Il romanzo di Massimiliano Città dal titolo “Keep Yourself Alive” (Lupo editore) non è un libro per tutti. Che sia Beat, è fuori discussione, e per questo forse lo rende un po’ vintage, rispetto a quello che viene prodotto oggi nel panorama letterario italiano, dove autori come Tommaso Pincio, Giuseppe Genna, Valerio Evangelisti, Wu Ming 1, Tullio Avoledo, Alessandro Bergonzoni, e altri, si interrogano in Anteprima Nazionale edito da Minimum Fax a cura di Giorgio Vasta, come sarà l’Italia fra cinquant’anni. Per tutte le pagine di quest’opera fortissimo è un desiderio del protagonista, di trovare la sua beatitudine rispetto all’inferno che porta dentro di sé, una specie di salvezza ascetica ed al contempo estatica, che nulla ha a che fare con lo Zen o altre filosofie orientali, ma che viene ricercata attraverso droga ed alcol, incontri carnali, che comunque fanno sempre il loro effetto da James Dean e Jim Morrison in poi. E’ Beat come desiderio di ribellione, come battito, come ritmo, è Beat nel suo essere sudato, vissuto e catartico. E’ Beat e forse anche un po’ pulp in questa consapevolezza ferocemente distruttrice, dissacrante della memoria di un suo tracciato biografico ed auto-lesionante, che si respira tra le righe di questo lavoro, anche nella libertà di essere sconfitti, in maniera totale e assoluta. Certo, le definizioni trovano il tempo che trovano, ma perlomeno aiutano a fornire un quadro ermeneutico di base per non vagare completamente al buio. Enzo, la figura principale del romanzo, ha diciannove anni e racconta di come abbandona il suo paese natale, una piccola realtà in una piccola provincia dell’interland siciliano, per trovare la sua dimensione di vita, in altri luoghi, in altri occhi, in altri corpi. La discesa verso il baratro prende corpo con la morte del nonno Gino, figura tracciata magistralmente, che incarna la tradizione, la storia, la famiglia, che racchiude come in uno scrigno grezzo la memoria cellulare della terra e del sole di quelle latitudini, fatta di arsura di slanci e di tempo scandito dagli sguardi pigri dei pochi avventori seduti ai tavolini di un piccolo bar in piazza . Questo evento diverrà una frattura insanabile, che scaraventerà Enzo fuori dalla sua “zona comfort”, lasciandolo letteralmente in balia degli eventi. In una psicotica stagione estiva di movida siciliana, il nostro anti-eroe, conosce Daniela (fighetta cocainomane in simil-plastica) di cui si innamora. Per lei perde la testa, tanto da prendere il primo treno e partire per Milano per raggiungerla. Nella capitale lombarda, incontrerà padre Ennio, compassionevole e fraterno che lo aiuterà nei primi momenti di sconforto e solitudine; conoscerà Damiano dell’Olgo’s Bar , che gli permetterà di sbarcare il lunario offrendogli non solo vitto e alloggio, ma anche un lavoro; frequenterà il folle Jessie e la sua corte di tossici coi quali stringerà un patto di sangue; sperimenterà in un grottesco delirio di onnipotenza, la sensazione di essere “arrivato” come dj nelle feste che contano e nei giri giusti. Infine dopo ben sei anni di totale caos esistenziale, ritrova Daniela, per assistere alla sua tragica fine. La scrittura di Massimiliano Città spazia da una prosa corposa e coinvolgente, a slanci, anche se pochi, veramente di alta prosa poetica. Una delle peculiartià di quest’autore è l’abilità nel destreggiarsi tra memoria vicina e lontana, tra ambienti, personaggi e situazioni in bilico tra il grottesco e il paradossale, il tutto condito da un costante rumore bianco che lo incatena ad un mefitico nichilismo passivo: la distruzione per la distruzione. La tecnica di scrittura è priva di sbavature ed ottiene un effetto-verità, quasi psichedelico
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giovedì 11 giugno 2009
Keep Your Self Alive di Massimiliano Città (Lupo editore)
Il romanzo di Massimiliano Città dal titolo “Keep Yourself Alive” (Lupo editore) non è un libro per tutti. Che sia Beat, è fuori discussione, e per questo forse lo rende un po’ vintage, rispetto a quello che viene prodotto oggi nel panorama letterario italiano, dove autori come Tommaso Pincio, Giuseppe Genna, Valerio Evangelisti, Wu Ming 1, Tullio Avoledo, Alessandro Bergonzoni, e altri, si interrogano in Anteprima Nazionale edito da Minimum Fax a cura di Giorgio Vasta, come sarà l’Italia fra cinquant’anni. Per tutte le pagine di quest’opera fortissimo è un desiderio del protagonista, di trovare la sua beatitudine rispetto all’inferno che porta dentro di sé, una specie di salvezza ascetica ed al contempo estatica, che nulla ha a che fare con lo Zen o altre filosofie orientali, ma che viene ricercata attraverso droga ed alcol, incontri carnali, che comunque fanno sempre il loro effetto da James Dean e Jim Morrison in poi. E’ Beat come desiderio di ribellione, come battito, come ritmo, è Beat nel suo essere sudato, vissuto e catartico. E’ Beat e forse anche un po’ pulp in questa consapevolezza ferocemente distruttrice, dissacrante della memoria di un suo tracciato biografico ed auto-lesionante, che si respira tra le righe di questo lavoro, anche nella libertà di essere sconfitti, in maniera totale e assoluta. Certo, le definizioni trovano il tempo che trovano, ma perlomeno aiutano a fornire un quadro ermeneutico di base per non vagare completamente al buio. Enzo, la figura principale del romanzo, ha diciannove anni e racconta di come abbandona il suo paese natale, una piccola realtà in una piccola provincia dell’interland siciliano, per trovare la sua dimensione di vita, in altri luoghi, in altri occhi, in altri corpi. La discesa verso il baratro prende corpo con la morte del nonno Gino, figura tracciata magistralmente, che incarna la tradizione, la storia, la famiglia, che racchiude come in uno scrigno grezzo la memoria cellulare della terra e del sole di quelle latitudini, fatta di arsura di slanci e di tempo scandito dagli sguardi pigri dei pochi avventori seduti ai tavolini di un piccolo bar in piazza . Questo evento diverrà una frattura insanabile, che scaraventerà Enzo fuori dalla sua “zona comfort”, lasciandolo letteralmente in balia degli eventi. In una psicotica stagione estiva di movida siciliana, il nostro anti-eroe, conosce Daniela (fighetta cocainomane in simil-plastica) di cui si innamora. Per lei perde la testa, tanto da prendere il primo treno e partire per Milano per raggiungerla. Nella capitale lombarda, incontrerà padre Ennio, compassionevole e fraterno che lo aiuterà nei primi momenti di sconforto e solitudine; conoscerà Damiano dell’Olgo’s Bar , che gli permetterà di sbarcare il lunario offrendogli non solo vitto e alloggio, ma anche un lavoro; frequenterà il folle Jessie e la sua corte di tossici coi quali stringerà un patto di sangue; sperimenterà in un grottesco delirio di onnipotenza, la sensazione di essere “arrivato” come dj nelle feste che contano e nei giri giusti. Infine dopo ben sei anni di totale caos esistenziale, ritrova Daniela, per assistere alla sua tragica fine. La scrittura di Massimiliano Città spazia da una prosa corposa e coinvolgente, a slanci, anche se pochi, veramente di alta prosa poetica. Una delle peculiartià di quest’autore è l’abilità nel destreggiarsi tra memoria vicina e lontana, tra ambienti, personaggi e situazioni in bilico tra il grottesco e il paradossale, il tutto condito da un costante rumore bianco che lo incatena ad un mefitico nichilismo passivo: la distruzione per la distruzione. La tecnica di scrittura è priva di sbavature ed ottiene un effetto-verità, quasi psichedelico
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