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domenica 24 maggio 2009

Pontica Verba, a cura di Nono Memè (Altrimedia)

brocca diritta, riflesso del vuoto,
sterile vetro capace di farsi passare
attraverso, dal bel manico abile
a farsi prendere rompere intendere.
brocca balocco di liquida luce
squadrata torre il mattino col suo
lato d'ombra come un pensiero,
col suo tetto ansioso di vino
o di te. oppure di pioggia che lavi
l'arsura. brocca baldracca,
immutabile, zitta, inscalabile vetta,
ardua disfatta, trasparente miraggio
del bere,inconsolabile, acuminata
promessa dell'essere appena
un pò più vicini ad un dio


Pontica verba, 2008, 64 p. di Nono Memè
Editore Altrimedia

Almadressa su HiPop (Salento web tv)

Per questa nuova puntata di Hi-Pop (Salento web tv),ho intervistato una giovane artista esordiente Almadressa, alias Maria Beatrice Protino, autrice non solo di opere di transizione sul corpo poetico della donna, ma anche sulla trasformazione dei codici attraverso l’uso della computer grafica che aumenta l’essere “trans-gender” delle immagini, l’essere simultaneamente “trans-culturale” e “multi-culturale”. Inoltre Almadressa ha curato l’aspetto grafico delle immagini contenute in “Mediobevo” Doctorlife, un video di sensibilizzazione sui danni provocati dall’abuso dell’alcool. Un progetto Medikanto (organizzazione di volontariato costituita da medici gastroenterologi e chirurghi di Bologna), con testi e musica e direzione artistica del dott. Vincenzo Cènnamo, gli arrangiamenti di Mauro Malavasi, Stefano Mazzoni per Dreamed srl come produzione esecutiva e la post produzione: Zoomworkx video di Bologna. Almadressa è al sito www.almadressa.com

Qui:
http://www.salentoweb.tv/index.php?option=com_seyret&Itemid=2&task=videodirectlink&id=557

sabato 23 maggio 2009

EMERGENZE arteroma2009 - prima edizione

Il panorama artistico attuale, seppure nelle continue proposte di artisti nuovi, è spesso circoscritto nell'ambito di ben determinate inclinazioni che rispondono più ad esigenze di mercato, di mode, di programmi o indirizzi tecnici.
In questo caso, al contrario, si vuole sottolineare una distinzione, dove le ragioni della mostra sono costituite dall'esigenza di indicare una più libera scelta di proposte, non vincolate da nessun condizionamento che non sia quello dell'urgenza di mettere in evidenza le opere ed il lavoro di ciascun artista.
EMERGENZE da una parte evidenzia il lavoro di giovani artisti emergenti, che, come frequentemente accade, non trovano facilmente spazio nei circuiti tradizionali, dall'altra, vuole dare rilievo alla produzione di quelli che, pur attivi nel panorama artistico da un po' di tempo, hanno urgenza di presentare e mostrare nuove ricerche e sperimentazioni.


THE SECRET GARDEN


I lavori di Marco Colletti ci conducono in luoghi immaginari, popolati da fiori antropomorfi, dame invisibili, di cui si intravede solo la scia luminosa e da creature di altri mondi simili a individui, di cui mantengono soltanto le sembianze.
Il punto di partenza da cui hanno origine queste figure è sempre la realtà, che l’artista volutamente trasfigura in un’apparizione onirica.
Giardini storici, particolari di archi antichi o luoghi dimenticati sono l’ambiente ideale per far vivere queste apparizioni che una volta manifeste, tendono a fuggire, a volersi nascondere allo sguardo dello spettatore.
Il tema del mascheramento, del nascondimento è alla base della sua poetica, una realtà ideale che non può essere completamente rivelata perché potrebbe svanire.

EMERGENZE
arteroma2009 - prima edizione


a cura di Paola Consorti

da mercoledì 27 maggio 2009 a mercoledì 10 giugno 2009
Chiostro della Basilica dei S.S. Apostoli, Piazza di Santi XII Apostoli 51, Roma

Io sono un genio! Maria Beatrice Protino su Salvador Dalì

È uno degli artisti più discussi dell’ultimo secolo, quel genio che attraversò tutta la vicenda del novecento con quadri e oggetti surrealisti ispirati all’idea della psicanalisi freudiana, ma anche con le sue provocazioni, le sue feste surrealiste che spesso diedero manforte a scandali, facendo - col suo comportamento imprevedibile - da ponte tra il dandismo belle époque e lo starsystem dei cantanti rock e delle fotomodelle più capricciose, divenendo idolo del jet set internazionale, eroe della stampa scandalistica, approdando a teorie tanto diverse quanto contrastanti (avanguardie rivoluzionarie e cattolicesimo più conservatore), muovendosi tra personaggi che segnarono il farsi di un’epoca vocata alla ricerca artistica ma anche alla pubblicità e al consumismo: da Andrè Breton e Walt Disney a Jean Cocteau e Amanda Lear. Lui era Salvador Dalí, e tutta la sua produzione, geniale e delirante, lo ricorda trionfatore e massimo esponente sulla scena mondiale della corrente surrealista, dichiaratosi genio forse per non ammettere d’essere pazzo - stante ormai lo scontato binomio genio-follia - incoraggiato dall’originalità dell’affermazione. Nel saggio di Pier Mario Fasanotti e Roberta Scorranese – Io non sono pazzo, il Saggiatore, 2004 - racconta di quel Salvador nato nel 1904 a Figueras, cittadina catalana a venticinque chilometri dal confine francese, da una famiglia di medio alta borghesia: padre notaio, ateo, repubblicano, gran bestemmiatore, «il dottor Denaro», uomo pratico, severo, ma anche stimato, un tiranno agli occhi del figlio e madre arrendevole, schiva, che amava rimanere nella penombra cimiteriale della vecchia casa e idolatrava il figlio, assecondandolo in tutto. Ma questo suo modo di mostrarsi dipendeva senz’altro da un fatto tragico: dieci mesi prima della nascita di S. era morto di meningite il primo figlio, anche lui Salvador. Il secondogenito, dunque, rappresentò per lei quasi la resurrezione del primo, da amare e custodire con precauzione spesso eccessiva. Il pittore dirà in un’intervista: «La morte di mio fratello aveva fatto cadere i miei in una profonda disperazione, quindi loro trovarono conforto in me. Io e mio fratello ci rassomigliavamo come due gocce d’acqua: come me aveva l’inequivocabile morfologia del genio». Il primo Salvador condizionò la vita del secondo, costituendo quell’eterna sfida ad un ingombrante fantasma e un appiglio per spiegare la schizofrenia forse un po’ studiata che sfruttava a scopi pubblicitari, mostrandosi convinto che «l’arte fosse una malattia». Di conseguenza, ogni suo comportamento va inquadrato nella megalomania di un uomo consapevolmente e dolorosamente timido che nascondeva, quasi custodiva se stesso agghindandosi di eccentricità e stravaganza o provando gusto per il travestimento, impegnandosi a costruire attorno a se’ quell’alone di leggenda fatto di piccole menzogne ed esagerando la portata di avvenimenti privati e pubblici, spettacolarizzando le sue iniziative. Così, ad esempio, già da piccolo si buttava ripetutamente dall’alto della scala di marmo della scuola lanciando urla con l’obiettivo di osservare lo sbalordimento e l’orrore negli occhi dei compagni e degli insegnanti. Ma sarà la sorella Ana Marìa a scrivere che S. era terrorizzato quando la madre lo portava alla tomba del fratello o quando inciampava nei giocattoli del morto, sparsi dappertutto, o si trovava dinanzi alle tante fotografie. Eppure sarà proprio quel terrore e quel tormento a far nascere l’idea della fratellanza e del doppio che poi svilupperà nella sua pittura, icone non solo delle differenti facce della realtà, ma anche dell’incertezza e della vertigine, della mobilità ottica della visione umana. Il piccolo S. era viziatissimo, ma anche sadico, crudele. Ha raccontato che a cinque anni, per costruirsi un’identità diversa da quella del fratello, in occasione di una gita, andava a passeggio con un bambino biondo e riccioluto che montava un triciclo. S. all’improvviso lo spinse verso un piccolo dirupo, provocando il ferimento alla testa dell’altro e passò tutto il pomeriggio nella penombra della sua casa a mangiare ciliegie e a godersi la vista dell’acqua macchiata di sangue nelle bacinelle, privo di qualsiasi forma di rimorso. Si mostrò recalcitrante soprattutto quando il padre lo iscrisse a scuola, ricorrendo così ai suoi soliti stratagemmi, dando vita ad una sorta di guerra contro le regole, cercando di affermare la sua personalità: fare pipì a letto e lasciare i suoi escrementi sul pavimento. Il suo rapporto con le istituzioni scolastiche , d’altro canto, non fu mai felice. Lui si sentiva molto a disagio fuori dalle musa domestiche, diverso com’era dai compagni: completo alla marinara, scarpe con bottoni d’argento e bastone da passeggio. A quel dandy extraterrestre i compagni, che spesso andavano a scuola scalzi, lanciavano addosso lumache. Tra quegli scalmanati c’era, però, una bambina, molto povera, che portava abiti con molte tasche e pantaloni attillati. S. la guardava continuamente e s’innamorò di lei e fu appunto in quel periodo che iniziò a prediligere le tasche e i cassetti mobili, tema anche questo frequente nei suoi dipinti. L’immagine di sé non gli piaceva affatto, così spesso si mascherava. Gli zii di Barcellona gli mandarono un mantello di ermellino, uno scettro dorato e una corona saldata a un’enorme parrucca bianca e lui si denudava e diventava re e si guardava allo specchio facendo in modo di occultare i genitali tra le cosce. Anni dopo, in una lettera a Garcìa Lorca – il rapporto tra i due fu molto stretto, da sfiorare l’intimità: sembra, però, che tra i due non si raggiunse se non una profonda amicizia, considerando che D. viveva di amori solo platonici, terrorizzato dal contatto fisico – scriverà di essere amante dell’esteriorità, perché «quando tutto è stato detto e fatto, l’esteriorità è obiettiva». All’età di dodici anni fu mandato dai genitori alla tenuta della famiglia Pipxot, amici di famiglia. Quello fu per D. un importantissimo soggiorno perché i Pitxot erano artisti. Sbalordì tutti quando prese una vecchia porta tarlata e vi dipinse sopra delle ciliegie utilizzando solo tre colori: rosso vermiglione per le superfici illuminate dei frutti, rosso cadmio per quelle in ombra e bianco per i punti di massima luminosità. La sua invenzione cromatica fu sbalorditiva e quando gli fu fatto osservare che le ciliegie mancavano dei gambi, lui li appiccicò direttamente nel quadro. Ma il suo approdo al surrealismo arrivò dopo una intensa fase di sperimentazione che si mosse tra classicismo, realismo e cubismo e, non ultima, la frequentazione col gruppo dada di Parigi: periodo di grande entusiasmo e di un’autodisciplina che considerò sempre punto di partenza essenziale «per fare cose memorabili». L’abitudine a guardarsi dentro venne rafforzata dalla lettura dell’Interpretazone dei sogni di Sigmund Freud: «Questo libro ha rappresentato per me una fra le illuminazioni essenziali della mia vita.. l’interpretazione di me stesso divenne quasi un vizio». Ma sulla sua pittura influì moltissimo anche Bosch, quel pittore olandese del fantastico e del grottesco, considerato molto distante dai gusti del tempo, le cui tele esercitarono su D. quel senso della decadenza e del tormento che lo portavano a viaggiare nei labirinti dell’inconscio. «La pittura è un’arte sensuale». Scrisse: «L’essenziale per il pittore è la mancanza di dottrina e metodo: un pittore non può tracciarsi la strada da seguire senza violare la propria sensibilità». L’incontro coi surrealisti di Breton avvenne nel 1929, quando Mirò lo presentò a Magritte e agli altri e lo portò in quel variopinto film surrealista che si girava in diversi set: a casa di Breton, nei caffè, in rue Chateau, nelle salette riservate dei bistrot e nelle case aristocratiche, come quella della viscontessa Marie Laure de Noailles, dove Paul Eluard mostrava a tutti, e con grande compiacimento, le foto di sua moglie Gala completamente nuda. Fu proprio in quel modo che S. conobbe Gala, la donna che poi gli rimarrà accanto per tutta la vita. La loro fu un’intesa molto complessa, che si intrecciava con le memorie erotiche che avevano affollato i primi anni di vita di S., come lui stesso ricorda, eppure la loro unione non ebbe mai nulla a che fare col sesso: la donna fu soprattutto una contabile, oltrechè mamma e musa. All’inizio della loro conoscenza i due si scrutarono, si capirono, si scambiarono segreti e lui assorbì la natura della compagna, una donna quasi malata di esoterismo – lei gli leggeva spesso le carte – e di sesso – continuerà a scambiare una focosa corrispondenza col primo marito nonché sempre nuovi rapporti amorosi anche con uomini molto più giovani di lei. Era una donna decisa: voleva un uomo da fare, tutto da costruire. Non le interessava un genio già compiuto perché voleva formarlo lei, voleva stargli accanto con la sua forza, la sua ambizione ed il suo egocentrismo, inseguendo il sogno di divenire la spalla di un genio. Così, molti ebbero modo di verificare la sua malvagità, quando sequestrava ogni cosa dipinta da S. – che divenne suo marito – per venderla al miglior offerente, indipendentemente dai progetti che in quel momento lui aveva in testa. Eppure lui le fu sempre riconoscente e l’amò – a suo modo, s’intende: «Soltanto lei, Gala, mi restituiva la forza di vivere. Cercava per me i migliori vini di Bordeaux, mi portava al Chateau Trombette o al Chapon Fin, dove facevamo dei pranzi meravigliosi. Posava sulla mia lingua un fungo alla Bordelaise, fragrante d’aglio, e mi diceva: mangia, è buono..».
Il suo rapporto coi surrealisti non fu mai facile, anzi, ad un certo punto, fu addirittura allontanato dai rappresentanti più ortodossi dello stesso. Breton, severo difensore di quell’ortodossia, teneva d’occhio il pittore catalano e dirà : «Dalì è un uomo che pare oscillare tra talento e genio. Fra virtù e vizio.. senza pronunciare una parola, egli si inserisce in un sistema di interferenze..»: lo guardò sempre con ammirazione, ma anche con una certa diffidenza, mentre D. si muoverà sempre tra due fuochi: da un lato la provocazione esasperata, dall’altra un passo indietro e una dichiarazione di fedeltà agli amici del Café Cyrano. In realtà, si sentiva stretto in quei catenacci che il movimento si era autoimposto. Lui cercava l’entusiasmo per la sua arte e per la sua combinazione di genio, fantasia, frivolezza e grandeur. E anche la critica si sforzava di capire lo strano connubio di quei sogni e desideri inconsci, visioni apocalittiche di un uomo bizzarro che se ne andava in giro ingioiellato all’inverosimile, coi capelli lunghi fino alle spalle e baffi lunghissimi all’insù, spesso vestito di bianco: un clown. Il suo surrealismo di matrice autobiografica supererà «l’idea deprimente dell’irreparabile divorzio fra azione e sogno». Lui, a gran voce, professava quel suo metodo paranoico-critico, rete di incubi e angosce, morte, odio, amore, gli opposti inconciliabili che formavano la griglia della sua personalità, una sorta di allucinazione volontaria che lui stesso ha descritto come «metodo di conoscenza irrazionale, basato sulla oggettivazione critica e interpretativa dei fenomeni del delirio». Ha vissuto il surrealismo con tutto se stesso, è stata la sua vita, la ragion d’essere delle sue idee, il genio con cui ha raccontato il mondo, arrivando a quella biforcazione netta tra animale e artista, facendo venir fuori l’uno o l’altro a seconda delle circostanze, o entrambi contemporaneamente. Breton scrisse nel secondo manifesto del surrealismo: «Tutto porta a credere che esiste un punto dello spirito in cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il trasmissibile e l’intrasmissibile, l’alto e il basso, smettono di percepirsi contraddittoriamente». Dalla teoria del putrefacos – la sua scoperta della carne e della realtà in putrefazione – alla teoria del morbido e del duro – come accade nei sogni, le immagini ci appaiono deformate, sciolte nell’acqua calda: le stesse paure compaiono sulla tela come gelati sciolti – per approdare definitivamente al debutto degli orologi molli , di cui lui stesso raccontò: «Un giorno rimasi a casa a causa di un forte mal di testa. Faceva molto caldo e l’occhio mi cadde su alcuni pezzi di formaggio camembert rimasti sul tavolo dal pranzo. Pensai allora che tutte le forme avessero una componete dura e una morbida, che tutte potessero mutare d’aspetto ed essere viste da un’altra dimensione: gli orologi molli non sono altro che camembert paranoico- critico, tenero, stravagante e solitario del tempo e dello spazio»: una risposta davvero daliliana all’interrogativo che è lo spazio-tempo einsteiniano: formaggio.

Il libro del giorno: Credere all'invisibile di Cesare Viviani (Einaudi)

Con questa sua nuova raccolta Cesare Viviani fa un passo ulteriore nel percorso di ascolto e di meditazione che caratterizza i suoi ultimi libri. La forma è più immediata. Sono poesie brevi, con una sola voce, affabile e colloquiale anche nel proporre temi elevati, come i limiti dell'umano, la pulsione all'autenticità, il confronto con l'angoscia della fine. L'"invisibile" di Viviani non è qualche cosa di trascendente, ma è ciò che, innervato nella concretezza della natura, resta indecifrabile, incomprensibile, irriconoscibile. E dunque credere, più che l'oggettivazione di una fede, è rispettare, accettare, affidarsi alla vita. In questi versi diretti e spesso sorprendenti per clausole inattese, la via maestra è l'umiltà: rinunciare alla presunzione umana significa trovare il giusto posto di se stessi e delle cose, e sapere che tutte le esperienze, anche quelle estreme, fanno parte di un ciclo e non hanno niente di eccezionale: sono natura. Sotterranea e parallela al discorso cosmico-esistenziale, scorre una riflessione poetica in cui il medesimo atteggiamento interiore vede con distacco ogni ironia narcisistica e abilità verbale: perché un animale nel suo habitat - dicono i versi di una poesia significativamente dedicata a Mario Luzi - è più vicino all'"invisibile" di qualsiasi ambiziosa invenzione letteraria

"Credere all'invisibile (Einaudi, pp.98, euro 11) riesce a coniugare alcuni dei tratti più specifici di quei due percorsi. E'infatti, in tutta evidenza, un libro di pensiero che sboccia per frammenti di meditazione, in una lingua limpidissima, di grande eleganza ed equilibrio, e in uno stile che è il più difficile da praticare: quello della semplicità"

di Maurizio Cucchi tratto da Tuttolibri della Stampa del 23/05/09, p. V

casa editrice Einaudi: http://www.einaudi.it/

Credere all'invisibile di Viviani Cesare, 2009, 97 p., brossura
Editore Einaudi(collana Collezione di poesia)

venerdì 22 maggio 2009

Sei nato ricco di Bob Proctor (Bis edizioni)

Esiste tutta una serie di pubblicazioni nel nostro paese (da anni invece il mercato statunitense ne produce in grandissime quantità) che stanno vedendo la luce in questi ultimi mesi e che hanno poco a che fare sicuramente con psicologia e altre discipline che cercano di studiare l’uomo e i suoi problemi nella gestione della quotidianità con nessi e connessi. Dunque la domanda che sorge spontanea, potrebbe essere: che tipo di utilità hanno questi libri se alla loro base non vi sono parametri o scandagli di indagine che presuppongono l’utilizzo di metodologie scientifiche o comunque un certo rigore? E ancora come poterle classificare, se dovessimo in qualche modo inserirle in un genere? Letteratura d’intrattenimento, saggistica, o che cos’altro? Il libro di cui voglio parlare “Sei nato ricco” di Bob Proctor (Bis edizioni), rientra in quella che viene definita letteratura d’auto-aiuto, una categoria che vede tra i suoi più grandi protagonisti Roy Martina, Joe Vitale, Fred Alan Wolf, Andrea Scarsi, Stuart Wilde e tantissimi altri. Ovvero se vi trovate in un momento difficile della vostra esistenza, non sapete a quale risorsa interiore attingere per trovare le giuste dosi di energia per affrontare la vita, o recuperare il giusto equilibrio, questi libri fanno al caso vostro. La formula della felicità ve la danno su un piatto d’argento, e senza troppi peli sulla lingua: l’uomo può tutto; egli è in grado di emettere particolari vibrazioni che se portate a livello di una focalizzazione di ciò che vuole raggiungere o ottenere, a livello conscio e inconscio, emetterà particolari vibrazioni, come se facesse una vera e propria richiesta all’Universo, che poi con precisione matematica recapiterà al mittente sul piano fisico il risultato invocato (Legge dell’Attrazione). In più la costruzione di questo meccanismo dal piano mentale al piano fisico è descritto ampiamente utilizzando teorie e spiegazioni che derivano dalla fisica quantistica. L’uomo occidentale vuole delle prove, concrete, verificabili, non ciarlatanerie. E quale migliore standard di prova, se non proprio la fisica quantistica, le cui teorie comunque almeno al momento non sono smentibili. Parola d’ordine, focalizzare sempre sul di più che si vuole ottenere, imponendosi una visualizzazione mentale del meglio che ciascuno di noi può desiderare per il suo bene, abbandonare il passato con i suoi “ se avessi fatto questo o quello ...” “ se avessi agito così, ora …”, concentrarsi sulla tenacia, perseveranza, il desiderio di mettersi in gioco, e provare e riprovare fino al conseguimento del successo. In parole povere “Yes, we can”, senza limiti di sorta. Entrando nello specifico, Bob Proctor ci spiega che ogni essere umano nasce dotato di una certa quantità di ricchezza: succede, però, in alcuni casi che la maggior parte delle persone sia per un motivo x momentaneamente al verde. L’autore ha scritto questo libro soprattutto per aiutare le persone a mettere un pò d’ordine nella "vita" , in modo che chiunque lo desideri può creare la prosperità nella propria vita. Il potere di produrre ricchezza lo abbiamo già: basterà un semplice piano d’attacco pensato, visualizzato e studiato nei particolari più piccoli, per permetterci di concretizzare tutti i nostri sogni. “Sei nato ricco” fornisce gli strumenti per utilizzare il potenziale che è nell’uomo per raggiungere la prosperità a qualsiasi livello la si voglia intendere: finanziaria, emotiva, fisica e spirituale. Un ultimo consiglio: se i vostri affari non stanno andando per il meglio, e vi trovate in una situazione di indigenza, resistete ancora un po’, mancano pochi passi per il successo e la Legge dell’Attrazione sta lavorando per voi. Altro che Dianetics di Ron Hubbard!

QUI:http://www.bisedizioni.it/libri/sei_nato_ricco.php

Il libro del giorno: IL GENERALE DELL'ARMATA MORTA di Ismail Kadaré (Longanesi)

Vent’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, un generale e un colonnello cappellano dell’esercito italiano ricevono un mandato gravoso e delicato: ritrovare i resti di molti nostri soldati caduti in Albania. La missione si infrange ben presto contro gli scogli di un clima ostile, di una terra impervia, cui si aggiunge la freddezza di un popolo fiero per il quale la guerra sembra essere una condizione di vita. Quando il generale sarà pronto a riportare in patria l’i>armata morta, si renderà conto di aver esumato, oltre ai poveri resti (ma molti mancano al silenzioso appello), anche diffidenze e rancori antichi, atavici in un popolo diverso per usi, costumi, senso della vita, della morte e dell’onore, che «ha sempre avuto il gusto di uccidere e di farsi uccidere». Rievocando gli orrori della guerra nel paese delle aquile, Ismail Kadaré costruisce un romanzo di grande intensità, in bilico tra commedia a sfondo macabro e teatro dell’assurdo, narrazione rarefatta e tragedia epica, in cui emergono in tutta la loro crudezza la forza primordiale della violenza che grava sul destino degli uomini e la follia della guerra che unisce vincitori e vinti nella medesima desolazione.

casa editrice Longanesi: http://www.longanesi.it/index.asp

"Ismail Kadarè è certamente lo scrittore albanese contemporaneo più importante e prolifico. Poeta, saggista e romanziere, è famoso in tutto il mondo per avere attaccato il totalitarismo del suo Paese con una scrittura visionaria e allegorica. Nel 1990 ha chiesto asilo politico alla Francia e da allora vive a Parigi"

di Brunella Schisa tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1105 p. 114

IL GENERALE DELL'ARMATA MORTA di Ismail Kadaré
Traduzione di Augusto Donaudy, Collana: Biblioteca di Narratori, Longanesi

PERCHE' AGLI STRANIERI SI DA' SEMPRE DEL TU? di Maria Zimotti

Io me lo ricordo ancora. Se ne stava inginocchiato sul ciglio della strada. "Ti prego, io andare subito via... fratello". Proprio nel classico modo oleografico in cui si rappresenta lo straniero, anzi no l'extracomunitario, un pò bingo bongo. Stava inginocchiato di fronte alla panza prominente di uno nato al confine tra la Calabria e la Campania, in qualche modo una terra di frontiera. Sempre per luoghi comuni ragionando il proprietario della panza racchiudeva in sè la furbizia campana e la capa tosta calabrese il tutto inguainato in una divisa da agente di polizia locale. Il potere di sopruso dato dalla divisa. Il tenente Garcia di Zorro più cattivello, più mefistofelico. Una divisa addosso a una persona del genere e la provincialità del male diventa grottesca macchietta. Se una persona si fosse inginocchiata davanti a me in quel modo io gli avrei detto "Si alzi per favore...". Già, "Si alzi per favore" perchè mi viene naturale dare sempre del lei. Noi non siamo inglesi, ci teniamo molto al lei. Proprio come regola fissa a una persona che non si conosce si da del lei. Invece agli stranieri si dà sempre del tu come a dire che nei nostri rapporti con loro le regole non valgono, con loro ci possiamo permettere certe confidenze.
Come se loro non contassero.
Senti,la voce del tozzo rappresentante dell'ordine era come un serpente strisciante, come uno di chiesa che sta guardando un film porno di nascosto, "queste cose non si fanno... guarda che io ti porto dentro". Un piccolo uomo che ha avuto il suo momento di potere, il potere di uno cui piace vincere facile. Che succede ad un uomo, qual'è il piacere che prova a vedere un uomo inginocchiato?
Perchè è un piacere, lo sentivo da quella voce strisciante.
E' un'ebrezza che non concepisco, l'ebrezza del potere.
So solo che assomigliò poi alla benevolenza che hanno certi cardinali il suo sospiro quando disse: "Va beh, adesso va e non farti più vedere...".
Che mai aveva fatto questo sventurato degno di tanta grazia?
Non aveva pagato il biglietto dell'autobus e il controllore leghista aveva chiamato i rinforzi. Lui era scappato per le campagne e il mio collega era corso a riacciuffare il pericoloso delinquente. "Gira al largo..." vaga per le acque extraterritoriali delle campagne.
Fratello, gli stranieri dicono sempre fratello.
Lo dicono anche quelli dei gloriosi "respingimenti".
Un altro uomo in divisa diceva in un'intervista in questi giorni che non riusciva a guardare suo figlio la notte dopo aver dovuto respingere le mine umane vaganti dei migranti. Fratello, gli diceva implorante e lui doveva obbedire ad un ordine.
Gli dava del tu, senza i fronzoli della nostra civiltà, arrivando alla sostanza delle cose, cioè ho solo bisogno di vivere, ho vagato sospeso nell'acqua, in una barca fragile come un catino, come ha detto Erri de Luca in "Solo andata".
Voglio solo toccare terra e magari anche inginocchiarmi.
L'acqua come spazio di transizione tra le terre lasciate e le terre promesse.
Ne sa qualcosa, nel suo piccolo, anche l'ottusa Lombardia. Lucia Mondella che saluta i monti con il sentimento incerto del futuro ancora, nonostante tutto, commuove.

giovedì 21 maggio 2009

Il premio MEDIASTARS

MEDIASTARS, autorevole riconoscimento a livello nazionale nell’ambito di Advertising, Corporate Identity e Comunicazione Multimediale, premia la creatività e la professionalità di quanti operano nello sviluppo della comunicazione classica e multimediale. È un premio in continua espansione, indipendente e innovativo focalizzato sulla valorizzazione professionale di chi tecnicamente contribuisce alla riuscita di una comunicazione pubblicitaria: i Tecnici Pubblicitari. Tra gli iscritti al premio: agenzie pubblicitarie, case di produzione e post-produzione audiovisiva, agenzie di corporate design, e agenzie specializzate nella comunicazione multimediale. Una giuria qualificata, composta da professionisti della comunicazione indicati dalle Associazioni patrocinanti e da Tecnici Pubblicitari riconosciuti per la loro professionalità, esprime una valutazione sia di tipo specialistico sui singoli professionisti che sul valore comunicativo delle campagne in esame.

Il premio MEDIASTARS viene assegnato per le sezioni: Stampa, Radio, Tv/Cinema, Pubblicità Esterna ed Indoor, Tecnica Audiovisiva, Corporate Identity, Promotions, Packaging Design, Netstars/Internet, Adv on Line, No Profit e Dvd.

La SPECIAL STAR assegnata ai Tecnici Pubblicitari premiati rappresenta il riconoscimento del talento dei singoli per le singole voci di specializzazione enunciate per ogni Sezione. La cerimonia di consegna dei premi è anche l’evento durante il quale viene proposta la nuova edizione del volume ANNUAL 13 MEDIASTARS: che stampato in 3.200 copie verrà distribuito alle Direzioni Marketing delle più importanti Aziende italiane, agli operatori del mondo della comunicazione, oltre che alle associazioni professionali e a tutti i partecipanti al concorso. Anche per questa edizione l’Annual 13 MEDIASTARS raccoglie, oltre alla galleria dei progetti premiati, numerose interviste ai principali protagonisti della comunicazione italiana, sul tema

“Brand Activity. Come la Comunicazione può supportare le innovazioni del Brand..” di cui la tavola rotonda organizzata per la serata di premiazione sarà occasione di approfondimento e sintesi .Inoltre l’editoriale Dottrina e Prassi per il buon uso del Testimonial e la ricerca Sport e sponsor: Il Nome sulla Maglia. a cura di Cesare Righi illustra quanto può ritenersi opportuno l’utilizzo di testimonial, di sponsorizzazioni o personalizzazioni di particolari eventi per un’efficace comunicazione del Brand. Siamo certi che ne sia nato un racconto avvincente in grado da destare l'interesse delle aziende, delle agenzie e delle altre realtà a cui il nostro Annual, come consuetudine, vuole presentare i la nostra iniziativa. Con il nuovo Bando di Concorso del Premio, L’ANNUAL MEDIASTARS raggiungerà i Direttori Marketing delle principali Aziende nazionali produttrici di beni e servizi, le Agenzie di pubblicità italiane, le Case di Produzione e Post-Produzione audiovisiva, le Agenzie di Corporate Design e le Agenzie che si occupano di sviluppare idee per Internet, le Associazioni professionali, i singoli professionisti noti in ogni settore di specializzazione in campo pubblicitario.

Mercoledi 27 maggio 2009
Auditorium S. Fedele, Via Hoepli 3/b (MM San Babila), Milan
o

Programma della serata:
Ore 18.45 Tavola Rotonda: Brand Activity. Come la comunicazione può supportare le innovazioni del Brand?

Relatori:

Matteo Battiston - Direttore IED Comunicazione-Milano
Fabrizio Bernasconi - Presidente PDA e Amministratore Delegato RBA
Chiara Busani - Responsabile Sales Marketing Retail OSRAM
Maurizio Cinti - Direttore Creativo AdmCom
Pietro Dotti - Presidente J. Walter Thompson Italia
Hannes Waldmüller - Responsabile Marketing Consorzio VOG
Modera l’incontro Layla Pavone - Presidente IAB Italia e Managing Director Isobar Communications

Ore 19.30 Cocktail di Benvenuto
Ore 20.00 Cerimonia di Premiazione e Presentazione Annual 13 Mediastars
L’INGRESSO E’ SUBORDINATO ALLA REGISTRAZIONE DEI NOMINATIVI


PROFILO MODERATRICE E RELATORI DELL’INCONTRO

LAYLA PAVONE - Managing Director di ISOBAR Communications – Gruppo Aegis Media Italia e Presidente di IAB Italia

Durante gli studi universitari collabora come giornalista pubblicista con diverse testate. Successivamente alla laurea in Scienze Politiche, conseguita nel 1987, frequenta il primo Master italiano in Comunicazione d’Impresa a conclusione del quale, alla fine del 1988, inizia il suo percorso professionale nella Direzione Marketing della Concessionaria di pubblicita’ SPI Societa’ per la Pubblicita’ in Italia (Gruppo Publicitas) con l’incarico di Responsabile Comunicazione. Passa quindi nella concessionaria di pubblicita’ Quotidiano Italia (joint venture tra SPI e SPE) con lo stesso incarico. Dal 1993, per quasi due anni, lavora in Polonia, a Varsavia, con il Gruppo Editoriale Grauso (L’Unione Sarda) collaborando alla creazione della nuova Concessionaria di pubblicita’ del primo quotidiano nazionale Zycie Warszawy ed occupandosi inoltre di comunicazione e pubbliche relazioni per il circuito televisivo Polonia 1. Nel 1995 collabora alla nascita ed allo sviluppo di Video On Line, il primo internet service provider italiano, occupandosi della comunicazione e dell’immagine della Societa’, dell’organizzazione della rete commerciale e dello sviluppo del business legato all’advertising online. Dall’inizio del 1997, grazie all’esperienza maturata nell’ambito di Internet associata a quella relativa al mercato della pubblicita', lavora in Publikompass, Concessionaria di pubblicita’, in qualita’ di responsabile sviluppo New Media e successivamente assume l’incarico di Responsabile della Business Unit dedicata alla vendita di advertising online, creando il primo network di siti in concessione, gestendo i rapporti con gli Editori dei 35 siti in concessione e coordinando la rete commerciale. A marzo del 2000 entra nel Gruppo Aegis Media Italia, con la funzione di Managing Director di Isobar Communications (gia’ Carat Net), societa’ leader nella consulenza e nei servizi di marketing ed advertising digitale e interattivo. Dal 2003 e’ Presidente di IAB Italia – charter dell’Interactive Advertising Bureau associazione internazionale per lo sviluppo e la promozione della pubblicita’ interattiva. Nel biennio 2005-2006 e’ stata anche Presidente della Federazione Europea IAB Europe che raggruppa 15 Paesi. E’ membro dell’International Advertising Association (IAA) e dell' International Academy of Digital Arts and Sciences (IADAS), membro del Comitato Scientifico di Assodigitale e nel Consiglio di Amministrazione di Audiweb. Nel 2005 le e’ stato conferito il Premio Targa d’Oro Mario Bellavista per la Cultura di Rete , con il patrocinio delle Associazioni di Categoria del settore della comunicazione, che rappresenta un riconoscimento a chi si e’ distinto per aver particolarmente contribuito o contribuisce a dare valore aggiunto e spessore di pensiero ai servizi di comunicazione interattiva di rete, agendo sul territorio italiano. Nel 2007 le e’ stato conferito il Premio Manager d’Eccellenza da Manager Italia (Associazione che riunisce Manager e Dirigenti d’Azienda nel settore dei servizi) e il Premio Donna Comunicazione 2007 conferitole da Club del Marketing e della Comunicazione che riunisce 35mila manager italiani nel marketing e nella comunicazione.

HANNES WALDMÜLLER - Responsabile Marketing del Consorzio VOG


Nato nel 1971 Hannes Waldmüller ricopre dal 2006 il ruolo di Responsabile Marketing del VOG, il Consorzio altoatesino delle mele Marlene®. Finiti gli studi alla Facoltà di Economia e Commercio all’Università di Vienna e dopo aver trascorso 6 mesi all’Università dell’Illinois negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio, approda nel 1997 alla agenzia Verba DBB di Milano dove segue come account executive le attività di below the line e eventi di Volkswagen, Diadora, Quattroruote e Radio e Reti. Nel 2000 torna in Alto Adige per prendersi cura del marketing, del product management e delle vendite della azienda di famiglia, la A. Waldmüller & C. di Bolzano, licenziataria in esclusiva per l’Italia dei marchi Scout e NICI. Trascorsi sei anni entra nel management del VOG per gestire le attività di marketing e comunicazione del Consorzio. Appassionato di musica, letteratura, fotografia e sport, è sposato con Cecilia da cui, un anno e mezzo fa, ha avuto una splendida bambina, Carolina.

IL MARCHIO MARLENE®

Marlene®, il marchio nato nel 1995 su iniziativa del Consorzio VOG per comunicare in modo unitario la ricchezza varietale e la qualità delle mele coltivate da 19 cooperative altoatesine, è oggi uno dei simboli della frutta di eccellenza dell’Alto Adige. Merito non solo della passione che giornalmente i 5.600 coltivatori mettono in campo ma anche dell’intensa attività di comunicazione che in 13 anni è riuscita a riassumere in un unico concetto i valori del forte legame con il territorio, dell’ampiezza varietale e della grande cura dei prodotti. Sono questi i tratti distintivi che hanno caratterizzato da sempre la identità del brand, decretandone il grande successo. Dal 2006, inoltre, il legame fra le promesse della marca e l’origine dei frutti si è ulteriormente rafforzata grazie alla indicazione “Mela Alto Adige IGP”, che accompagna ben 11 varietà altoatesine di mela coltivate dal VOG, il principale produttore di mele certificate IGP dell’Alto Adige. E, da gennaio 2008, il marchio Marlene® è sbarcato in Spagna portando oltre i Pirenei tutto il gusto e il sapore delle mele raccolte in Alto Adige dal Consorzio VOG.


CHIARA BUSANI - Responsabile Sales Marketing Retail Osram


Laureata in Lingue e Letterature straniere e Comunicazione all’Università Cattolica di Milano. La carriera in OSRAM inizia nel 2002 come Trade Marketing Specialist nel canale professionale. Nel 2007 inizia una nuova esperienza all’interno del canale Retail con focus sul Marketing Consumer. Oggi ricopre il ruolo di Responsabile Sales Marketing Retail e si occupa delle strategie di marketing rivolte al canale della Grande Distribuzione, sia dal punto di vista del lancio dei nuovi prodotti sia per le campagne promozionali, sviluppando la comunicazione Punto Vendita rivolta al consumatore finale.

OSRAM

Con headquarter a Monaco, in Germania, OSRAM - che fa parte del Gruppo Siemens AG - è oggi una realtà globale, presente in 150 nazioni dove impiega circa 43.500 persone. Con 46 siti produttivi distribuiti in 17 paesi, OSRAM è uno dei due maggiori produttori di illuminazione al mondo. Leader nel mercato italiano delle sorgenti luminose, OSRAM nel nostro Paese rappresenta un’importante realtà commerciale e industriale con sede a Milano e due stabilimenti produttivi a Treviso e Bari, specializzati nella produzione di alimentatori elettronici, moduli LED, lampade fluorescenti e lampade automotive. Innovazione e sostenibilità ambientale sono gli asset strategici di OSRAM. Ogni anno OSRAM investe circa il 6% in Ricerca & Sviluppo ed il suo fatturato deriva per circa il 40% da prodotti che sono sul mercato da meno di cinque anni. OSRAM privilegia lo sviluppo di prodotti e di processi in grado, non solo di rispondere ad esigenze economiche di risparmio, ma anche di proteggere l’ambiente in un’ottica di sostenibilità globale. Quello della sostenibilità è infatti solo uno degli obiettivi che si pone OSRAM attraverso il programma Global Care, che identifica l’impegno dell’azienda nella responsabilità sociale e ambientale in tutto in mondo. Impegno che OSRAM ha ulteriormente ribadito fin dal 2005 aderendo al Global Compact, un’iniziativa delle Nazioni Unite in base alla quale le imprese globali si impegnano a comportarsi secondo un codice etico condiviso contro la violazione dei diritti dell’uomo, del suo lavoro e dell’ambiente.

PIETRO DOTTI - Presidente J. Walter Thompson Italia

Nato a Torino nel 1954 è sposato e ha 2 figli. Si è laureato in Economia e Commercio a Torino e ha cominciato a lavorare in pubblicità nel 1978. Dal dicembre ’78 al gennaio 2002 lavora in Armando Testa. Nasce come account e crescendo, crescendo arriva a diventare responsabile del New Business, poi direttore della sede di Torino, socio, consigliere delegato, responsabile dello sviluppo, del personale, dell’EDP, dei rapporti istituzionali, della quotazione in Borsa, e molto altro. In tutto questo si prende una piccola pausa dal 1983 al 1984 con Luca Cordero di Montezemolo in Cinzano come brand manager e responsabile della pubblicità. Con Lorenzo Marini nel febbraio 2002 fonda la Marini, Dotti e Associati e ci rimane fino all’agosto 2004. Dal 1° settembre diventa Presidente di J. Walter Thompson Italia. E’ membro del European EXCO ( executive committee) di JWT. E’ stato per 3 anni Professore di Economia e Tecnica della Pubblicità al DAMS di Torino. Ha anche vinto un premio letterario città di Chiavari nel 1999 come autore del libro “La lunga corsa di Ercole”, romanzo, ed. Limina.

J. WALTER THOMPSON ITALIA

JWT nasce ufficialmente nel 1864: è la prima agenzia pubblicitaria del mondo. Dal 1951 opera in Italia con due uffici a Milano e a Roma. Nel 1987 entra a far parte del gruppo WPP. Oggi è una delle principali agenzie di comunicazione del mondo. Il gruppo JWT italiano, guidato da Pietro Dotti, che ne è il Presidente e Amministratore Delegato, è strutturato per studiare piani di comunicazione integrata, attraverso partecipazioni dirette o alleanze strategiche nelle diverse aree della comunicazione. Tra i principali clienti in Italia, annovera: AZIMUT, BAYER, COCA-COLA, DIAMOND TRADING COMPANY (DTC), F.lli BRANCA, HEINEKEN, J & J, KELLOGG, KRAFT, LOTTOMATICA, MAZDA, NESTLE’, NOKIA, ROLEX, UNILEVER, SHELL, etc.

MATTEO BATTISTON - Direttore IED Comunicazione Milano

Laureato in Economia e Legislazione presso l’Università Luigi Bocconi con un master in comunicazione, inizia la sua collaborazione con IED Centro Ricerche nel team di progetto per la costruzione dell’immagine di Pirelli Real Estate. E’ stato responsabile dei progetti di comunicazione strategica e ha coordinato le attività di progettazione della marca di grandi aziende tra le quali Jacuzzi, Ikea, Motorola, Bosch, De'Longhi. Nel 2005 ricopre la posizione di vice-direttore del Centro Ricerche; il suo ruolo e la sua specializzazione confermano la missione e l’approccio multispecialistico della struttura. Dal settembre 2006 è vice-direttore di IED Milano, dal 2008 è Direttore della scuola di Comunicazione. Svolge attività di docenza e seminari presso diversi atenei pubblici e privati in Italia e all'estero sul tema del rapporto tra il brand e la progettazione del prodotto.

ISTITUTO EUROPEO DI DESIGN

Da quarant’anni l’Istituto Europeo di Design opera nel campo della Formazione e della Ricerca, nelle discipline del Design, della Moda, delle Arti Visive e della Comunicazione. Oggi è un Network Internazionale, in continua espansione, che organizza corsi triennali post-diploma, corsi di aggiornamento e formazione permanente, corsi di formazione avanzata e Master post-laurea. Il collegamento tra sapere e saper fare è la premessa indispensabile per la crescita professionale e lo sviluppo di capacità culturali, creative e critiche che rappresentano l’obiettivo di fondo della formazione IED. Fondamentale, nella strategia educativa dell’Istituto Europeo di Design, è la partnership con aziende prestigiose, che caratterizza l’intero processo didattico e la realizzazione degli eventi che segnano la fine dell’Anno Accademico. Ogni anno più di 1700 studenti stranieri frequentano i corsi IED.

Le Scuole del “Sistema IED”IED Moda Lab, IED Design, IED Arti Visive e IED Comunicazione rispondono alle esigenze del mondo del lavoro, attraverso percorsi didattici mirati alle reali necessità dei settori di riferimento, unificate dalla comune cultura del progetto. In particolare IED Comunicazione è nata dall’esperienza ventennale dell’Istituto Superiore di Comunicazione, forma le figure professionali della Pubblicità, del Marketing, delle Relazioni Pubbliche per rispondere alle esigenze della Comunicazione integrata preparando anche professionisti capaci di progettare e gestire eventi e di inserirsi nel mondo della regia e della produzione audiovisiva. Affianca le Scuole il Centro Ricerche IED, espressione di eccellenza del modello IED. Nasce nel 1975 e oggi sviluppa attività di ricerca e di innovazione nei campi del design, della moda, delle arti visive e della comunicazione.

FABRIZIO BERNASCONI - Presidente PDA e Amministratore Delegato RBA

47 anni, milanese, laureato in Economia e Commercio, da circa 20 anni si occupa di branding e comunicazione. E’ socio fondatore e amministratore delegato di RBA, agenzia di comunicazione specializzata in brand e packaging design; è anche consigliere e amministratore di RBA interactive e RBA advertising, agenzie consociate ad RBA per lo sviluppo di progetti on line e campagne pubblicitarie. Da tre anni è presidente di PDA, The pan European brand design association; quest’anno farà parte della giuria packaging del Red Dot Award, uno dei più importanti concorsi internazionali di design.

RBA BRANDING & DESIGN

RBA è un’agenzia di comunicazione indipendente, specializzata nella consulenza e design di marca, dedicata alla creazione di forti identità di prodotto e d’azienda; l’attività di RBA si concentra quindi nello sviluppo di strategie di marca, marchi e sistemi coordinati d’identità, packaging design, retail design, POP, web design.
Nata nel 1995 a Milano, RBA è oggi una realtà consolidata con oltre 40 addetti e più di venti clienti attivi, fra cui grandi importanti marche nazionali ed internazionali.

Vitamina per il brand: Multispecializzazione nei servizi per l’identità di marca, propositività e innovazione, velocità di reazione e soprattutto una grande attenzione alle esigenze del cliente ed alle aspettative del consumatore, è la visione d’agenzia con cui RBA si propone al mercato per rispondere efficacemente in contesti sempre più complessi e competitivi. La ricerca del giusto, del bello e, soprattutto, del meglio per la marca.

MAURIZIO CINTI - Direttore Creativo AdmCom

Per me, è stata una vocazione: a 12 anni ho deciso di fare il creativo. Con la passione per la comunicazione ho imparato 4 lingue, lavorato in 7 nazioni e in 3 continenti diversi. Professionalmente, l’eccellenza creativa è il mio obiettivo e l'ho rincorsa qua e là nelle agenzie per cui lavoro o ha lavorato: Saatchi&Saatchi, Publicis, Ogilvy&Mather, D’Arcy e Grey Worldwide. Qualche volta l'ho raggiunta. Dei brand che ho incontrato sul mio cammino condivido ”l’internazionalità”: Audi, Fiat, CocaCola, Dove, Estee Lauder, Pampers, Pantene, Pringles, Romeo Gigli, Sanpaolo IMI, per citarne alcuni. Le persone che con cui ho potuto confrontarmi, hanno saputo coinvolgermi nei loro sogni e nei loro progetti ed alcuni sono stati incontri fortunati. Così, due anni fa ha sposato il progetto di AdmCom dove mi occupo della Direzione Creativa dell’agenzia.

ADM COM

Un'agenzia fatta di persone con la passione per la comunicazione, dove la parola sinergia significa scambio e interazione trasversale: tra noi internamente, con il cliente e con il "consumatore". AdmCom è anche un luogo di forte innovazione e creatività dove le idee, e soprattutto le persone, sono orientate al cambiamento e all'evoluzione, perché no anche a quella del mercato. Così, ci capita di incontrare clienti che la pensano come noi (anche da 30 anni a questa parte..): Casinó di Venezia, Cefla, Itama, Pershing, Stern Weber,Valsoia,Venezia Marketing & Eventi... O che vogliono partecipare alla nostra visione come nel caso di Goethe Business School, Intersport Italia, Stardom.

Per maggiori informazioni : mediastars@mediastars.it

Giulio Rodolfo - Mediastars
Viale Lombardia 21, 20131 - Milano
tel +39 0270631880
Cell. 339.7035382
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LISA JANE SMITH, IL DIARIO DEL VAMPIRO: IL RISVEGLIO, LA LOTTA E LA FURIA, NEWTON COMPTON EDITORI. REC. DI SILLA HICKS





















So che ha avuto successo, che ha venduto milioni di copie e che in un mondo mercato è questo che conta. So che uno scrittore ha lavoro se vende, e che il fatto che probabilmente oggi Gadda non lo comprerebbe nessuno non cambia niente, è così che va il mondo. Ma non ce la faccio, a parlare di questi tre libri – uno solo, in realtà, in tre puntate perché si triplicasse il prezzo di copertina – che sono un fumettone per quattordicenni che guardano Amici e il Grande Fratello - lo dico con buona pace dei genitori che rivendicano figli culturalmente impegnati, e invito a ricordare che non ho pretese di analisi sociologica, io, sono uno che si guarda attorno e basta - per di più scritto da una signora agee che sul risvolto di copertina si fa fotografare con un unicorno magicamente evocato dal photoshop.
Perché mi spiace, ma questo non è un libro, non è una storia, ma a stento la sceneggiatura di uno zuccheroso teen movie: e non sto dicendo che è un libro per ragazzi, no, i libri per ragazzi, se sono libri veri vanno bene per tutti, da quando s’impara a leggere finchè ci vedi abbastanza per farlo.
Questo è un raccontino schematico sulla più figa del liceo che lascia il suo altrettanto figo boyfriend per un misterioso giovanotto che è in realtà un vampiro millenario e che per giunta ha un fratello ancora più tenebroso di lui, con cui si contende la preda: sullo sfondo, la schiera delle amiche wannabees e i riti quotidiani del paesello di provincia USA, che più USA non si può, dal ballo di fine anno in avanti. Niente contro le storie di vampiri, lo sottolineo due volte: Intervista col vampiro di Anne Rice è tutt’altra cosa, per non parlare di quella straordinaria storia d’amore che è Dracula di Bram Stoker.
Il soprannaturale non è un campo che mi appartiene, è vero: ma Lestat e il Conte non si dimenticano, sono personaggi veri, canini da cinque centimetri o meno, creature tormentate, innamorate, smarrite, che lottano per sopravvivere e soprattutto per essere abbracciate, il loro vampirismo come metafora di quella diversità che ti emargina trasformandoti da predatore in preda, il mostro cui nessuno ha il coraggio di regalare quella carezza che lo trasformerebbe finalmente in uomo. Si può scrivere di vampiri, e scrivere storie che ti tengono sveglio a pensare in questo tempo in cui non possono più fare paura a nessuno: Lestat che prova a formarsi una famiglia con Luis e la bambina e che non si arrende al destino che lo vuole eternamente solo è Elephant Man, che decide di dormire sulla schiena pur sapendo che lo ammazzerà perché si rifiuta di continuare ad accucciarsi come una bestia, è Roy Batty, lavoro in pelle da combattimento che uccide chi l’ha progettato con una data di scadenza, è la rivolta di tutti i reietti del mondo contro il dio che li ha condannati all’incertezza del buio. Ma non c’è traccia di tutto ciòo, in questo best seller che trasforma il Vampiro in un ragazzone cool: non c’è dramma, non c’è dolore, non c’è perdita d’innocenza, niente: è tutto edulcorato, patinato, goth, come le unghie laccate di nero di una liceale di provincia, che ascolta Marilyn Manson senza capire una parola d’inglese. Niente ferite slabbrate, niente pus, niente nemmeno sensualità, e sì che lo sanno davvero anche i ragazzini che l’attrazione irrefrenabile delle vergini per il Vampiro è una metafora del richiamo sessuale ammantato di peccato in quasi tutte le culture occidentali: dopo circa 700 pagine (ma sarebbero 300, in pitch 12) chiudi questo libro, e anche se ci provi non trovi niente di cui parlare.
L’ex boyfriend tradito che si sacrifica per la fedigrafa avrebbe potuto essere un personaggio, se solo almeno lui avesse avuto più spessore del foglio su cui è descritto, invece niente: bene e male restano mondi separati, impera il manicheo dualismo che rassicura le giovani menti e le tiene lontane da quell’evoluzione che le porterebbe a spegnere la TV e a realizzare finalmente che la vita è altrove, che non ci sono due squadre e che non è una partita ma un labirinto in cui ciascuno si è perso, ed ha bisogno degli altri per ritrovare la via.
Non posso dire altro, se non che è un peccato, che questa “Mcstoria” abbia trovato un editore internazionale mentre chissà quante di certo migliori restano inedite a meno che di non pubblicarle a proprie spese, e solo qualche anno fa ho comprato a peso in un ipermercato, restando in tema vampiri, sia pure artificiali, Una notte a mangiare smania e febbre di Matteo Curtoni, altrimenti destinato al macero, che sì che è un libro, e avrei voluto parlarne: se lo trovate, compratelo, leggetelo, e rimarrete per giorni a pensarci.
Ovviamente, lo so, che è il mercato a governare il mondo, e che è il marketing a decidere chi e cosa. Ovviamente lo so, che finchè ci sarà chi paga € 280,00 un paio di scarpe solo per l’H sul lato quando un paio di ottimi anfibi di cuoio costano massimo € 50,00 in qualsiasi negozio di articoli militari e durano una vita è inutile parlare di qualità, perché è il brand che detta le regole, e non ditemi che è un fatto di stile, vi prego, che uno degli uomini più eleganti che ho visto in vita mia li porta sotto i pantaloni con la piega anche se potrebbe permettersi scarpe cucite a mano e sembra quello che è, un gattopardo, mentre le succitate H m’appaiono triste omologazione di periferia.
Per di più, i libri non sono oggetti come gli altri, ci parli e ti parlano, ti accompagnano mentre fai la tua strada e se sei fortunato te la indicano, anche: non posso rassegnarmi a che siano terreno di marketing, proprio loro che mi abitano, senza cui sarei vuoto.
Non voglio rassegnarmi a credere che sia per forza così, Mc libri come Mc lavori come Mc scuole e via dicendo: non voglio rassegnarmi a pensare che anche la mente non abbia scelta, che qualcuno la stia succhiando via, con grossi canini aguzzi, per costruire al suo posto un centro commerciale..


MC VAMPIRES’ H. SCHOOL STORY
(LISA JANE SMITH, IL DIARIO DEL VAMPIRO: IL RISVEGLIO, LA LOTTA E LA FURIA, NEWTON COMPTON EDITORI, ROMA, 2008)

Il libro del giorno: Il giorno dell'Indipendenza di Letizia Muratori (Adelphi)

Giovanni ha smesso con la coca, e ha anche smesso di vendere prodotti finanziari ad alto rischio. Per disintossicarsi si occupa a titolo gratuito di creature misteriose e non troppo tranquillizzanti che si chiamano tutte Ruggero e Isabella, e appartengono a una razza pregiata di suini neri. Mary ha smesso anche lei con la sua vita precedente, ed è arrivata in Italia dagli Stati Uniti alla ricerca di certi parenti adottivi che vivono nello stesso paese dove lavora Giovanni, e che si chiamano anche loro Ruggero e Isabella. La prima curiosità che questo libro suscita è come possano incontrarsi due personaggi così, uno in fuga da e l'altro alla ricerca di un paradiso in terra - tanto più in un posto troppo fangoso e dimenticato da dio anche solo per ricordarlo, il paradiso. Ma la sorpresa è che invece sì, incontrarsi possono, se affrontano un viaggio in treno a Milano per conquistare insieme un congresso di allevatori, una farsesca e commovente lotteria suina nel basso Lazio, e una strana notte - italiana - del 4 di luglio; e se queste premesse riportano tutti e due per vie diverse in America, a Miami, dove la commedia recitata fin qui diventa, senza quasi che il lettore abbia avuto il tempo di accorgersene, un thriller hitchcockiano.

casa editrice Adelphi: http://www.adelphi.it/

"Ecco un romanzo, breve, da leggere con sorpresa, piacere, e insieme inquietudine. Non capita spesso. Solo i romanzi migliori sono nel contempo originali, coinvolgenti e perturbanti. Stiamo parlando del quarto libro di Letizia Muratori, Il giorno dell'Indipendenza (Adelphi, pp. 112, euro 15,00)"

Paolo Di Stefano
dal Corriere della Sera del 21/05/09, p. 41

mercoledì 20 maggio 2009

Dieci brevissime apparizioni di Nunzio Festa (LietoColle)

Ricevo con molto piacere da LietoColle di Michelangelo Camilliti, un piccolo gioiellino, vuoi per la veste e la resa tipografica vuoi per il pregevole contenuto: “Dieci brevissime apparizioni” di Nunzio Festa nella collana “solodieci Poesie”. E non cambierei una virgola di questo mio primo giudizio,anche se si trattasse di una manovra economico-editoriale per risparmiare qualche lira, trattandosi per di più della cenerentola, in termini economici, del mondo delle lettere, ovvero la Poesia. Infatti come prima impressione il prodotto potrebbe risultare alquanto esiguo, povero, assolutamente non invitante all’acquisto! Una sovracoperta cartonata color avorio (a due colori, nessuna immagine di copertina) che racchiude un corpus di 16 pagine ciappate. Il tutto però ha una sua sobrietà, e una certa eleganza, che sicuramente si lascerà apprezzare e godere da chi ama le piccole cose di buon gusto. Per venire all’autore in questione, ovvero Nunzio Festa, e a questo suo ultimo lavoro, sono rimasto piuttosto colpito dalla sua prosa poetica. Il ritmo della parola non è ricercato, in quanto sembra prediligere una misura del tempo narrato, gestito da una forte visionarietà, che parte dal quotidiano, ma lo trasforma a suo totale piacimento, quasi a non riconoscerne lo statuto fenomenologico e ontologico. Prendiamo a pag. 3 il “Primo brevissimo”: “Aveva riconosciuto la sensazione di stare allerta, dove quel suo tempo era stretto infinitamente alla corda tesa e molle dell'Epoca, e se un giorno arriverà Epoque lei non se la troverà addosso. Neppure per misericordia. E il pentolino saliva colla stessa, alla velocità dello sguardo. Che di fugacità viveva, o aveva vissuto. La ragazza provava a rialzarsi, ma si risedeva. Scodinzolava, fremeva, sfregava. Friggeva, il suo tappeto. Allora decise, con calma, giunto il momento di ridere da sola; e guardò - per rivederlo - il suo film preferito La tramontana: quel film comico duemila volte letto e sentito”. Il punto di partenza teorico-letterario adottato da Festa per la strutturazione di questi componimenti sembra essere quello del problema della percezione dell’individuo nell’avvertire il luogo del proprio vissuto, dal momento che non se ne ha memoria né se ne può avere una, in quanto tutto è troppo sincopato per poter essere fermato, discusso, percepito, assaporato. Il rapporto tra sé e il mondo insomma è al di fuori di qualsiasi metafora per poter essere cantato. Lo spazio dell’abitarsi nel sociale, ha oramai una grammatica talmente stramba e strampalata da divenire grottesca e mostruosa. Per farla breve, il sintomo dell'attualità diviene parodia di una perenne messa in scena dell’esistenza. Il messaggio che Nunzio Festa vuol lasciar trasparire, e non tanto tra le righe, è che in fondo se ci si lascia trasportare dal senso di angoscia o di smarrimento che pervade ogni fessura della nostra contemporaneità, alla fine ci scorderemo anche di vivere, di sorridere, o perché no, di poter scherzare magari, a volte bonariamente a volte con ironia e sarcasmo, anche delle cose più sacre, quelle che i secoli, le tradizioni, i buoni e i cattivi maestri hanno rinchiuso nelle catacombe buie e abbandonate di una certa cultura. Si veda ad esempio a pag. 5 il Terzo Brevissimo: “Oggi è il compleanno del poeta. E non sa come servire in tavola gli auguri stesi al sole. Dunque si prende tutto quello che la gente mostra sul solco della sua pancia. Quindi, un secolo di birre. Il secolo delle birre brevi come lunghe. Il secolo delle birre, è questo. Il giovane poeta compie gli anni. Ogni volta il giovane poeta, il poeta giovane, si sceglie gli anni da compiere. Tutte le volte che accade - quasi tutti gli anni, tranne quando (nei bisestili) non ci sono anni - è una battuta. L'applauso era fragoroso. Le tentazioni d'inventarsi finte spalancavano porte, inizi di territori inesplorati. Ma l'esplorazione di questo poeta è cosa da puntino.” Si tratta a mio avviso di una piccola pubblicazione fresca e intelligente su come la mutevolezza dei paradigmi sociali e relazionali si possa affrontare facendo anche dei bei versi. Sono cinque euro spesi bene!

Nunzio Festa è nato nel 1981 a Matera, dove attualmente lavora. Risiede a Pomarico (MT) con la sua compagna. Poeta, narratore, critico; lavora nel campo dell'editoria ed è collaboratore giornalistico. Collabora, inoltre, con siti internet, riviste e quotidiani. Suoi articoli, poesie e racconti sono stati pubblicati su riviste e in varie antologie.Nel 2004 ha pubblicato la sua prima silloge poetica E una e una, mentre nel 2005 la sua prima raccolta di racconti Sempre dipingo e mi dipingo. Diversi i riconoscimenti ricevuti. Nel 2006, il racconto breve "Da dentro la materia" è entrato a fare parte dell'antologia Storie d'acqua dolce (Eumeswil Edizioni). Nel 2007, la silloge poetica "Deboli bellezze" è entrata a far parte della collana curata da Silvia Denti, I quaderni Divini. Nel 2008 ha pubblicato racconti e poesie per diverse case editrici, fra le quali Giulio Perrone editore, LietoColle.

Festa Nunzio- "Dieci brevissime apparizioni", LietoColle - Collana Solodieci
Sottotitolo: brevi prose poetiche

Il libro del giorno: Cani da guardia di David Baldacci (Mondadori)

Oliver Stone è il capo del Camel Club, un singolare ed eterogeneo gruppo che si è dato l'ambizioso compito di vigilare sulla sicurezza dei cittadini e di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla corruzione all'interno dei palazzi del potere. Quando Annabelle Conroy, un membro onorario del club, viene a trovarsi in pericolo dopo aver ordito una colossale truffa ai danni di Jerry Bagger - lo spietato proprietario di un casinò di Atlantic City -, Stone e i suoi compagni decidono di fare quadrato intorno a lei. Per quanto pericoloso, comunque, Jerry Bagger non è l'unica minaccia a cui far fronte. Harry Finn è un uomo dalla vita ordinata: vive nei sobborghi di Washington, ha una moglie e tre figli amatissimi. Nonostante le apparenze, tuttavia, svolge un'attività alquanto particolare: è un esperto di sicurezza antiterroristica, un genio in grado di bucare le maglie di qualsiasi sistema di vigilanza, per testarlo prima che avvenga l'irreparabile. Ma dietro la sua tranquilla facciata si cela un altro e più inquietante segreto. Uno scenario molto complesso, in cui si muovono personaggi in grado di influire sugli equilibri nazionali e internazionali. Malgrado la volontà di lasciarsi definitivamente alle spalle un passato fatto di morte e di violenza, anche questa volta Stone dovrà fare appello alle sue doti di ex militare, e al supporto di tutto il Camel Club, per sventare i disegni criminosi e le oscure manovre che interessano le più alte sfere dell'intelligence e delle istituzioni governative.

casa editrice Mondadori: http://www.mondadori.it/libri/index.html

"Mix di pathos, avventura, cattiverie e buoni sentimenti, come sempre in David Baldacci. Leggi curiosa e e sai che non devi fermarti a pensare"

di Lorenza Pizzinelli da Gioia n. 20 (2009), p. 83

Cani da guardia di Baldacci David, 2009, 381 p., rilegato, traduzione a cura di Lamberti N., Editore, Mondadori (collana Omnibus)

martedì 19 maggio 2009

WALTER SITI, IL CANTO DEL DIAVOLO (RIZZOLI, COLLANA 24sette). Rec. di Silla Hicks

Premetto: sono eterosessuale. Ho sempre amato le donne, da quando mi sono accorto che esistevano, o meglio da quando loro si sono accorte che esistevo io. Avevo quattordici anni e tre mesi e dovevo già radermi ed ero solo pochi centimetri meno di adesso, un gigante spaesato che i compagni di classe chiamavano il vichingo, sradicato dal suo tutto, e lei di anni ne aveva trentacinque, ed era amica di mia madre, si chiamava Susanna, un nome da formaggino, gli occhi scuri e i capelli tinti di un biondo che mi ricordava casa.
Mi offrì il primo bacio e la prima sigaretta, una multifilter blu, e mi regalò un quaderno che curasse la nostalgia. Mi faceva piangere e pensare che ammazzarmi fosse l’unica via di fuga che mi restava: quando vorresti morire scrivi, mi disse, puoi farlo in tedesco, e sarà come tornare.
La ringraziai senza crederle: c’è voluta una vita per imparare quanto avesse ragione.
Non l’amavo, perché non ero capace: odiavo tutto, e soprattutto me. Quando cambiammo casa e la persi di vista non feci niente per ritrovarla. Da allora – sono passati più di vent’anni - non ne so più nulla, e mi dispiace, adesso, che lei è uno dei pochi ricordi belli che mi restano, e altre donne –in realtà, soltanto una– mi hanno reso quello che sono. Ma comunque sia – anche adesso, anche così – continuo a credere che un uomo senza una donna non possa avere senso: anche quando ti uccidono, sono la causa prima per cui siamo. L’anello di congiunzione tra l’uomo e dio, o il demonio, che è la stessa cosa, all’altro estremo della scala: in un caso e nell’altro sono loro a portarci in cima o in fondo, loro che ci spingono sulla strada, e che sia quella giusta o quella sbagliata non conta, senza di loro resteremmo immobili, sul ciglio, senza un pretesto per scegliere, e sarebbe infinitamente peggio - peggio anche di questo - non esistere, mai.
Premetto ancora: non ho mai pensato che l’identità sessuale potesse essere liquida, per quanto mi riguarda, almeno. Io sono un uomo, e amo le donne. Punto. Non mi riesce di immaginare qualcosa di diverso, la mia parte femminile è stata la mia donna, e prima di lei mia madre, e adesso, che è successo quello che è successo, mia sorella, con cui divido la casa e tante sere nere, i suoi numeri e le mie parole, la sua motocicletta e la mia motrice, due modi opposti di cercare risposte che miracolosamente completano il puzzle, perché è vero che sono l’altra metà del cielo, sono figlio dell’androgino io, spaccato a metà dal fulmine nel simposio, e cerco la metà amputata che mi manca.
È questa la ragione per cui ci ho messo tanto, a leggere le 205 pagine di questo libro, dalla dedica ai ringraziamenti inclusi: il perché ci ho messo tanto e il perché l’ho capito solo in parte, anche, e questo è un peccato, perché è indiscutibilmente un bel libro, che intessuta in un’ottima guida lonely planet post Naomi Klein sugli Emirati porta una storia d’amore scritta con gli occhi feriti a morte di chi l’amore ha avuto il coraggio di guardarlo in faccia, e sì che ci vuole coraggio ad essere “l’altro”, non si ha niente e non si può chiedere niente, nemmeno di essere amati, perché significherebbe imporre una scelta, e il rischio che significhi la fine anche di quel niente cui si sta aggrappati è fuori questione, e così pazienza se si viene maciullati ogni attimo, ne sa qualcosa il mio amico Giuseppe, che è stato l’amante per anni, e, dio, quant’è bella questa parola, e quanto è tremenda se non si associa a nient’altro, quant’è straziante quando significa solo niente domeniche e niente natale e niente compleanni, solo ristoranti sul mare d’inverno e qualche weekend camuffato da lavoro, guai se lo scopre qualcuno.
È una storia che gronda vita – nel senso letterale: qui e là sgranata, come la vita è, una montagna russa in cui basta un cellulare irraggiungibile a spegnere le luci sul mondo - ed è raccontata bene, in una lingua zeppa di riferimenti quanto più cerca di destrutturarsi nel gergo, sudore di uno scrittore vero, cui riesce senza sforzo quello che chiunque provi a scrivere sogna, fare buio in sala e proiettarti ogni riga nel cervello, finchè non sei lì, nel bel mezzo della pagina che ti viene incontro e senti, finalmente, il profumo dei gladioli e le grida dei russi che giocano a pallavolo in piscina e tutto il resto, anche il sapore del risotto con asparagi e tartufi, e sopra ogni cosa il dolore dell’amore che non riesce a ritagliarsi una stanza tutta per sé nella vita di ogni giorno, che è confinato alla vacanza, al ritaglio, nessuna certezza del domani.
Tutto chiarissimo, so cosa sia, cercare di comprare quello che può essere solo un regalo,io che nel 2000 avevo 35 milioni di debiti (e ci tengo a sottolineare che proprio allora tornammo assieme, quando non potevo offrirti nient’altro che me, a riprova che ci sono cose che non hanno prezzo, né possono averlo, e com’è andata a finire è un’altra storia).
Ma questo libro è una lettera d’amore – sussurrata nelle prime pagine, a voce così bassa che ti chiedi se hai capito bene, così rileggi, finché non ti rassegni – e poi urlata – senza nessuna forma di discreta censura, e sì che Lui è sposato, e cerca ai bazar un posacenere da regalare alla moglie – per Massimo e il suo lessico romanesco e il suo perizoma da culturista, cui lo scrittore regala una vacanza superlusso per ricompensarlo di esistere, prima di immergersi in un viaggio solitario e necessariamente low cost oltre l’ologramma di una terra fabbricata con il Lego, alla ricerca della sua anima e della propria, entrambe perse, l’una soffocata dalla plastica di sogni faraonici e l’altra dal suo amore clandestino.
E purtroppo, malgrado i trentasette anni e i forse trentasettemilioni di chilometri che ho alle spalle, l’unico modo che ho avuto di decodificarlo è stato trasformare Massimo in Marina, farne un adattamento che mi fosse comprensibile, e necessariamente questo ha significato semplificare, distorcere, e molta parte del tutto mi è rimasta oscura.
Me ne scuso, non è rifiuto del diverso, no, è una vita che sono diverso in quasi tutto, sono mancino, e zero negativo, e porto il 47 di scarpe e ho capelli e ciglia così chiari che sembrano bianchi, ma ci sono cose che vanno oltre quello che posso capire, che hanno strutture e meccanismi che mi sfuggono, e quando succede devo trasformarne l’algoritmo in un simbolismo che mi sia comprensibile, e il risultato necessario è perderne le (probabilmente più profonde) sfumature.
Come questa volta, ed è stato un peccato: di questo libro – gli Emirati restano sullo sfondo – mi è rimasta la sensazione sgradevole del disegno del tappeto impresso sulle ginocchia di Massimo a pag. 34, che è stata un pugno nello stomaco, non mi vergogno a dirlo, per me come per molti uomini (la maggior parte? Questo non lo so. Sono uno solo, io.)
Peccato, davvero. Una storia bellissima, raccontata ancora meglio. Ma sarebbe stato troppo sforzo chiamare Massimo Marina? Troppo sforzo concederci di capire, davvero? Ho trentasette anni e trentasettemilioni di chilometri alle spalle. E chiuso il libro è alla moglie di Massimo, che penso, al suo sorriso quando avrà ricevuto il posacenere, al dolore che non sa di provare, perché, ne sono certo, lei non sa.
Ma poi finalmente capisco, è questo il miracolo vero di un vero libro, la moglie di Massimo nella storia non c’è, non si vede, eppure io l’ho vista, sto pensando a quello che deve aver pensato, sono entrato nei suoi panni, e magari lei nemmeno esiste, è tutto inventato, ma io la vedo, questa donna che è rimasta a Roma, che ha aspettato che il marito tornasse ed è corsa a prenderlo all’aeroporto, il suo muscoloso marito che neanche saprebbe immaginare carponi sul tappeto del resort che le ha portato in regalo il patchouli e chissà cos’altro comprato nei suk che visitava con il suo amante di sessantadue anni, chissà le balle che le ha raccontato per coprire tutto, e vorrei gridarlo, dirglielo, e prendere lui per il collo, anche, so cosa vuol dire essere traditi, e non credo che il dolore che si prova sia in relazione con chi.
Così, finalmente capisco, istintivamente ho scelto da che parte stare, sono entrato nella storia, ed è questo che conta. Che molto, moltissimo mi sfugga dei meccanismi di cui parla non è più importante, il fatto è che ci sono entrato, e questo è tutto.
È questo il miracolo vero di un vero libro.
E questo è un vero libro.
Avrei preferito che Massimo fosse Marina, sì.
Sarebbe stato più facile leggerlo. Ma è un vero libro, e il resto, gli Emirati, il perizoma e il tappeto, sono dettagli. Non conta di quali io – lettore, maschio, trentasettenne, eterosessuale, camionista, italotedesco - avrei volentieri fatto a meno.

AVREI PREFERITO MARINA
...

(WALTER SITI, IL CANTO DEL DIAVOLO, 2009, RIZZOLI MILANO, COLLANA 24sette)

Il libro del giorno: L' incantatrice di Firenze di Salman Rushdie (Mondadori)

Un misterioso viaggiatore dai capelli biondi arriva a Sikri, sede della corte Mogol, e chiede udienza al sovrano Jalalluddin Muhammed Akbar, detto Akbar il Grande. Lo straniero afferma di venire da una sconosciuta, remotissima città di nome Firenze e di avere una storia tanto meravigliosa quanto veritiera da raccontare: una storia che lega i destini della misteriosa capitale d'Occidente da cui proviene a quelli della discendenza del monarca indiano. Inizia così un racconto che, unendo una pirotecnica inventiva a una minuziosissima documentazione, si snoda tra figure storiche gigantesche, una fra tutte Machiavelli, e vede tra i protagonisti l'enigmatica Qara Koz, "Madama Occhi Neri", principessa destinata a sconvolgere con la sua esotica e rara bellezza la raffinata corte medicea. Quanto c'è di vero nel racconto del viaggiatore, il quale afferma di non essere altri che il figlio di Qara Koz? E se ciò che racconta è vero, che ne è stato della principessa? Non si tratterà invece di un bugiardo che, in quanto tale, merita solo la morte?

casa editrice Mondadori: http://www.mondadori.it/libri/index.html


"Nell'ultimo libro di Salman Rushdie, L'incantatrice di Firenze (Mondadori) c'è davvero tanta Italia, che Rushdie ha iniziato ad amare quando passò mesi felici tra Roma e Firenze, da studente di Storia. Il romanzo vendemmia grappoli di trame e storie inuna lingua lussureggiante, da cantastorie, sebbene decadente dalla cura dello scrittore di letteratura, mescendo la corte dei Medici e quella di Akbar il Grande, imperatore indiano"

Luca Mastrantonio
da Il Riformista del 19/052009 p. 17

L' incantatrice di Firenze di Rushdie Salman
2009, 373 p., rilegato, traduzione a cura di Mantovani V.
Editore Mondadori (collana Scrittori italiani e stranieri)

lunedì 18 maggio 2009

La musica delle pianure di Robert James Waller (Frassinelli). Rec. di Vito Antonio Conte

S'alza un vento freddo che spira forte da Nord-Est. I vetri della mia porta-finestra che guarda sull'hotel di tanti scritti tintinnano, quasi tremano. Come quella mosca, che preannuncia primavera, ch'è rimasta dentro e zampetta verso la luce. “Aspetta Primavera, Bandini”, direbbe il buon caro John Fante... Charlie Parker, col suo “Parker's Mood”, ha amplificato lo struggimento delle ultime sedici pagine del libro che ho appena finito di leggere. In particolare, “Funky Blues” (Hodges, una Jam Session di minuti 13 e secondi 27) ha carezzato un momento che poi vi dirò. Adesso, mentre scrivo, bevo un drink che mi sono preparato con dry gin, acqua, limone e zucchero. Di per sé non è granché, ma le giuste dosi fanno sì che sia quel che serve al mio stomaco e alla mia testa. Aggiungo vizio a vizio, accendendomi un'altra sigaretta, nel mentre le note ora sono quelle di “A Night In Tunisa” di Dizzy Gillespie, ché di jazz ho bisogno ancora. E d'altro, a dio piacendo. Di poc'altro, invero. Un pick-up e una lunga strada sterrata che scollina tra orizzonti perduti. Punti di vista. Lui, l'autore del libro di cui sopra, intanto, di già vive in un ranch sperduto tra le montagne del Texas... Anni fa ho letto “I ponti di Madison County” (e, tempo dopo, visto l'omonimo film con Clint Eastwood e Meryl Streep), poi “Valzer lento a Cedar Bend” e “L'ultima notte a Puerto Vallarta”. Altre strade sterrate, lo stesso pick-up. L'avrete capito, parlo di Robert James Waller, che stavolta mi ha rubato qualche settimana con “La musica delle pianure” (titolo originale “High Plains Tango”, pagg. 366, Frassinelli Edizioni, Collana I Blu, trad. di Alessandra Petrelli, € 19,50). La storia si presta a un'altra trasposizione cinematografica, non tanto per i dialoghi (scarni e essenziali), che necessiterebbero di una buona sceneggiatura (e, per questo, quelli del libro sono di ottima fattura, restando fedeli alla scrittura propria di un romanzo), quanto per la singolarità del protagonista, anzi dei personaggi che questa storia fanno vivere e pulsare, ognuno con la sua personalità alquanto ai margini di quel che quotidianamente si vede in giro per le frenetiche strade del falso vivere: di quello reale e di quello virtuale della televisione. La forza dei personaggi, infatti, è tale che l'avvertenza circa l'opera di fantasia vale soltanto per chi non sa vedere oltre quello stupido vivere. E non mi ripeterò dicendo che la fantasia -spesso- supera la realtà e -a volte- l'anticipa. C'è che, in questa gran confusione generata tra commistione insulsa di quotidianità (fatta sempre più di passi pesanti e sguardi spenti) e reality “dituttitipi” (che mal-educano al tutto e subito, dove tutto sta per niente e subito sta per in culo al resto), poco spazio resta alla fantasia, quella ch'è sogno coltivato con progettualità rinunce pazienza entusiasmo sacrificio competenza gioia e sudore e che -piacendo a qualcuno- puoi -in fine- toccare e far toccare. E ch'è destinato a restare nel Tempo. Questo libro inizia (vedi un po' il caso) con un pick-up, il cui conducente lascia il nastro d'asfalto di una statale del cazzo degli Stati Uniti d'America e imbocca una strada sterrata in cerca di un luogo possibile, di un posto dove sia ancora possibile, di un angolo dove sia possibile... VIVERE. Senza i rumori della vita imposta dal consumismo. Senza i rumori della vita imposta dalla televisione. Senza i rumori della vita che non è vita. Carlisle è uomo del nostro tempo che vuole uscirne. È mastro carpentiere, con una laurea presa per far piacere a sua madre, che ha vissuto l'assenza di un padre e che ha lasciato qualche ricordo in qualche donna che l'ha lasciato o che lui ha lasciato, ché così doveva andare. Deve tutto (o quasi) a Cody Marx, dal quale ha appreso l'arte di costruire una casa con la lentezza ch'è madre dell'attenzione e prossima congiunta del sempiterno. Ch'è poi l'arte di vivere una vita assaporandone in pieno il gusto. Nel bene, come nel male. Il luogo è quello che non esiste. “È qui, in una città chiamata Salamander, che approda Carlisle McMillan... alla ricerca di un luogo di pace in mezzo all'implacabile ruggito del progresso. E, stregato dai mille suoni che il vento porta con sé, voci antiche di flauti e tamburi, di fantasmi di popoli, decide di fermarsi”. E qui, tra leggende pellirosse che ancora si muovono di notte tra le fiamme di un fuoco acceso sull'altura del Wolf Butte nella danza di una donna come se ne può incontrare (se va bene!) una in tutta un'esistenza e negli occhi di un vecchio indiano (di quelli che nemmeno se va bene puoi incontrarne ancora) e bieca ignoranza del passato che non ti fa stare nel presente e ti fa vedere nel futuro quel che altri vuole che tu veda, accade che incontri un universo di uomini e donne che camminano senza lasciare impronte e poc'altri uomini e donne che delle tracce del cammino continuano a fare motivo di lotta per affermare quella possibilità di cui dicevo sopra: quella che ti fa sentire ogni respiro: proprio e altrui. Quella che porta alla condivisione di sé con l'altro e con lo spirito della Terra. Quella che è difficile fuori da un romanzo, ma che un romanzo può ricordarti che da qualche parte c'è se hai ancora voglia di trovarla. E non vi dirò della polvere che bisogna ingollare per cercarla. Né vi dirò d'altro. Né, soprattutto, di tutti i veleni che ci uccidono e uccidono questa Terra. E di chi li sparge sotto, intorno e sopra le nostre teste. E, fuor di metafora, basta guardarsi intorno... e non cado nello scazzo che tali pensieri mi danno, ché sennò ci vado pesante un'altra volta e poi non mi pubblicano... che le invettive bisogna calibrarle... In questo libro c'è anche questo. E altro. Ora, io non so se Waller è un gran paraculo che ha capito come fare i soldi per starsene nel suo ranch nel Texas alla faccia di chi, come me, compra e legge i suoi libri, ma so che, una volta ancora, ha toccato quella corda che allenta ogni controllo fino a liberare le mie lacrime: è successo a pagina 355, intanto che il vento batteva forte sulla mia porta-finestra e una mosca preannunciava la primavera. Sarà anche colpa sua? Della primavera, intendo. Non lo so. Provate a leggere questo libro. Adesso posso fare altro: tipo: cercare il mio pick-up.
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Il libro del giorno (anteprima): MARC FUMAROLI, Chateaubriand. Poesia e terrore. (Adelphi)

Nell'Ottocento i viaggiatori di lungo corso non dimenticavano di portare con sé una biblioteca portatile, che trovava posto in una cassa opportunamente attrezzata. Si può dire che questo volume di Marc Fumaroli è l'equivalente moderno di quei cofanetti preziosi, in vista dei quali gli editori pubblicavano, in formato adeguato, apposite collezioni di titoli antichi e moderni. Ciascuno dei suoi capitoli, infatti, può essere letto come un'opera autonoma, che ci offre il vivido ritratto di un grande autore classico (Milton, Rousseau, Madame de Staël, Byron, Tocqueville, Baudelaire, Conrad, Proust), di un poeta misconosciuto (Louis de Fontanes, Pierre-Simon Ballanche), di un personaggio che ha lasciato una traccia più o meno vistosa nella Storia (Napoleone, Talleyrand, Pauline de Beaumont,Madame Récamier), indagati tutti con la consueta, magistrale capacità di penetrazione. E tutti legati gli uni agli altri dal rapporto - ravvicinato o a distanza - con Chateaubriand e la sua vicenda umana, dipanatasi attraverso quel «secolo delle rivoluzioni» di cui egli fu testimone e attore, nonché interprete e narratore nel suo capolavoro, le Memorie d'oltretomba. «Questo libro non è una biografia di Chateaubriand» avverte Fumaroli in apertura. «Invita a una traversata della grande tempesta poetica delle Memorie d'oltretomba e del campomagnetico all'interno del quale si è formata». E aderire all'invito significherà, per il lettore, «percorrere il primo planisfero dei conflitti tra modernità e anti-modernità, Lumi e Contro-Lumi, e riconoscervi l'incunabolo del mondo che oggi, un po' dappertutto, si squarcia e ci frana sotto i piedi».

casa editrice Adelphi: http://www.adelphi.it/

"L'appassionante studio che Marc Fumaroli ha consacrato a Chateaubriand. Poesia e Terrore, apparso in Francia nel 2003 e oggi impeccabilmente tradotto da Graziella Cillario per l'Adelphi (pagg.816, euro 55), non ci propone, come sembrerebbe suggerire il titolo, la storia di una vita, bensì quella di un capolavoro. L'illustre studioso vi ricostruisce infatti la genesi intellettuale e poetica delle Memorie d'oltretomba, in tutti i suoi moleplici elementi costitutivi e ne esamina le tematiche - la religione, la tradizione, la memoria, il liberalismo, la democrazia - in una prospettiva di lunga durata"

di Benedetta Craveri
tratto da La Repubblica del 18/05/09 p.33

MARC FUMAROLI, Chateaubriand. Poesia e terrore. (Adelphi)
traduzione di Graziella Cillario pp. 736

domenica 17 maggio 2009

Alda Merini, Cantico dei vangeli (Frassinelli)

Affascinante, provocatorio, sorprendente, il libro più enigmatico della storia dell'uomo, il Vangelo, non ha mai smesso di suggerire domande estreme, talvolta rischiose. La vicenda drammatica di Cristo, la folle bellezza del suo messaggio di amore, appaiono quanto mai attuali sul teatro malato del mondo, oggi così diviso e disorientato da riletture poco scientifiche, forse suggestive, molto mediatiche. Con questo libro dedicato a Gesù e alle figure dei Vangeli, Alda Merini offre un nuovo spunto di riflessione a quanti continuano a interrogarsi sul senso e sul destino della fede. E lo fa, ancora una volta, con versi di altissima potenza espressiva, che evocano con grande forza visionaria i gesti, le parole, i silenzi di Maria, Gesù, Pietro, Giovanni, Maddalena, Giuda, che paiono stagliarsi in queste pagine in una rinnovata verità. Perché nelle poesie di Alda Merini le figure cruciali della tradizione cristiana riacquistano quella tensione emotiva, quella fragilità umanissima - nutrita anche di viltà, dubbi, tradimenti -, e soprattutto quell'intensità poetica e religiosa che la stratificazione delle interpretazioni ha talvolta reso opache.

"Fuggirò da questo sepolcro
come un angelo calpestato a morte dal sogno,
ma io troverò la frontiera della mia parola.
Addio crocifissione,
in me non c'è mai stato niente:
sono soltanto un uomo risorto"


Alda Merini, Cantico dei vangeli, Frassinelli, p.3

Il libro del giorno: Dentro la foresta di Roddy Doyle (Guanda editrice)

Tom Griffin ha dieci anni e vive a Dublino con il fratello Johnny, maggiore di due anni, la loro madre Sandra, la sorellastra Grainne e il padre di lei, che ha sposato Sandra dopo il divorzio dalla prima moglie. Una famiglia allargata come tante, che vive momenti di serenità, ma anche inevitabili tensioni. Grainne in particolare è una ragazza difficile, dall'adolescenza turbata, che deve fare i conti con il dolore di essere stata abbandonata da piccola dalla madre, trasferitasi in America subito dopo la separazione. Ma ora la donna ha deciso di tornare in Irlanda, per incontrare la ragazza, e Sandra ha pensato che sia meglio lasciare sole madre e figlia in questo difficile incontro: perciò ha organizzato un viaggio-avventura in Finlandia per i suoi ragazzi. Spostamenti in slitta con i cani, allestimento del campo per la notte: per Tom e Johnny la vacanza è un paradiso, finché la madre, una sera, scompare tra le nevi, e saranno proprio loro a doverla cercare...

"Dentro la foresta è la storia coinvolgente di madri 'perdute' e 'ritrovate' grazie all'aiuto dei propri figli. Roddy Doyle, l'autore del romanzo, descrive il mondo degli adulti con grande modernità: genitori spesso fragili e insicuri, il cui amore a volte non è sufficiente a comprendere i cambiamenti e le esigenze dei propri figli".
di Antonella Luna tratto da Leggere Tutti n.39 maggio 2009, p. 49

casa editrice Guanda: http://www.guanda.it/

Dentro la foresta di Doyle Roddy 2008, 208 p., brossura
traduttore, Zeuli G., Editore Guanda (collana Narratori della Fenice)

sabato 16 maggio 2009

I diari del diavolo, di Lucifer D. Satan (De Agostini)

Ce ne siamo accorti un po’ tutti come vi sia una proliferazione di volumi, libriccini e riviste che in maniera confusa e volutamente ampollosa (per mantenere in piedi la favola di una cultura altra, per pochi eletti) tratta argomenti come angeli e demoni, esoterismo, magia bianca e nera, satanismo e affini, spesso con fare sensazionalistico, ammiccando ovviamente al mercato, anzi ad una buona fetta del mercato editoriale i cui utenti sono ogni giorno di più affascinati dal mistero e dall’occulto. Alla base di tutto, anzi nelle retrovie di tali pubblicazioni, e se volessimo addentrarci in un ambito più strettamente metafisico e teologico, alle fondamenta di questa realtà, pare esserci un personaggio ( forse preda di un delirio zoo-antropico dal momento che si fa raffigurare in molte occasioni metà capro metà uomo) che sembra tenere in mano le redini di questo mondo sempre più malvagio, sempre più confuso. Una figura il cui nome, solo a pronunciarlo fa accapponare la pelle: Satana. Satana [sà-ta-na] (שָׂטָן Ebraico Satan, Latino Sátanas, Ebraico tiberiense Śāṭān; Aramaico שִׂטְנָא Śaṭanâ; ﺷﻴﻄﺎﻥ Šayṭān: "Avversario"; "accusatore") è l’angelo, il demone, incarnazione del principio del male supremo, in contrapposizione a Dio, principio del sommo bene. Satana è anche noto come il Diavolo (dal latino Diábolus, -i e dal greco antico Diabolos, -ou, cioè "Colui che divide") per eccellenza , il Principe delle Tenebre, il Principe di questo Mondo, il cui nome è declinato in diversi modi: Belzebù (definizione traente origine dal nome dalla divinità fenicia Baal, e la cui traduzione letterale è "Signore delle Mosche"), Belial, Mefistofele o Lucifero (dal latino Lucifer, cioè "Portatore di luce"), Mitricoleon poiché, secondo un'antica tradizione ebraica, si fa piccolo con i grandi e grande con i piccoli. La De Agostini, immette nel circuito editoriale italiano, un libro che dal titolo già fa venire l’acquolina in bocca, agli amanti del genere: “I diari del diavolo” di Lucifer D. Satan, trascritti dall’esimio (non si riesce a capire se esista veramente o meno) prof. M. J. Weeks ordinario di Antropologia Teologica Comparata all’Università di Milton Parva, il quale scrive nell’introduzione: “ A volte nel corso delle loro ricerche, gli accademici come me hanno l’incredibile fortuna di imbattersi in manoscritti o manufatti di incredibile valore. Io ho avuto il privilegio di fare la più grande scoperta di tutti i tempi: quella dei manoscritti perduti di Satana, il Principe delle Tenebre”. Ora l’autore ancestrale (Il Maligno) di questi manoscritti si dipinge come un uomo d’affari a capo della Satan Corporation, fondata ancora prima del Big Bang e le cui azioni soprattutto oggi in tempi di recessione sono alle stelle. Alcune sue creature, figli prediletti, nel corso della Storia sino ad oggi sono stati Charles Manson, Lucrezia Borgia, Adolf Hitler, Celine Dion, Richard Bruce Cheney, Monica Lewinsky. Alcune prodotti della Satan Corporation? La Microsoft, il cellulare, la Bomba H. Un piccolo consiglio naturalmente va dato a quanti vorranno spendere questi dodici euro (spesi bene per qualche dannato e meritato momento di relax) del prezzo di copertina: leggete e firmate il contratto apposto nelle prime pagine del volume … non si sa mai, meglio tutelarsi in anticipo!

I diari del diavolo, di Lucifer D. Satan, De Agostini, pp. 162, euro 12

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