisogno di molto poco. Scrive Stuart Wilde in proposito “La vita non è un campo di battaglia, ma piuttosto una tranquilla evoluzione da un punto a un altro: un po' come passeggiare in una valle in un giorno di sole'. Questo libro insegna a trasformare la nostra vita in un nostro progetto, espandendo i poteri che già sono dentro di noi e raggiungendo il perfetto controllo sulla nostra esistenza. Questo dovrebbe essere l’obiettivo principale del cammino che si sceglie di intraprendere nella vita, un cammino che porta alla spiritualità, alla libertà emotiva e alla liberazione”. Ecco il magnifico piano d’azione per imparare ad aumentare il proprio potere e a riconquistare il controllo assoluto della propria vita: come aumentare e tenere alta l’energia del corpo durante il giorno; come formulare le affermazioni in modo corretto; come coltivare uno stile di vita che permette l’evoluzione; come uscire dal cerchio e cambiare completamente vita. Inoltre una serie di esercizi per imparare la concentrazione, per uscire fuori dal corpo e per realizzare ogni desiderio compresa l’abbondanza. Questo mondo meraviglioso è incredibilmente abbondante, ciò nonostante, abbiamo tante carenze. Per quale motivo? Perché il sistema bada a se stesso e non alla gente. Tutto quello che dobbiamo fare è imparare a riprenderci il nostro potere.


Come espandere il proprio potere e riprendere il dominio sulla propria vita
ISBN: 8875076073

Prezzo € 12,00


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Il libro del giorno: Vaticano Spa di Gianluigi Nuzzi (edizioni Chiarelettere)

Spericolate operazioni finanziarie mascherate da opere di carità e fondazioni di beneficenza. La storia raccontata in questo libro parte da un archivio custodito in Svizzera e da oggi accessibile a tutti. Circa quattromila documenti riservati della Santa Sede. Lettere, relazioni, bilanci, verbali, bonifici. Tutto grazie all'archivio di monsignor Renato Dardozzi (1922-2003), tra le figure più importanti nella gestione dello Ior fino alla fine degli anni Novanta. Sembrava una storia conclusa con gli scandali degli anni Ottanta: Marcinkus, Sindona e Calvi. Invece tutto ritorna. Dopo la fuoriuscita di Marcinkus dalla Banca del Papa, parte un nuovo e sofisticatissimo sistema di conti cifrati nei quali transitano centinaia di miliardi di lire. L'artefice è monsignor Donato de Bonis. Conti intestati a banchieri, imprenditori, immobiliaristi, politici tuttora di primo piano, compreso Omissis, nome in codice che sta per Giulio Andreotti. Titoli di Stato scambiati per riciclare denaro sporco. I soldi di Tangentopoli (la maxitangente Enimont) sono passati dalla Banca vaticana, ma anche il denaro lasciato dai fedeli per le messe è stato trasferito in conti personali. Lo Ior ha funzionato come una banca nella banca. Una vera e propria "lavanderia" nel centro di Roma, utilizzata anche dalla mafia e per spregiudicate avventure politiche. Un paradiso fiscale che non risponde ad alcuna legislazione diversa da quella dello Stato Vaticano. Tutto in nome di dio.

"Giornalista d'inchiesta di rara efficacia,l'inviato di Panorama Gianluigi Nuzzi, in Vaticano S.p.a. (Chiarelettere), racconta da un punto di vista privilegiato gli affari segreti della Chiesa"

di Dino Messina tratto da Il Corriere della Sera del 15/06/09 p. 31

casa editrice Chiarelettere: http://www.chiarelettere.it/

Vaticano Spa di Gianluigi Nuzzi 2009, 280 p., Chiarelettere
(collana Principioattivo)

domenica 14 giugno 2009

Canzonetta sulle sirene catodiche di Valerio Magrelli

Questa raccolta poetica incrocia il tema del male (analizzato attraverso l'ambivalenza fisiologica dell'uomo), e quello della famiglia, un po' descritta autobiograficamente e un po' sognata come espressione di una comunità diversa, non basata su istinti violenti e distruttivi.

La sua relazione non dovrebbe intitolarsi Dada, ma Dudu [Tu, tu]
F. Kafka





La chiamano TV
ma il vero nome è un altro,
più subdolo, più scaltro,
ilvero nome è TU.

Tu credi di guardarla,
ma è lei a fissarti, e intanto
si realizza l'incanto,
ti sorride, ti parla,

ti dà del tu, ti fa:
"Lèvati quella cera
dalle orecchie", ma già

la rupe si fa nera.
Tu ignorala - dì addio
a quel virus dell'io.

tratta da Disturbi del Sistema binario di Valerio Magrelli (Einaudi), p.11

Il libro del giorno: Cinafrica. Pechino alla conquista del continente nero di Michel Serge e Beuret Michel (il Saggiatore)

In cerca di petrolio e materie prime per nutrire un'espansione inarrestabile, Pechino si è lanciata alla conquista dell'Africa, che attendeva da troppo tempo una rinascita postcoloniale. E per i cinquecentomila cinesi che vi si sono riversati il continente nero è la promessa di un Far West del ventunesimo secolo. Alcuni hanno già fatto fortuna, altri vendono ancora paccottiglia ai bordi delle strade infuocate dei paesi più poveri del mondo. Per gli africani è forse l'evento più importante dei loro quarant'anni d'indipendenza. I cinesi non assomigliano agli ex coloni. Seducono i popoli perché costruiscono strade, dighe e ospedali, e i dittatori perché non parlano di democrazia o trasparenza. Lungo le ferrovie dell'Angola, nelle foreste del Congo e nei karaoke in Nigeria, Serge Michel e Michel Beuret, insieme al fotografo Paolo Woods, hanno percorso quindici paesi sulle tracce dei cinesi arrivati in Africa e di un nuovo mondo abitato da imprenditori pionieri e lavoratori sfruttati, da progresso e contraddizioni. Dalle campagne impoverite nel cuore della Cina alle poltrone in cuoio dei ministri africani, gli autori ci raccontano l'avventura dei cinesi partiti per costruire, produrre e investire in una terra che per l'Occidente è ormai condannata a ricevere solo aiuti umanitari.

"(...) Cinafrica, Pechino alla conquista del continente nero, un lunghissimo reportage frutto di due anni di viaggi in quindici paesi africani, sulle orme di una presenza, quella cinese, che continua a crescere,provocando inquietudini, dubbi e polemiche, ma che sta davvero cambiando il tracciato della storia nel continente nero!"

Angela Pascucci tratto da Il Manifesto del 14/06/09 p. 12

casa editrice Il Saggiatore: www.saggiatore.it

Cinafrica. Pechino alla conquista del continente nero di Michel Serge e Beuret Michel, 2009, 234 p., Il Saggiatore (collana La cultura)

sabato 13 giugno 2009

L'ultimo dandy di Klaas Huizing (Nutrimenti Edizioni). Rec. di Vito Antonio Conte

Siete stanchi del vorticoso inseguirsi, spesso senza alcunché di autentico, degli umani e delle cose terrene? Ne avete abbastanza di strade, specie se mal costruite, di vie smerdate, edifici fatiscenti e intere città che crollano, sbriciolandosi come le vite di chi, per un motivo qualunque (a volte, senza motivo), le abita, aggiungendo vuoto alle vuote teste (ché il danaro -in fine- è segatura) di chi le ha tirate su come se fosse un gioco, quello della torre di quaranta carte (napoletane o piacentine, poco importa), perdendosi in qualche cazzo di paradiso fiscale prima del primo vento? Altra domanda retorica: siete esausti di sentire ripetere le stesse identiche parole a ogni nuovo disastro, evitabile o no? E un'altra domanda inutile: ne avete le palle piene di tutte le speculazioni (e rimarco “TUTTE”) sul sangue e sul dolore e di quelle (speculazioni) che non lasciano neppure che madre Natura cicatrizzi le ferite? A retoriche domande, scontate risposte (auspico!). E allora generiamo un gran bel black-out. Compresa la contraddizione!?! Nessuna retorica qui. Bene, muoviamoci. Vi porto, se volete, nell'altrove che mi sono concesso (dopo aver fatto la mia misera parte!) nello strazio di questi giorni. Immaginate (per un attimo o, se preferite, per il tempo che vi pare) di trovarvi su una spiaggia, col mare davanti agli occhi. È una distesa d'azzurro che, sull'incerta linea d'orizzonte, trapassa un altro infinito dello stesso colore, solo un po' meno liquido, ma non c'è stacco, ché quegli azzurri si congiungono confondendosi. E se così è, avrete capito che l'ora è quella mattutina. D'etereo etereo. Poi, volgete lo sguardo d'intorno: non c'è altro che sabbia: di battigia, d'arenile, di dune. Siete ancora sulla Terra? Ribaltate l'oggetto del vostro guardare con una rotazione completa di 360°. Non ce la fate? La vertigine vi blocca? Vi si tappano le orecchie? Nessun problema: liberate il tutto masticando piano il momento, come se aveste una chevingum (senza ponti da attraversare, né altro). Immaginate che quella spiaggia, quelle dune, quella luce, quel nitore, quel mare siano oltre le nuvole, quelle bianche ovattate nuvole che preludono al meglio. Al cielo. È, senza dubbio lo è, un aldilà e lì c'è l'ultimo dandy, un uomo che -qualche tempo fa- è passato sulla Terra, su quella Terra, la vedete da quassù?, ch'è sempre più prossima a una carogna animale sulla quale volteggiano altri animali pronti al macabro banchetto finché si può, sino alle ultime briciole. Su questa spiaggia, invece, l'ultimo dandy passeggia rammentando quel ch'è stato e i suoi passi sono eleganti e leggeri, come gli abiti che indossa. Il dandy non ha lasciato nulla al caso: ha vissuto intimamente e individualmente ogni respiro, ha dato al mondo la sua parvenza, un gran bell'apparire, tormentato dall'etica esistenziale che covava nel profondo del suo essere sempre mal combaciante con quella comune, ha previsto sinanco l'anno della sua morte, fallendolo, e poi cercando e trovando quella (morte) che soltanto uno stupido poteva attribuire a terzi (quelli l'avevano ucciso già da un pezzo). Ha vissuto negli agi il dandy, amando Regina Olsen, amandola per sempre, amandola senza poterla avere, ché anche quando la possedeva era condannato alla sua assenza, rimpiangendola per via di una maledizione (ereditata dal padre insieme alle rendite) che soltanto nella sofferenza della rinuncia poteva spezzare. In un anelito di sprezzo per le umane diatribe e di ricerca continua dell'assoluto. Da immalinconire. Da paralizzare. Da viaggiare. Da impazzire. Da morirne. L'antidoto lo trovò nella scrittura. Qui, i suoi passi incontrano quelli di Thomas, il quale gli chiede di condividerli, almeno per un po', ché sarebbe un gran bell'andare insieme (oltre che un vero onore), ché ha sempre stimato il suo vestire fuori dalle mode, con ricercatezza e raffinatezza ineguagliabili, ché ha sempre apprezzato il suo pensiero, ben oltre le speculazioni degli esistenzialisti. Soren, che ama l'adulazione, si fa accompagnare e confida a Thomas che, deluso dalle dicerie sul suo conto (che ancora circolano sulla Terra), va meditando di scrivere un'autobiografia. Thomas, raggiante di giubilo per essere stato messo a parte di questo segreto, si offre per raccogliere le confidenze di Soren e lo prega -in segno di grande affetto- di chiamarlo Tommy. Insieme percorrono larghi tratti del Celeste. L'ultimo dandy è Soren Aabye Kierkegaard, nel mentre Tommy è Thomas Mann, come dire: quando la teologia (nelle sue forme più alte) incontra la letteratura (quella da premio Nobel). Su questo sfavillìo di colori, i due si abbandonano a giochi bambini e a riflessioni sui massimi sistemi condite di una buona dose di ironia e con quel pizzico di autoironia che fa di un uomo un grande uomo. Qui, Soren disvela a Tommy le amarezze del pregresso vivere terreno, le tristezze dei salotti e dei circoli chiusi, le prepotenze dei potenti sui più deboli, la pochezza di una Chiesa sempre più secolarizzata e sempre meno depositaria della primigenia spiritualità, le malinconie del suo mai spiegato dolore fisico, l'origine dello stesso, forse rinvenibile (per trasmissione) nella maledizione che gravava su suo padre per aver questi bestemmiato iddio a cagione della sua (iniziale) povertà o per averlo (una volta diventato ricco) offeso seducendo la giovane cameriera (madre di Soren) a pochi mesi dalla morte della moglie, l'unico vero rimpianto e l'eterno pianto per il suo artato comportamento verso Regina Olsen, pronta a sposarlo contro ogni paventata maledizione e nonostante ogni attuata malefatta. Parlano i due. Di questo e d'altro, parlano. Invero, parla soprattutto Soren. E Thomas se ne prende cura, ascoltandolo e stimolandone la loquacità, talvolta anche accennando a sé e alle sue opere, delle quali, però, limita il dire a meri incipit, forse all'unico fine di aprire intimità a intimità, sì che i loro passi siano condivisione estrema. In questo Celeste liquido e gassoso ho incontrato Soren e Tommy. Sullo sfondo abbiamo lasciato Hegel che litigava con Schelling, Freud che rimbrottava Jung e una schiera di altri grandi del passato intanto che da un gazebo (manco a dirlo, di tela bianca) si diffondevano le note di Mozart e tutte le disgrazie del mondo affogavano nelle nostre risate e nella lettura. Nella lettura di questo libro che ha poco di filosofia e molto di vita. Il libro è “L'ultimo dandy” (Nutrimenti Edizioni, 2005, pagg. 200, € 15,00), di Klaas Huizing. Ora me ne torno alle quotidiane occupazioni, mi prendo cura dell'ordinario, ma non posso fare a meno di pensare che finita un'ossessione ne comincia un'altra. “D'altra parte, all'epoca, soffrivo meno di quanto forse credi. Ho curato la mia ossessione per il pensiero con l'ossessione per il lavoro... Mi sono curato da me. Sai qual è la parola chiave? Bagni di scrittura!”. Bagni di scrittura... Adesso, volendo, potete scendere. Con stile, però.
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Il libro del giorno: Vite pulviscolari di Maurizio Cucchi, Mondadori (collana Lo specchio)

Condotta su vari temi, questa raccolta parte da un dialogo con la madre scomparsa e si conclude con la cronaca di un breve viaggio per mare, dove l'autore riflette su una sorta di strana coincidenza tra la teoria astrofisica dei buchi neri e il racconto "Una discesa nel Maelstrom" di Edgar Allan Poe. Nelle parti centrali, meditazioni liriche sugli affetti e sull'amore, sul riaffiorare di immagini dalla memoria, sulla presenza viva eppure mutata degli oggetti nel nostro tempo.

"Parte con un potente capitolo autobiografico Vite pulviscolari, la nuova raccolta di poesie di Maurizio Cucchi: la madre morta, il ricordo, lo struggimento del distacco; ma anche il rintocco cupo del nuovo disgregarsi di un'identità forse appena ricomposta in Per un secondo o un secolo (2003) sotto il segno di un'orgogliosa autoironia. Le vite pulviscolari e ignote, che fanno sentire la propria labile presenza da un passato remotissimo inopinatamente ripropostosi, si riverberano nello smarrimento definitivo di un soggetto ormai sull'orlo del Maelstrom, che dispera di potersi attribuire un valore, appunto, non pulviscolare"

di Stefano Giovanardi tratto da Almanacco dei libri de La Repubblica del 13/06/09, p. 40

casa editrice Mondadori: http://www.librimondadori.it/web/mondadori/home

Vite pulviscolari di Maurizio Cucchi
2009, 105 p., brossura, Mondadori(collana Lo specchio)

venerdì 12 giugno 2009

SONETÀULA di Salvatore Mereu al Fondo Verri di Lecce

Lunedì 15 giugno 2009 presso il Fondo Verri di Lecce (Via Santa Maria del Paradiso) il Cineclub Fiori di Fuoco organizza una serata dedicata alla Sardegna ed al cinema italiano con la proiezione del film “Sonetàula” (2008, 157’), ultima fatica di Salvatore Mereu. Il regista sardo, uno dei maggiori talenti della nuova generazione del cinema italiano, insieme ai più noti Crialese (“Respiro”, “Nuovomondo”), Sorrentino (“Le conseguenze dell’amore”, “Il Divo”) e Garrone (“L’imbalsamatore”, “Gomorra”), si è imposto per un cinema che valorizza le immagini più delle parole, con storie e volti di uomini semplici, paesaggi e costumi dell’Italia di provincia.
Già autore di splendidi cortometraggi, grazie al suo stile personale, Mereu si è aggiudicato nel 2003 il David di Donatello come miglior regista esordiente con “Ballo a tre passi”.
“Sonetàula”, che, nonostante il consenso della critica, non ha goduto di ampia diffusione in sala, sarà ora visibile anche nel Salento grazie all’accordo sulla distribuzione in dvd public tra Lucky Red e Unione Italiana Circoli del Cinema.
La serata costituisce un’anticipazione della quarta edizione del Festival del Cinema Invisibile che in agosto porterà a Lecce il miglior cinema indipendente italiano.
L’inizio della proiezione, previsto per le ore 21.00, sarà preceduto da una degustazione di liquore al mirto tipico della Sardegna.
Ingresso € 3,00 per i soci.
Info: digilander.libero.it/fioridifuoco - fioridifuoco@libero.it - 0832.304522 - 348.7667033

Moana Pozzi: dal film con Violante Placido al libro di Ivan Guerrerio per Agenzia X

Sono davvero curioso di vedere il film su Moana Pozzi di Sky e chi meglio di Violante Placido, vuoi per bellezza, vuoi per un non so che di sguardo che ricorda la pornodiva scomparsa prematuramente a 33 anni, poteva interpretare un ruolo così intrigante ma anche così delicato, dal momento che di banalità potrebbero farsene in abbondanza, soprattutto in questo caso. Cosa ci dovremo allora aspettare? Verrà tolto quel velo di mistero che a tutt’oggi circonda la sua morte? Sembra che l’intenzione della produzione di questo film sia diretta a mostrare Moana dalla sua giovinezza, in un contesto cattolico e borghese, al porno con il mitico Riccardo Schicchi, alla politica, al matrimonio e alle amicizie con potenti personaggi politici. Naturalmente il tutto non potrà prescindere dal considerare il mondo hard che l’attrice viveva con semplicità e senza falsi pudori. Ciò che comunque rimane nell’immaginario collettivo di questa donna senza inibizioni è proprio il suo senso di libertà, una voglia profonda di ribellione, ed una sensualità elegante mista ad una forza sessuale al di là di ogni volgarità. Moana ha rappresentato il sogno erotico di moltissimi uomini ma forse è stata una valida insegnante in spregiudicatezza per tante donne. Chissà allora se Violante Placido, Giorgia Wurth (Ciocciolina) o Elena Bouryka (Baby Pozzi) sono riuscite a calarsi nelle parti … ma poco importa alla fine. Quello che dovrà emergere alla fine sarà solo la storia di una donna a suo modo eccezionale e straordinaria come la Pozzi. Intanto per rimanere in tema dal 6 giugno 2009, Agenzia X, pubblica l’intrigante “Splendido splendente" di Ivan Guerrerio, dove l’autore ripercorre l’intero tracciato biografico di Moana Pozzi secondo un punto di vista assolutamente inedito. L’Io narrante è affidato alla voce di Marzio Milani, che conosce l'attrice nel 1978, in un’età delicata , spregiudicata, problematica come solo l’adolescenza può essere, e segue con lo sguardo puro di chi è innamorato la parabola pubblica ed esistenziale della protagonista. L'Italia che fa da scenario è quella che cambia, dagli anni ottanta (forse della Milano o della Torino da bere?!) sino ai nostri giorni, e il rapporto castrante con il desiderio e la morale di un paese alla fin fine condannato ad un perpetuo provincialismo, al di là anche dei suoi goffi voli da tacchino, come direbbe Francesco Guccini. Con uno stile impeccabile, a metà tra il giornalismo da gossip e quello d’inchiesta, Ivan Guerrerio restituisce vita al mito e lo mostra sotto la fulgida luce del pop.

Il libro del giorno: Louise Bourgeois Distruzione del padre / Ricostruzione del padre (Quodlibet) (in uscita)

Louise Bourgeois è una delle più importanti artiste del nostro tempo. Nata a Parigi il 25 dicembre del 1911, intraprende la sua formazione artistica frequentando l’École du Louvre, l’Académie des Beaux-Arts, l’Académie Julian, e l’Atélier Fernand Léger. Nel 1938 si trasferisce a New York, sua città di adozione, dove vive tuttora. La sua fama è stata consacrata negli ultimi anni da una serie di grandi retrospettive, tra le quali ricordiamo quelle al MoMA e al Guggenheim Museum (New York) e, al di qua dell’Atlantico, quelle alla Tate Gallery (Londra), al Centre Pompidou (Parigi) e al Museo Capodimonte (Napoli). Questo libro riunisce in successione cronologica la maggior parte degli scritti di Louise Bourgeois sulla propria vita e sul proprio lavoro: dal facsimile di alcune pagine preadolescenziali, tratte da un diario del 1923 smarrito da Louise in treno e recentemente ritrovato su una bancarella parigina, fino a una selezione di interviste e colloqui degli ultimi vent’anni. Tra questi due estremi cronologici figurano un consistente carteggio giovanile con la sua amica e artista Colette Richarme (illuminante sul periodo parigino), testi connessi ai suoi disegni e alle sue sculture (Distruzione del padre/Ricostruzione del padre, Il puritano, Svanì in completo silenzio), articoli di riflessione sull’arte (La genesi di un’opera d’arte, Sul processo creativo, L’arte è salute mentale, La passione per la scultura). Ma non è tutto. Nel corso della vita Louise Bourgeois ha incontrato e frequentato molti fra i principali protagonisti della scena letteraria e artistica contemporanea. Di tali frequentazioni questo volume registra commenti, aneddoti, ricordi di grande suggestione. Attraversano queste pagine, tra gli altri, André Breton e Marcel Duchamp («Breton e Duchamp mi rendevano violenta… il loro pontificare… Essendo un’esule, le figure paterne mi davano ai nervi»), Fernand Léger (suo «maestro»), Mark Rothko, Alberto Giacometti («Era un uomo difficile. Aveva una grande paura di uscire. Era paralizzato dalla paura. Tutti erano gentili con lui, ma era come un bimbo perduto»), Francis Bacon, a cui dedica uno scritto («Guardare i suoi quadri mi rende viva. È quasi come essere innamorati. La sua opera è uno dei più grandi omaggi alla donna»), Robert Mapplethorpe, autore del suo più celebre ritratto. Sono presenti, infine, lettere agli editori, commenti alle proprie opere, dichiarazioni ufficiali tenute in occasione di convegni e premiazioni, brani trascritti dai principali film e documentari a lei dedicati. Che parli di trame elaborate da alcuni artisti per farsi strada, di Lacan o di Freud (I giocattoli di Freud, 1990), dell’esperienza giovanile nel laboratorio di restauro di tessuti dei suoi genitori – molto presente nella sua opera, anche in tempi recenti –, o del rapporto con il padre, i suoi fratelli e la sua istitutrice, si rimane colpiti dall’intensità delle sue affermazioni e commossi dalla franchezza delle sue risposte. L’insieme di questi testi consente di completare e correggere la percezione della sua opera, restituendoci un ritratto assai dettagliato dell’artista e della sua personalità, oltre che uno scorcio, in presa diretta, della storia dell’arte del Novecento.

"A osservare i suoi disegni, o pensieri piume, , sui cui coglie al volo fugaci impressioni, così come le sue sculture intrise di erotismo o le sue installazioni, si scopre un unico Lietmotiv: la voce del ricordo e la consapevolezza di affidare alla creatività il proprio tormento nell'assunto che l'arte è sublimazione e insieme affermazione della propria identità di donna e artista"

di Mara Lo Sardo tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1108, p. 102

casa editrice Quodlibet: http://www.quodlibet.it/

Louise Bourgeois
Distruzione del padre / Ricostruzione del padre
Scritti e interviste (In Uscita)

A cura di Marie-Laure Bernadac e Hans-Ulrich Obrist
Traduzione di Giuseppe Lucchesini e Marcella Majnoni
2009, Quaderni Quodlibet, pp. 444, € 32,00

giovedì 11 giugno 2009

Keep Your Self Alive di Massimiliano Città (Lupo editore)

Il romanzo di Massimiliano Città dal titolo “Keep Yourself Alive” (Lupo editore) non è un libro per tutti. Che sia Beat, è fuori discussione, e per questo forse lo rende un po’ vintage, rispetto a quello che viene prodotto oggi nel panorama letterario italiano, dove autori come Tommaso Pincio, Giuseppe Genna, Valerio Evangelisti, Wu Ming 1, Tullio Avoledo, Alessandro Bergonzoni, e altri, si interrogano in Anteprima Nazionale edito da Minimum Fax a cura di Giorgio Vasta, come sarà l’Italia fra cinquant’anni. Per tutte le pagine di quest’opera fortissimo è un desiderio del protagonista, di trovare la sua beatitudine rispetto all’inferno che porta dentro di sé, una specie di salvezza ascetica ed al contempo estatica, che nulla ha a che fare con lo Zen o altre filosofie orientali, ma che viene ricercata attraverso droga ed alcol, incontri carnali, che comunque fanno sempre il loro effetto da James Dean e Jim Morrison in poi. E’ Beat come desiderio di ribellione, come battito, come ritmo, è Beat nel suo essere sudato, vissuto e catartico. E’ Beat e forse anche un po’ pulp in questa consapevolezza ferocemente distruttrice, dissacrante della memoria di un suo tracciato biografico ed auto-lesionante, che si respira tra le righe di questo lavoro, anche nella libertà di essere sconfitti, in maniera totale e assoluta. Certo, le definizioni trovano il tempo che trovano, ma perlomeno aiutano a fornire un quadro ermeneutico di base per non vagare completamente al buio. Enzo, la figura principale del romanzo, ha diciannove anni e racconta di come abbandona il suo paese natale, una piccola realtà in una piccola provincia dell’interland siciliano, per trovare la sua dimensione di vita, in altri luoghi, in altri occhi, in altri corpi. La discesa verso il baratro prende corpo con la morte del nonno Gino, figura tracciata magistralmente, che incarna la tradizione, la storia, la famiglia, che racchiude come in uno scrigno grezzo la memoria cellulare della terra e del sole di quelle latitudini, fatta di arsura di slanci e di tempo scandito dagli sguardi pigri dei pochi avventori seduti ai tavolini di un piccolo bar in piazza . Questo evento diverrà una frattura insanabile, che scaraventerà Enzo fuori dalla sua “zona comfort”, lasciandolo letteralmente in balia degli eventi. In una psicotica stagione estiva di movida siciliana, il nostro anti-eroe, conosce Daniela (fighetta cocainomane in simil-plastica) di cui si innamora. Per lei perde la testa, tanto da prendere il primo treno e partire per Milano per raggiungerla. Nella capitale lombarda, incontrerà padre Ennio, compassionevole e fraterno che lo aiuterà nei primi momenti di sconforto e solitudine; conoscerà Damiano dell’Olgo’s Bar , che gli permetterà di sbarcare il lunario offrendogli non solo vitto e alloggio, ma anche un lavoro; frequenterà il folle Jessie e la sua corte di tossici coi quali stringerà un patto di sangue; sperimenterà in un grottesco delirio di onnipotenza, la sensazione di essere “arrivato” come dj nelle feste che contano e nei giri giusti. Infine dopo ben sei anni di totale caos esistenziale, ritrova Daniela, per assistere alla sua tragica fine. La scrittura di Massimiliano Città spazia da una prosa corposa e coinvolgente, a slanci, anche se pochi, veramente di alta prosa poetica. Una delle peculiartià di quest’autore è l’abilità nel destreggiarsi tra memoria vicina e lontana, tra ambienti, personaggi e situazioni in bilico tra il grottesco e il paradossale, il tutto condito da un costante rumore bianco che lo incatena ad un mefitico nichilismo passivo: la distruzione per la distruzione. La tecnica di scrittura è priva di sbavature ed ottiene un effetto-verità, quasi psichedelico

Il libro del giorno: Nuovi Argomenti n.46 - Italia Anno Zero (Mondadori)

Nel 1953 Alberto Carocci e Alberto Moravia fondano "Nuovi Argomenti'', da allora la rivista è rimasta un punto di riferimento per il mondo intellettuale e letterario italiano. Nei suoi cinquantacinque anni di attività si sono alternati alla direzione i principali protagonisti della scena culturale italiana, da Pasolini a Sciascia, da Bertolucci a Siciliano, fino all'impegno attuale di Dacia Maraini. Negli ultimi anni "Nuovi Argomenti" ha saputo dimostrare la sua straordinaria vitalità scommettendo su molte delle voci più interessanti della nuova generazione di scrittori, tra le quali quelle di Alessandro Piperno, Roberto Saviano e Paolo Giordano. In questo numero di Nuovi Argomenti: diciotto racconti sull'inizio del terzo millennio.

Interventi di 18 racconti sull'inizio del terzo millennio

Raffaele La Capria, Dacia Maraini, Vincenzo Pardini, Giorgio van Straten, Mauro F. Minervino, Helena Janeczek, Lorenzo Pavolini, Carola Susani, Leonardo Colombati,
Flavio Santi, Elisa Davoglio, Mario Desiati, Giancarlo Liviano, Chiara Valerio
Arnaldo Greco, Federica Manzon, Paolo Di Paolo, Paolo Giordano

"Mi piace molto il racconto di Paolo Giordano in questo numero della rivista: un rappresentante di aspirapolvere in crisi viene licenziato mentre suo figlio sparisce ..."

di Antonio D'Orrico (In Venticinque parole) tratto dal Corriere della Sera Magazine n.23 p. 116

Nuovi argomenti. Vol. 46: Italia anni zero.
2009, 350 p., brossura, Mondadori(collana Nuovi argomenti)

mercoledì 10 giugno 2009

Il lavoro di Raquel Tibol su Frida Khalo visto da Maria Beatrice Protino



















«Non è la tragedia a presiedere l’opera di Frida Khalo… La tenebra del suo dolore è soltanto lo sfondo vellutato per la luce meravigliosa della sua forza biologica, di una sensibilità finissima, di un’intelligenza splendente e di un’invincibile forza… Lei lotta per vivere e per insegnare ai suoi compagni, gli esseri umani, come resistere alle forze avverse e trionfare su di esse per giungere a una gioia superiore». Queste le affermazioni di Diego Rivera, marito di Frida, riportate nel libro-biografia di Raquel Tibol (Rizzoli, 2003) sul mito di una donna, di un’icona del femminismo mondiale, di una pittrice senza eguali protagonista della scena artistica latino-americana del primo novecento. La Tibol utilizza lettere e diari di Frida, ma anche ricordi personali essendo stata ospitata nella casa della pittrice e avendola intervistata lungamente - nonché ricerche d’archivio. Nella biografia vengono raccontate le vicende personali e le circostanze storiche che videro La Kalho protagonista della scena politica da militante di sinistra, l’arte, la psicologia, la passione per la vita: ne si ammira la forza in un’analisi complessa e affascinante del mito. Frida riuscì a sublimare il dolore personale - fu colpita a sette anni dalla poliomielite e a diciotto subì un gravissimo incidente che la condannò per tutta la vita a terribili sofferenze - in un’arte che Breton - teorico della corrente surrealista - dichiarò tale per cui il lato umano e quello artistico risultavano uniti indissolubilmente, un tipo di pittura definito da Rivera «realismo monumentale, che racchiude in sé esteriorità, interiorità e il fondo di se stessa e del mondo», eppure profondamente, anzi forse suo malgrado, messicano, legato senza affettazione né pregiudizio estetico all’espressività e alla plasticità di un genere pittorico popolare, umile, lo stesso che gente anonima sviluppava su piccole lamine di metallo o legno per illustrare il miracolo di un santo, della Vergine o di Dio: era la prima volta per una donna risultare capace di esprimere con franchezza scarna e feroce, tenerissima e crudele eppure esatta, realista fino all’osso quei caratteri personali e generali che concernono propriamente alle donne. Ed infatti, denominatore comune dei pittori surrealisti è il forte legame con la tradizione e, insieme, la creazione di iconografie del tutto personali. Frida deve molto ai ritratti fotografici che si realizzavano in Messico nella seconda metà dell’Ottocento, come deve molto ai retablos (quadretti che ringraziano Dio e i santi perché la vita continua nonostante le più orrende disgrazie) e all’arte popolare messicana che utilizzava i materiali più poveri per esprimere con disinvoltura ironica anche il macabro. Fu, poi, la sua sincerità ad indurla a dare testimonianza esatta, attraverso la pittura, di alcuni eventi come la sua stessa nascita, il suo allattamento, la sua crescita in famiglia e le sue terribili sofferenze, senza mai la minima esagerazione o discrepanza rispetto ai fatti precisi, e, proprio grazie al suo atteggiamento, gli stessi fatti diventano universali, si pongono su un piano molto più ampio che non quello prettamente personale: assumono un ruolo sociale.
Nel suo diario Frida offriva la chiave magica della sua tavolozza, insieme a riflessioni da incubo: «Verde come luce tiepida e buona; giallo come follia, malattia, paura, parte del sole e dell’allegria; blu cobalto come elettricità e purezza, amore; magenta come sangue?, mah, chi lo sa!». Come sottolinea la Tibol: «Insieme alla forza del suo carattere, alla disciplina spirituale che le fece superare la propria condizione e il limite della sua condizione fisica, al rifiuto di piegarsi al dolore, è il suo surrealismo allo stato puro, senza ricerca a tavolino, senza aridità intellettuale ad affascinare: esso è atto surrealista nel quale la pittura propriamente detta ebbe un ruolo – addirittura – secondario».

Il libro del giorno: Sé-pararsi. Una breve guida al distacco affettivo, di Luigi De Maio (Liguori editore)

Prima di partire per un viaggio, lungo o breve che sia, sentiamo il bisogno di salutare, cioè di conservare per il nostro bene il pensiero delle cose o delle persone dalle quali stiamo allontanandoci o ci stiamo separando: un pensiero che deve "fare salute", deve far star bene sia noi sia la persona a cui lo rivolgiamo. In fondo, il desiderio di poter andar via senza la "colpa di separazione", senza il ricatto del dolore subito o provocato, è una molla potente che influisce su nostri stati d'animo "dopo" una separazione, un distacco, un addio.

"Sta molto cambiando la psicologia della coppia in Italia e nel Sud. E' quanto si può cogliere, più omeno direttamente, dal libro Sé-pararsi dello psicologo napoletano Luigi De Maio. Un libro sul distacco affettivo in generale che è rivelatore soprattutto dicerti mutamenti in atto nelle relazioni tra uomo e donna"

di Felice Blasi, tratto da Il Corriere del Mezzogiorno del 10/06/09, p. 20

casa editrice Liguori: http://www.liguori.it/default.asp

Sé-pararsi. Una breve guida al distacco affettivo, di Luigi De Maio, 2008, 176 p., Editore Liguori (collana Script)

martedì 9 giugno 2009

The Secret - Il Segreto (il film)


Ha venduto ben 4 milioni di copie. Un successo editoriale forse ancora che di poco sorpassa il famigerato Codice Da Vinci di Dan Brown. E non è solo questione di fortuna sfacciata. E’ vero che come sempre, un fenomeno commerciale sia esso di natura editoriale, cinematografica o di qualsivoglia natura ma che faccia parte comunque del mercato, ha sempre dietro tutta una serie di professionalità che lavorano per il successo, ma The Secret ha qualcosa di diverso, sostanzialmente diverso. Qualcuno,un grande pensatore, Spinoza, per la precisione disse: “ordo et connectio rerum idem est connectio idearum”. Ovvero l’ordine causale fa quindi parte della manifestazione di Dio e tutto ciò che vediamo in natura o nel mondo del pensiero non è che Dio stesso che si estrinseca necessariamente in quest’ordine causale. Diciamo che per gli autori di The Secret, sia il film che il libro, l’estrinsecarsi di Dio avviene tramite noi, in una sorta di comunicazione reciproca, costante e interconnessa 24 hours. Quando pensiamo,trasformiamo questi pensieri in cose, in parole povere, noi siamo quello che pensiamo. Se il contenuto dei nostri pensieri è positivo, nel comunicare con il nostro Dio-Universo, otterremo da lui cose positive, il contrario se i nostri pensieri si dirigono su negatività e affini. The Secret, che alla sua base ha la famigerata Legge d’Attrazione, è la chiave per il successo, per la felicità, e il benessere fisico, una teoria che prende spunto da un mix di filosofie orientali.e da una sconsiderata fiducia nel potere della mente. Tutto molto affascinante, anche se talvolta gran parte dei passaggi esplicativi e teorici rimangono abbastanza in superficie. Ma questo se si prendono in esame solo i due prodotti in oggetto. Un’attenta analisi della produzione degli autori di The Secret o ad esso vicini diraderebbe abbondantemente ogni dubbio. Il film lascia da subito a bocca aperta: un segreto, un modo perché tutto ciò che vogliamo si realizzi, che solo pochi grandi uomini conoscevano e tenevano gelosamente custoditi le leggi di questa chiave d’accesso all’universo (Albert Einstein, Henry Ford Galileo Galilei, Platone, Thomas Edison e molti altri), è stato nascosto nei secoli della storia dell’uomo. Un gruppo di nuovi illuminati, ritiene che sia giunto il momento (forse perché siamo vicini al 2012?) di rendere partecipi tutti gli uomini di questa meravigliosa scoperta, e dunque, per la prima volta tutti i tasselli del Segreto compaiono organicamente assemblati in un'incredibile rivelazione che trasformerà radicalmente la vita di tutti coloro che ne faranno l'esperienza. THE SECRET, a tutt’oggi è il Best Seller Mondiale di Rhonda Byrne inarrestabile fenomeno editoriale e culturale esploso non più di qualche mese fa in USA e il cui successo si sta pandemicamente diffondendo anche in Europa. Più di 30 paesi ne hanno già acquistato i diritti di pubblicazione e il libro è già un best-seller anche in Canada, nel Regno Unito e in Australia. THE SECRET contiene la saggezza, la profondità, la filosofia e le idee innovative financo nel mondo della fisica quantistica, di nuovi guru del mondo moderno, uomini e donne che l'hanno usato per procurarsi ricchezza, salute e felicità, sconfiggendo malattie, acquisendo ingenti ricchezze, superando ostacoli di ogni sorta. Gli autori mostrano un approccio diverso verso la realtà che ci permette di uscire dalle costrizione di situazioni di forte disagio. La nostra mente (e qui entra in ballo la fisica quantistica) pensando ciò che desidera ottenere emette determinate frequenze che hanno un loro eco non solo nel mondo e nel nostro universo, ma anche in dimensioni parallele dove esistono altri possibili noi. Quando frequenze (la “richiesta” che abbiamo formulato all’universo) di probabilità e possibilità si incrociano, diventano realtà: ovvero quello che abbiamo desiderato.

“A mano a mano che imparerai il Segreto,
scoprirai come puoi avere, essere o fare tutto ciò che vuoi.
Giungerai a sapere chi sei veramente
e a conoscere le meraviglie che ti aspettano nella vita”.

Novanta minuti di racconti, testimonianze e insegnamenti trasmessi direttamente dalla voce di John Gray, Jack Canfield, Neale Donald Walsch, Fred Alan Wolf, John F. Demartini, Bob Proctor, Joe Vitale, Marci Shimoff, Lisa Nichols.

Rhonda Byrne, oltre che autrice, è un’affermata produttrice televisiva, direttrice della Prime Time Productions, con la quale ha realizzato programmi e spettacoli di successo internazionale. Dopo aver riunito i frammenti del Segreto, la Byrne ha scelto la strada a lei più conosciuta – il linguaggio cinematografico - per diffondere quanto appreso e insieme alla sua équipe si è dedicata alla realizzazione di The Secret DVD.

Il segreto ha viaggiato attraverso i secoli... per raggiungerti
ISBN: 9788864120119

Prezzo € 21,17
invece di € 24,90 (-15%)


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Il libro del giorno: La quinta Repubblica. Da De Gaulle a Sarkozy di Umberto Coldagelli (Donzelli)

Al compimento dei suoi primi cinquant'anni (1958-2008), la quinta Repubblica francese sembra longeva, se confrontata alla quindicina di regimi politici che l'hanno preceduta, dalla Rivoluzione francese in poi. Si tratta di un sistema politico del tutto singolare nel panorama istituzionale delle democrazie occidentali, imperniato com'è intorno alla figura di un presidente tanto onnipotente quanto irresponsabile di fronte alla rappresentanza nazionale, che trae la sua legittimità dall'elezione popolare diretta, introdotta del resto tardivamente in una costituzione che invece delinea un sistema parlamentare, sia pure con forti poteri del governo. Il libro segue l'evoluzione istituzionale della quinta Repubblica, focalizzando la sua definitiva consacrazione con l'avvento della sinistra al potere, realizzato da Mitterrand nel 1981, ed evidenziando la sua interazione con i processi evolutivi della società, dell'economia, della cultura francesi. Processi che in gran parte si riassumono anche in Francia in un depotenziamento della politica: crisi dello Stato-nazione, dello Stato sociale, della rappresentanza, dei partiti, dei sindacati; incontrollabile spontaneità dei movimenti sociali, spettacolare personalizzazione della competizione, non di rado foriera di scandali e malcostume. Il libro si chiude con l'esame critico del progetto di riforma costituzionale preparato su incarico del presidente Sarkozy dal Comitato Balladur approvato nel luglio del 2008.

"Chi legge, per vizio congenito o per virus introitato da bambino e ha trasfromato magari in mestiere il vizio o il morbo, quando arriva alle ultime pagine di un bel libro può indisporsi nel doversene congedare. La lettura della Quinta Repubblica da De Gaulle a Sarkozy di Umberto Coldagelli mi ha addirittura irritato: avrei voluto scriverlo io. Lungi dal separare la descrizione delle peculiarità che caratterizzano le singole istituzioni dalle vicende che si sono succedute via via che il regime si andava costruendo, definendo, modulando, consolidando nella sua conformazione, l'autore connette le une alle altre, ne fa vivere le contraddizioni, ne spiega le matrici non solo culturali (...)"

di Gianni Ferrara tratto da Il Manifesto del 9/06/09, p. 12

casa editrice Donzelli: http://www.donzelli.it/

La quinta Repubblica. Da De Gaulle a Sarkozy.
L'evoluzione di un presidenzialismo extra-costituzionale di Umberto Coldagelli
2009, V-184 p., Donzelli (collana Saggi.Storia e scienze sociali)

lunedì 8 giugno 2009

NAZI FUCKING MOUSE di Max Papeschi

Polemico e politico, Max Papeschi arriva alla digital-art dopo l'esperienza da regista/autore in ambito teatrale,televisivo e cinematografico. Come artista figurativo il suo approccio con l'Art-World è stato d'immediato successo sia di pubblico che di critica. Il suo pop Politically-Scorrect, cita l' American Life e la rivela nei suoi orrori in maniera ironicamente realistica. Dal Topolino nazista al Ronald McDonald guerrafondaio le icone cult perdono la loro simpatia per trasformarsi in un incubo collettivo. Una poetica new-pop dai fortissimi contenuti sociali ma dal taglio sottile e ironico.

GRACE ZANOTTO

Max Papeschi: l'arte del consumo. Segni, simboli e feticci. La nostra epoca è fondata su nuove iconoclastie profane, che, come fari nella notte, guidano il nostro modus vivendi, il nostro comportamento e le nostre scelte. Max Papeschi, artista rivoluzionario, ironico e dissacratore, riscopre e rielabora le icone - positive o
negative che siano - della modernità e non solo. Nel rispetto della logica di consumo, che convive fianco a fianco con quella del riutilizzo, Papeschi fa convergere nelle proprie opere schemi mentali, simbolismi ed emozioni eterogenee, talvolta contrastanti, che hanno come risultato l’emergere di uno stile affabile e conturbante al tempo stesso; un’estetica velatamente fanciullesca, che in
realtà altro non è che il preludio ad un significato profondo, spesso caratterizzato da un elemento di critica e condanna verso chi, ogni giorno, ci impone stili di vita
e di consumo; una critica, nei confronti di chi governa il mondo grazie ad armi più affilate dei coltelli: i sogni.

ANGELA LOVEDAY

SKIN GALLERY - da sabato 13 giugno 2009 a venerdì 17 luglio 2009
Soncin Rotto, 1, Brescia, Italia

Sonno Elefante di Giorgio Fratini (BeccoGiallo edizioni). Rec. di Vito Antonio Conte

Qualche tempo addietro. Poche settimane, un mese, l'anno scorso. Che sembra tanto, ma è poco meno di sessanta giorni fa... Non importa. Lascio l'auto parcheggiata. Bene. Più o meno. Non intralcia niente e nessuno! Ma, si sa, i vigili della polizia municipale di questa città se ne fottono, pensano a far cassa. Come d'istruzioni per l'uso. Ho bisogno di camminare. Giro senza intenzione per le strade del centro storico. Poi, come spesso mi capita, mi fermo in qualche libreria. Questa si chiama ERGOT. Saluto Simone, scambiamo qualche parola, curioso tra libri che altrove è raro trovare. Mi perdo tra lettere di tutti i tipi... torno, in fine, da dove avevo iniziato: fumetti. Non ho mai smesso di leggerli. Mai smetto di chiamare questo genere “letteratura disegnata”: è un modo come con altro per ricordare l'Autore che più di tutti ho amato e che continuo a amare: Hugo Pratt... (senza sentirmi un Corto Maltese, che che se ne dica in giro...). M'innamoro di un titolo: “Sonno Elefante” (“I muri hanno orecchie”, recita il sottotitolo). Rimane tra le cose da leggere. Qualche tempo dopo... È il primo libro di Giorgio Fratini (pubblicato per i tipi di BeccoGiallo Edizioni, nella Collezione Quartieri, 2008, pagine 112, € 14,00). Prima di questo libro, “Sonno Elefante” è il titolo di un pezzo di Paolo Conte (contenuto nell'album “Elegia” del 2004), una canzone ch'è, per testo arrangiamento orchestrazione atmosfera e potenza evocativa, tra le migliori mai scritte in assoluto. Giorgio Fratini lo sa. Me ne accorgo quando finisco di leggere e di vedere questa storia (ché il fumetto così è: parole e immagini, quasi come al cinema!) e passo in rassegna le “Note dell'Autore”, dov'è, tra l'altro, citata la canzone di Paolo Conte... Il libro è completato da una “Breve Cronologia” -degli eventi che hanno interessato la storia del Portogallo dall'indipendenza dalla Spagna (1640) sino all'avvento (a seguito di libere elezioni) della democrazia parlamentare (1976)- e da una bella nota critica (“Di elefanti e avvoltoi”) di Roberto Francavilla. Giorgio Fratini, attraverso la sceneggiatura e le tavole disegnate di questa storia, è riuscito a cristallizzare, in ottanta pagine, quarantotto anni di regime dittatoriale portoghese, il più lungo -e tra i più nefasti- della storia d'Europa. Ho usato il predicato verbale “cristallizzare” intendendo dare contezza di un azione che ferma e tramanda qualcosa di cui si è perduta o si rischia di perdere la memoria. Questo è il libro di Giorgio Fratini. Memoria sottratta all'oblio, alla cancellazione che gli uomini (sostituendosi innaturalmente al tempo) perpetrano di eventi scomodi e raccapriccianti. Penso alle nefandezze compiute durante il regime nazista in danno degli ebrei, degli omosessuali e di tutti quelli che osavano nutrire idee divergergenti dalla (schifosa) loro... Penso alle nefandezze del regime fascista nel nostro Paese... Penso alle nefandezze compiute dal regime comunista Jugoslavo (...) nelle foibe, con l'eccidio di migliaia di uomini per motivi etnici-politici... Penso al genocidio armeno... Penso all'esodo greco dall'Anatolia... e anche a quello tedesco dall'Europa orientale. Penso ai massacri di cui continuano a macchiarsi tutti i regimi totalitari... Penso a tutti gli scempi compiuti in Africa e altrove dalle potenze colonialiste e imperialiste -per restare in tema col libro basti l'esempio della Guerra Coloniale Portoghese in Angola Mozambico Guinea-Bissau Capo Verde Sao Tomè e Principe... Penso ai guasti delle attuali guerre, la gran parte delle quali manovrate da un altro potere, anch'esso economico-politico, quello dei signori delle armi... Penso alle odierne guerre pseudo religiose e mi chiedo: finiranno mai le crociate? Penso alle moderne guerre in nome della democrazia che celano il reale interesse al controllo delle aree ricche di fonti di energia... Penso allo sconvolgimento planetario per l'identico motivo testè detto con drastica riduzione delle foreste pluviali o deviazione dei grandi fiumi siberiani... Penso alla deriva che porterà a certo naufragio del non pensare in questo nostro “piccolo” Paese... E fa male. Tutto questo fa male. Sarà che oggi, venticinque febbraio, in questa splendida giornata di sole, sto male anche per altro... sarà, chissà!?! E tutto (o quasi...) per un fumetto. C'è che non è mai cosa buona mascherare le splendide rovine del ricordo con nuovi gioielli d'architettura che fanno sparire epoche e misfatti. L'oblio, appunto. Quello del sonno elefante. Nel tentativo di annichilire la memoria. Quella di una città, di una nazione, di un popolo, conservati e che ancora fa male. La città è Lisbona e la memoria risiede in Rua Antonio Maria Cardoso, nel Quartiere Chiado e, esattamente, in un palazzo in fase di ristrutturazione (per farne un condominio di lusso), già sede del PIDE. “PIDE. Un suono, un acronimo, una parola che ancora oggi, per molti portoghesi, provoca un brivido sulla schiena: Policia Internacional de Defesa do Estado. Il braccio armato del regime”. Quella polizia speciale che ha seminato, come -purtroppo- ancora accade in molte parti del mondo, terrore tortura morte per piegare il pensiero, la parola, l'arte, il dissenso, la libertà! Quella polizia speciale fatta di uomini (sic!) che incarceravano, riducevano al silenzio, facevano sparire altri uomini. Quella polizia speciale che ti vien voglia perdio soltanto di bestemmiare. Di bestemmiare. Soltanto di bestemmiare. E poi tacere. Per sempre. Come Leon. Che amava Maria. Che continuò a amarla in carcere. E quando ne uscì. Che l'amò per sempre. In silenzio. Nel suo silenzio. Come quello dell'elefante senza orecchi. Quello che aveva scelto l'oblio. Come me.

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Il libro del giorno: Patria 1978-2008 di Enrico Deaglio (Il Saggiatore)

Ma davvero è successo tutto questo? In un libro di novecento pagine, una cavalcata in quel vero romanzo che è stata l'Italia degli ultimi trent'anni. È come guardare un film sulla nostra vita, in cui gli avvenimenti sono raccontati mentre succedono. Si comincia con Aldo Moro nella prigione del popolo, nell'anno che ha cambiato tutto. E poi, l'ascesa della mafia, il rapporto stretto tra crimine e potere, la guerra e i segreti di Cosa Nostra, i morti e i soldi che li hanno accompagnati. I grandi condottieri dell'industria tra sogni e corruzione, la fine ingloriosa della Prima repubblica, l'ascesa della televisione e del suo magnate, il Nord conquistato dalla Lega, il nuovo potere del Vaticano, la rivalutazione del fascismo, la crisi e la deriva. La nostra storia in cinquecento storie: anno per anno, i protagonisti, i fatti, le parole, le vittime e i vincitori, le resistenze, la musica e le idee che hanno costruito il nostro paese. Un libro per ricordare quanto è successo e per scoprire che - molto spesso - le cose non erano andate proprio così.

"Si soffre, ci si indigna, ma anche si sorride leggendo questo libro di Enrico Deaglio. L'idea nata con l'editore Luca Formenton nella ricorrenza dell'assassinio di Aldo Moro, era di raccontare cronache, atti giudiziari, dialoghi di film, discorsi e tanti altri episodi, piccoli e grandi, verificatisi nei trent'anni dopo quel tragico evento. Ne è risultato il libro Patria 1978-2008 (Il Saggiatore, pp.912, euro 22,00) che, anzichè spaventare con la sua mole, si legge d'un fiato..."

di Giovanni Russo tratto da il Corriere della Sera del 8/06/09 p. 31

casa editrice Il Saggiatore: http://www.saggiatore.it/home_saggiatore.php?l=it

Patria 1978-2008 di Enrico Deaglio, 2009, 939 p., brossura
Il Saggiatore (collana La cultura)

domenica 7 giugno 2009

Seconda lettura di Silla Hicks su Stralune di Antonio Errico (Manni)

No, non mi sono dimenticato che chi parla è colui che ha tradito, né mentre leggevo né dopo. Ci ho pensato tutto il tempo, piuttosto, alle frasi scritte prima del racconto, finchè all’ultima pagina non ho finalmente capito che tutto sommato era un monito inutile, perchè non serve a niente continuare a pensare dove stava il giusto e dove l’errore, quando la guerra è finita e conta solo chi ha vinto. E non serve a niente dire nient’altro che una sola parola, soldato, termine vituperato e glorificato assieme che usiamo senza accorgercene per indicare le foglie che stanno sugli alberi d’autunno e che un soffio di vento basta a staccare e portare chissà dove. Perché è questo che è l’uomo che torna a casa, una notte qualsiasi dopo una guerra qualsiasi per trovare un mondo che non è più suo, in cui qualche brandello di muro è il monumento visibile del cimitero senza lapidi che si porta nel cuore. E pazienza se ha disertato, e pazienza perfino il perché, non ha senso incollare etichette a chi è corso in braccio alla morte con una granata stretta nella mano, perché altri potessero continuare indisturbati a dormire. È facile, facile, dio, dire che le guerre non dovrebbero esistere: ma esistono, invece, e ovunque, e qualcuno deve combatterle, e morirne, anche, privato di tutto se non di un vestito uguale che lo rende amico per alcuni e avversario per altri. Per questo i posti dove li mandano li chiamano teatri, perché possano pensare che sia tutto un gioco, tutto finto, e che nessuno verrà fatto a pezzi per davvero: quando capiscono il trucco è tardi, ora la chiamano sindrome da choch post-traumatico, tornano e non sanno chi sono, da dove vengono, hanno solo i loro incubi a farli compagnia. Ed è questo che è lui, quando torna, senza volto né nome né età per essere il soldato di tutte le guerre, con addosso una divisa che non è di nessun esercito, e per questo potrebbe essere quella di tutti, che non ha più nessuno da abbracciare né nessuno che lo aspetti, avrebbe fatto meglio a non tornare.
Vent’anni fa, John Rambo diceva che in Vietnam era un eroe, ma a casa non lo volevano nemmeno come guardiamacchine, mentre i suoi occhi lacrimosi di cane da caccia cercavano in quelli del suo ufficiale un appiglio qualsiasi per riconoscersi umani: e lui – il colonnello – gli metteva una mano sulla spalla, come ogni padre e ogni Paese dovrebbe fare e raramente fa, e se lo portava via, da tutto, gli ridava un senso nell’appartenenza a qualcosa, crepi Ho chi Min viva il corpo dei Marines, non sarai mai più così solo, non ti sentirai mai più così vuoto.
Ma quello era un film, e quella era l’America spaccona di Reagan, e il lieto fine ci doveva essere per forza, perché c’era ancora il bene e il male, era il mondo di Walker Texas Ranger, dove i cattivi sono i cattivi e i buoni i buoni e vincono sempre: invece, la vita è un’altra cosa, e anche questo racconto.
Colui che torna è un soldato, ed è solo, solo veramente, e non c’è più nessuno cui importi di lui, soltanto i suoi ricordi che impattando con la realtà si sgretolano, e forse non sono nemmeno mai stati veri: finirà coi carabinieri che lo portano in caserma, infreddolito clochard che dormiva su una panchina, sotto la neve.
Non è una storia facile, perché non finisce bene né smussa gli angoli taglienti di una tragedia individuale che diventa cosmica, e non è scritta in modo facile, anche, periodare cesellato e ritmico che sembra più adatto ad essere cantato che letto, continui refrain che impietosamente ti impediscono di non cogliere lo strazio di un’anima persa, che non ha nessuno dio che le tenda la mano e nessun colonnello che le prometta che andrà tutto bene, che se la porti via e le dia un’altra guerra per cui continuare, disperata ballata di un uomo che è solo una foglia, e l’autunno è arrivato e un mulinello di vento se lo porta via, appallottolandolo alla carta straccia della strada.
Non è una storia facile, e non si legge rapidamente, nemmeno, è impervia nella prosa (prosa poetica? Scusate, non so cosa sia. Diciamo che di sicuro ha un bel suono, ma che è difficile da dipanare nella testa e richiede continue pause per tornare indietro e non perdere il filo e contestualmente una buona dose di impegno per non farsi ipnotizzare dai ritornelli e perdersi nella sua musica) e ancor più nel contenuto, se si è capaci di dimenticare il monito del principio di ricordare che chi parla è colui che ha tradito e si riesce a vederlo uomo, sopra che soldato e disertore e qualsiasi altra cosa.
Perché a quel punto davvero diventa difficile non sentire nelle ossa il suo freddo e negli occhi le sue lacrime quando, dal balcone della caserma dei carabinieri, all’ultima pagina, finalmente vede, e capisce, ed è libero, e finalmente può andare, e lasciarsi tutto alle spalle, allontanandosi a piedi da quel mondo che è andato avanti senza di lui e che si scolora nella luce della neve.

LA STRALUNATA BALLATA DEL SOLDATO CHE EBBE IL CORAGGIO DI TORNARE


(STRALUNE, di Antonio Errico, Manni, San Cesario, 2008)

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