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domenica 9 febbraio 2014
monografie – Sylvester Stallone al David Letterman 15 10 2013 sub ita
martedì 25 settembre 2012
Resident Evil: Retribution ... al cinema!
In Resident Evil: Retribution il T-virus mortale della società farmaceutica Umbrella Corporation continua a devastare la Terra, trasformando la popolazione mondiale in legioni di zombie affamati di carne umana. Alice (Milla Jovovich), l'unica e ultima speranza per la razza umana, si risveglia all'interno della struttura segreta della Umbrella e svolgendo indagini approfondite, scopre alcuni segreti del suo misterioso passato. Senza un rifugio sicuro, Alice continua a cercare i responsabili dell'epidemia; un inseguimento che la condurrà da Tokyo a New York, Washington D.C. e Mosca, un viaggio che culminerà con una sconcertante rivelazione che la costringerà a rimettere in discussione tutte le sue certezze. Con l'aiuto di nuovi alleati e vecchi amici, Alice dovrà combattere per sopravvivere abbastanza a lungo da sfuggire ad un mondo sull'orlo dell'oblio.
mercoledì 25 gennaio 2012
“Non è un cambio di stagione” di Martin Caparròs (Edizioni Ambiente/Verde Nero) di Vander Tumiatti*
Martín Caparrós (Buenos Aires, 1957) si è laureato in Storia a Parigi, è vissuto a Madrid e New York e ha diretto riviste culturali. Ha tradotto Voltaire, Shakespeare e Quevedo, ha vinto il Premio Planeta Latinoamericano, il Premio Rey de España e la borsa di studio Guggenheim. Le sue opere sono state tradotte in svariate lingue. Lui è un personaggio incredibile che di recente ha fatto delle affermazioni degne di essere prese in considerazione. Se è vero dunque quello che dice l’ex funzionario ONU Martin Caparròs, ovvero che l’ambientalismo non solo si è macchiato di business e di velleità modaiole, la possibilità che per vivere ogni giorno abbiamo bisogno di un’apocalisse diventa sempre più concreta. Parte da queste considerazioni Caparròs nel suo ultimo lavoro dal titolo “Non è un cambio di stagione” uscito in Italia per le Edizioni Ambiente. Questa è l’ultima pubblicazione che sono riuscito a valutare tra i miei tanti impegni di lavoro su e giù per l’Italia. Si tratta di un libro molto interessante, tanto che alcune considerazioni in esso riportate potrebbe suscitare nella migliore delle ipotesi un “vespaio”: una forte eco/delusione dovuta all’incapacità di fare analisi obiettive davanti alle grandi tragedie come la fame nel mondo; il fatto che l’ecologia sia diventata una moda e che detti l’agenda delle soluzioni che i principali capi di governo prendono in merito: un neoconservatorismo nelle frange più estreme della sinistra ecologica, dovuto ad una perdita del senso di un futuro eco/compatibile; il generale fraintendimento della società civile nei confronti delle questioni ecologiche più importanti … ovvero ci si preoccupa per una foca che sta annegando e non dei bambini denutriti che muoiono ogni giorno. Questo libro è importante perché ci fa riflettere sul fatto che ogni categoria di “impegnati”, ha la sua personale apocalisse, sulla quale però non riesce a mettere a fuoco possibili soluzioni o proposte. “Non è un cambio di stagione” è un percorso dunque in nove paesi dal Brasile alla Nigeria al Niger al Marocco alla Mongolia all’Australia alle Filippine, alle isole Marshall sino agli Stati Uniti ormai sotto attacco del cambiamento climatico. Una vera e propria riflessione a fior di lama quella di Caparròs sulle contraddizioni dell’ecologismo e dell’ambientalismo esasperato che a sua volta si fa “affarismo” riuscendo addirittura a smascherare con ironia e intelligenza le zone d’ombra di certi ambienti dell’ecologia integralista che si mascherano di purezza quando in realtà sotto sotto a volte c’è del marcio. (intervento apparso sul quotidiano Paese Nuovo)
* Fondatore di Sea Marconi Technologies
giovedì 15 dicembre 2011
Il libro del giorno: NICOLA TESLA 2 di Vittorio Baccelli (Lulu)
Nikola Tesla (cirillico: Никола
Тесла) (nato a Smiljan, nell'allora Dalmazia ungherese e odierna Croazia il 10
luglio 1856 e deceduto a New York il 7 gennaio 1943), fu un fisico, inventore e
ingegnere elettrico e meccanico Croato (ortodosso, per questo i serbi lo
reputano serbo) emigrato negli Stati Uniti. Ma lui amava definirsi sempre
“scopritore”. Tesla è considerato uno dei più importanti inventori della
storia. È conosciuto soprattutto per il suo rivoluzionario lavoro e i suoi
numerosi contributi nel campo dell'elettromagnetismo tra la fine dell'Ottocento
e gli inizi del Novecento. I suoi brevetti e il suo lavoro teorico formano la
base del moderno sistema elettrico a corrente alternata (CA), compresa la
distribuzione elettrica polifase e i motori a corrente alternata, con i quali
ha contribuito alla nascita della seconda rivoluzione industriale.
sabato 24 settembre 2011
The Jim Henson Company and Google partner to honor Jim Henson's 75th birthday
The Jim Henson Company has remained an established leader in family
entertainment for over 50 years and is recognized worldwide as an
innovator in puppetry, animatronics and digital animation. Best known as
creators of the world famous Muppets, Henson has received over 50 Emmy
Awards and nine Grammy Awards. Recent credits include the Emmy®
nominated "Sid the Science Kid," "Dinosaur Train" "Wilson & Ditch:
Digging America" and "Pajanimals." Features include "The Dark Crystal,"
"Labyrinth," "MirrorMask," and "Unstable Fables" and television
productions include "Fraggle Rock" and the sci-fi cult series
"Farscape."
With additional locations in New York and London, The Jim Henson
Company is headquartered in Los Angeles on the historic Charlie Chaplin
lot, complete with soundstage and postproduction facilities.
Independently owned and operated by the five adult children of founder
Jim Henson, the Company is also home to Jim Henson's Creature Shop™, a
pre-eminent character-building and visual effects group with
international film, television and advertising clients, as well as
Henson Recording Studios, one of the music industry's top recording
facilities known for its world-class blend of state-of-the-art and
vintage equipment.
The Company's Henson Alternative brand recently launched the New
York run of "Stuffed and Unstrung," a live puppet improvisational show
at the Union Square Theatre
HERE
venerdì 12 agosto 2011
Il libro di William D. Cohan "Denaro e potere” (Money and Power) ovvero come Goldman Sachs sia venuto a dominare il mondo!!!

Quando JP Morgan & Co. inaugurò la sede al numero 23 di Wall Street, nel 1913, non si preoccupò di mettere il suo nome sulla porta. La società riteneva che chi intratteneva rapporti d’affari con lei sicuramente avrebbe trovato il modo di “scovarla”. Stessa cosa per la Goldman Sachs E 'difficile mettere in discussione questa teoria. Goldman Sachs ha fatto enormi profitti negli ultimi decenni, e due dei suoi manager sono diventati segretari del Tesoro, un altro è diventato senatore degli Stati Uniti e poi governatore del New Jersey. Goldman Sachs ha resistito alla crisi finanziaria del 2008, e molto molto di più! Insomma una vera potenza finanziaria!!! In "Denaro e potere", William D. Cohan (‘Money and Power: How Goldman Sachs Came to Rule the World’ by William D. Cohan. Doubleday. 658 pp. $30.50), racconta la storia di Goldman Sachs dalle sue umili origini alla sua attuale potenza e gloria. La storia in breve: nel 1850 possedeva un negozio di abbigliamento a Philadelphia. Nel 1869 si trasferisce a New York, dove apre un ufficio in una cantina dove sulla porta c’è scritto: "Marcus Goldman, banchiere e Broker". Da questo momento in poi la strada per la costruzione di un impero finanziario è spianata (se pur con grandissime difficoltà, pericoli e trappole come da copione).
Cohan racconta questa storia anche se lo fa superficialmente. Molte sono le fonti secondarie come Stephen Birmingham e John Kenneth Galbraith … basti pensare che i primi capitoli di "Money and Power" sono pieni zeppi di frasi come "secondo Birmingham” etc, etc. Il libro nella sua quasi totalità accumula interessanti mini-biografie sui personaggi più importanti nella storia più recente dello studio Goldman Sachs, come Weinberg, Robert Rubin, Henry Paulson e Jon Corzine. Si tratta di un lavoro ben fatto e coinvolgente. L’impressione complessiva è che "Denaro e potere" sia stato confezionato prima dei suoi giusti tempi di cottura, pertanto la cosa che si può dire è che lascia un bel po’ di amaro in bocca!
giovedì 24 settembre 2009
ArtB - edizioni di arte necessaria a cura di BigSur

http://www.artb.it
Big Sur, G.A. Coppola n. 3, Lecce, Italy
lunedì 21 settembre 2009
Edward Hopper: inquadrature di tipo fotografico e studio della luce . Di Maria Beatrice Protino

Era capace di cogliere la bellezza nei soggetti più comuni e ancora oggi è possibile riconoscere quel taglio particolare con cui il pittore plasmava i paesaggi sterminati o le strade solitarie, le pompe di benzina o i binari della ferrovia della sua America. Tra le figure più originali dell’arte del Novecento, Edward Hopper – pittore statunitense nato a Nyack nel 1882 e morto a New York nel 1967 - è divenuto popolare in tutto il mondo per la sua pittura austera, insensibile alla modernità che pure le avanguardie europee di inizio secolo prospettavano.
Hopper aveva il gusto per una pittura ordinata, dal tratto nitido e lineare. Questa impostazione, che ad un primo esame poteva apparire accademica, in realtà era coniugata da un rapporto critico con le regole e veniva filtrata dalla sua forte sensibilità. Fin dagli esordi della sua carriera artistica, Hopper è interessato alla composizione figurativa urbana e architettonica in cui inserire un unico personaggio, solo e distaccato psicologicamente, come se vivesse in una dimensione isolata. Il suo genio artistico gli ha permesso di costruire una tavolozza coloristica del tutto originale e riconoscibile, un uso della luce teatrale - grazie anche allo studio degli impressionisti e in particolare di Degas – che poi faceva sposare con inquadrature di tipo fotografico.
Le sue opere sono dominate da un senso di attesa, dal silenzio, forse anche dalla malinconia e dalla noia o dall’inquietudine: infinite le possibili interpretazioni, stando l’impenetrabilità dei suoi personaggi - semplice gente comune accampata in scene che sembrano fotogrammi scelti a caso.
Quella che può sembrare una pittura realista, in realtà nasconde una componente di forte complessità, frutto di una sintesi di più immagini, colte in tempi e luoghi diversi e poi lì riportate così come la mente dell’artista era capace di trattenerle e rivederle nella sua memoria, senza dettagli rilevanti se non quelli che effettivamente risultavano necessari, urgenti.
Nascono, così, composizioni che sembrano effettive sceneggiature dipinte, storie raccontate in un fotogramma in cui Hopper ha voluto bloccare i protagonisti, come subito prima o subito dopo qualche evento importante.
Non stupisce, quindi, che le sue opere abbiano influenzato registi del calibro di Hitchock e dei fratelli Coen, di Ridley Scott e di Dario Argento.
martedì 8 settembre 2009
Il libro del giorno: Il dio degli incubi di Paula Fox (Fazi editore)

"Paula Fox restituisce il ritratto di una città regale e bohèmienne, una città dall'estro artistico, persa nella gloria del suo successo e del suo fallimento, fascinosa non tanto per quello che rimane della vecchia cultura nera e creola quanto per quel che pare provocare nell'animo dei nuovi arrivati"
di Caterina Ricciardi tratto da Il Manifesto dell '8/09/09 p, 12
Fazi editore: http://www.fazieditore.it/
giovedì 3 settembre 2009
Anteprima: Lovesickness di Michele Caccamo a ottobre per Gradiva Publications
venerdì 28 agosto 2009
Lara Favaretto: l’archivio dei sogni. Rec. di Maria Beatrice Protino


Usa spesso il paradosso, i riferimenti letterari e cinematografici quasi come suggerimenti per la sua arte
Lara Favaretto raccoglie e cataloga immagini, testi, filmati e materiali di ogni genere ed epoca: dal fondo del suo archivio, poi, fa emergere idee e suggestioni per sviluppare le sue opere spesso imprevedibili. Le sue performances, istallazioni, video e sculture continuano a fare il giro delle biennali: unica italiana invitata all’ultima Biennale di Sharjah - uno degli Emirati Arabi; tra i pochi chiamati a partecipare alla 53° Biennale di Venezia dal direttore Daniel Birnbaum; presente all’ultima edizione del Festival d’arte Contemporanea di Faenza e già pronta per la sua prossima mostra al Tramway di Glasgow e alla partecipazione alla Biennale Performa di New York a novembre.
Lei è trevigiana e poco più che trentenne. Dopo gli studi a Milano, si è fatta notare ottenendo riconoscimenti in rapida successione: nel 2001 vince il premio Furla per l’arte e una borsa di studio annuale al PS1 di New York; nel 2004 vince ancora una borsa di studio istituita dagli Amici Sostenitori del Castello di Rivoli e infine riceve nel 2005 il premio alla Biennale di Venezia per la giovane arte italiana col video “La terra è troppo grande”, in cui esibiva una sorta di festa magica lungo le sponde di un corso d’acqua: maschere e personaggi da circo, infatti, ma anche citazioni carnevalesche e filmiche ricorrono spesso in installazioni e performances che sollecitano addirittura l’intervento del pubblico.
Alla base dei suoi lavori - per cui utilizza la fotografia, il video, la performance - c’è sempre l’urgenza di una continua trasformazione e la necessità di coinvolgere gli altri nel processo creativo.
La contaminazione e lo scambio continuo di esperienze, anche estranee alla pratica artistica, diventa allora il mezzo per approdare a opere per così dire ‘aperte’ e potenziali in cui il ruolo dell’artista è dichiaratamente fragile e marginale.
L’istallazione presentata a Faenza, ad esempio - “Monumento momentaneo” - è costituita da una palude colma di presenze, contrariamente all’immagine convenzionale, che è invece sterile e desolata, ostile, tipica appunto della palude. Si tratta di un luogo per clandestini, una sorta di nascondiglio che, come dirà l’artista stessa, compone e ricompone infinitamente perché consuma tutto quello che inghiotte, offrendosi al tempo stesso come luogo di speranza e rinascita, oltre che di catastrofe.
Per creare le sue opere ha sempre cura del mondo reale, e si sforza di dar vita a situazioni ibride, trasformando un detto popolare in un fatto reale, con la speranza di una risata corale, con il proposito che un giorno tutto possa essere sovvertito e i sogni dell'artista stessa o quelli comuni a tutti diventino realtà.
sabato 8 agosto 2009
Terence Koh: se fosse un fiore sarebbe un crisantemo bianco. Di Maria Beatrice Protino

È performer, scultore, artista visivo e party boy, ma soprattutto è il paladino dell’ondata new gothic e la controversa supernova dell’arte contemporanea: nativo di Beijing – Cina – ma cresciuto a Vancouver – Canada – sta diventando tanto popolare quanto criticato. In una sua mostra a Londra nel 2008 è stato la causa della querela esposta dalla signora Emily Mapfua contro un centro espositivo di arte contemporanea per aver offeso il pubblico pudore e la morale comune esponendo appunto 74 opere dell’artista cinese, opere in cui – a detta dell’artista - si intendeva focalizzare dal punto di vista del punk e del sesso tutti i personaggi esposti, per cui tutti erano dotati di eccellenti erezioni: dal Cristo a Mickey Mouse a E.T.
Conosciuto anche come “asianpunkboy” dagli addetti ai lavori, crea libri e riviste fatti a mano, dipinti, fotografie, sculture e installazioni. La maggior parte del suo lavoro è frutto di singolari influenze pornografiche e punk, tra fisicità e desiderio: un linguaggio particolarissimo fatto di opere bianche, eteree e spettrali e opere nere, che richiamano lo stile punk black.
L'intera arte di Koh include spesso allusioni a sessualità, etnicità e all'adolescenza, e sfocia in un dilemma esistenziale che oscilla tra due poli contrastanti quali la ricerca del piacere e la mortalità.
L'uso di materiali come cenere, capelli, farfalle e gioielli suggerisce una sensazione di fugacità, mentre l'uso di elementi quali batterie, lampadari, insegne al neon e busti greci è riconducibile al desiderio di trasmettere divertimento e potere. Comune a tutte le sue opere è l'impiego di colori monocromatici come il nero peccaminoso, il bianco purificante e la luce della polvere di diamanti.
Ospite del padiglione danese alla 53° Biennale di Venezia, presenta i suoi due non colori, il bianco e il nero, di cui ha fatto la sigla del proprio lavoro, sospeso tra scultura – materiali preferiti: sperma, polvere, cioccolato, feci, cenere, gesso – e performance: un misto di ritualità e pornografia, di purezza zen e insistenza scatologica sulle più basse funzioni corporali.
Ha una età indefinita che si aggira intorno alla trentina ed è circondato da un alone di mistero, perché, come ogni artista fingitore che si rispetti, indulge nella menzogna più d'ogni altra cosa. D’altro canto, è una fiammeggiante icona di stile: asessuato e teatrale, sempre in bianco o nero totali. Ama la moda e ama parlarne – ma non si ritiene semplicisticamente una faschion victim - come ama vestirsi da donna e sogna – come ha dichiarato in un’intervista per IL SOLE 24 ORE – di sperare che «prima di morire tutti i miei vestiti e i costumi che ho creato vengano esposti nella rotonda del Guggenheim di New York»: davvero modesto.
domenica 29 marzo 2009
Cluck Close: il paradosso dell’arte realista di Maria Beatrice Protino


Chuck Close nasce nel 1940 a Monroe, nello stato di Washington.
Fin dagli esordi nel campo della pittura, alla fine degli Anni ’60, dipinge ritratti di dimensioni colossali ponendo in essere un procedimento estremamente lungo e complesso: dapprima l'artista scatta molte fotografie polaroid dello stesso soggetto, quindi scompone ogni foto riportandola sulla tela per mezzo di reticoli. L'utilizzo della griglia gli consente, quindi, di aumentare moltissimo le dimensioni dell'immagine, mantenendo allo stesso tempo intatta la somiglianza, che, anzi, viene acuita dalla nitidezza quasi maniacale nella resa dei particolari (si possono addirittura contare i peli della barba e vedere i pori della pelle). Si tratta evidentemente di un procedimento estremamente lungo e faticoso, che porta l'artista ad impiegare vari mesi per realizzare una sola opera.
Alla ricerca di inaspettati effetti, impiega decine e decine di tecniche diverse - dalla vasta gamma di tecniche riproduttive incisorie, quali litografie, serigrafie, cera molle, acquatinte, mezzetinte, all'arazzo, al mosaico, al ricamo a mano, al pastello. L'artista - per alcuni da ritenersi quasi il precursore della pittura digitale - in questi passaggi filtra rigorosamente il suo studio sulla figura approdando a risultati che proprio la metodicità del suo fare rende simili agli effetti del digitale, il cui avvicinamento testimonia quanto le sue immagini siano radicate in strutture di pensiero e di azione fortemente disciplinate.
In realtà, come sottolineato da molti critici (si pensi al saggio sull’estetica di C. di Robert Storr, scritto in occasione della mostra antologica dell’artista al Museum of Modern Art di New York), non si tratta di un pittore fotorealista: per lui il realismo non è il fine, ma un passaggio obbligato per fornire un’analisi linguistica che risponde a delle precise leggi scientifiche.
Si pensi, infatti, a C. che, ancora studente, rimane colpito dai dipinti di Pollock, dal modo di pensare di chi faceva Action Painting (più che dal modo di dipingere): il dripping (il fare sgocciolare il colore sulla tela), infatti, è affascinante nel suo farsi, in quanto prende corpo attraverso una sorta di griglia gestuale che può essere ripetuta con metodologia scientifica, addirittura oggettiva, sostituendo così l’ispirazione con la tecnica.
Ecco, dunque, i suoi famosi ritratti: oggettivi e impersonali perché manca la partecipazione di chi li esegue, realisti perché pongono l’accento sul rapporto tra l’autore e il mondo esterno, eppure paradossalmente privi di interpretazione da parte dell’autore, che fa un uso esclusivamente strumentale della realtà riprodotta sulla tela, scavalcando le tematiche psicanalitiche o di certa critica d’arte per cui non può esistere un’arte oggettiva.
L’opera di Chuck Close è una delle più importanti manifestazioni della figurazione realista americana degli ultimi 40 anni. Molti critici sottolineano il paradosso della sua estetica oggettiva, realizzata con metodologia scientifica.
C. racconta di aver letto di un’intervista pubblicata sul New York Times relativa a de Kooning (insieme a Pollock ritenuto fondatore dell’espressionismo astratto americano), dove l’intervistatore diceva a de K. che l’unica cosa che proprio non si può più fare in arte sono i ritratti, e che lui gli aveva risposto: “Già. Ma non puoi neanche fare a meno di farne”. Allora C. ricorda di aver pensato: “Vaffanculo. Troverò il modo di farlo”.
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