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domenica 6 settembre 2009

Papier Mais di Francesco Randazzo (Fara editore): Il nano

Il nano eseguì una volèe straordinaria, saltò con l’incredibile elevazione di un metro e mezzo, stese il braccio e con la racchettona intercettò il pallo netto dell’avversario, sparandogli la palla giusto in mezzo agli occhi. L’arbitro gridò: “Match!”. I raccattapalle entrarono di corsa in campo reggendo una barella. Il pubblico del Foro Italico era immobilizzato nel silenzio, col fiato sospeso. I raccattapalle staccarono la palla conficcata nel bel mezzo degli occhi dello sconfitto, la deposero sulla barella ed uscirono di corsa, perché non esplodesse in campo. Non appena scomparvero, il pubblico finalmente eruppe in applausi e urla di gioia. Non si udì l’eplosione ovattata nei sotteranei blindati. Il nano vittorioso e saltellante, scavalcò la rete ed andò a stringere la mano dell’esanime avversario. Poi alzò le braccia e correndo si mostrò alle telecamere ed ai flashes dei fotografi. Aveva vinto il torneo. Per un anno ancora sarebbe rimasto il campione. Il pubblico cominciò a defluire ed infine il campo fu deserto. Spensero le luci.
Il cadavere dello scimpanzè fu lasciato a marcire fino a che non rimase soltanto la carcassa ischeletrita.
L’anno successivo, si svolse una nuova edizione del Torneo Internazionale di Tennis ad eliminatorie mortali per categorie subumane, di Roma. Nessuno si ricordava più dello scimpanzè, ma anche quella volta il nano trionfò, uccidendone molti per il bene della società della razza superiore. Dieci anni dopo erano morti tutti i subumani. Allora il Presidente ordinò che uccidessero anche il nano. Fu prelevato da casa sua, una mattina all’alba. Non lo vide più nessuno. Si dice che prima di essere sopraffatto ed ucciso, fosse riuscito a smembrare a morsi tre agenti della Polizia Etnica. Ma forse è solo una leggenda, che noi subumani superstiti ci raccontiamo per consolarci un po’, nel buio delle fognature dove viviamo in clandestinità e paura.

Tratto da: «Papier Mais», racconti su foglietti, Fara Editore, 2006

Un avvertimento al Lettore. Non fare l’errore - comune a tanti, in tempi in cui il contenuto del libro viene misurato nel numero di pagine - di interpretare il genere scelto dall’Autore - il racconto breve - come un tirarsi indietro di fronte ad un struttura più complessa. Nella sintesi di Francesco c’è tutto il sudore di chi riesce a concentrare in poche righe un senso ben più ampio e profondo. Una lotta già combattuta con successo da Autori del calibro di Dick e Ballard. Vi dirò la verità: ho invidiato l’Autore, per quella capacità di mantenere intatto il gusto per la Parola in poche illuminanti righe. E mai il senso di invidia è stato così costruttivo.(Stefano Martello)

Francesco Randazzo è regista e scrittore, soprattutto
di teatro. Ha pubblicato, con vari editori, testi teatrali, poesie, racconti e un romanzo. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi di drammaturgia e festival nazionali e internazionali.
Sito: www.myspace.com/ozarzand

Il libro del giorno: Il lupo e il filosofo di Mark Rowlands (Mondadori)

Mark Rowlands, giovane e inquieto docente di filosofia in un'università americana, legge per caso su un giornale una singolare inserzione, si incuriosisce e risponde. Qualche ora dopo è il padrone felice di un cucciolo di lupo, a cui dà nome Brenin ("re" in gallese antico). Per undici anni, sarà lui la presenza più importante nella vita del professore, che seguirà ovunque: assisterà alle sue lezioni acciambellato sotto la cattedra, incurante degli iniziali timori e del successivo entusiasmo degli studenti, ne condividerà avventure, gioie e dolori, lo accompagnerà nei suoi spostamenti dall'America all'Irlanda alla Francia, dove Mark si trasferisce dopo aver troncato quasi ogni legame con i suoi simili. E sarà, soprattutto, una fonte continua di spunti di riflessione e idee filosofiche perché, contrariamente allo stereotipo che ne fa un emblema del male, della ferocia, del lato oscuro dell'umanità, il lupo è per Rowlands metafora di luce e di verità, la guida per un viaggio interiore alla scoperta della propria più intima e segreta identità: "Il lupo è la radura dell'anima umana ... svela ciò che rimane nascosto nelle storie che raccontiamo su noi stessi". La sua natura selvaggia e indomabile, infatti, rivela a chi gli sta accanto un modo di vivere e di fare esperienza del mondo non solo radicalmente diverso da quello degli uomini, ma forse anche più autentico e appagante perché immune da doppi fini, da ogni atteggiamento di calcolo e manipolazione.

"Il lato scimmiesco di noi umani, dice Rowlands, è quello utilitaristico basato sulla macchinazione e l'inganno. Ma addormentato in noi c'è anche il lupo, che ci propone un patto fondato unicamente sulla reciproca lealtà".

di Franco Marcoaldi tratto da L'Almanacco dei Libri de la Repubblica del 5/08/09 p. 40

AUGURIO AL SECOLO STATO di Nunzio Festa












io invece ho dato
un pizzicotto
all'ultimo quinto di novecento


a fine scolatura
in pieno post mietitura
della più forte azione generale
generazione alluvionale
sleale

(dal midollo dei paesi)
loro che quasi tutti presidente


donne e uomini d'un tentativo: rotto


Nunzio Festa è nato nel 1981 a Matera, dove attualmente lavora. Risiede a Pomarico (MT) con la sua compagna. Poeta, narratore, critico; lavora nel campo dell'editoria ed è collaboratore giornalistico. Collabora, inoltre, con siti internet, riviste e quotidiani. Suoi articoli, poesie e racconti sono stati pubblicati su riviste e in varie antologie.Nel 2004 ha pubblicato la sua prima silloge poetica E una e una, mentre nel 2005 la sua prima raccolta di racconti Sempre dipingo e mi dipingo. Diversi i riconoscimenti ricevuti. Nel 2006, il racconto breve "Da dentro la materia" è entrato a fare parte dell'antologia Storie d'acqua dolce (Eumeswil Edizioni). Nel 2007, la silloge poetica "Deboli bellezze" è entrata a far parte della collana curata da Silvia Denti, I quaderni Divini. Nel 2008 ha pubblicato racconti e poesie per diverse case editrici, fra le quali Giulio Perrone editore, LietoColle.

sabato 5 settembre 2009

Voglio dirti di Gianni Tursi (Besa editrice)

Gianni Tursi, giornalista e manager, scrive un libro accattivante e denso, che si lascia apprezzare in ogni sua pagina. Parliamo di “Voglio dirti” edito dalla salentina Besa editrice. In questo libro si parla dell’amore in una Milano (anni ’90) degli affari, spietata, veloce, e superficiale. Il protagonista è il “Dottore”, un ricco squalo della finanza, amato e osannato da tutte le donne, il cui fascino risiede soprattutto in quello sguardo triste e malinconico, da uomo che nella vita sentimentale non ha trovato mai pace, perché in pace con se stesso non lo è mai stato per colpa di quell’eterna corsa nel bruciare i traguardi di una carriera fulminante. E Milano non poteva che essere la città ideale per ambientare una storia come questa, dove l’imperativo categorico del “succesfull living” (con tanto di bella vita, macchine di lusso, campi da golf, e amicizie più che facoltose e più che griffate da Versace in poi) riesce a neutralizzare il tempo della riflessione e della vita. Infatti il “Dottore” si lascia più trascinare dalle amicizie erotiche, come le ama definire, con donne che hanno la vita di un giorno e di una notte, anzi per la precisione una deriva, come scelta esistenziale, del lasciarsi amare piuttosto che amare in presa diretta, come una possibile via di fuga da impegni che il protagonista non può certo assumersi: forse felicemente sposato, forse già padre … In un crescente incalzare di eventi si scoprono le trame e le vite di personaggi, si colgono gli intrecci di amori e situazioni, di rapporti tra uomini, donne, mariti, fidanzati, amanti dove vige nella maggior parte dei casi la legge del 3: ovvero del triangolo amoroso. Non trovo difficoltà a definirla una storia che tiene imprigionato il lettore sino alla fine, che in più di qualche suo passo lascia con il fiato sospeso, e che toglie il fiato il più delle volte: il tempo non basta mai, mai e poi mai e i dialoghi e le relazioni umane, come il più delle volte accade in percorsi esistenziali di questa tipologia, corrono sul filo di e-mail, fax, sms. Fondamentalmente il libro è uno spaccato del mondo della finanza a Milano, intriso di yuppismo, avidità e forse un pizzico di amoralità. Il protagonista è un degno erede del rampantismo degli anni ottanta, che idolatra il libero mercato e ne sfrutta le più evidenti incongruenze. È un tipico "self-made man", che si è fatto largo nella giungla della vita, in modo duro e spietato, il tipico “predator”dell'alta finanza, un uomo che vuol essere “larger than life” ma che potrebbe decantare Sun-Tzu come vademecum nella vita e negli affari.

venerdì 4 settembre 2009

Il libro del giorno: Sofia 1973, Berlinguer deve morire (Fazi editore) a cura di Giovanni Fasanella e Corrado Incerti

Il 3 ottobre 1973, al termine di una burrascosa visita ufficiale in Bulgaria, Enrico Berlinguer, da un anno emezzo appena segretario del Pci, ebbe uno strano incidente stradale. Mentre si recava all’aeroporto di Sofia per rientrare in Italia, proprio su un cavalcavia, la sua auto venne investita da un camion carico di pietre. Un provvidenziale palo della luce impedì che la macchina precipitasse dal ponte. Berlinguer se la cavò con qualche graffio, ma il suo interprete morì sul colpo e gli altri passeggeri, due altissimi esponenti del Pc bulgaro, rimasero gravemente feriti. Rientrato in Italia, il segretario del Pci rivelò i suoi sospetti alla moglie Letizia e a un dirigente del partito, il senatore Emanuele Macaluso: non era un incidente, ma un attentato organizzato dai servizi bulgari per conto dei sovietici. Sul’episodio calò subito il segreto. E soltanto 18 anni dopo, nell’autunno del 1991, Macaluso decise di rompere il silenzio rilasciando una clamorosa intervista a Panorama. Ci furono polemiche e smentite da parte di molti dirigenti del vecchio Pci. Ma la vedova di Berlinguer, la signora Letizia, confermò la tesi di Macaluso. Due cronisti di Panorama, Giovanni Fasanella e Corrado Incerti andarono in Bulgaria per indagare e pubblicarono sul settimanale i risultati delle loro ricerche. Qualche anno dopo, quell’indagine, arricchita di nuovi importanti particolari venne pubblicata in un libro: “Sofia 1973, Berlinguer deve morire”, uscito dalla Fazi editore nel 2005. Fu un incidente o un attentato? E soprattutto, chi era Enrico Berlinguer, quali conseguenze poteva provocare la sua politica nei delicati equilibri internazionali dell’epoca? Ripercorreremo insieme il filo di quell’inchiesta.

"Fasanella e Incerti sono andati a indagare in Bulgaria. E hanno raccolto una serie di indizi che giustificano ampiamente i sospetti"
(Indro Montanelli, "il Giornale", 11 novembre 1991)


"E’ un vero thriller politico, vero perché fondato su fatti realmente accaduti e qui ampiamente documentati"
(Giovanni Valentini, La Repubblica, 4 giugno 2005)


"L'intera storia del Pci dovrà essere riconsiderata alla luce di queste rivelazioni(...)Oggi non possiamo più dubitare si volesse uccidere Berlinguer(...)Gli autori del libro sono stati bravissimi nel raccogliere informazioni e prove"
(Piero Melograni, Il Sole24ore, 19 giugno 2005)


"Il libro si fa leggere con la tensione, e la passione, di un thriller politico. La documentazione è ricca e densa, se non di prove, di indizi inquietanti, la scrittura è incalzante: lascio volentieri al lettore il piacere di scoprirle"
(Paolo Franchi, Corriere della Sera, 2005)


"Un libro asciutto e denso di fatti"
(Massimo Caprara, il Giornale, 11 luglio 2005)

Quadrilogia del moto verticale. Intervento di Antonio Meucci















Per me il linguaggio è tutto, tranne Dio. Volevo realizzare qualcosa che avesse una consistenza metafisica, misteriosa ed è per questo che i personaggi della Quadrilogia del Moto Verticale non pronunciano parola. In questo senso, l’influenza estetica più forte è stata quella di un altro cortometraggio, Film (1964) di Samuel Beckett. L’idea primigenia prende spunto da quattro frasi-aforisma che a partire dal 1995 catturano la mia attenzione. La scommessa è quella di tradurle in quattro brevi sintetici filmati, trasferire così un concetto, dalla parola scritta all’immagine in movimento, senza la ridondanza di alcun dialogo. Le frasi in questione arrivano dall’artista Merz “se la forma scompare la sua radice è eterna”, dallo scrittore Guénon “ciò che è dissipazione nella sostanza è una condensazione nell’essenza”, dall’astronauta Gagarin “vista dallo spazio la terra è blu” e dal filosofo Von Hofmannsthal “la profondità va nascosta. Dove? Alla superficie”. Per ciascun episodio della quadrilogia il "movimento verticale" segna lo scarto da un'iniziale consuetudine ad un evento imprevedibile, così avviene con la caduta di gocce d'inchiostro - Trans, con l'affiorare dei colori dal fondale del mare - Opera al Rosso, con l'alternanza della segnaletica luminosa di un semaforo - L’inizio di una via, con la lettura di alcuni fotogrammi organizzati secondo la struttura di un cruciverba - L’enigma della mia Settimana. La realizzazione di questo lavoro sperimentale dura quattro anni (1995-1998), viene lievemente rimaneggiato 10 anni più tardi, senza pur toglierne il carattere analogico del suo tempo. Quelli erano anni in cui si sperimentava alla cieca. I mezzi erano poveri confrontati con quelli di oggi. Mi sento di appartenere a quella generazione di filmmaker che ha iniziato a far palestra-video con l’idea poi di approdare un giorno alla pellicola 35 mm. Sta di fatto che la mia generazione col video ci si è incallita, vista l’imprevedibile rivoluzione della tecnologia digitale. Quadrilogia del Moto Verticale è il mio esordio, era l'unica maniera con cui avevo voglia di iniziare a fare cinema.
Io cerco un cinema del silenzio. Ci sono cose che “non sono più” se le si fanno “essere” dicendole… tentiamo allora con le immagini.

LE SINOSSI DEI QUATTRO EPISODI


Trans (ep. 1)


Un vecchio, seduto ad un tavolo, legge un libro. Terminata la lettura, estrae da un cassetto dei lunghi chiodi. Si avvertono dei colpi, poi il silenzio. Il vecchio si alza, va via, lasciando il libro trafitto al tavolo. Le punte dei chiodi cominciano a gocciolare inchiostro. Il liquido, raccolto da un recipiente, cresce di livello finché una mano di bambino vi attinge per iniziare a scrivere su dei fogli bianchi sparsi a terra.

Opera al Rosso (ep. 2)


Nei fondali del mare vive un pittore. Durante l’esecuzione di un quadro, si accorge della difficoltà nel fissare il colore sulla tela: il nero, infatti, si stacca e si diluisce nell’ambiente acquatico. Il pittore non rinuncia e riprova con un altro colore, il rosso, ma anche questo tentativo risulta infruttuoso. Intanto (a sua insaputa?) i colori salgono in superficie combinandosi sullo specchio d’acqua secondo il disegno che era nelle sue intenzioni.

L’inizio di una Via (ep. 3)


Notte fonda. Un uomo, a bordo di un Ape 50, viaggia per le strade di una città. Dopo un lungo e ininterrotto tragitto, trova un semaforo che lo costringe a fermarsi. L’uomo attende all’incrocio finché il semaforo diventa blu.

L’enigma della mia Settimana (ep. 4)


Nei cruciverba ci vogliono delle parole orizzontali per creare delle parole verticali. Le verticali sono dei fili invisibili che mettono in comunicazione parole tra loro lontane per intenzioni e per significato. Alla stessa maniera si può strutturare un cruciverba per immagini: si mettono tante “strisce” di sequenze filmiche una sotto l’altra, parallele, per poi provare da un fotogramma di quella più in alto a scendere verticalmente, creando una nuova enigmatica sequenza filmica


Antonio Meucci, regista pisano, romano di adozione, collaboratore - nel passato più recente - di trasmissioni televisive quali Chi l’ha visto? e La Macchina del Tempo, ha all’attivo numerosi commercial e documentari. Con Quadrilogia del Moto Verticale viene selezionato al B.J.C.E.M. di Torino (1997), al N.I.C.E. Festival di New York e San Francisco (2000) e premiato in numerosi festival nazionali. Con Saluti da gli viene conferito il primo premio al festival Videominuto Pop Tv di Prato (1999). Negli ultimi anni ha avuto molteplici collaborazioni col regista cinematografico Eugenio Cappuccio (ex assistente Fellini) e col produttore Roberto Gambacorta (Riofilm). Dal 2005, parallelamente al suo lavoro di regista, si occupa di didattica cinematografica presso le scuole medie superiori e presso le strutture sociosanitarie. In cantiere, tra le altre cose, un cortometraggio di animazione ispirato ad un film di Truffaut e un video-happening con i Radiohead.
E’ in cerca di sponsor per la realizzazione del suo primo film lungometraggio.

http://www.antoniomeucci.it/

giovedì 3 settembre 2009

Anteprima: Lovesickness di Michele Caccamo a ottobre per Gradiva Publications



"e ci riusciremo
senza altro amore
altra equivalenza
senza aspettarci nulla
campati lontani
in una tolda di gelo
a baciarci
con una bocca trasparente
un accordo nelle mani"

Lovesickness (Gradiva publications N.Y.) Ott. '09

L’Islam in Italia di Roberto Muci (Congedo editore). Rec. di Angelo Petrelli

















È pensiero comune nell’occidente democratico che per risolvere il problema del terrorismo sia essenziale il dialogo con l’Islam, in particolare con quello “moderato”, approfondendo la conoscenza storica della religione musulmana. Proprio perché l'ignoranza è terreno fertile per i fondamentalismi, per lo scontro tra le culture e per l’odio, la pubblicazione del saggio “L’islam in Italia” di Roberto Muci è stata fortemente voluta dall’istituto di culture mediterranee della Provincia di Lecce. Il volume, edito da Congedo (pp. 430, 60 euro), ha per sottotitolo “Profilo storico e teologico. Possibilità del dialogo interreligioso. Problematiche dei flussi migratori”. Estremamente curato a livello grafico, il testo riporta alla luce delle stupende illustrazioni, dalle serigrafie alle stampe, dagli affreschi alle miniature di edizioni antiche figlie del mondo islamico classico o provenienti da quello delle altre religioni abramitiche, l’ebraismo e il cristianesimo. Le tavole sono poste a corredo della complessa lettura teorica del prof. Muci.
Il testo, illustrando la dimensione storica e teologica dell’Islam (anche riferendosi alle sue comunanze con il Cristianesimo), delinea le tappe di una lettura parallela dei due topoi etico - religiosi. Come in precedenza accennato, il tema del dialogo è al centro di questa trattazione teorica, poiché solo attraverso una comprensione esatta e reciproca le due confessioni, così come i paesi che di queste professano la fede, possono pensare a una comune via che conduca alla pace. Il testo si divide in tre parti, che corrispondono ad altrettante linee programmatiche: necessità di conoscere l’islam; possibilità di dialogo tra cristianesimo e islam; aspetti socioculturali dell’Islam e presenza in Italia. Dando un’occhiata a dati e fatti che ci hanno preceduto, bisogna ricordare che quanto a numero di fedeli sparsi per il mondo, l'Islam (con tutte le sue varianti e divisioni) segue soltanto il Cristianesimo, anch'esso da intendersi nella sua globalità composta di cattolici, protestanti, ortodossi, etc etc. I numeri sono peraltro oggetto di disputa, variando tra il miliardo e 200 milioni e il miliardo e mezzo di devoti. Se in un lontano passato, con “le crociate”, l’occidente si era reso responsabile di continue aggressioni nei confronti del mondo islamico, nel ventesimo secolo, con la dichiarazione “Nostra Aetate” del 1964 il concilio ecumenico Vaticano II aveva teso una mano nei confronti dell’Islam, nella speranza che il “dialogo”, invece della contrapposizione, potesse favorire un’evoluzione in senso moderato della religione fondata da Maometto, caratterizzata per un atteggiamento di forte aggressione nei confronti dell’Occidente Cristiano e così della Chiesa Cattolica.
Mezzo secolo dopo, tale storica dichiarazione sembra poca cosa. Le speranze concilianti si sono purtroppo rivelate infondate. Immergendoci nell’attuale, l’islamismo si caratterizza per una tensione sempre più radicale ed espansiva: le minoranze cristiane subiscono spesso persecuzioni pesanti e sanguinose, dall’Arabia Saudita, all’Indonesia, dal Sudan al Pakistan. I musulmani non nascondono le loro mire di conquista sullo stesso Occidente, con proclami, minacce, atti terroristici. Se i modi e le strategie dell’islamismo cosiddetto “moderato” differiscono da quelli dell’islam degli integralisti e da quello di matrice terroristica, le motivazioni ultime appaiono le stesse: all’assoggettamento di tutto il mondo all’Islam. Questo saggio del prof. Muci è, al contrario, un tentativo di conciliare delle istanze, quelle cristiane e quelle musulmane, spesso lontanissime.
La prefazione al testo è del Prof. Gino Pisanò, fondatore e direttore della collana di studi sulla civiltà mediterranea πόντος (Pontos), docente di Storia delle biblioteche dell’università del Salento. Nel volume è presenta anche un intervento dalla dottoressa Maria Rosaria De Lumé, attuale presidente dell’istituto di Culture Mediterranee, che con queste parole inquadra il lavoro di Muci chiarendone la motivazione più intima: «Conosciamo l'autore da tempo, ne apprezziamo la profondità degli studi, la passione con cui affronta certi temi, il contributo che la sua ricerca dà allo sviluppo del dialogo interreligioso. Sappiamo bene come i suoi lavori siano apprezzati anche a livello internazionale. Quasi doveroso, quindi, per L'Icm, contribuire a diffondere quelli che sono i principi su cui si deve fondare un dialogo tra culture e religioni: la conoscenza dei problemi, la consapevolezza delle differenze. Due condizioni indispensabili per evitare equivoci che derivano spesso da interpretazioni diverse di una parola identica». Roberto Muci, originario di Maglie, è dottore in Storia del pensiero sociologico presso l’Università di Trento. Tra le sue precedenti pubblicazioni ricordiamo: “Religione e Società contemporanea” (Lecce 2002) e “La dottrina sociale della Chiesa nella scuola dell’autonomia” (Casarano 2003).

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mercoledì 2 settembre 2009

Nadan di Dario Congedo












Si chiama “Nadan” il progetto firmato dal musicista salentino Dario Congedo, vincitore del PercFest Memorial Naco come solista, alla ricerca di un suono sfuggito all’impostazione jazz per approdare ad atmosfere più oniriche che rivelano una straordinaria scelta di campo, una presa di posizione tutta musicale. Lo stile di Congedo, che seppur giovanissimo vanta collaborazioni coi grandi nomi del panorama musicale contemporaneo nonché una formazione che l’ha visto confrontarsi coi maestri statunitensi, sorprende per il precipitato di immagini e luoghi suggeriti dal suo sound che si impone all’attenzione rompendo i canoni concettuali del ruolo standard della batteria e delle percussioni. Un processo di rivelazione che porta lo strumento a un livello più ampio, liberandolo dell’armatura. E’ questo lo spirito che anima i brani inediti eseguiti da “Nadan”:
Giorgio Distante (trumpet, electronics
Raffaele Casarano (alto & soprano sax, electronics)
Marco Bardoscia (double-bass, electronics)
Dario Congedo (drums, electronics)


Il 6 settembre a Lecce, nell’Anfiteatro Romano alle ore 21.00, il quartetto diretto da Congedo, costituirà l’evento speciale nell’ambito dell’edizione 2009 di “Mediterranea”, per l’occasione la formazione ospiterà i musicisti William Greco (pianoforte) e Carla Casarano (voce). Un evento imperdibile, la fusione tra il suono degli strumenti tipici del jazz con l’elettronica live intesa come mood nato dalla sinergia del gruppo.

Creatività e pensiero laterale di Edward De Bono (BUR). Rec. di Maria Beatrice Protino

«Spesso le persone dotate di una grande intelligenza non si rivelano dei buoni pensatori… L’intelligenza è una potenzialità, il pensiero invece è un’abilità»: a sostenerlo è Edward de Bono, scrittore maltese, laureato in medicina e psicologia e noto in tutto il mondo per i suoi studi sulla creatività e sul concetto da lui stesso sviluppato del cd. "pensiero laterale" - ormai entrato in uso nel linguaggio comune e incluso anche l'Oxford Dictionary. Sull’argomento ha scritto moltissimi libri, tradotti in numerose lingue; ha insegnato in prestigiose Università come quella di Cambridge, Oxford, Harvard e Londra e collaborato con aziende del calibro della IBM, della Total, della Montedison, della Coin. Il "Pensiero Laterale" è un insieme di tecniche che permette, dopo un breve addestramento, di iniziare a produrre una notevole quantità di idee.
E' un modo di pensare che cerca soluzioni a problemi che sembrano irrisolvibili attraverso metodi non ortodossi o usando elementi che normalmente verrebbero ignorati dal pensiero logico. Le metodologie avanzate del "Pensiero Laterale" permettono di andare oltre il "Brainstorming" per consentire a chi ne sa fare uso di creare nuove idee. Ma come possiamo produrre idee nuove? Lo studioso distingue due modi di pensare: il pensiero logico o verticale, che ci è stato insegnato sin dai tempi della scuola e che parte da dati certi, da modelli fissati in una sorta di codice e giunge alle sue conclusioni seguendo un procedimento graduale e lineare e il pensiero laterale, che incorpora le proprietà del pensiero associativo e ci invita a dubitare della realtà, osservandola da una diversa prospettiva per trovare soluzioni alternative e stravolgere i vecchi modelli. «Il pensiero laterale è in stretta relazione con l’intuizione, la creatività e lo humor».
De Bono afferma che se si affronta un problema con il metodo razionale del pensiero, si ottengono risultati corretti ma limitati dalla rigidità dei modelli logici. Quando si richiede invece una soluzione veramente diversa e innovativa si deve stravolgere il ragionamento, partire dal punto più lontano possibile, ribaltare i dati, mescolare le ipotesi, negare certe sicurezze e addirittura affidarsi ad associazioni di idee del tutto casuali. Si deve perciò abbandonare il pensiero verticale, cioè quello basato sulle deduzioni logiche, per entrare nella lateralità del pensiero creativo. L'esempio classico di una persona che usa il pensiero laterale è il personaggio di Sherlock Holmes, il detective nato dalla fantasia di Sir Arthur Conan Doyle. La sua straordinaria capacità di trovare la soluzione a problemi altrimenti insolubili era – al contrario di quanto faceva il dott. Watson - dovuta alla sua abilità nell'osservare i fatti di una situazione senza fare presupposti iniziali: egli spezzettava gli elementi di un problema o di una situazione e li riordinava in un modello apparentemente casuale, per arrivare a una visione diversa della situazione e quindi a una possibile soluzione.

martedì 1 settembre 2009

BUNKER BATTE SCARPA 3 A 0 (STABAT MATER di Tiziano Scarpa edito da Einaudi, letto da Silla Hicks )

L’Italia non è il mio paese, no. Ma è quello in cui vivo, anzi quello in cui finora ho vissuto più che in qualsiasi altro, anche più che nel mio. L’Italiano non è la mia lingua, no. Ma è quella che uso di più, che devo usare, se voglio farmi capire. E se voglio leggere, anche, perché i libri in tedesco sono difficili da trovare, e costano cari. Così, quello che è edito in Italia e in italiano è quello che leggo, per lo più. Anche se, quasi sempre, si tratta di traduzioni: di Roth ho solo The Human Stains in inglese, di Palahniuk niente. So che qualcosa manca, perché tradurre è difficile. Ma il grosso, comunque, c’è. In qualsiasi libreria – o bancarella: è lì che compro quasi tutto, alle feste patronali, ai mercatini – si può trovare il mondo. È per questo che non me lo spiego. Voglio dire: se l’Italia fosse una bolla di vetro sigillata dopo Manzoni e la Mazzucco, ok: ci sarebbero ragioni che giustifichino perché Hemingway e Kureishi e Ishiguro ne restano fuori, e tutto resta com’è, non si evolve, non cresce, non si corrompe, insomma: non va da nessuna parte. Perché nel 2009 qui si sia ancora troppe volte fermi, a rileggersi e riscriversi addosso, e questo vale anche quando il risultato è un prodotto garbato, gentile, corretto nella forma e misurato, in una parola difficilmente criticabile, perché non è questo (misurato, garbato, gentile, difficilmente criticabile) che un buon libro deve essere, almeno secondo me, che è vero che non sono un critico né un cattedratico né un cazzo, ma sono uno che legge, per dio, e i libri sono fatti per essere letti, sono fatti per lasciarti qualcosa, non per lasciare tutto – te incluso – com’è già. E per farlo devono tagliare, strappare, lacerare e ferire, devono sradicarsi e sradicarti, portare macchie di sudore e sangue, figli bastardi di un mondo intero per quello che era mentre loro nascevano, tentativi per prova ed errore, specchio di quello che c’è attorno, di quello che c’è stato, e soprattutto di quello che non c’è, ancora.
Vaffanculo al packaging, alle presentazioni, alle prefazioni e ai premi. Queste sono cianfrusaglie, e chiunque abbia provato a scrivere lo sa, e che lo ammetta o no è un’altra storia: sa che è il Mc circo necessario a vendere, ma un libro non è il gadget di un happy meal, dovrebbe essere una finestra, un diario, la cicatrice di un arto che ti è cresciuto mentre dormivi. È ovvio che per scrivere è necessario leggere, e studiare, e lavorare di cesello e tutto il resto, ma questo è cosa diversa che restare sottocosta perché non si ha il coraggio di nuotare al largo. Il mare è lì, e si hanno due braccia e due gambe. Se si resta nell’acqua putrida di alghe, non ci si può lamentare che non si vedano i soffioni delle balene. Così, niente da dire su questo libro, né sulla bella foto in copertina che fa tanto Fabrizio Ferri e i suoi corpi volanti, è scritto bene e si legge con facilità, ci sono ripetizioni di parole e righe che formano il ritmo come un ritornello, una musica, Vivaldi o no non so dirlo, di classica davvero non so niente. E alcune immagini funzionano, il parto nella latrina, i gattini affogati sotto la grondaia, nei punti migliori s’intravede il dolore che dovrebbe permearlo e invece è continuamente smussato, controllato, una partitura senza sbavature, così che il finale è davvero colpo di scena, ma nel senso di cosa assolutamente incredibile e incongrua, non meno di uno sbarco di UFO che cantano we are the world. La fanciulla introversa, timorata, che tranne in un caso (quando cerca di salvare i gattini) si limita e elucubrazioni mai troppo ardite (anche quando dialoga con la propria morte, lo fa gentilmente, e se le propone di ammazzare una suora l’accenna soltanto), la ragazzina grigia che trova conforto solo nel violino e si spaventa dell’embrione di qualcosa che potrebbe provare per il prete musico e ne fugge via, la piccola orfana che ammette di non essere curiosa, che continuamente si autocensura per restare nei confini del decoro che le è stato imposto da sempre, nell’ultima pagina e mezzo si scopre avventuriera travestita da uomo sulle rotte orientali. Fine.
Lo ripeto: è scritto bene. Curato, colto a tratti, qui e lì sprazzi di una Venezia di sangue e nebbia, la scena del mattatoio, uccidere l’agnello per ricavarne dalle budella corde da violino.
Un’educazione – sentimentale e non – che passa attraverso la conoscenza di un mondo violento, dentro e fuori l’Ospitale. Un mondo in cui, prima, i bambini di nessuno venivano affogati nei canali. In cui l’acqua è rossa di sangue. Ma tutto è ovattato, attutito, si scappa lontano dal tanfo e anche le ribellioni sono cerini, mai incendi.
Il parto nella latrina ricorda la nascita al mercato del pesce con cui si apre Profumo (e quella di Leatherface nel mattatoio, ma questo non credo sia un riferimento voluto) ma il resto è una storia di tristezza, non di tragedia. Insomma: la vita è brutta, ma devi prendere le cose come vengono, il motto di Everyman (ma quello è Roth). Certo, non si può pretendere dall’epoca un’eroina cazzuta, incazzata e violenta, una che affondi coltelli nelle suore assassine di gattini e seduca, consapevole Lolita, il giovane prete per diventare grande. Ma Cecilia – nome manzoniano di bimba morta di peste – è così decorosa e timorata e dolce che davvero non si può credere prenda in tutti i sensi il largo. La prigionia nell’Ospitale, poi, i meccanismi di branco che sicuramente c’erano, che ci sono sempre, negli alveari e nelle prigioni e sotto le armi, restano sullo sfondo, se ne sa poco o nulla. Niente risse, né violenze fisiche o verbali, niente di niente. Un cimitero, sì. Il cimitero dei senza nome. E la ricerca della madre stessa resta aspirazione, sogno, illusione. Certo, quando Cecilia getta in mare il pezzo di disegno che doveva essere il suo segno di riconoscimento, quando rinuncia alla speranza di ritrovarla, significa che finalmente ha smesso di cullarsene, che finalmente va oltre. Ma non si capisce dove possa andare, tranne che verso un generico “futuro”. È un lieto fine, sì. Ma resta sospeso, come quello delle favole, e vissero felici e contenti.
Ed è un peccato, era un libro che poteva essere, con un po’ più di coraggio, con un po’ meno attenzione a cosa ne avrebbero pensato/scritto/detto, un po’più fuori le righe e gli schemi, un po’ più sgradevole/duro/vero. Invece di un acquarello, un affresco, tutto lo spazio di un muro e anche oltre, in cui ci fossero rabbia e sofferenza e urla, anche, perché chi soffre e odia grida, non sussurra. Non prega, maledice. E pazienza se sveglia qualcuno. C’è una cosa, di Bunker, che non ha studiato, che è entrato in riformatorio a 8 anni, che scrive da padreterno e ha vinto l’ammirazione di Tarantino, che parla degli stessi temi, l’abbandono e la prigionia e la ricerca di sé, in cui ci sono gli stessi personaggi, il giovane innocente e l’adulto che decide di proteggerlo, che è così. Si chiama Animal Factory, fabbrica di bestie, e finisce nello stesso modo, con l’evasione del protagonista. Ma è tutt’altra cosa, è pugno nello stomaco, ferita di coltello, è sangue vero, non ketchup nell’acqua. È quello che questo libro poteva essere, un capolavoro. Certo, è più sbavato, sì. A tratti, avresti voglia di chiuderlo, perché fa male, fa male pensare che ci siano posti così, dove la vita non conta, dove si è numeri, dove tutto è insozzato, anche l’amore. Dove si uccide e si muore per niente, perché tanto non fotte un cazzo a nessuno. Posti che esistono, quello del libro è un carcere, San Quintino. Ma ci sono anche altri posti in cui si diventa bestie per restare vivi, orfanotrofi, brefotrofi, lager. Posti in cui si è spersonalizzati, privati dell’umanità e di tutto il resto Posti come l’Ospitale doveva essere. Inferni. Luridi, puzzolenti, indecenti, perché se non si è persone non si è più niente che non è corrotto. Nel senso di marcescente. Morto. Peccato. Peccato che in Italia non si abbia il coraggio e l’irriverenza di raccontare. Peccato che si cerchi di scrivere bene. Che ci si fermi sulla soglia. Per non lasciare orme di fango. E vincere premi.

IN DISTRIBUZIONE IL TERZO NUMERO DI «PUGLIALIBRE. LIBRI A KM ZERO»

E’ quasi intereramente dedicato al Festival della Cultura Ebraica in Puglia il terzo numero del magazine gratuito «PugliaLibre. Libri a km zero» in distribuzione da oggi in una serie di librerie e biblioteche della Puglia. Il free-press, supplemento della rivista on line www.puglialibre.it, valorizza in questo numero alcune recenti pubblicazioni sul tema della presenza dell’ebraismo in Puglia e pubblica un’intervista esclusiva a Francesco Lotoro, responsabile culturale della Sinagoga Scholanova di Trani, pianista e scrittore. Un’ampia recensione è dedicata al volume Fonte di ogni bene, che racconta la storia della comunità ebraica di San Nicandro Garganico, mentre tra gli scrittori pugliesi che pubblicano fuori regione si segnala questo mese il romanzo d’esordio della molfettese Valentina Pansini sul precariato nel mondo della scuola. Tra gli altri contributi, il resoconto della presentazione del volume su Banche e Mezzogiorno di Marina Comei, un bilancio delle manifestazioni di promozione della lettura di quest’estate in Puglia, e la pubblicazione di alcuni stralci del reportage dell’archeologo francese François Lenormant sulla Daunia di fine Ottocento.
La rivista sarà distribuita presso il gazebo allestito in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, a Trani, e come di consueto anche presso la Teca del Mediterraneo – Biblioteca del Consiglio Regionale della Puglia. Per l’elenco completo dei punti di distribuzione, consultare il sito Internet www.puglialibre.it.

lunedì 31 agosto 2009

UNA PULP FICTION IN BREVE: DOVUNQUE ADESSO. Intervento di Angela Leucci























“Dovunque adesso”, cortometraggio girato in un Salento privo di cliché, raduna personaggi e sentimenti inediti di un universo parallelo di pistole, soldi e musica rock.
“Ci sono giornate buone e giornate cattive. Poi ci sono giornate così, in cui tutti cercano di fregarti”.
Questa espressione riassume bene il plot del cortometraggio “Dovunque adesso” di Simone Covini, su sceneggiatura di Armando Pirozzi, con la colonna sonora dei Deasonika, interpretato, tra gli altri, dall'attrice Regina Orioli. Il corto è stato girato nel Salento, presso una struttura ricettiva di Poggiardo e l'Arci “I sotterranei” di Copertino, oltre che qualche scena sulla litoranea adriatica. Non è una novità che il Salento faccia da sfondo a grosse produzioni nazionali, ma a differenza di fiction e pellicole per il grande schermo girate in questi anni, in “Dovunque adesso” non c'è il Salento di sole, mare e vento, se non in un monologo dialettale all'interno dell'albergo, o in questa litoranea un po' anonima, che potrebbe essere anche Grecia o Croazia. Trovarsi dovunque, proprio come nel titolo. Una rock band, un boss con i suoi scagnozzi, un concierge innamorato di una cameriera prostituta per solitudine e per necessità, due ragazze allo sbando e un ragazzino con tanti problemi si incontrano e scontrano continuamente sulla scena. E poi spari, omicidi, e una valigia piena di denaro, in perfetto stile Quentin Tarantino degli esordi, che tuttavia passa in secondo piano: a fare la parte del leone in fondo sono i sentimenti, la rabbia del boss, la paura dei rocchettari tenuti sotto scacco dai gangster e la voglia di riscatto dei più bistrattati, fino a un inevitabile climax che fa porre una domanda: che siano proprio i più innocenti a essere i più colpevoli?

ARTVERONA 2009 - Fair of Modern and Contemporary Art

Invece che ad ottobre, si svolge a metà settembre, facendo così da ineludibile start alle maggiori manifestazioni della seconda parte dell’anno. Avviene in contemporanea con Abitare il Tempo, pregiata fiera internazionale, a cui si accosta proprio ora che è più vivo il dibattito sul rapporto fra il collezionismo di design e quello di arte contemporanea. È in padiglioni e con ingressi distinti da questa, ma insieme ad essa all’interno dei quartieri di Veronafiere. Rinnova ed esalta la qualità degli espositori e delle opere presentate. E dà loro un contesto di iniziative, in fiera e fuori fiera, che contribuiscono a fare di ArtVerona non solo una delle più importanti manifestazioni di mercato, ma anche un attrattivo evento artistico culturale.
Famosi e stimati sono i curatori che le hanno progettate e le presentano.
La piacevole atmosfera d’ambiente, la fluidità dei percorsi, l’efficienza organizzativa, il gran numero di visitatori qualificati, il fascino di Verona intorno: restano immutate le caratteristiche che hanno già dato ad ArtVerona il contributo per il suo successo.

ARTISTI rappresentati dalla GALLERIA CARINI DONATINI:

jebe (adriana jebeleanu), pier paolo bandini, zoltan bela, marco biagini, marco bolognesi, andrei campan, vanni cuoghi, paolo de biasi, sonja de graaf, diego dutto, eloisa gobbo, driton hajredin, fulvia mendini, sabrina milazzo, gian marco montesano, michela muserra, nora ness, adriano persiani, luisa raffaelli, elena rapa, michael rotondi, giuliano sale, artan shabani, giuseppe veneziano, fani zguro


ARTISTI rappresentati da Sansalvatore Art Project:

Daniela Cavallo, Vanni Cuoghi, Leonardo Greco, Koroo, Silvia Levenson, Michela Muserra, Alex Pinna, Giuliano Sale

ARTVERONA 2009 - Fair of Modern and Contemporary Art
17 settembre 2009/21 settembre 2009 (Verona, italy), quartiere fieristico di Verona

domenica 30 agosto 2009

La luna dei Borboni di Vittorio Bodini


Quando tornai al mio paese nel Sud,
dove ogni casa, ogni attimo del passato
somiglia a quei terribili polsi di morti
che ogni volta rispuntano dalle zolle
e stancano le pale eternamente implacati,
compresi allora perché ti dovevo perdere:
qui s’era fatto il mio volto, lontano da te,
e il tuo, in altri paesi a cui non posso pensare.

Quando tornai al mio paese nel Sud,
io mi sentivo morire.


da Foglie di Tabacco (1945/47) in La Luna dei Borboni ed altre poesie (Milano, 1952)

"Come un grande amore. Così come accade per ogni grande amore; così come sempre ogni grande amore si confronta col dissidio, con l’incomprensione, tra Vittorio Bodini e il Sud c’è stata la tensione lacerante di ogni grande amore. C’è stata la passione ebbra, l’illusione dell’eternità di quell’amore, c’è stato il desiderio prorompente, l’ansia, la frenesia, la sensualità spossante, poi l’intenzione dell’addio, la separazione. Poi il ritorno malinconico. Poi l’allontanamento. Un altro. L’ultimo: nostalgico, pietoso, soffocato dal rimpianto. Mai, però, ci fu l’indifferenza. Mai ci fu l’estraneità, il sentirsi slegato da ogni vincolo, affrancato da una sentimentale soggezione, spiantato dalla terra, abbandonato dal sogno e dall’ idea di una nuova vita per una terra e per i destini che dentro quella (questa) terra si generano e si dipanano, si annodano e si aggrovigliano, si ritrovano o si disperdono, si differenziano o si rassomigliano. Così come accade per ogni grande amore, Vittorio Bodini ha vissuto il Sud con una contraddizione carica di energia inquieta, con un alternarsi di attrazione e di rifiuto, tra l’istinto di fuggire e il desiderio di tornare, fino a raggiungere l’esasperata e al tempo stesso lucida coscienza di un’assoluta, irreversibile, drammatica volontà di morte nella lontananza.“Qui non vorrei morire dove vivere/ mi tocca, mio paese/ così sgradito da doverti amare”.

di Antonio Errico tratto da Salento Poesia diretto da Mauro Marino

MARAVA’ PIEDI DI GOMMA di Gianni De Santis (Lupo Editore) domani a Torre dell'Orso

“… ma noi cosa potevamo sapere, se guardavamo in alto immaginando di raggiungere il cielo per liberare il volo sulle ali della nostra fantasia? Correvamo nei campi spiccando salti incredibili, felici sui nostri piedi di gomma e ad ogni salto lasciavamo indietro un pezzo del nostro tempo, catapultati verso la strada del nostro destino…”

Devono essere sicuramente di gomma i piedi dei primi astronauti sbarcati sulla Luna, per consentire loro la lievità degli angeli. È quello che credono due ragazzini legati fin dalla prima infanzia da un ferreo vincolo di amicizia e dal sogno condiviso di volare: verso il futuro, verso la vita. Ma la vita a volte separa e dal sud semplice e agreste in cui è nato Antonio si trova quasi sperduto nelle solitudini e nelle fatiche di una precoce emigrazione. Decine di lettere mantengono vivo il rapporto con Raffaele, l’amico lontano. Al paese c’è anche Maria ad attenderlo, col suo amore sfuggente e possessivo, con i suoi sogni incapaci di venire a patti con la realtà. Antonio, Raffaele, Maria segnano tutti di “volare”, ciascuno a modo suo, andando incontro ad un destino che tradisce la loro giovane esistenza. Il romanzo parla di questa preziosa scoperta, dimostrando come dalla prigionia del corpo possano spuntare ali per lo spirito e grata consapevolezza degli affetti da cui si sono ricevuti gioia e nutrimento. Una intensa storia umana, un inno alla vita e all’amicizia.

Interverranno il Sindaco di Melendugno Dott. Vittorio Potì, il consigliere regionale Ing. Aurelio Gianfreda, introduce Ass. alla cultura del Comune di Melendugno avv. Anna Elisa Prete. Dialogherà con l’autore Stefano Donno. Letture a cura di Annamaria Mangia

A termine della serata aperitivo sulle note musicali e i canti in griko di Gianni e Rocco De Santis


lunedì 31 agosto 2009, Pro Loco di Torre dell'Orso, v.le dei Pini, h.20.30

sabato 29 agosto 2009

I racconti più brevi del mondo. Rec. di Vito Antonio Conte

La pioggia è buona (tra le altre cose) per lasciarsi bagnare, per bagnare la tristezza e, poi, farla evaporare davanti a un camino acceso nel mentre vuoti un bicchiere di buon rosso, leggendo un libro, buono del pari. Il sole vuole altro. E, se lettura dev'essere, breve sia... che non distolga, ma si armonizzi col resto. Nel qual caso, vi consiglio “I racconti più brevi del mondo”, un libriccino ch'è meno di un tascabile e, non a caso, è edito da Fahrenheit 451 nella Collana “I taschinabili” (pagg. 80, € 4,50), da tenere pronto per l'uso, non in tasca, ma -date le dimensioni- addirittura nel taschino della giacca o dei jeans. E mi viene in mente: “percepita brevità / che non conosce / alterità né metrica / mia brevità / tagliata affettata sezionata / impercettibile accennata brevità / tua brevità / nostra brevità / adagiata sul vecchio / pietroso sentiero / che la pioggia / caduta sulla terra / sfanghiglia / te ne stai lì / me ne sto qui / ma invero / io sto lì / mentre tu sei qui / e poi dirti / che il giorno è lungo / la sera infinita / e la notte / la notte che vorrei / questa notte che / vorrei non finisse mai”. Versi di chi scrive... Ché se non fosse una raccolta di prose, potrebbero star bene sul micro-libro di cui vi dico (quanto meno per il contenuto, non esattamente per la lunghezza, non essendo propriamente un haiku...). Sono lampi di scritture i cinquanta racconti degli autori (vecchi e nuovi) ospitati su “I racconti più brevi del mondo”, da Augusto Monterroso a Mark Twain, da Julio Cortazar a Raymond Queneau, da Franz Kafka a Wei Yoe Xian. Gianni Toti, presente con un testo nella raccolta, scrive nella innominata prefazione al libello: “Non soltanto Italo Calvino si è augurato antologie mondiali di racconti brevi, brevissimi, di una riga. Anche Quiroga, Cortazar, Monterroso, Arreola, Manuzio, Campra, Orkény, Poe... Più brevi di una riga... Un brivido narrativo, sentirete. Nella forma chiusa e sferica del "racconto da palpebra", nelle "istantanee" che scattano con la clausola finale, si compie una fulminea catarsi, si raggiunge , e si esce da un atto d'amore, l'orgasmo di un tempo, la fusione dell'impossibile, la sospensione dell'incredibilità, il clic dell'irreale che si scri/vìve”. Ogni altra definizione, qualunque ulteriore considerazione mi sembrerebbe blasfema, come tradire con altre parole quello cui le parole qui tentano, spesso riuscendovi, di raggiungere: l'estrema sintesi che fa del rigo contenitore e trampolino verso lidi aperti oltre ogni confine. Come il pezzo del già citato Monterroso, “Fecondità”, che ha l'ampiezza di un respiro: “Oggi mi sento bene, un Balzac; sto terminando questa seconda riga.”, ma che, come ogni respiro, contiene tutti i precedenti e prelude a un altro, due, tre, quattro, cinque... chissà?!? Metteteci del vostro. Ché scrittura e lettura abbiano senso, davvero.

venerdì 28 agosto 2009

Keep YourSelf Alive di Massimiliano Città (Lupo editore) domani ai Sotterranei Arci

È il racconto della ‘strada’ di Enzo, figlio di tranquilla famiglia siciliana tradizionale, che tronca la sua giovinezza e taglia i ponti con il paesino d’origine per inseguire un sogno di trasgressione. Infatuato di Daniela, conosciuta durante l’estate dei suoi diciannove anni, che lo ha iniziato alla cocaina, il protagonista sale sul primo treno per Milano per raggiungerla. Privo di punti di riferimento, nonostante l’incontro con un prete che lo riconosce subito come sbandato, e nonostante il generoso slancio del napoletano Damiano, non sa cogliere le opportunità che gli vengono offerte e prosegue il suo percorso verso un degrado senza ritorno. Conosce la miseria dei marciapiedi, le perversioni di un universo di tossici a cui si lega in modo indissolubile, l’illusorietà di un facile successo da Dj che lo immerge per un certo periodo in un delirio di onnipotenza, schiavo della droga e disperatamente perduto alla società “normale”. A sei anni di distanza dal primo incontro ritrova Daniela, per assistere alla sua tragica fine; e dalla totale solitudine lo salva solo l’affettuosa presenza di una volontaria che lo assiste quando il suo fisico, debilitato dalla tossicodipendenza e aggredito dalla malattia, lo porta ad attendere la fine in un letto d’ospedale. Qui cerca faticosamente di scrivere di sé al fratello minore, per ricongiungersi in extremis, almeno idealmente, ad una famiglia la cui ‘voce’ significativa resta per lui quella del vecchio Gino, figura chiave del suo ricordo e dei suoi affetti, dopo la cui morte è stato solo il silenzio. È una storia “forte”, provocatoria, scritta in una prosa densa e coinvolgente che si destreggia tra memoria vicina e lontana, tra ambienti, personaggi e situazioni diversi che si richiamano l’un l’altro per associazione di pensiero o per analogie. La tecnica di scrittura è priva di sbavature ed ottiene un effetto-verità; i personaggi sono tratteggiati efficacemente anche con poche battute e/o gesti.

Keep YourSelf Alive di Massimiliano Città (Lupo editore), verrà presentato a I SOTTERRANEI , Centro Storico, via delle Grazie a Copertino, domani 29 AGOSTO 2009 ORE 21,00. Presenta ANNA CORDELLA, dialoga con l’autore RAFFAELLA DE DONATO. Reading a cura di VIVIANA INGROSSO, soundtrack live MASSIMILIANO CITTA’. Aperitivo e degustazione vino offerto dalla casa editrice a cura di FABRIZIO CHETRI e CHIARA CORDELLA( associazione GUSTAPULIA)

Il libro del giorno: Nuovi sensi vietati di Massimo Onofri (Alberto Gaffi)

Squarci di luce come bengala su un’epoca che ha fatto del conformismo, dell’opportunismo e del pregiudizio il suo sgargiante vitello d’oro.
A tre anni dal successo di Sensi vietati Massimo Onofri firma una nuova raccolta di graffianti ricognizioni sulla nostra società che registrano, bersagliandola, la vacuità della cultura e del costume contemporanei. Le sue riflessioni, sempre lucide ma non fino al disincanto, rovinano sulle macerie di una coscienza collettiva già svuotata di qualsiasi senso, anche morale. Dal pericolante mondo politico e letterario a quello vizioso dei media, Onofri mette in fila e sferza personaggi noti e meno noti del gran teatrino italiano animati soltanto da una mera e vuota coazione ad apparire.

"Dall'Italia di Dolce & Gabbana alla rapportata scrittura e psicanalisi, le graffianti riflessioni sul presente del critico letterario Massimo Onofri"

di Massimiliano Panarari tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1119, p. 92

casa editrice Alberto Gaffi: http://www.gaffi.it/

Lara Favaretto: l’archivio dei sogni. Rec. di Maria Beatrice Protino






















Usa spesso il paradosso, i riferimenti letterari e cinematografici quasi come suggerimenti per la sua arte

Lara Favaretto raccoglie e cataloga immagini, testi, filmati e materiali di ogni genere ed epoca: dal fondo del suo archivio, poi, fa emergere idee e suggestioni per sviluppare le sue opere spesso imprevedibili. Le sue performances, istallazioni, video e sculture continuano a fare il giro delle biennali: unica italiana invitata all’ultima Biennale di Sharjah - uno degli Emirati Arabi; tra i pochi chiamati a partecipare alla 53° Biennale di Venezia dal direttore Daniel Birnbaum; presente all’ultima edizione del Festival d’arte Contemporanea di Faenza e già pronta per la sua prossima mostra al Tramway di Glasgow e alla partecipazione alla Biennale Performa di New York a novembre.
Lei è trevigiana e poco più che trentenne. Dopo gli studi a Milano, si è fatta notare ottenendo riconoscimenti in rapida successione: nel 2001 vince il premio Furla per l’arte e una borsa di studio annuale al PS1 di New York; nel 2004 vince ancora una borsa di studio istituita dagli Amici Sostenitori del Castello di Rivoli e infine riceve nel 2005 il premio alla Biennale di Venezia per la giovane arte italiana col video “La terra è troppo grande”, in cui esibiva una sorta di festa magica lungo le sponde di un corso d’acqua: maschere e personaggi da circo, infatti, ma anche citazioni carnevalesche e filmiche ricorrono spesso in installazioni e performances che sollecitano addirittura l’intervento del pubblico.
Alla base dei suoi lavori - per cui utilizza la fotografia, il video, la performance - c’è sempre l’urgenza di una continua trasformazione e la necessità di coinvolgere gli altri nel processo creativo.
La contaminazione e lo scambio continuo di esperienze, anche estranee alla pratica artistica, diventa allora il mezzo per approdare a opere per così dire ‘aperte’ e potenziali in cui il ruolo dell’artista è dichiaratamente fragile e marginale.
L’istallazione presentata a Faenza, ad esempio - “Monumento momentaneo” - è costituita da una palude colma di presenze, contrariamente all’immagine convenzionale, che è invece sterile e desolata, ostile, tipica appunto della palude. Si tratta di un luogo per clandestini, una sorta di nascondiglio che, come dirà l’artista stessa, compone e ricompone infinitamente perché consuma tutto quello che inghiotte, offrendosi al tempo stesso come luogo di speranza e rinascita, oltre che di catastrofe.
Per creare le sue opere ha sempre cura del mondo reale, e si sforza di dar vita a situazioni ibride, trasformando un detto popolare in un fatto reale, con la speranza di una risata corale, con il proposito che un giorno tutto possa essere sovvertito e i sogni dell'artista stessa o quelli comuni a tutti diventino realtà.

giovedì 27 agosto 2009

La Bella del Tempio degli Spiriti di Nie Chongrui. Rec. di Vito Antonio Conte

Stamane mi sveglio con una novella illustrata, “La Bella del Tempio degli Spiriti”, di Nie Chongrui (001 Edizioni, 2008, € 9,90). Un fumetto con le tavole in bianco e nero di questo bravo autore cinese, nato (un po' per caso, forse per necessità o contingenza) a Calcutta nel 1943, ma presto (nel 1946) tornato a Shanghai. Trasferitosi (a dieci anni, con la famiglia) a Pechino e, non potendo studiare per gli eventi politici che attraversavano la Cina allora (?), meccanico d'auto, pur disegnando senza soluzione di continuità. Passione questa che coltiverà sempre, nutrendola di esperienze molteplici e, nella prima metà degli anni ottanta, di studi specifici. “La Bella del Tempio degli Spiriti” è la sua prima pubblicazione che arriva in Italia e, in assoluto, la (sua) prima a varcare i confini della Cina. La storia è tratta da un racconto di Pu Songling (1640-1715) che, come nota Antonio Scuzzarella (in apertura del libro), fu letterato della dinastia Qing e scrisse numerose opere tra le quali “Storie fantastiche del padiglione dei divertimenti”, una raccolta di 431 novelle caratterizzate dalla costante di narrare storie di volpi dai poteri speciali. I disegni di Nie Chongrui, per niente orientali nei tratti, portano -invece- il lettore nella Cina dell'epoca feudale, aprendogli un mondo di regole tanto rigide quanto corruttibili, ma anche (e, soprattutto,) paesaggi e scorci ambientali e architettonici di rara bellezza. Molto curati i particolari, d'ottima fattura gli sfondi, splendidi i personaggi (animali, umani e soprannaturali) che, in alcuni casi, parlano senza necessità della classica nuvoletta. E, per vero, i dialoghi non sono all'altezza dei disegni, spesso apparendo superflui e, in alcuni casi, poco congeniali all'immagine marcata sul foglio e/o evocata dal tratto stesso. Non so se per l'adattamento dell'Autore oppure per difetto di traduzione. La bella è Xiaoquian (donna-volpe), ostaggio dei demoni e dei fantasmi (sanguinari) del Tempio degli Spiriti, che s'innamora di Ning Caichen, giovane pittore capitato nella foresta per ispirazione e “incappato” nel Tempio abbandonato per pura casualità. Molti i personaggi, umani e non, che attraversano questa storia, permeata di esoterismo. Storia di spiriti malvagi e d'amore. Il classico conflitto tra il male e il bene. Con una peculiarità: perché l'uno abbia la meglio sull'altro non dipende dalla natura del primo o del secondo... è necessario, invece, un quid in più che determini il destino che Xiaoquian e Ning vogliono fortemente, reciprocamente ammaliati da quel che di loro appare agli occhi l'uno dell'altra e, soprattutto, da quel che una forza unica è capace di disvelare... rendendone i toccati vulnerabili e potenti -all'un tempo- come nient'altro può. Sì da annullare ogni difetto e amplificare qualunque grazia. E non c'è sicumera che tenga. Neppure quella di un fumetto. O quella di una volpe che, si sa, quando sceglie il suo compagno è fedele. E, qualunque cosa accada, è per sempre. Per sempre.

Il libro del giorno: Sami Michael "Tempesta tra le palme" (Casa editrice Giuntina) dal 24 settembre in libreria

Dopo il successo di Victoria, Rifugio e Una tromba nello uadi esce "Tempesta tra le palme", il libro che ha affermato Michael come scrittore di fama internazionale. Baghdad, la seconda guerra mondiale è alle porte e gli ebrei vivono con ansia i grandi mutamenti che sconvolgono il mondo. La convivenza con i musulmani e i cristiani della città pare ormai compromessa a causa delle ondate nazionalistiche e le famiglie ebraiche si chiudono nei loro cortili terrorizzate. Ma Nuri, il giovane protagonista del romanzo non è assolutamente d’accordo a rimanere imprigionato in casa e non rinuncia alle sue scorribande con gli amici, mettendosi continuamente nei guai, ma senza mai smettere di cercare risposte ai grandi eventi e alle nuove
sfide che si presentano a lui e alla sua comunità.

Su Sami Michael è stato scritto:

“Sami Michael è stata una rivelazione” Giulio Busi, Il Sole24ore

“Sami Michael vale quanto Amos Oz o Yehoshua" Paola Caridi, L’Espresso

Sui suoi libri è stato scritto:

“Victoria è una saga familiare unica, narrata
con grande maestria, infinita sensibilità” Marilia Piccone, Stradanove

“Non c’è dubbio che Rifugio racconta una mondo che noi non conoscevamo prima di
conoscere Sami Michael” Susanna Nirenstein, La Repubblica

“Una tromba nello uadi mi ha commossa profondamente, un libro fantastico”
Anna Rolli, Agenzia Radicale

“Tempesta tra le palme è I ragazzi della Via Pal iracheno” Die Zeit

“Un romanzo appassionante dalle atmosfere esotiche, una storia sull’amicizia e suldesiderio di non soccombere alla storia”. Ha’aretz

“Sembrerebbe un romanzo per ragazzi, ma alla fine si rimane stupefatti come solo una
grande opera può lasciare”. Le Monde des Livres

Sami Michael, scrittore e Presidente dell’Associazione per i diritti umani in Israele, è nato a Baghdad nel 1926. All’età di 15 anni si è unito a un gruppo clandestino comunista che lottava contro l’oppressivo regime iracheno per l’affermazione dei diritti umani e i valori democratici. Nel 1947 ha iniziato i suoi studi in ingegneria all’Università americana di Baghdad. Nel 1948 un tribunale iracheno ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Michael che è stato costretto a fuggire in Iran. Da qui, nel 1949, non potendo tornare in patria, si è recato in Israele. Per quattro anni è stato opinionista per Al Itihad e Al Jadid, i giornali in lingua araba del Partito Comunista israeliano. Nel 1955 abbandonerà il Partito. Ha lavorato per anni come idrologo, amministrando le risorse idriche al confine con la Siria. Nel frattempo è riuscito a laurearsi in Idrologia, in Psicologia e in Letteratura araba all’Università di Haifa. Con perseveranza e volontà, senza averlo precedentemente studiato, Michael ha imparato l’ebraico perfettamente, e nel 1974, all’età di 48 anni, ha pubblicato il suo primo romanzo, Gli uomini sono uguali, ma alcuni lo sono di più. A oggi, Michael ha scritto 11 romanzi, 3 saggi incentrati su aspetti culturali e politici della storia di Israele e 3 opere teatrali. Le complesse relazioni tra le diversità intessono le trame dei suoi romanzi, ebrei e musulmani, musulmani e cristiani, nazionalisti e comunisti, iracheni e israeliani, uomini e donne: romanzi che vogliono sempre essere simbolo di speranza, di pace e convivenza. La Giuntina ha pubblicato i suoi libri Una tromba nello uadi e Victoria e presto uscirà il romanzo Rifugio. Per la sua attività di scrittore e per il suo impegno per la pace, i diritti umani e la giustizia, Michael ha ricevuto numerose onorificenze e premi tra i quali: il Premio del Ministero del consiglio israeliano, il Premio ONU per lo sviluppo internazionale, il Premio della società per lo sviluppo del Medio Oriente; il Premio internazionale del Rotary; il Premio del Ministero dell’educazione israeliano, il Premio WIZO francese e italiano, il Premio ACUM, Il Premio Brenner e il Premio della Presidenza della Repubblica israeliana.
Inoltre, Michael ha ricevuto tre lauree honoris causa dalle Università di Gerusalemme, Haifa e Negev. Sami Michael è stato tradotto in numerosi paesi, tra cui Egitto e Iraq, dove i suoi libri (pubblicati in Germania dall’editore arabo Al Jamelia) vengono venduti tramite il mercato clandestino e vanno a ruba.
Infine, Sami Michael è candidato al Premio Nobel per la Letteratura.

mercoledì 26 agosto 2009

Il libro del giorno: Polvere del bene di Giacomo Leronni (Manni)

Il lettore troverà nel testo poetico, scandito in capitoli, una ricchezza insolita, perché l’autore non si limita a registrare eventi – stazioni talora dolenti di un’intera vita – e a lasciarsi traghettare da questi come un corpo inerte. Accetta invece la sfida dell’esistere, si logora nel confronto, sapendo che si può anche soccombere. Purché si salvi almeno un’idea o un’emozione, all’insegna di una ricerca conoscitiva compiuta passo dopo passo, senza affanni. Il che si traduce in una costante carica empatica che tiene coinvolti fino all’ultima pagina, sul filo della narrazione. - Francesco Giannoccaro

"Pubblicata lo scorso anno nella collana Pretesti di Manni Editori, Polvere del bene (pp. 96, euro 12) è la prima raccolta poetica di Giacomo Leronni, quarantacinquenne poeta di Gioia del Colle, nel Barese, data alle stampe dopo aver pubblicato, in particolar modo tra gli anni 1999 e 2002, alcune liriche di questa raccolta su riviste, perlopiù specializzate, e dopo aver partecipato con buon successo a diversi premi letterari (si ricordano qui soltanto il Premio Nazionale di Poesia “LericiPea”, conseguito nel 1998 per la categoria poesia inedita - in giuria era presente, tra gli altri, Stefano Verdino, tra i più acuti studiosi dell’opera di Mario Luzi, nonché curatore delle sue opere - e per il quale è semifinalista anche quest’anno, e il Premio “A. Contini Bonacossi” che sarà assegnato all’autore per questa stessa raccolta il prossimo 6 settembre)."

di Stefano Savella tratto da Puglialibre (www.puglialibre.it)

casa editrice Manni: http://www.mannieditori.it/index_x.asp

Notizie sulla famiglia di Pietro Berra (Stampa)















Ho avuto il piacere di leggere e apprezzare l’ultimo lavoro poetico di Pietro Berra edito per i tipi di Stampa nella collana “Collana” diretta da Maurizio Cucchi, dal titolo “Notizie sulla famiglia”. Questa per l’autore comasco è la quarta raccolta dopo “Un giorno come l’ultimo”. “In viaggio per
le strade di Como e della mente” (Dialogo, 1997), “Poesie di lago e di mare” (Lietocolle, 2003) e “Poesie politiche” (Luca Pensa editore, 2005). L’opera, dove si registra l’influenza poetica di autori come Giampiero Neri e Fabio Pusterla, (divisa in tre sezioni titolate “Archivio Storico”, “Reportage da Brunate”, e “Ultima Ora”) parla di questa famiglia sullo sfondo dei primi del Novecento, e di tutta una schiera di eventi, memorie, colori, vicende che vanno a costituire una specie di album fotografico che ne costruisce la memoria. In 84 pagine viene narrato per versi un secolo dove si passa con un prosa poetica raffinata e puntuale nella visione espressa dal poeta, dal fascismo alla globalizzazione passando attraverso naunces tenui che come echi soffusi riportano alla mente le immagini della “Swinging London” quasi divenendo muti spettrali fantasmi seduti da tempo immemore sulle sedie sfatte di un cinema di provincia ora dismesso. Ma quello che più sembra rappresentare autenticamente il contenuto profondo della raccolta è il desiderio di lasciare alla poesia il compito di scorgere quel sottile filo rosso che collega ogni cosa e rende tutto più chiaro e manifesto anche agli occhi di chi non fa parte integrante dei tracciati mnemonico-biografici messi in questa sede nero su bianco. Le poesie raccolte nel volume qui presentato sono state scritte da Berra dopo la pubblicazione del libro “Poesie Politiche” risalente al 2005, e paiono seguire non solo formalmente ma anche semanticamente un sentire la poesia come impegno civile. E parliamo di un impegno civile particolare percepito dall’autore, come volontà di riscoprire l’identità dei luoghi che abbiamo abitato e vissuto e che ci hanno a loro volta abitati e vissuti, come stimolo a ripercorrere giorno per giorno le nostre storie al fine di evitare la diserzione crudele della dimenticanza, dell’immemorialità. Dunque un unico discorso poetico/politico (?) da rintracciare anche nelle precedenti produzioni liriche dove forte si avverte la continuità di una poiesi narrante storie minime di volti e luoghi che hanno comunque qualcosa di significativo per tutti, e che ancora molto possono insegnare. Scrive Maurizio Cucchi nell’introduzione: “ Come spesso accade ai veri poeti, Berra non enuncia i grandi temi – amore e strazio, morte e storia, tempo che muta il mondo –ma li introduce nei risvolti animati dei dettagli, nell’opacità sensibile delle nostre provvisorie esistenze e delle loro fasi, liete, dolorose o semplicemente indifferentichesiano”. Un libro quello di Berra che vale la pensa leggere e meditare, e che soprattutto ci ricorda , un po’ bodianamente, che la poesia può ancora dire la sua.

CIOCCOLATO

Prendeva tavolette di cioccolato
Da soldati dello stesso colore
La bambina sulla riva di Cernobbio.
Non immaginava che non fossero
Un dono del cielo, che la magnifica villa
Dove abitavano quegli angeli neri
Era stata l’ultimo rifugio
Di diavoli biondi in ritirata


in foto Franco Loi con Pietro Berra

martedì 25 agosto 2009

Il libro del giorno: Accabadora di Michela Murgia (Einaudi)

«Acabar», in spagnolo, significa finire. E in sardo «accabadora» è colei che finisce. Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un'assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. È lei l'ultima madre.

Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.

"Una storia forte, quella della Murgia; impreziosita da una scrittura di alta qualità (lirica, densa, ma molto efficace; da grande narratrice) e dal fascino di un’ambientazione riuscita (quella della Sardegna degli anni Cinquanta). Una storia che affronta tematiche complesse e attualissime quali: l’adozione (o l’affidamento), l’accompagnamento alla morte (eutanasia?), ma anche le contraddizioni e i taciti patti che possono interessare comunità organizzate come un unico organismo".

di Massimo Maugieri tratto da Letteratitudine

casa editrice Einaudi: www.einuadi.it



Accabadora di Michela Murgia, 2009, 164 p., rilegato
Einaudi (collana Supercoralli)

La legge dell’Attrazione di Wallace D. Wattles e La Risposta di Murray Smith e John Assaraf (Bis edizioni)


Ho preso in esame due testi usciti per Bis edizioni i cui contenuti rientrano nella sfera del New Thought e che apportano sull’argomento ulteriori contributi e chiarificazioni. Il primo “La legge dell’Attrazione (con la Legge dell’Abbondanza e Vivere secondo i propri scopi) di Wallace D. Wattles, e il secondo “La Risposta” di Murray Smith e John Assaraf. Partiamo da quello più recente, dal momento che è stato scritto ai nostri giorni. “The Answer” (il titolo originario) presenta come principio basale del suo discorrere e argomentare una serie di tesi che attingono alla fondamentale “Legge dell’Attrazione”, ma la sviluppano in più punti grazie ai quali si scopre che il nostro potere di attrarre ciò che vogliamo nella vita tramite la visualizzazione e la focalizzazione, non solo non basta ma necessita di un’azione a monte fondamentale ovvero quello della riprogrammazione neurale che parte da un bombardamento multi strumentale e multi sensoriale sul subconscio. Esistono diversi modi, metodologie e strumenti che nel volume in oggetto vengono sviluppati coerentemente e correttamente. Questo permette una volta stabilite le nostre priorità di scavalcare processi meccanici di pensiero e azioni e aprirsi alla seconda parte del lavoro che consiste nel trasformare l’aspetto prettamente eidetico-immaginifico in azione attraverso la scansione del proprio agire secondo le leggi della volontà, del movimento, dell’attesa. Ora si arriva all’applicazione pratica di questi insegnamenti, ovvero a cosa si può arrivare attraverso tutta una serie di dimostrazioni scientifiche (anche di fisica quantistica), ricchissime indicazioni bibliografiche, rigorosi passaggi logici contenuti in quest’opera: riprendere il controllo della propria vita e chiedersi come rispondere alla crisi con creatività, rispondendo in realtà a tutte le crisi, sia in ambito finanziario che relazionale. Anche se in verità la seconda parte del libro (meno teorica e più “rampante”) contiene delle vere e proprie perle di saggezza in fatto di marketing e strategia aziendale (sempre da applicarsi dopo aver imparato come funziona la “Legge dell’Attrazione”) che se seguite adeguatamente potrebbero fare la fortuna di chiunque volesse aprirsi in proprio un’attività. Il secondo lavoro che ho preso in considerazione è un testo piuttosto singolare, mi riferisco alla “La legge dell’Attrazione (con la Legge dell’Abbondanza e Vivere secondo i propri scopi) di Wallace D. Wattles. La legge di Attrazione di Wallace Wattles contiene le soluzioni a tutti gli interrogativi fondamentali di chi vuole ottenere successo. Spiega in cosa consiste e come funziona questa legge (si tenga conto che si parla di un testo scritto tra il XIX e il XX secolo e dunque spesso il linguaggio risulta a tratti o eccessivamente lirico o pedantemente dogmatico), perché c’è in abbondanza nell’universo tutto per tutti, perché chi vuole ottenere successo deve abbandonare la competitività ad ogni costo, in cosa consiste la forza della preghiera e quali benefici inaspettati può produrre nel praticarla. Ma c’è molto di più in questo lavoro di Wattles. Ebbene per chi ha dimestichezza con la meditazione trascendentale e numerose pratiche mistico-ascetiche di stampo esoterico, sa che per molti illuminati noi siamo parte integrante di quella energia vitale che permea l’intero universo e le sue manifestazioni multiple e che appartiene ad una Mente Universale Cosmica. Ora questo nostro appartenere a questa cosmica mente universale, fa sì che ogni suo pensiero perfettamente in linea con il Benessere Universale diriga i nostri pensieri e li trasformi in fatti, opportunità, soluzioni. Solo se sentiamo la Bontà e l’Abbondanza che permeano il cosmo allora consapevolmente la nostra volontà e i nostri pensieri opereranno in sincrono con l’universo realizzando cose sorprendenti. Wattles assicura con questo suo lavoro che la causa di ogni successo è dentro di noi: per arrivare alla realizzazione di ciò che vogliamo dobbiamo solo imparare ad usare le nostre facoltà. Ciascuno ha a propria disposizione una cassetta che contiene gli attrezzi per costruire e raggiungere il successo. Mi ricorda molto la tavola delle visioni consigliata da John Assaraf e in qualche occasione da Roy Martina. Gli strumenti vanno tenuti con cura e usati nella maniera giusta e in questo manuale troviamo tutte le indicazioni per conservare e utilizzare la nostra personale cassetta sempre al meglio. Come si possiono riconoscere quali sono gli strumenti più giusti da utilizzare di volta in volta? Ne La legge dell’attrazione, si trovano tutte le risposte per arrivare alla piena realizzazione dei nostri successi, che variano a seconda dell’obiettivo che ci prefiggiamo di raggiungere. Il libro contiene tre saggi straordinari: la legge dell’Attrazione, la Legge dell’Abbondanza, Vivere secondo i propri scopi, ovvero secondo Coscienza di Salute, Potere, Saggezza e Benessere. I consigli che troviamo nei tre saggi sono ciò che ci serve se davvero vogliamo ottenere il successo che sogniamo da tanto tempo. Sono gli stessi che hanno permesso a Wattles di raggiungere la stabilità economica, la ricchezza e la realizzazione.

Wallace D.Wattles
è uno dei principali ispiratori del Nuovo Pensiero. Nato durante la guerra di secessione americana, ha sempre vissuto come se la sua vita fosse una pagina bianca su cui scrivere una delle più belle storie di tutti i tempi.

Raggiungi la tua libertà economica e vivi una vita meravigliosa
ISBN: 9788862280709

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lunedì 24 agosto 2009

Soleto e Sorella Luna















Si intitola “Soleto e Sorella Luna” la prima iniziativa che l’Amministrazione comunale del borgo griko-salentino, notissimo per la sua cultura e tradizione legata ai temi spirituali, tradizionali, filosofici-esoterici e storici-artistici degli astri, promuove in occasione della celebrazione relativa alla sbarco sulla Luna, avvenuto 40 anni fa, e dell’ “Anno Internazionale dell’Astronomia”.
Domenica 30 agosto, per la Luna orante ed orale, da sempre faro ammaliante d’orientamento e punto di riferimento per l’Umanità, dalle ore 20.30 alle 24.00, palcoscenico dell’evento sarà la suggestiva area urbana interna ed esterna al prezioso Convento francescano di S. Maria delle Grazie, con apertura straordinaria della Chiesa in notturna e dell’antico e paradisiaco giardino delle delizie, impreziosito da pergolati e piante fruttifere verdeggianti, appartenente al monastero.
Soleto, luogo arcaico, legatissimo al dialogo con il cielo, fin dalle sue origini primitive, in cui i contadini lo scrutavano con amore e timore ritenendolo calendario rituale della vita, del lavoro e dei destini umani; i filosofi lo osservavano con occhi alchemici; le macare lo interrogavano per le loro esoteriche arti magiche ed i religiosi ed i fedeli lo ammiravano in segno di fede e gratitudine, mira con quest’evento a valorizzare il filo che ci porta sulla luna, seguendo il tema trittico “scienza-letteratura-spiritualità”.
La manifestazione “Soleto e Sorella Luna”, sarà caratterizzata da:
- serata astronomica pubblica a cura dell’Associazione Salentina Astrofili “E. Hubble”, allestita in piazz.tta Calvario e Via San Francesco d’Assisi, articolata da: proiezione su schermo gigante di spettacolari documentari della NASA, lezione di orientamento e riconoscimento delle costellazioni tenuta da un astronomo, osservazione diretta attraverso potenti telescopi della superficie della Luna, del pianeta Giove e di altri oggetti del cielo stellato; mostra di foto astronomiche (luna, pianeti, nebulose, galassie, …) realizzate dai soci dell'A.S.A. ed esposte negli spazi suggestivi del giardino conventuale;
- tavola rotonda tematica, dal titolo “Parole alla Luna”, nei luoghi aperti e chiusi del Convento, in cui vi saranno una serie di interventi affascinanti come: “La Luna e San Francesco” a cura dei Monaci del Convento, “La Luna e l’Astronomia” argomentata dall’A.S.A, “La Luna ed i proverbi locali” illustrata da Daniela Bacca, la poetica dell’artista salentino Vittorio Bodini e della sua opera “La Luna dei Borboni” curata da Stefano Donno con la lettura recital di Simone Giorgino di “Fondo Verri”.

Gianni Ottaviani presenta ARCHEOPATIE II


















La mostra coincide con il 50° anno di attività dell'artista Gianni Ottaviani , Milanese di adozione ma di origine Picena. In tale periodo Ottaviani ha operato sia come pittore-scultore sia come curatore ed organizzatore di eventi artistici nazionali ed internazionali, come tra l'altro:
Dal 5 ottobre 1995 al 2 ottobre 1996 mostra personale " Archeopatie " a cura del Comune di Milano-Settore Culura e Spettacolo e Civiche Raccolte Archeologiche nella sede del Museo Archeologico. Nel 2005 su incarico della Direzione del Ministero della Cultura della Turchia ha sovrinteso all'organizzazione della " Ia Biennale Internazionale d'Arte " di Ankara della quale è stato anche Presidente della Giuria.

Questa esposizione al Vittoriano con 66 opere tra singole e polittici corona la seconda fase della sua ricerca iniziata negli anni '80 che consiste, come dichiarato nella prefazione al catalogo edito dalla Editoriale Giorgio Mondadori, nello "…scavare nella memoria,documentare,ricostruire e riappropriarsi ". La sua è un'operazione quindi sulla memoria, sui frammenti, sui reperti del vissuto che ognuno di noi si porta dietro, spesso nell'inconscio.
" Archeologia dell' Io" forse l'avrebbe chiamata Freud. In quest' occasone l'artista esporrà anche una grande opera di mt.7x1,50 eseguita negli anni 2005-2006 formata da 17 pannelli ,dedicata al Cavallo suo soggetto preferito in precedenti periodi creativi, che gli è stata ispirata dal detto Islandese " Un uomo da solo è un mezzo uomo, un uomo con un cavallo è un uomo e mezzo".
Per realizzare l'opera Ottaviani ha effettuato una ricerca,quasi archeologica, su come è stato rappresentato nei pù disparati campi dalla preistoria ad oggi (arte,artigianato,pubblicità,giocattoli ecc.) quello che è stato un indispensabile mezzo per lo sviluppo dell'umanità. Il Circolo Ippico " Il 13 Rosso " di Rignano Flaminio in simbiosi con l'opera dell'artista proporrà il giorno dell'inaugurazione un suo particolare omaggio al Cavallo con una manifestazione ippica e in costume all'esterno del Vittoriano.

GIANNI OTTAVIANI _ ARCHEOPATIE II
Mostra personale, Complesso del Vittoriano - Roma
10 - 23 settembre 2009
inaugurazione 10 settembre ore 18

Il solco della pesca di Dark0














Quando la musica vola,
il cielo si ferma,
ed anche i passeri posson cantare.

Nella bianca spiaggia baciata dalla sera
due cuori s'incontrano,
ed il mare dell'amarezza perde il sale,

Mani timide si sfiorano,
labbra che ardono,
passione che si accende,
frenetica, feroce,
bramata per troppo tempo,
si dibatte fra la carne.

Due piccoli seni nascondono un cuore vivo,
dita che danzano nel solco della pesca,
vita che vuol vivere,
vita che vuol gridare,
vita che esplode in bianco lampo.

lentamente il corpo cade.
l'anima ebbra si addormenta.
ma ella sa...
...sa che talvolta anche i sogni,
diventano realtà.

Qui trovare l'autore: http://i-am-dark0.blogspot.com/

Il libro del giorno: Rote Armee Fraktion. Il caso Baader-Meinhof di Stefan Aust (Il Saggiatore)

Germania, fine anni sessanta. Frustrazione e rabbia aggrediscono la sinistra extraparlamentare e il movimento studentesco dopo la formazione della Grosse Koalition, l'uccisione di uno studente per mano della polizia e l'inasprirsi della guerra in Vietnam. Lo sdegno si trasforma in protesta, la protesta in resistenza, la resistenza si perde nel terrorismo. Ulrike Meinhof, giornalista militante della sinistra radicale, Gudrun Ensslin e Andreas Baader, appena evaso di prigione, danno vita alla Raf. Gli attentati del gruppo, al quale si unisce presto Jan-Carl Raspe, colpiscono la Repubblica federale in una successione diabolica; rapine e omicidi irrompono in maniera devastante. La guerra terroristica turba e disorienta l'intero paese, scuote l'indifferenza della borghesia, mette in crisi il meccanismo di rimozione del dopoguerra. Stefan Aust, testimone diretto di quella drammatica svolta, ripercorre le storie personali dei protagonisti, dagli esordi del 1970 alle azioni dell'"autunno tedesco" del 1977, dal rapimento di Schleyer, potente industriale, al dirottamento di un aereo della Lufthansa, fino al raggelante culmine della parabola della Raf, la "notte di Stammheim", in cui i fondatori del gruppo terroristico furono trovati morti nelle loro celle. In parallelo alla banda Baader-Meinhof agisce lo Stato: la linea dura della repressione e lo spietato regime carcerario imposto ai detenuti tracciano il volto di una Repubblica tormentata nelle sue contraddizioni.

"Rote Armee Fraktion (Il Saggiatore, pagg 531, euro 26) di Stefan Aust, caporedattore del settimanale Der Spiegel e cronista della rivista konkret, nonchè collega di Ulrike Meinhof, è la lucida analisi di un decennio di vita della banda, nel contesto difficile di una Germania che non aveva finito di fare i conti con le pesanti colpe collettive del proprio passato"

di Rock Reynolds tratto da L'Unità del 24/08/09, p. 32

casa editrice Il Saggiatore: http://www.saggiatore.it/home_saggiatore.php?

Rote Armee Fraktion. Il caso Baader-Meinhof di Stefan Aust
2009, 531 p., ill., brossura, Il Saggiatore (collana Storia)

domenica 23 agosto 2009

La tigre di Dark0



Il respiro della tigre,
lambisce l'anima,
e ti scalda dentro.

I suoi artigli,
delle catene si fan beffe,
tagliano il ferro,
solleticano le stelle.



Le sue strisce,
sono nero ebano nel bianco manto,
sono lunghe e sinuose,
come oscura passione.

La coda si agita inquieta,
sferza nel vento,
da forma a nuove geometrie.

Invisibile ombra,
si aggira inquieta,
della morte compagna,
e di vita maestra.

la tigre:
incubo dell'innocente agnello.

Qui trovate l'autore: http://i-am-dark0.blogspot.com/

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