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sabato 13 giugno 2009

L'ultimo dandy di Klaas Huizing (Nutrimenti Edizioni). Rec. di Vito Antonio Conte

Siete stanchi del vorticoso inseguirsi, spesso senza alcunché di autentico, degli umani e delle cose terrene? Ne avete abbastanza di strade, specie se mal costruite, di vie smerdate, edifici fatiscenti e intere città che crollano, sbriciolandosi come le vite di chi, per un motivo qualunque (a volte, senza motivo), le abita, aggiungendo vuoto alle vuote teste (ché il danaro -in fine- è segatura) di chi le ha tirate su come se fosse un gioco, quello della torre di quaranta carte (napoletane o piacentine, poco importa), perdendosi in qualche cazzo di paradiso fiscale prima del primo vento? Altra domanda retorica: siete esausti di sentire ripetere le stesse identiche parole a ogni nuovo disastro, evitabile o no? E un'altra domanda inutile: ne avete le palle piene di tutte le speculazioni (e rimarco “TUTTE”) sul sangue e sul dolore e di quelle (speculazioni) che non lasciano neppure che madre Natura cicatrizzi le ferite? A retoriche domande, scontate risposte (auspico!). E allora generiamo un gran bel black-out. Compresa la contraddizione!?! Nessuna retorica qui. Bene, muoviamoci. Vi porto, se volete, nell'altrove che mi sono concesso (dopo aver fatto la mia misera parte!) nello strazio di questi giorni. Immaginate (per un attimo o, se preferite, per il tempo che vi pare) di trovarvi su una spiaggia, col mare davanti agli occhi. È una distesa d'azzurro che, sull'incerta linea d'orizzonte, trapassa un altro infinito dello stesso colore, solo un po' meno liquido, ma non c'è stacco, ché quegli azzurri si congiungono confondendosi. E se così è, avrete capito che l'ora è quella mattutina. D'etereo etereo. Poi, volgete lo sguardo d'intorno: non c'è altro che sabbia: di battigia, d'arenile, di dune. Siete ancora sulla Terra? Ribaltate l'oggetto del vostro guardare con una rotazione completa di 360°. Non ce la fate? La vertigine vi blocca? Vi si tappano le orecchie? Nessun problema: liberate il tutto masticando piano il momento, come se aveste una chevingum (senza ponti da attraversare, né altro). Immaginate che quella spiaggia, quelle dune, quella luce, quel nitore, quel mare siano oltre le nuvole, quelle bianche ovattate nuvole che preludono al meglio. Al cielo. È, senza dubbio lo è, un aldilà e lì c'è l'ultimo dandy, un uomo che -qualche tempo fa- è passato sulla Terra, su quella Terra, la vedete da quassù?, ch'è sempre più prossima a una carogna animale sulla quale volteggiano altri animali pronti al macabro banchetto finché si può, sino alle ultime briciole. Su questa spiaggia, invece, l'ultimo dandy passeggia rammentando quel ch'è stato e i suoi passi sono eleganti e leggeri, come gli abiti che indossa. Il dandy non ha lasciato nulla al caso: ha vissuto intimamente e individualmente ogni respiro, ha dato al mondo la sua parvenza, un gran bell'apparire, tormentato dall'etica esistenziale che covava nel profondo del suo essere sempre mal combaciante con quella comune, ha previsto sinanco l'anno della sua morte, fallendolo, e poi cercando e trovando quella (morte) che soltanto uno stupido poteva attribuire a terzi (quelli l'avevano ucciso già da un pezzo). Ha vissuto negli agi il dandy, amando Regina Olsen, amandola per sempre, amandola senza poterla avere, ché anche quando la possedeva era condannato alla sua assenza, rimpiangendola per via di una maledizione (ereditata dal padre insieme alle rendite) che soltanto nella sofferenza della rinuncia poteva spezzare. In un anelito di sprezzo per le umane diatribe e di ricerca continua dell'assoluto. Da immalinconire. Da paralizzare. Da viaggiare. Da impazzire. Da morirne. L'antidoto lo trovò nella scrittura. Qui, i suoi passi incontrano quelli di Thomas, il quale gli chiede di condividerli, almeno per un po', ché sarebbe un gran bell'andare insieme (oltre che un vero onore), ché ha sempre stimato il suo vestire fuori dalle mode, con ricercatezza e raffinatezza ineguagliabili, ché ha sempre apprezzato il suo pensiero, ben oltre le speculazioni degli esistenzialisti. Soren, che ama l'adulazione, si fa accompagnare e confida a Thomas che, deluso dalle dicerie sul suo conto (che ancora circolano sulla Terra), va meditando di scrivere un'autobiografia. Thomas, raggiante di giubilo per essere stato messo a parte di questo segreto, si offre per raccogliere le confidenze di Soren e lo prega -in segno di grande affetto- di chiamarlo Tommy. Insieme percorrono larghi tratti del Celeste. L'ultimo dandy è Soren Aabye Kierkegaard, nel mentre Tommy è Thomas Mann, come dire: quando la teologia (nelle sue forme più alte) incontra la letteratura (quella da premio Nobel). Su questo sfavillìo di colori, i due si abbandonano a giochi bambini e a riflessioni sui massimi sistemi condite di una buona dose di ironia e con quel pizzico di autoironia che fa di un uomo un grande uomo. Qui, Soren disvela a Tommy le amarezze del pregresso vivere terreno, le tristezze dei salotti e dei circoli chiusi, le prepotenze dei potenti sui più deboli, la pochezza di una Chiesa sempre più secolarizzata e sempre meno depositaria della primigenia spiritualità, le malinconie del suo mai spiegato dolore fisico, l'origine dello stesso, forse rinvenibile (per trasmissione) nella maledizione che gravava su suo padre per aver questi bestemmiato iddio a cagione della sua (iniziale) povertà o per averlo (una volta diventato ricco) offeso seducendo la giovane cameriera (madre di Soren) a pochi mesi dalla morte della moglie, l'unico vero rimpianto e l'eterno pianto per il suo artato comportamento verso Regina Olsen, pronta a sposarlo contro ogni paventata maledizione e nonostante ogni attuata malefatta. Parlano i due. Di questo e d'altro, parlano. Invero, parla soprattutto Soren. E Thomas se ne prende cura, ascoltandolo e stimolandone la loquacità, talvolta anche accennando a sé e alle sue opere, delle quali, però, limita il dire a meri incipit, forse all'unico fine di aprire intimità a intimità, sì che i loro passi siano condivisione estrema. In questo Celeste liquido e gassoso ho incontrato Soren e Tommy. Sullo sfondo abbiamo lasciato Hegel che litigava con Schelling, Freud che rimbrottava Jung e una schiera di altri grandi del passato intanto che da un gazebo (manco a dirlo, di tela bianca) si diffondevano le note di Mozart e tutte le disgrazie del mondo affogavano nelle nostre risate e nella lettura. Nella lettura di questo libro che ha poco di filosofia e molto di vita. Il libro è “L'ultimo dandy” (Nutrimenti Edizioni, 2005, pagg. 200, € 15,00), di Klaas Huizing. Ora me ne torno alle quotidiane occupazioni, mi prendo cura dell'ordinario, ma non posso fare a meno di pensare che finita un'ossessione ne comincia un'altra. “D'altra parte, all'epoca, soffrivo meno di quanto forse credi. Ho curato la mia ossessione per il pensiero con l'ossessione per il lavoro... Mi sono curato da me. Sai qual è la parola chiave? Bagni di scrittura!”. Bagni di scrittura... Adesso, volendo, potete scendere. Con stile, però.
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