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lunedì 31 agosto 2009

UNA PULP FICTION IN BREVE: DOVUNQUE ADESSO. Intervento di Angela Leucci























“Dovunque adesso”, cortometraggio girato in un Salento privo di cliché, raduna personaggi e sentimenti inediti di un universo parallelo di pistole, soldi e musica rock.
“Ci sono giornate buone e giornate cattive. Poi ci sono giornate così, in cui tutti cercano di fregarti”.
Questa espressione riassume bene il plot del cortometraggio “Dovunque adesso” di Simone Covini, su sceneggiatura di Armando Pirozzi, con la colonna sonora dei Deasonika, interpretato, tra gli altri, dall'attrice Regina Orioli. Il corto è stato girato nel Salento, presso una struttura ricettiva di Poggiardo e l'Arci “I sotterranei” di Copertino, oltre che qualche scena sulla litoranea adriatica. Non è una novità che il Salento faccia da sfondo a grosse produzioni nazionali, ma a differenza di fiction e pellicole per il grande schermo girate in questi anni, in “Dovunque adesso” non c'è il Salento di sole, mare e vento, se non in un monologo dialettale all'interno dell'albergo, o in questa litoranea un po' anonima, che potrebbe essere anche Grecia o Croazia. Trovarsi dovunque, proprio come nel titolo. Una rock band, un boss con i suoi scagnozzi, un concierge innamorato di una cameriera prostituta per solitudine e per necessità, due ragazze allo sbando e un ragazzino con tanti problemi si incontrano e scontrano continuamente sulla scena. E poi spari, omicidi, e una valigia piena di denaro, in perfetto stile Quentin Tarantino degli esordi, che tuttavia passa in secondo piano: a fare la parte del leone in fondo sono i sentimenti, la rabbia del boss, la paura dei rocchettari tenuti sotto scacco dai gangster e la voglia di riscatto dei più bistrattati, fino a un inevitabile climax che fa porre una domanda: che siano proprio i più innocenti a essere i più colpevoli?

lunedì 27 luglio 2009

Con l’insistenza di un richiamo di Francesco Randazzo (Lupo Editore). Rec. di Silla Hicks

Finalmente uno che ha letto Charles Michael "Chuck" Palahniuk, che l’ha studiato, anzi, è da credere. 110 pagine – 109 – che si leggono in mezz’ora, leggere nel loro terrificante disincanto, e benedette dal filo rosso dell’ironia. Avete presente Soffocare? C’è molto di Chuck, in questi raccontini che parlano di stupri, serial killer, pedofili ed estreme “second lives” come di cose quotidiane, normali, ormai parte del nostro habitat che s’è giocato ogni pudore e ogni valore, e sopravvive incosciente di se stesso. Ognuno è una piccola bomboniera – di tulle nero, è chiaro – che nasconde confetti avvelenati, ma deliziosi: il precario che esce a comprare l’ascia con cui dissezionare il cadavere della sua affittacamere e viene pestato sul raccordo da un lubrico vecchietto, il pedofilo disgustato da un’anziana checca che l’ammazzerebbe per pietà, l’extracomunitario massacrato nel sebac che s’identifica con gli escrementi attorno, l’Elettra moderna che vendica la madre morta di corna uccidendo il padre satiro e paraplegico con i piatti rotti, quello che resta della furia impotente della genitrice.
E poi la prof. obesa di filosofia che vive una vita virtuale hard e una reale di forzata astinenza (dopo la relazione con un prete, cui ha messo fine letteralmente a morsi), e soprattutto il monologo del serial killer sociologo, che ha ucciso 197 persone in 20 anni con precisione chirurgica, clone italico di Dexter, il racconto più lungo e più ispirato, quasi un testo teatrale, e difatti l’autore è regista e sceneggiatore, e si vede. In un mondo che va a rotoli, che convive con l’orrore su tutte le prime pagine e in tutti i TG, questo signore resta immune – e fieramente – dai “cuori mocciolosi” e dai lucchetti ai lampioni, e racconta ciò che vede proteggendosi con l’unica arma che l’intelligenza ha mentre dilaga il buio della mente, l’ironia vera, quella di Pirandello, che è via di fuga e alternativa alla follia. Non si può raccontare, questo libricino che davvero diverte, e insieme fa pensare senza importelo: bisogna leggerlo, e non è uno sforzo, perché, lo ripeto, è scritto con un lessico famigliare che non l’appesantisce oltre i 30 grammi di carta con cui è fatto, dimostrando che si può parlare di tutto usando le parole come tessere da colorare a piacere.
Come per le “Schegge” di Schifano, non è la dimensione che conta, ma la luce, la grana pastosa che t’ipnotizza davanti al fogliettino: sono solo schizzi, sì, ma fatti bene, infinitamente meglio di colossali tele imbrattate giusto per fare cassa.
Non m’esprimo sui lucchetti ai lampioni, io che porto le catene attorno al cuore e un cuore spezzato tatuato sopra il braccio, ma mai mi sognerei d’incatenarlo a qualcosa. Dico solo che ci ho provato, a leggere quei libri, e non sono arrivato oltre pagina quattro, mentre questo qui non volevo che finisse, e quando l’ho chiuso sono rimasto a rifletterci, in silenzio.
Indubbiamente è tosto, sì, ma non più di un ispirato Tarantino o di una performance di Orlan: è una secchiata d’acqua che ti sveglia, e no, non chiamatelo pulp, parola scagliata da Hank e abusata da tutti gli altri a seguire, soprattutto dopo la fiction di Wolf il risolutore e compagni.
Non chiamatelo pulp, perché pulp fa spesso rima con cool, e il cool questi racconti lo sbeffeggiano con l’acume concreto che ha chi non si fa abbagliare dai lustrini della civiltà dell’immagine, e riesce ancora a cogliere la vera natura delle cose: leggetelo, e basta.
E poi, cercate di credere che sia solo fantasia. Provateci, almeno. Se volete riuscire a dormire.

PICCOLA BOTTEGA DI QUOTIDIANI ORRORI (Con l’insistenza di un richiamo – Francesco Randazzo – Lupo Editore 2009)

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