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giovedì 6 agosto 2009

Il libro del giorno: Zanzotto Andrea e Breda Marzio, In questo progresso scorsoio. Conversazione con Marzio Breda (Garzanti)

«...in questo progresso scorsoio non so se vengo ingoiato o se ingoio.»

«C’è un volano infernale che gira ed esaspera una certa idea di onnipotenza, una rivoluzione che invade i pensieri e che inquieta e alla quale bisogna opporre resistenza…»

Emergenze climatiche e crisi ambientali, conflitti per l’energia e fondamentalismi religiosi, turbocapitalismo in panne ed eclissi degli idiomi minori: agli esordi del nuovo millennio, ci troviamo di fronte a un «tempo che strapiomba», si aprono nuove difficili sfide, che stiamo affrontando inconsapevoli. Una certa teoria di progresso, sordida e indifferente all’etica, rischia di portarci verso l’autodistruzione. Sono riflessioni come queste ad angosciare oggi Andrea Zanzotto, maestro di coscienza, oltre che autore di versi fra i più importanti e profetici del Novecento. In queste conversazioni, frutto di una lunga amicizia e consuetudine, il poeta ripercorre con Marzio Breda la propria esperienza umana, culturale e creativa. Soprattutto, affronta alcuni temi chiave del nostro presente, quando è più che mai necessario riscoprire il passato per sondare il futuro: paesaggio e linguaggio, storia e memoria, fede e politica, eros e psicoanalisi…

Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 1921), comincia a insegnare a diciassette anni, attività che prosegue anche dopo la laurea in lettere a Padova. Nel 1951 il suo primo libro di versi, Dietro il paesaggio, cui segue una vasta produzione che culmina nella trilogia composta da Il Galateo in bosco (1978), Fosfeni (1983) e Idioma (1986). Nel 1999 esce l’opera completa di poesie e prose, nei Meridiani Mondatori. Oltre che poeta, Zanzotto è autore di racconti e di importanti saggi critici.

Marzio Breda (Conegliano, 1951), laureato in scienze politiche, inviato speciale del «Corriere della Sera». È autore del saggio La guerra del Quirinale (Garzanti, 2006) sulla transizione italiana durante le presidenze Cossiga, Scalfaro e Ciampi. Ha scritto la prefazione per l’antologia di Fernando Pessoa Poesie (RCS 2004). Suo uno studio sulla «biblioteca di Tangentopoli» per l’Almanacco Guanda 2008.

"Il poeta racconta a Marzio Breda quando parlando con Montale cità Aristotele in greco. Gina, cameriera tiranna del Nobel, lo interruppe: - E' dialetto veneto questo? -"

di Antonio D'Orrico tratto da In venticinque parole del Corriere della Sera Magazine n.31/32, p. 112


casa editrice Garzanti: http://www.garzantilibri.it/default.php


Zanzotto Andrea e Breda Marzio,
In questo progresso scorsoio. Conversazione con Marzio Breda (Garzanti)
collana Le Forme, 136 pagine, € 13.00

Anteprima: Krill - Rivista d’immaginario (Lupo editore). Di Mino Degli Atti

Nel centro Manifatture Knos, cantiere delle arti e dei saperi nato a Lecce, si è costituita la redazione di una rivista quadrimestrale (edita da Lupo Editore) dal nome Krill . Il numero 00 è in uscita in questi giorni con il tema “Bene comune”.
Con il termine Krill si indicano i piccoli crostacei che compongono lo zooplancton, cibo primario di balene, mante, squali balena, pesce azzurro e uccelli acquatici. Il loro nome comune (la parola norvegese Krill) significa giovane frittura di pesce. Il Krill, presente in tutti gli oceani del mondo, con particolare concentrazione nelle acque fredde e polari, costituisce il plancton oceanico, quello che alimenta l'ecosistema marino e – alla lunga – globale. È il nutrimento originario.
Il krill è per le balene quello che l’immaginario è per l’essere umano. Ci nutriamo di esseri invisibili e il processo della nutrizione è continuo. L’immaginario è la sintesi di questa opera di continua sollecitazione sensoriale, la lente attraverso la quale il mondo assume una colorazione particolare.
Non crediamo a una differenza tra cultura d'élite e cultura pop.
La nostra proposta è uno spazio di sperimentazione di linguaggi che aboliscano le distinzioni di genere e di classe tra le scritture e tra le scritture e il segno grafico.
L’idea è quella di scegliere, di volta in volta, una parola chiave, un tema monografico che orienti la lettura senza pretese di esaustività.
Vogliamo dedicare questo primo numero al Bene Comune, ovvero l’opera incessante di costruzione di spazi della condivisione che permettano la circolazione di saperi arti e mestieri, vale a dire a quell’ideale che ispira ogni fatto, comportamento, riflessione che implichi la dimensione del condividere. Il Bene Comune è essenzialmente un modo di intendere le relazioni, è un punto di vista critico da cui osservare gli scenari collettivi, e scorgere i cambiamenti, o la perdita di senso. Krill-out, infatti, perchè è tempo di uscire. E’ tempo di lavorare alle relazioni, alla rete della produzione mitopoietica diffusa.
Lontano dalle angustie dei saperi di nicchia, delle scritture accademiche e iperspecialistiche, dei libri impolverati che restano sulle staggiere. Krill nasce dal profondo e nel profondo vuole affondare le mani. Sporcandosele. In tal senso vogliamo muoverci. Provando a dar vita a un'avventura editoriale che coniughi, in tempi di sfiducia e di disincanto, il tentativo di una generazione di appropriarsi nuovamente dell'interpretazione sui suoi prodotti culturali, sul suo tempo e sulle forme del suo immaginario. Sull'immaginario come alimento della nostra esistenza.
Krill out: fuori il nutrimento!

Krill - Rivista d’immaginario
Quadrimestrale – Lupo Editore
Numero 00 – Bene Comune
www.krillproject.it

mercoledì 5 agosto 2009

LA NUCA (CONTROLUCE) di LUISA RUGGIO IL 7 AGOSTO AL LIDO LE DUNE DI PORTO CESAREO




















Il 7 agosto alle ore 21,30 presentazione del volume “LA NUCA” di Luisa Ruggio (edizioni Controluce) presso il lido Le Dune Via dei Bacini, 89, di Porto Cesareo (Lecce) nell'ambito della rassegna "Autori sotto le stelle".

Dopo le calde atmosfere di Afra, Luisa Ruggio torna a incantare i lettori con una favola gotica sul potere del desiderio. Una storia che è anche un commovente omaggio alla scrittura, un tributo alla potenza incantatoria della parola, sull'osmosi tra filosofia occidentale e favola orientale e un falso storico sulla vita immaginaria dell'alchimista di Soleto Matteo Tafuri. Con una prosa poetica che batte un ritmo profondo, La nuca è l'analisi in forma di racconto dell'alchimia segreta che anima tutte le relazioni umane: la fascinazione, qualunque essa sia. La storia, accompagnata dalle musiche di Dario Congedo, è quella di una bellissima adolescente, sospettata di stregoneria perché innamorata delle parole, si traveste da uomo per diventare l'allievo di uno Scriptorium particolare.
Un luogo pieno di libri e inchiostri dove i maestri sono due fratelli. Un alchimista eremita e un arabo che colleziona nuche femminili, alla continua ricerca di quella perfetta per la stesura di un codice fatto di puro erotismo.

Luisa Ruggio, giornalista e scrittrice, vive e lavora a Lecce. Ha scritto saggi sul cinema e la psicanalisi. Il suo romanzo d'esordio, Afra (Besa, 2006), ha vinto tre premi letterari. È autrice del blog dedicato alla scrittura "Dentro Luisa" (www.luisaruggio.blogs.it). La nuca è il suo secondo romanzo.

Il libro del giorno: A duello con la politica. La stampa parlamentare in Italia (1848-1893) di Mauro Forno (Rubbettino)

Gli storici hanno sempre riservato uno spazio limitato alla storia del giornalismo parlamentare e al ruolo di primo piano svolto, all'interno della stampa italiana dell'Ottocento, dai suoi esponenti. Il volume di Forno colloca questo universo in una prospettiva nuova, facendone uno strumento per analizzare le connessioni tra giornalismo, opinione pubblica e istituzioni, per indagare i sistemi di controllo attuati dai governi liberali nel campo dell'informazione, per dare conto dell'impegno profuso dai giornalisti per difendere la professione, anche attraverso la creazione di organizzazioni come l'Associazione della stampa periodica italiana. Fondata nel 1877, tale associazione si spese sin dall'inizio in maniera considerevole per accrescere il peso e il prestigio dei giornalisti e per ridurre il ricorso, ancora frequente alla fine dell'Ottocento, alla pratica del duello: uno strumento ormai sempre meno accettato dalla categoria, nel corso del quale, il 6 marzo 1898, perse la vita Felice Cavallotti, proprio l'uomo che dell'Aspi era stato vicepresidente e uno dei principali animatori.

"Vi si apprendono significative nozioni. Che fin dal 1849, ad esempio, subito dopo lo Statuto albertino il governo si pose il problema di passare di nascosto quattrini ai giornali per condizionarli; o che re Vittorio Emanuele II, al contrario, scriveva al ministro dell'Interno per farli tacere, testualmente: - Mi faccia il piacere di prendere qualche energica determinazione -"

di Filippo Ceccarelli tratto da La Repubblica del 5/08/09, p. 39

casa editrice Rubbettino: http://www.rubbettino.it/rubbettino/public/home.jsp


A duello con la politica. La stampa parlamentare in Italia dalle origini al primo «Ventaglio» (1848-1893) di Mauro Forno (Rubbettino)

“LE COMMEDIE DEL BUIO” di PAOLO FERRANTE (Kipple officina libraria). Rec. di Angelo Petrelli

Partendo dal titolo ambizioso, “Le commedie del buio” di Paolo Ferrante sono un’opera poetica di grande coraggio. Ci riferiamo, ed è il caso di una specifica, a quell’ardire che, in molta parte della produzione letteraria locale, si fa incoscienza e improvvisazione: quest’atteggiamento, nella giovane letteratura salentina (nel suo continuo fervore), si sta trasformando in una costante. Il testo propone oltre ad un impianto in versi, la silloge vera e propria, una corrispondenza grafica; i disegni posti a corollario delle liriche sono dello stesso Ferrante e, a scanso di equivoci, hanno lo scopo di completarne la “poetica”. L’idea alla base della produzione del giovane poeta (classe ’84) è, sulla falsa riga di un manierismo di difficile attuazione, un rifacimento della lirica dei poeti mistici inglesi; cosicché “Le commedie del buio” sono una forma di devozione nei confronti del poeta e pittore inglese William Blake (1757-1827). Il testo, edito dalla piccola editrice milanese “Kipple officina libraria”, vive nella fascinazione della “coscienza mitica” di queste suggestioni letterarie. La particolarità del formato (32x24 cm), la cura del profilo grafico e la tensione emotiva alla base del volume (pp. 32, 8 euro) sono, in termini d’originalità, la nota positiva dell’esordio di Paolo Ferrante. Gli esiti poetici, non sempre soddisfacenti, invece, inficiati proprio dalla difficoltà del cómpito postosi dall’autore, vanno considerati in prospettiva. Alla base di ogni produzione artistica esiste un sogno, una smania che è motore primo di ogni attivismo e iniziativa. Questa forma d’idealismo, è proprio il caso di dirlo, nel nostro contesto storico e sociale, è diventato un valore superficiale e illusorio, in esatta antitesi alla concorrenza materiale e all’antagonismo che si sono imposte a detrimento dello spirito dell’arte. Riconoscendo al lavoro di Ferrante ben altre motivazioni, non possiamo che augurargli, per il futuro, interventi di maggiore maturità e spessore in ambito poetico.

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martedì 4 agosto 2009

Roberto Vecchioni nel Salento per presentare il suo libro "Scacco a Dio" (Einaudi)

E se un giorno Dio, in piena crisi esistenziale, si travestisse da pittore del Rinascimento o da chitarrista rock, da trapezista o da cortigiana, per cercare di comprendere gli uomini, quelle sue creature ribelli che ormai gli sembra di non capire più? Così infatti si presenta il Creatore davanti al «suo primo consigliere» Teliqalipukt, una vecchia conoscenza dei lettori di Roberto Vecchioni. E proprio all'angelo mandato sulla terra per seguire gli uomini, già narratore dei Viaggi del tempo immobile, Dio chiede di spiegarglieli, gli uomini, lui che li ha conosciuti da vicino. Inizia così una sorta di «terapia» in cui Teliqalipukt si fa cantastorie per Dio. Da Catullo a JFK, passando per Shakespeare e Federico II, i protagonisti di queste storie hanno sfidato Dio inventandosi un destino diverso da quello che sembrava già scritto.
Sono grandi uomini che tutti conosciamo, si direbbe. Eppure questa parte della loro storia nessuno ce l'aveva raccontata.

All'incontro, che si terrà martedì 11 agosto alle ore 21,00 presso la Torre Saracena di PortoCesareo, organizzato da Unione dei Comuni Union3, Comune di Porto Cesareo,e con partner Lupo editore, interverranno il presidente della Union3 Fernando Fai, l'assessore alla cultura Union3 Gabriella Greco e lo scrittore Antonio Errico che dialogherà con l'autore.

In libreria SANGUE HABANERO di Gordiano Lupi (Ed. Eumeswil)

Un mistero avvolto tra le braccia di una prostituta cubana, una jinetera, sprofonda nelle contraddizioni del regime castrista.
La Cuba costretta a mangiare col volto nella polvere e quella votata al dio denaro sono un’unica entità in grado di inghiottire ogni anima umana.
Simbolo della contraddizione è un assassino seriale che stronca brutalmente vite di jineteras, donne i cui sogni sono già stati irrimediabilmente stroncati dalle promesse della società nuova.
La protagonista ci insegna che un destino di sesso a pagamento può essere sopportato per dare un futuro al proprio figlio, e che rischiare la vita di fronte a un serial killer può servire per riscattare tutte le prostitute che come lei annientano la propria vita ogni giorno.
I corpi dilaniati di queste povere donne sul lungomare del Malecón indicano la strada per l’indagine della polizia, e indicano al lettore il metodo per interrogarsi sulle contraddizioni di una Cuba agonizzante.

Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz: Machi di carta (Stampa Alternativa, 2003), La Marina del mio passato (Nonsoloparole, 2003), Vita da jinetera (Il Foglio, 2005), Cuba particular – Sesso all’Avana (Stampa Alternativa, 2007) e Adiós Fidel – all’Avana senza un cazzo da fare (A.Car, 2008). I suoi lavori più recenti sono: Nero Tropicale (Terzo Millennio, 2003), Cuba Magica – conversazioni con un santéro (Mursia, 2003), Cannibal – il cinema selvaggio di Ruggero Deodato (Profondo Rosso, 2003), Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana (Bastogi, 2004), Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura (Stampa Alternativa, 2004 - due edizioni in un anno), Orrore, erotismo e pornografia secondo Joe D’Amato (Profondo Rosso, 2004), Tomas Milian, il trucido e lo sbirro (Profondo Rosso, 2004), Serial Killer italiani (Editoriale Olimpia, 2005), Nemici miei (Stampa Alternativa, 2005), Le dive nude - Il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech (Profondo Rosso, 2006), Il cittadino si ribella: il cinema di Enzo G. Castellari - in collaborazione con Fabio Zanello - (Profondo Rosso, 2006), Filmare la morte – Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci (Il Foglio, 2006), Orrori tropicali – storie di vudu, santeria e palo mayombe (Il Foglio, 2006), Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana (Stampa Alternativa, 2006), Sexy made in Italy – le regine del cinema erotico degli anni Settanta (Profondo Rosso, 2007), Coppie diaboliche - dal delitto di Marostica al giallo di Omegna - 34 casi di «crimine a due» 1902-2006 (in collaborazione con Sabina Marchesi - Editoriale Olimpia, 2008), Dracula e i vampiri (in collaborazione con Maurizio Maggioni - Profondo Rosso, 2008), Avana killing (Sered, 2008 – in edicola), Mi Cuba (Mediane, 2008) Delitti in cerca d’autore (I.D.I., 2008 – in edicola), Fernando di Leo e il suo cinema nero e perverso (Profondo Rosso, 2009) e Federico Fellini. A cinema greatmaster (Mediane - edizione italiana e inglese).

Ha curato e tradotto Cuba Libre – Vivere e scrivere all’Avana (Rizzoli, 2009), il primo libro italiano di Yoani Sánchez.

Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come Cominciamo bene le storie di Corrado Augias (libro Serial killer italiani), Uno Mattina di Luca Giurato (libro Serial killer italiani), Odeon TV (trasmissione sui Serial killer italiani) e La Commedia all’italiana su Rete Quattro (dove ha parlato di Gloria Guida e di commedia sexy). È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. I suoi libri sono stati oggetto di numerose recensioni e segnalazioni che si possono leggere al sito www.infol.it/lupi.

Il libro del giorno: Biopolitica, bioeconomia e processi di soggettivazione (Quodlibet) A cura di Adalgiso Amendola, Laura Bazzicalupo, Federico Chicc

Negli ultimi anni ha conquistato una decisa centralità, nel dibattito delle idee, il paradigma biopolitico: un paradigma aperto, attraversato da numerose e differenziate interpretazioni, unito dalla convinzione che la vita è diventata, o va diventando, diretto oggetto delle pratiche e delle strategie politiche, oltre le mediazioni classiche offerte dalla tradizione moderna. Filosofi, economisti, sociologi e giuristi, che hanno incrociato in vario modo questo paradigma, hanno confrontato i loro percorsi durante un seminario di studi di cui questo volume sviluppa i temi.
Le quattro sezioni del libro («Crisi del lessico politico-giuridico. Tra codice della norma e codice del governo», «Alienazione e nuove pratiche di oggettivazione del vivente», «Assoggettamento/soggettivazione. Il governo delle vite» e «Democrazia radicale e sfera pubblica. Nuove forme di agire politico») forniscono, più che un percorso lineare e predeterminato, una sorta di cartografia dei luoghi problematici e degli interrogativi aperti che gli approcci biopolitico e bioeconomico cercano oggi di affrontare.

Contributi di Elena Acuti, Adalgiso Amendola, Renata Badii, Giorgio Barberis, Laura Bazzicalupo, Lorenzo Bernini, Marco Bontempi, Vando Borghi, Michele Cammelli, Federico Chicchi, Sandro Chignola, Roberto Ciccarelli, Massimo De Carolis, Lelio Demichelis, Graziella Durante, Olivia Guaraldo, Claudia Landolfi, Maria Laura Lanzillo, Thomas Lemke, Emanuele Leonardi, Sandro Luce, Christian Marazzi, Costanza Margiotta, Ottavio Marzocca, Sandro Mezzadra, Luigi Pannarale, Marco Revelli, Andrea Russo, Anna Simone, Elettra Stimilli, Antonio Tucci, Salvo Vaccaro, Tommaso Vitale.

"Che significato politico ha una riflessione sulla biopolitica, la bioeconomia e i processi di soggetivazione in un'epoca segnata dalla crisi economica? E'questa la principale chiave di lettura per la raccolta di saggi curati da Adalgiso Amendola, Laura Bazzicalupo, Federico Chicchi e Antonio Tucci. Il punto di partenza di tutti gli autori è la crisi del lessico politico-giuridico classico, il punto di arrivo vorrebbe essere una riflessione sulle nuove forme d'agire poltico"

di Stefano Lucarelli tratto da Il Manifesto del 4/08/09, p. 12

casa editrice Quodlibet: http://www.quodlibet.it/

Biopolitica, bioeconomia e processi di soggettivazione (Quodlibet)
A cura di Adalgiso Amendola, Laura Bazzicalupo, Federico Chicchi, Antonio Tucci

Sono un ragazzo fortunato (surf backstage frame) di Marco Montanaro

[certo, alla fine di questo pezzo c’è ancora una domanda nell’aria: e la risposta è no, non userei più un blog per infilarci dei racconti; a ripensarci è un’idea balzana, pittoresca, soprattutto adesso che la scrittura da web è diventata ancora più breve, istantanea; e il pericolo di incappare in qualche casa editrice a caccia di scrittori-blogger mi fa rabbrividire; il mio blog attuale, il malesangue, si occupa d’interviste; e questa è un’altra storia.]

Adesso "Sono un ragazzo fortunato" (Lupo editore) è, prima di tutto, un oggetto. Il libro se ne sta per gli affari suoi, se ne infischia di me. Ogni tanto vado a sfogliarlo, ma il punto cruciale è che ora sto parlando di qualcosa di materiale, concreto. So che c’è tanta gente che scrive per pubblicare: quello che si dovrebbe avere in mente quando si scrive, suppongo, dovrebbe essere già il prodotto finale, in cui è racchiuso ogni passaggio del meccanismo che porta ciò che hai scritto a diventare di carta. Non so se è così, se effettivamente chi scrive ha già in mente ognuno di questi passaggi; mi considero uno che ha scritto un libro – non certo un professionista – senza sapere, all’epoca, che l’avrei pubblicato; sarei disonesto se parlassi d’altro e non del lato concreto della faccenda. Perché mi immagino un po’ nell’ombra, quando scrivo, è un’operazione che si svolge al riparo dagli altri, quasi nascosta; adesso provo a farmi affascinare dal lato concreto, quasi “fisico”, dell’affare. Portare fuori il libro, parlarne con chi ti conosce (e non sospettava), presentarlo in pubblico (non è una cosa che ritengo fondamentale, ma se mi “obbliga” a uno sforzo fisico, e se questo lato fisico completa quello mentale…), insomma: c’è un momento da cui vorrei partire per parlare di Sono un ragazzo fortunato, perché spiega anche a me, tutt’ora, un paio di cose. C’era un racconto che volevo assolutamente tagliare, per intero, in fase di editing; Donatella Neri, che si è occupata del mio libro per Lupo Editore, insisteva perché quel pezzo rimanesse, mentre io lo detestavo. Volevo infilarne un altro, al posto di quello: alla fine, una discreta mediazione, fuori entrambi. Ma Donatella mi scrisse una mail, in cui diceva più o meno: parti dal presupposto che ciò che esce fuori da te, a un certo punto, non appartiene più solo a te stesso. Per me è stato un momento fondamentale: perché, una volta che capisci che sei riuscito a tirar fuori un pezzo di te, le cose devono essere un po’ più lisce.
Quanto al libro in sé, Sono un ragazzo fortunato è soprattutto un libro sulla ricorsività dei meccanismi che governano le storie, e sul ritmo. Un mio professore, all’università, mi disse che la mia scrittura «ha ritmo». Io credo che proprio il ritmo faccia la fortuna di un testo, per la maggior parte. Probabilmente, anche solo a un livello inconscio per il lettore. Si parla molto di questioni di stile – una volta ho persino beccato uno che s’era fissato con l’anacoluto come nuova tendenza tra i giovani scrittori italiani, puah! – e poco di ritmo (che non è solo una sottocategoria dello stile, è chiaro). Il ritmo, a partire dalla punteggiatura, questo fa funzionare un testo – anche un film, a pensarci bene. Allora io ho cercato di lavorare su questo, soprattutto nei racconti Troppi Caffè e Storie d’amore disadorne. Rileggendo il libro, ascoltandolo recitato da altre persone, ecco, mi viene voglia di cambiare alcune parole; di dare una rinfrescatina ad alcuni concetti; ma, per quanto riguarda il ritmo, posso ritenermi tutt’ora soddisfatto. SURF conserva un suo ritmo, il che vuol dire che la mia voce interiore di allora e quella di oggi – sono passati tre o quattro anni da quando l’ho scritto – in qualche modo coincidono – niente schizofrenia. Per il resto, si tratta di finzione: pescare nell’autobiografia è stato comodo, com’è ovvio, ma fino a un certo punto; poi bisogna allontanarsene, prendere il largo, cercare gli angoli di una storia che possano rendere quella storia quanto più universale possibile. Avevo il terrore di annegare nell’autocompiacimento di certe canzoni italiane contemporanee, che dalla loro, però, hanno anche la musica.
Mi fermo qui con l’autoanalisi. Posso solo aggiungere che Sono un ragazzo fortunato fa il tifo per la narrazione di fantasia. È tifo, dunque irrazionale: credo che, citando Wittgenstein, su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. Perciò non avrei potuto scrivere a proposito della Sacra Corona Unita o sulla diossina di Taranto. Mi piacerebbe scrivere una mia personalissima guida alla Puglia, forse su quella lingua di terra in cui vivo, tra Brindisi e Taranto, sconosciuta ai più, e dimenticata da se stessa. Ma sarebbe la mia visione, riterrei comunque di agire nell’ambito della finzione. Per il resto, tendo a tacere.
Anche sullo scrivere un libro, avrei potuto tacere fino a qualche tempo fa; visto anche il fatto che questa è esperienza comune a molti italiani, soprattutto dopo l’avvento degli scrittori-blogger (il che è un ossimoro). A me, in fondo, è andata bene: avevo scritto alcuni racconti per me stesso – dunque, direi, in un regime di semi-inconsapevolezza – alcuni di questi pubblicati in giro per la rete, altri rimasti nel pc. Così decisi di mettere su un blog a tempo determinato: un racconto a settimana per nove settimane. Pensavo potesse essere un richiamo per un qualche pubblico, l’appuntamento settimanale; invece fu soprattutto un modo per disciplinarmi, per fare in modo che lo scrivere smettesse di essere atto occasionale o dettato da certi umori (da questo punto di vista non so ancora se ho fatto progressi). Dopodiché, un amico che lavorava per Lupo e Coolclub mi suggerì di mandare qualcosa in casa editrice. Mesi dopo fui contattato da Cosimo Lupo, il mitico editore tuttofare, e cominciammo con l’editing e tutto il resto. Poi, la fusione tra Lupo e Coolclub per una nuova collana ed ecco il mio libro.
Non so com’è scrivere appositamente in vista di una pubblicazione; non avevo la smania di “uscire”, soprattutto perché sapevo che avrebbe voluto dire tirar fuori, rendere pubblici alcuni tormenti personali; e invece, ci sto facendo l’abitudine. Capita, quando leggono il tuo libro in pubblico; non puoi farci nulla e puoi persino finire con l’apprezzarlo. Probabilmente, è ciò che devi fare, per quanto possa interessare solo due o tre persone.

lunedì 3 agosto 2009

Il libro del giorno: Arbeleche Jorge, "40 POESIE" (LietoColle). Traduzione e cura di Alessio Brandolini e Martha Canfield

... con umiltà, abbiamo provato a dar voce, con la nostra scelta dei testi e la nostra traduzione, alla voce stessa del poeta, ovvero a imprimere a questo 40 poesie di Jorge Arbeleche la mas­sima compattezza e intensità possibili, riverberando in esso la poetica del maestro, il gusto, il largo respiro, quella scelta d'un linguaggio colloquiale che si contrappone e/o si affianca a un lin­guaggio più alto, che sa inventare calzanti neologismi o costruzio­ni sintattiche nuove ("Come se il vento soffiasse controfreccia") e immagini che volutamente, talvolta, spezzano o rallentano il canto, come un nodo a una corda perfettamente tesa.

Alessio Brandolini

Pájaro apretado

Un pájaro.
Dos piedras.
Un pájaro
apretado
entre dos piedras
aplastado
bajo el aire todo
apretado por los ruidos todos
los ojos
las calles
las bocas como un filo.
Un pájaro apretado.
Un pájaro
y dos piedras.

Uccello prigioniero

Un uccello.
Due pietre.
Un uccello
prigioniero
tra due pietre
schiacciato
sotto l'aria tutto
chiuso dai rumori tutti
gli occhi
le strade
le bocche come lame.
Un uccello prigioniero.
Un uccello
e due pietre.

casa editrice LietoColle: http://www.lietocolle.info/it/

Tre Ombre (Edizioni BD) Storia di una fuga e di una sfida al destino. Di Ilaria Ferramosca*

Cosa può accadere nella tranquilla e felice vita di una piccola famiglia campagnola, se d’improvviso all’orizzonte spuntano tre minacciose e insistenti ombre? Sono queste le premesse della delicata e al contempo inquietante storia, scritta e disegnata da Cyril Pedrosa, giovane autore dall’incantevole sintesi grafica e con un passato da animatore Disney.
Tre ombre è il racconto di un viaggio; un viaggio carico di speranze contro un destino che sembra inseguire in maniera instancabile e incombente i protagonisti della vicenda, tra inquadrature a volte asfittiche e distorte, altre lineari, pulite e dai tratti sottili. Un susseguirsi di foreste, acque, navi, locande, dove tutto è avventura e al contempo prevedibilità.
Joachim è un bambino allegro, che conduce una vita semplice nei pressi di un lago, con i suoi genitori. Le sue stagioni sono scandite dalla semplicità degli eventi naturali: il lavoro nei campi, la pesca al fiume, il bagno in assoluta libertà tra le acque cristalline, le fiabe raccontate dalla mamma. Ma un bel giorno ecco spuntare all’orizzonte, sul dorso delle colline, tre figure scure che paiono fissarlo e presidiare la casa.
La vita della famigliola comincia a essere sempre meno spensierata, il dubbio su chi siano e cosa vogliano le tre ombre, identificate come “cavalieri”, che tanto angosciano il piccolo Joachim, diventa una sorta di ossessione per la giovane madre, che decide di recarsi nella vicina città per chiedere consiglio alla vecchia e saggia Suzette Pique, specialista in “parti dolorosi e demoni interiori”. La verità che l’anziana donna le rivelerà, anziché placare le angosce del dubbio, la trascinerà in inquietudini più grandi. Sarà così l’inizio, per Joachim e suo padre, di un viaggio, una fuga verso una meta imprecisata, un posto lontano dall’altra parte del fiume dove le ombre non potranno trovarli.
Cyril Pedrosa descrive una storia semplice, senza pretesa di chissà quali insegnamenti o grossi colpi di scena, una storia dalla quale non ci si può aspettare null’altro se non quello che esattamente è: una metafora fiabesca, a brevi momenti avventurosa, della vita e dei suoi giochi inattesi. Eppure la sua grande forza sta proprio in questo, nel raccontare la normalità del destino, dell’esistenza e della sua fine, in una corsa attraverso i giorni.

*redazione Talkink

domenica 2 agosto 2009

DEL VARIEGATO MONDO DEI POETI . In ricordo di Musicaos. Di Maria Zimotti

La nostalgia è cosa struggente. Cosa, perchè le cose trattengono i ricordi per rimandarceli a tradimento grazie al vento di una sera d'estate, per esempio. E' il vento di una sera d'estate a trasportarla, la nostalgia. Il vento è una licenza letteraria, perchè il vento quella sera a Noci non c'era. C'era il vento di Internet, l'autostrada virtuale che mi ha portato ad attraversare l'Italia per esserci. Internet è il vento che trasporta poeti che si incontrano nei siti virtuali. Come tutti i poeti non conoscono pregiudizi anagrafici, perciò stanno bene nella Rete. La mattina che ha preceduto la sera di Noci c'è stato un dibattito a quattro davanti ad un caffè sull'overdose dei blog letterari, ché c'era chi diceva che scrittori non ci si improvvisa, che tutti scrivono e chi si chiedeva chi stabilisce che cosa è valido e cosa no. La sera di Noci dà consistenza plastica ai nomi conosciuti in Rete e ti accorgi che i poeti fanno sempre altro, che nessuno nasce scrittore. Io sono scrittore, mi sembra sempre strano dirlo. Ho sentito dire tante volte: "Mi piacerebbe scrivere un libro". Uno aggiunse una volta "... per raccontare i soprusi subiti" e in questo desiderio di tutti c'è il germe dei blog. A proposito di blog, Musicaos sta lì che sonnecchia nel mare infinito del web. L'ultimo post della sua ultima stanca metamorfosi grafica ha per titolo La Gru ed io, nei miei ostinati giochi evocativi che portano sempre acqua al mulino del mio sentimentalismo la vedo come una cosa in standby, un forte uccello con i piedi ben piantati per terra pronto a librarsi di nuovo nel cielo del web, che è come il cielo della psiche dove niente si dimentica veramente. I poeti, intanto. Quando li vedi in carne e ossa ti accorgi perchè chi comincia a scrivere scrive sempre in poesia. Non c'è niente di professionale nella poesia. Istintivamente dico che la poesia è l'istinto primigenio della scrittura ed è forse un pensiero banale, da dilettante, banale come certe frasi fatte e pur vere, come lo scenario degli ulivi, come la vita che scorre. Ogni tanto, con calma, le occasioni della vita mi fanno conoscere di persona tutte quelle persone che hanno condiviso l'avventura di Musicaos, laddove le nostre pulsioni grafomani sono diventate pulsioni elettriche. E, come si dice, i poeti sono meglio dal vivo. Riconosci quella specie di ingenuo esibizionismo che ci coglie tutti all'inizio, perchè come ha detto una volta la mia cara amica Elisabetta Liguori, si scrive principalmente per essere amati. La potenza, la voglia, quando si comincia a scrivere, è quella di un bambino capriccioso che pensa di avere in mano le redini del mondo e non accetta no, come l'adolescente che pensa di sapere tutto. Poi, si impara a modulare, come si impara ad addomesticare la scrittura, perchè se si vuole dire tutto spesso la poesia non basta. Così, ora che Musicaos sta in archivio, dalla sua fucina calda, che per quanto mi riguarda è la fucina calda del Sud, si liberano a poetare per le strade del Sud, e non solo, bellissime ragazze dai vestiti fiorati che sono la ragazza del sud che avrei voluto essere, bella e intelligente oppure musicisti che non hanno smesso di essere giovani. Con dialoghi di questo tipo, intercettati nella sera di Noci, tra due poeti che non si erano mai visti, uno dei quali presentato da uno dei poeti organizzatori, come Luciano, il cui cognome all'altro poeta era sfuggito, coperto dal suono della musica : "Ah, tu sei Luciano, Luciano Pagano?". Misunderstanding creati dalla Rete, dai poeti senza volto. Così, dico grazie a Luciano Pagano, quello vero e a tutti gli altri di Musicaos che mi hanno permesso di conoscere tante persone interessanti che mi hanno aperto prospettive sempre nuove del mio Sud, che sta nell'infanzia delle cose della mia vita.
Sentimentalismi, dicevo.

fonte iconografica: http://www.l-arcadinoe.com/it/wp-content/uploads/2009/04/poesia_in_un_abbraccio.jpg

Il libro del giorno: L' arte di essere povero di Boniface de Castellane, 2009, Excelsior 1881 (collana Impronte)

"Il mio divorzio fu emesso il 5 novembre, alle cinque della sera". Così inizia quella che, oltre a una testimonianza avvincente, può essere letta come manuale scritto da un autentico intenditore, oggi venerato anche in Internet. Il matrimonio con l'ereditiera americana Anna Gould aveva reso Boni de Castellane "Re di Parigi". I sontuosissimi parties, spesso in maschera, con cui animava le serate parigine sono rimasti nella storia. Affollati della crème della società, con il conte di Montesquiou, Marcel Proust, Sarah Bernhardt, la Duse, d'Annunzio, l'allora giovane Jean Cocteau e pure Oscar Wilde. Tutti volevano essere suoi ospiti. Finché la moglie, indispettita dalle spese (e dai tradimenti), presentò istanza di divorzio e Boni, abbandonato da tutti, finì a doversela vedere coi creditori e con la buona società che ora gli voltava le spalle. Ma seppure difficile, la sua nuova, lunga vita "da povero", non fu però da meno di quella precedente. Perduti lussi e limousine, Boni restò con qualche abito e i mezzi pubblici, ma riuscì nell'impresa di rimanere sempre fedele a se stesso. E conservando il suo spiccato senso dell'umorismo, poco prima di morire, decise di raccontare "L'arte di essere povero".

"Boniface de Castellane è una leggenda nella Parigi della Bella Epoque, la sua vita il tripudio dello chic"

di M.G.L. tratto da Io Donna del Corriere della Sera n.31 del 1/09/09 p. 33

L' arte di essere povero di Boniface de Castellane, 2009, Excelsior 1881 (collana Impronte)

casa editrice Excelsior 1881: http://www.excelsior1881.eu/

Rovatti, P.A., La filosofia può curare?, Milano, Raffaello Cortina. Di Mimmo Pesare

In un fascicolo monografico dedicato ai temi del “del tutto nuovo”, non può non mancare, tra le segnalazioni di libri pubblicati negli ultimi mesi, la recensione di un volume sulle cosiddette pratiche filosofiche e in particolare sulla consulenza filosofica, che nel panorama delle novità disciplinari (ammesso che di disciplina si possa parlare) costituisce appunto una novità, i cui contenuti e il cui statuto si stanno ritagliando sempre più spazio nel dibattito internazionale. Dell’ordinamento teorico della consulenza filosofica se ne è parlato già nel numero precedente del Quaderno, a proposito della monografia di Umberto Galimberti (La casa di psiche, Feltrinelli, 2005), all’interno della cui recensione si diceva, appunto, della sua progressiva affermazione quale esercizio del dialogo e della saggezza che individuano nel sapere del filosofo la pratica di una foucaultiana cura del sé che nulla ha a che vedere con la cura psicopatologica. Nel frattempo i segnali della fortuna di questo tipo di studi si sono moltiplicati: l’editore Apogeo (Milano) dedica gran parte della sua produzione alla saggistica italiana e internazionale sulla consulenza filosofica, passando velocemente e prepotentemente da casa editrice di nicchia a una delle più presenti nei ripiani delle librerie italiane; e una definitiva consacrazione di queste tematiche all’interno del palinsesto scientifico degli addetti ai lavori è avvenuta proprio un paio di mesi fa, quando Aut Aut, la rivista filosofica fondata da Enzo Paci, che raccoglie ancora oggi le firme del gotha del pensiero occidentale, ha interamente dedicato l’ultimo numero (332) proprio alla discussione sul counselling filosofico. In questa cornice, quindi, non stupisce che il libro in questione porti la firma di un altro grande nome della filosofia italiana, l’ex “debolista” Pier Aldo Rovatti, e che il pamphlet sia stato pubblicato dall’Editore Raffaello Cortina, come ulteriore corroborazione dell’urgente attualità del dibattito in questione.
Diciamo subito che la scrittura di Rovatti non entra esclusivamente nel merito dei contenuti scientifici di tale pratica, come invece succedeva nel saggio di Galimberti, che offriva una ampia e puntuale rassegna dei tropoi e delle ancillarità che la consulenza filosofica riconosce al sapere umanistico e dei punti di differenziazione con la clinica delle psicoterapie. Il pamphlet di Rovatti potrebbe esser meglio definito all’interno di quella tipologia editoriale che in passato si suoleva definire “saggio di costume”, in quanto, alle riflessioni che entrano esplicitamente nel merito dello statuto disciplinare del counselling, si unisce l’arguta mise en place dello stato dell’arte dei corsi di Laurea di Filosofia, oggi, e il sarcasmo, molto più che legittimo, nei confronti dei meccanismi di strozzamento delle carriere dell’aspirante insegnante di filosofia e di baronato e cooptazione dei percorsi di immissione al ruolo all’interno delle lobbies accademiche.
Il titolo del saggio è programmaticamente interlocutorio: alla domanda la filosofia può curare?, la risposta dell’autore è, senza mezzi termini, “dipende da cosa si intende per cura”. La faccenda della concettualizzazione del termine cura è infatti centrale per Rovatti, secondo il quale siamo immersi e andiamo sempre più immergendoci in una cultura terapeutica che dal mondo angloamericano si sta estendendo pervicacemente anche al modo di sentire di una Europa sempre più malsicura e spaesata, in cui si sta cristallizzando la sindrome, tutta statunitense, della proliferazione delle pratiche più variegate di assistenza psicologica, la cui domanda si è moltiplicata sulla base di uno scenario caratterizzato dalla vulnerabilità dell’individuo e dal “deficit emotivo”. La parola “cura” si tira subito dietro la parola “terapia”, scrive Rovatti, e proprio questa tendenza alla medicalizzazione del sentire e di una presunta guarigione normotipica, si dovrebbe scagliare la filosofia, perché il suo compito e stato sempre quello di smascherare i poteri forti che proprio sotto l’egida di una mentalità “da guarigione del sentire” conservano il proprio status e le proprie discrezionalità, come teorizzava Foucault. La pratica della filosofia dovrebbe innanzitutto liberare il concetto di “malattia” dalle sovrastrutture ideologiche che ne alimentano l’illusorietà e ne ingrassano gli effetti di governo delle anime, come accade negli uffici meglio arredati dei grattacieli di Wall Street, in cui una massa di coach, counsellor e guru d’ogni sorta, insegnano ai manager quarantenni con il conto in banca straripante e il colesterolo alto, a sentire le “giuste sensazioni” per migliorare il marketing dell’azienda. La filosofia, allora, può curare a patto che il farmaco in essa contenuto, sia, nella sua accezione semantica più antica, prima di tutto un veleno e non una medicina. Un veleno che il consulente filosofico (sulla cui formazione e immissione nel mondo del lavoro, peraltro, Rovatti non è affatto contrario, soddisfatte alcune condizioni) dovrebbe instillare continuamente nei cosiddetti consultanti – siano essi singoli o aziende –, poiché dalla saggezza e dalla maieutica non dovrebbe venire alcuna consolazione in quanto tale; egli, al contrario, alle domande di un senso solido dell’esistenza, «si troverà nella situazione di smontare o decostruire pazientemente le sue attese, in vista – forse – di un nuovo scenario in cui parole come “rischio” e “spaesamento” dovrebbero funzionare, piuttosto che come sintomi di un disagio, cioè di qualcosa da curare, come aperture di esperienza, cioè – paradossalmente – come la cura stessa o un suo primo affacciarsi». Parole, queste, che sintetizzano l’intero spirito del libro, rendendone gli esiti e il messaggio molto più forti e legittimati di tanta letteratura del settore che poco incide sulla freschezza di tale riflessione e che spesso, spessissimo, tutela, ancora una volta, interessi di casta, come accade nelle numerosissime associazioni, scuole e master che tentano (spesso pretenziosamente) di insegnare a “praticare” la filosofia nella vita di tutti i giorni, imbastendo tecniche e stilando manuali puntualmente stroncati dalle letture critiche più intelligenti e libere. Oggi, infatti, entrare nei percorsi formativi che rilasciano il diplomino di consulente filosofico, significa sborsare parecchie migliaia di euro solo per acquisire materiale didattico, studiare libri e imparare strategie dialogiche di discutibili premesse scientifiche, un’attività lunga e dispendiosa, come spesso succede nel panorama delle formazioni professionalizzanti, dalle scuole SSIS ai corsi abilitanti di enti privati. E in questo scenario, osserva Rovatti, si alimentano le speranze di giovani laureati in Filosofia che vedono la messa in pratica del sapere “immateriale” accumulato nei loro anni universitari, sempre meno attuabile nei percorsi tradizionali (l’insegnamento su tutti) e che, dunque, tentano di rendere utilizzabile in una pratica che, tuttavia, sarebbe sicuramente utilissima nel mondo del lavoro e, lungi dal provocare danni di sorta, se improntata a quel “senso di sospetto” che la filosofia dovrebbe raffinare, non porterebbe che giovamento nell’esperienza di verità che il pensiero, come cura di sé, detiene.

sabato 1 agosto 2009

Il libro del giorno: La voce degli angeli di Roger J. Ellory , Giano editore (collana Nerogiano

Joseph Calvin Vaughan ha dodici anni quando, nell'estate del 1939, sua madre lo prende da parte e, con gli occhi gonfi di pianto, gli dice che suo padre è morto di "reumatismo cardiaco". Come un vero figlio del Sud, Joseph scaccia subito le lacrime, ma in cuor suo sa che non è stato il reumatismo a portarsi via suo padre, bensì la Morte, arrivata di soppiatto a High Road, lasciandosi dietro soltanto impronte di piedi nella polvere. Il 3 novembre 1939, perciò, quando in fondo a High Road viene ritrovato il corpo nudo di Alice Ruth Van Horne, Joseph sa subito che la Morte è venuta a prendere anche lei. Quando è stata uccisa stringeva in mano il cestino della merenda che profumava ancora di pane. Il 9 agosto del 1940, a Silco, nella contea di Camden, Laverna Stowell, una bambina di nove anni, viene ritrovata come Alice Ruth Van Horne, con indosso soltanto i calzini e una scarpa, al piede destro. L'anno dopo è il turno di Ellen May Levine, sette anni, denudata e percossa prima di essere uccisa. Spinto dalla paura e dalla necessità di reagire in qualche forma, Joseph Vaughan fonda coi suoi amici gli "Angeli Custodi", una specie di società segreta, volta a proteggere le bambine di Augusta Falls. Il confronto, però, è impari e i ragazzi assistono impotenti alla morte delle loro compagne, una dopo l'altra. Occorreranno quindici lunghi anni prima che il capitolo finale della vicenda si dispieghi e Joseph affronti l'incubo che ha segnato la sua adolescenza e la sua vita.

"400 mila copie vendute in Inghilterra, terzo posto nella classifica del Sunday Times, diritti venduti in tutto il mondo - a settembre esce negli States - La voce degli angeli di Roger J. Ellory incrocia abilmente romanzo storico, poliziesco e thriller"

di Tiziana Lo Porto tratto da D La Repubblica delle donne, n.657, p. 22

casa editrice Giano: http://www.gianoeditore.it/

La voce degli angeli di Roger J. Ellory
2009, 451 p., Giano (collana Nerogiano)

Acasadidio di Giorgio Morale (Manni)

Ho assolto al mio obbligo di leva, ormai sono passati quasi dieci anni, all’interno di una organizzazione non governativa che si occupava di immigrazione (gestiva un CPT nella provincia di Lecce), ed estendeva inoltre la sua azione nell’ambito del volontariato professionalizzato in più attività: dall’assistenza ai bisognosi, ai minori stranieri non accompagnati, alle donne (moldave, ucraine, africane) che volevano in qualche modo uscire dal giro della prostituzione, a extracomunitari in cerca di lavoro per regolarizzare la loro situazione nel nostro paese. Non avrei mai impugnato un’arma, e dunque per estinguere il mio debito nei confronti dello Stato, l’unica alternativa restava quella del servizio civile. Per mia natura sono stato sempre una persona che è vissuta di ideali, e quando ho sposato una causa (in qualunque ambito della mia vita) ho dato anima e corpo, senza risparmiarmi su nulla, rinunciando a orari e famiglia. No, non un martirio nel senso masochistico del termine, ma un essere per gli altri. Stavo bene, e volevo far star bene gli altri, anche se magari ero solo una piccola rotella nell’ingranaggio di una gigantesca macchina chiamata solidarietà! E di fatto vivendo questa esperienza, ho acquisito diverse competenze certo, ho vissuto momenti difficili indubbiamente, ma che non rimpiango. Ricordo nei confronti del “presidente” di questa ong, una mia disponibilità totale, perché per me chi era a capo di una struttura che aiutava il prossimo, non poteva essere che da premio nobel per la pace. A tratti, nel vorticoso caos di quei mesi, in piccoli barlumi di lucidità, spesso tra gli “effettivi” dello staff notavo qualcosa di stonato, percepivo che il loro forse era solo un desiderio di sopravvivere, avendo trovato un lavoro più o meno decoroso, piuttosto che l’altruismo o spirito di fratellanza, quello cristianamente autentico, quello evangelico. Ero giovane, e non molto smaliziato, non ancora pronto a leggere tra le righe. Ora rivedendo quel piccolo tracciato della mia biografia, ho capito più cose, e più cose mi sono state manifestate ancora più lucidamente, dopo che ho letto il lavoro, splendido, di Giorgio Morale dal titolo “Acasadidio” edito da Manni. Un romanzo senza troppi fronzoli e che parla di solidarietà, della sua struttura, della sua operatività, del volontariato, delle diverse gradazioni di moralità o a/moralità delle persone che vi lavorano, di quali sono gli intrecci affaristici (tra politica e media nella maggior parte dei casi), ricchi e fruttuosi che vanno nelle tasche di chi gestisce associazioni di volontariato, i quali fanno di una missione per il prossimo (certo ci sono le eccezioni) un vero e proprio Ministero della Propaganda falso/perbenista per incensare demagogicamente la propria generosità, e rendere le acque ancora più torbide di quello che non sono. Così, e deve essere così, non si riesce a vederci chiaro! Giorgio Morale, spiega, e lo fa in maniera da romanzo, con uno stile brillante e calibrato, a chi pensa che il mondo delle onlus nel volontariato professionalizzato sia tutto rose e fiori, come spesso il grigiore della superficialità, e il puro interesse la facciano da padroni. La storia viene ambientata nella periferia di Milano, parla di un’associazione di volontariato e i locali e corridoi sono descritti con forti connotazioni da iper/realismo oggettivo: tutto è tappezzato di «crocifissi [...] madonne, frasi del vangelo e di madre Teresa di Calcutta [...]. Aria cattolica: un po’ di gioia, un po’ di penitenza». Figura cardine il Presidente, figlio di immigrati, che dopo molte umiliazioni ce la fa, arriva a trovare una posizione di prestigio in una Milano non da bere, e lo fa facendo i soldi con gli “sfigati”. Il Centro è mandato avanti dalla diabetica Martina, da Ombretta, Teresa, Vanna e poi dalla peruviana Dora e Sonia. Il resto solo comparse, che seppur ben delineate nelle caratterizzazioni, rimangono figure dalla consistenza di ombre! Giorgio Morale ha dimostrato un immenso coraggio per due motivi: il recupero della letteratura come impegno civile, e il disvelamento dell’ipocrisia di un mondo che alla fine ha dimenticato nella maniera più assoluta cosa significhi spirito di servizio, assistenza alla persona, generosità, solidarietà, amore per il prossimo!

venerdì 31 luglio 2009

Il libro del giorno: Ghosts di Joe Hill (Sperling & Kupfer)

Il passato non è morto. E non è nemmeno passato. Una strepitosa raccolta di racconti dell'orrore che mescolano il soprannaturale alla vita quotidiana, l'incubo alla normalità, il panico allo humour senza disdegnare un pizzico di romanticismo.
Imogene è giovane e bella. Bacia come una diva del cinema e sa tutto di tutto su qualsiasi film. È morta, ma aspetta Alec Sheldon nel Rosebud Theater in un pomeriggio del 1945. Arthur Roth è un tipo solitario con grandi idee e un talento per attirare i guai. Non è semplice farsi degli amici quando sei l'unico "ragazzo gonfiabile" in città. Francis non è felice. Un tempo era umano, un tempo, appunto. Adesso invece è un insetto gigante di un metro e mezzo e tutti a Calliphora tremano quando lo sentono cantare. John Finney è rinchiuso in un seminterrato macchiato del sangue di altri ragazzini assassinati. Lì con lui c'è un vecchio telefono che, nonostante sia stato scollegato da un bel pezzo, squilla sempre di notte. E all'altro capo del filo c'è la voce agghiacciante dei morti.

"Si firma Joe Hill, ma il suo nome è Joseph Hillstrom King: ha scelto uno pseudonimo per evitare l'etichetta di figlio del re dell'horror e ha fatto bene. Perchè Hill è un bravo scrittore, e percorre la stessa strada del padre con intelligenza e profondità rare nel mondo dell'horror"

di Loredana Lipperini tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1115, p. 90

casa editrice Sperling & Kupfer: http://www.sperling.it/

Delle radici e delle foglie di Moris Bonacini (Lupo editore) – rec. Di Silla Hicks

Non vorrei sembrare rude, ma davvero ci sono cose che non capisco, e una di queste è l’amore. Perché io c’ho provato, e provato davvero, a far funzionare le cose, a trovare un senso che giustificasse tutto, la famosa unica ragione per cui valga la pena di vivere e di morire di cui parla Marquez, quello di Macondo e del gigante Josè Arcadio, ma anche di Amaranta, e di Firmina Daza che si fa attendere una vita.
Davvero, io c’ho provato, finché d’un tratto non ho perso la presa, e mi sono visto precipitare, al rallentatore, e tutto è diventato nero. Anche adesso, è buio. Anche adesso, io sto cadendo. Quindi davvero io non lo so, cosa sia, l’amore: so che mi sono arreso e sono scappato lontano dalle mie ferite, nuotando via nel mio stesso sangue. E non lo so, se davvero sia possibile, sentire qualcosa per tutti i giorni e per tutte le notti, riconoscersi a casa nella pelle dell’altro e finalmente risolversi, sapere chi si è e perché e dove, smettere di andare e di correre e di chiudere gli occhi per non vedere e non piangere.
Ed è di questo, invece, che parla questo libro garbato, gentile negli spigoli imbottiti anche quando parlerebbe d’emarginazione e razzismo e violenza, quasi tutto si sfumasse nella luce di qualcosa che va oltre ed abbaglia, malgrado le schegge che fanno sanguinare gli occhi, pezzi di altri corpi e altre storie. Non racconta di un matrimonio perfetto, ma di una vita assieme forte come un fiume attraverso le rapide. Di un uomo e una donna che continuano la stessa strada, e pazienza se per qualche istante reciprocamente si lasciano la mano, pazienza se crescendo si evolvono e pazienza anche se si scoprono apolidi, figli di una terra che esiste ancora solo nel ricordo: perché sono insieme, e lo restano, e chiunque altro è estraneo, altro da loro. Può averne il corpo e qualche scampolo di tempo, ma è solo un prestito, loro restano due, e restano là, vicini anche quando pensi che non potranno più esserlo, adesso che si sono scavati un baratro a dividerli. Invece no, sono ammanettati da un filo da pesca che nessuno vede ma che non si spezza: fanno giri immensi come aquiloni ma soltanto per ritornare al reciproco rocchetto, diventando prima adulti e poi vecchi senza mai perdersi, Rosario e Antonia emigrati ragazzini dalla Calabria alla Svizzera per ritornarci dopo trent’anni e per sei giorni, scoprendo definitivamente d’essere uno la casa dell’altro, qualsiasi sia il mondo fuori. Non chiedetemi se sia una storia vera: davvero, non chiedetelo a me, che sto qui a scrivere mentre fa alba. Quello che so è solo che ho misurato la vastità della mia devastazione quando nemmeno il sogno di tornare a casa è bastato più a farmi dormire. Quando ho compreso che nemmeno la mia lingua e la mia gente poteva riconoscermi, finché non avevo più lei in cui specchiarmi. Tuttora, non so più chi sono. Sopravvivo, perché respiro ancora. Ma la vita, quella è un’altra cosa, e non c’è posto in cui posso riprenderla, non c’è modo di ricominciarla se non da lei in cui l’ho interrotta. Il resto, è solo un fondale, di cartone dipinto con gli acrilici: sembra vero, ma è solo un poster, come quelli di boschi o spiagge che si usavano negli anni ’80, grandi quanto un muro intero. Io lo so, che non c’è niente, che se ci appoggio la mano sento le crepe e sotto residui di carta da parati che nessuno ha tolto. È solo un miraggio, illusioni che vedo perché ormai sono ben abituato al buio. Davvero, non so se sia vera, questa storia, o se un signore quieto se la sia inventata, per celebrare le sue nozze d’oro. Tutto il resto che racconta, l’emigrazione e lo straniamento di un mondo grande che si spalanca da un abbaino, le difficoltà d’integrazione e i gruppi chiusi di paisà, l’emarginazione iniziale e il sacrificio e la violenza degli autoctoni razzisti ma anche del branco dei pari che ha ricostruito il sua piccolo universo tribale anche nella città del futuro e resta a guardarla dai margini, sicuramente è (stato) reale. In Svizzera e in Francia e in Belgio e nella mia Germania per gli italiani allora, e per i turchi oggi. In Italia per albanesi e africani, in Francia per gli ex coloniali che affollano banlieues e metrò, con il loro francese morbido e vestiti di cotone colorato anche d’inverno. Un copione che si ripete, da Ellis Island in poi, con la malavita che si pasce dei disperati che fanno fatica a restare a galla. Ma non è questo che resta, di questo libro che non è di denuncia né di cronaca né di storia, ma solo delicata lettera d’amore scritta con la grafia sottile, ordinata, che si usava prima che il mezzo stampatello calcato della mia generazione prendesse il sopravvento.
Garbato, sopra ogni cosa, mai urlato né incontrollato né disordinato né nient’altro che possa in qualche modo alterarne lo scorrere decoroso, composto, anche quando s’imbatte in episodi sgradevoli – il cuoco che tenta di violentare Antonia al ristorante dove lavora, Rosario e le sue scappatelle, il marciume sotto il tappeto persiano dell’alta borghesia – su cui sorvola senza indulgere nel voyeurismo morboso, volgare, diventato regola dei nostri giorni.
Incapace di dramma anche quando il dramma c’è, la storia di Antonia e Rosario dura perché non si sofferma sulle brutture che attraversa, perché riesce a proteggersene, e a non perdere il filo.
Un po’ Bassani e un po’ Foster e un po’ Ishiguro degli ultimi lievi Notturni, ma in bella copia, senza sbavature né singhiozzi né spigoli taglienti: questo per me è il suo limite, ma – beninteso – lo è per me soltanto.
Figlio di un mondo in rovina, e sopravvissuto all’inferno, non è un libro che m’appartenga, e non posso farci niente: sono e resto uno che urla, s’incazza, bestemmia, prende a pugni muri e porte, e si rannicchia con le mani sanguinanti sul pavimento, quando il dolore finalmente arriva al cervello e spegne quell’altro male che è immensamente più devastante e lo divora da dentro. Ma questo sono io, e spero io soltanto.
Mi piace pensare che invece ci siano altri che ci si riconosceranno, in questa storia, e che chiuso il libro usciranno a passeggio, sotto il peso di una vita ma leggeri perché possono ancora tenersi per la mano. Li guardo dal finestrino, mentre la loro vita continua a scorrere, e non li capisco, ogni giorno. Più che altro, non capisco come facciano, a vivere e ridere ed essere felici. Non capisco perché non io. Ma poi mi guardo, e lo so. Cerco di dimenticarlo, ogni attimo. Ci provo così tanto che a volte mi riesce, e allora – ma non stanotte – m’addormento.

AMORE SENZA FINE
(Delle radici e delle foglie di Moris Bonacini – rec. Di Silla Hicks)

giovedì 30 luglio 2009

Ernesto Portas “XXXIX”














Secondo appuntamento per la neo-nata collaborazione artistica tra le Officine Cantelmo ed Il Grifone Arte Contemporanea di Monica Taveri. Da mercoledì 29 luglio sarà possibile visitare, presso l’ elegante sala espositiva delle Officine Cantelmo, l’ ultima produzione del Maestro spagnolo Ernesto Portas che, nato a Badalona (Barcellona), vive da diversi anni a Livorno. Sono numerosissime le sue esposizioni, soprattutto all’estero, dove è considerato tra i più importanti artisti dell’arte contemporanea. Trentatrè tele di medio e grande formato, ispirate ad altrettanti testi poetici dello scrittore Emilio Giovanneschi. Amici fedeli di lunga data, l’artista Portas e il poeta Giovanneschi hanno affidato a Lecce e i suoi luoghi di cultura le prime tappe inaugurali di una mostra itinerante che attraverserà tutto il territorio nazionale.

“XXXIX” è il titolo della rassegna di poesia-pittura che gli artisti hanno inteso scegliere, trentanove quanti sono gli anni di amicizia che hanno condiviso quotidianamente. Un’intera vita, all’insegna dell’arte. Ambientazioni silenziose, atmosfere espressioniste, intensità espressive occupano le superfici delle opere di Portas, gli spazi vivi ed emotivamente coinvolgenti dove le sue figure (e i suoi interni) vivono come in una condizione di alterità, sempre più estranei al mondo che li circonda. “L’arte prima di tutto è silenzio, contemplazione; il mezzo tramite il quale la riflessione trova, dall’energia delle opere, suggestioni e stimoli per porsi in termini nuovi davanti alla vita” scrive di lui Beniamino Nuzzati, recensendo una delle sue ultime mostre. Per il maestro Portas questa produzione rappresenta anche l’inizio di un nuovo linguaggio stilistico, che pur mantenendo intatta la sua particolare cifra compositiva, si è notevolmente trasformato nei toni e nelle forme. Un Portas nuovo dunque, da scoprire e da ammirare. Parole del poeta accanto alle immagini dell’artista, tra il vento e il sole che prendono a scomporle unendole nell’aria. Così scrive Giovanneschi: “… Un poeta, scusa se mi autodefinisco così, è per sua natura schivo e del tutto disabituato a vedere i suoi pezzi in mostra. Ti confesso, però, che accanto a te, perdo qualsiasi imbarazzo e sento la legittimità di esporre all’esterno una dimensione così vasta e fondamentale fatalmente destinata a rimanere chiusa nei cassetti. E’ tanto credimi, addirittura inimmaginabile, se visto dall’ottica di uno che scrive versi attento a non scadere nella derisione di un mondo troppo lontano da una sensibilità sconosciuta se non inconcepibile ….” La singolarità dell’evento è proprio nel gesto artistico a cui è affidato il senso di un’amicizia che li ha visti uniti e impegnati da sempre. Ne fa fede il delizioso libro “XXXIX”, una vera reliquia compositiva, che accompagna come catalogo/testimonianza la mostra.

L’esposizione sarà aperta ai visitatori dal 29 luglio all’ 8 agosto 2009.

Il libro del giorno: L' ultimo scapolo di Jay McInerney (Bompiani)

Vite di coppia fatte di contraddizioni: tradimenti e condivisione, passioni adultere e sicurezze tutte casalinghe. Jay McInerney punta la sua lente sulla vita quotidiana di coppie dall'immagine invidiabile, coppie con un rapporto segnato a volte da grande passione, ma quasi sempre misterioso, ricco di silenzi e di segreti, più che di confidenza e di abbandono reciproco. E mentre le giornate scorrono - tra amplessi frettolosi, gravidanze interrotte ma in fondo desiderate, litigi familiari che non si fermano neanche di fronte a un lutto -la commedia umana va avanti, irresistibile e grottesca, malinconica e insidiosa, comunque sempre struggente.

"Gaetano Cappelli giura che La Madonna nel giorno del ringraziamento è un racconto potente. Ed è proprio vero. D'altronde Cappelli non giura mai il falso"

di Antonio D'Orrico nella rubrica "In venticinque parole" tratto da Corriere della Sera Magazine, n. 30 del 30/07/09, p. 92

casa editrice Bompiani: http://bompiani.rcslibri.corriere.it/bompiani/

L' ultimo scapolo di Jay McInerney traduzione a cura di Bianchi P.
2009, 354 p., brossura, Bompiani (collana Narratori stranieri Bompiani)

Come funziona la Legge d'Attrazione di Michael J. Losier (Sperling & Kupfer)

Sostenere che oggi qualcuno non sappia cosa sia la Legge d’Attrazione, mi sembra veramente assurdo, con tutti i workshop, le pubblicazioni e i seminari che nel mondo e da un po’ di tempo a questa parte anche in Italia, si tengono sull’argomento. La Legge d'Attrazione è la legge universale che "The Secret" di Rhonda Byrne ha svelato a milioni di persone nel mondo. Possiamo controllare in presa diretta ciò che ci accade? Possiamo attrarre nella nostra vita le persone giuste, le opportunità migliori, la fortuna economica e personale, la salute? In che modo allontanare la negatività ? Diciamo che per i pochi che non ne sono a conoscenza, esistono una serie di studi sulla scoperta di una forza potentissima che dirige, condiziona e influenza la nostra vita. In realtà si tratta di un antichissimo segreto che si manifesta sul piano vibrazionale e che lavora incessantemente, senza sosta, per il benessere di tutti: perché no, magari in questo preciso momento la sua attività si sta espletando nell’ "attirare" emozioni, persone e situazioni. Certo questa forza psico-cosmica non fa distinzione tra ciò che vogliamo e ciò che non desideriamo, e talvolta per qualche dislivello nel nostro campo vibrazionale (un calo d’umore, un pensiero negativo su cui ci si è concentrati più del dovuto) ci consegna a “domicilio” cose, fatti, persone non sempre rientranti nella categoria del positivo. Tranquilli, ciascuno di noi possiede gli strumenti per volgere questa energia a proprio favore, basta sapere come si fa e come usarla in maniera consapevole. Ed è questo l’obiettivo di Michael J. Losier, che viene proposto al pubblico italiano da Sperling & Kupfer con la sua opera “Come funziona la Legge d’Attrazione”, che offre un piccolo manuale dove con un metodo estremamente semplice, veloce e pratico, insegna a scoprire al lettore, passo dopo passo, quali sono le migliori strategie per ottenere il successo in ogni ambito della propria vita": dall'amore al lavoro, dalla salute al conto in banca, dal tempo libero all'educazione dei figli. Inoltre con l’ausilio di esempi, test e suggerimenti per cominciare subito l’autore sviluppa nel lettore quella dimestichezza a focalizzare ciò che deve essere eliminato dalla propria esistenza, che non si desidera più, e sostituirlo con le cose che riempiranno le giornate di gioia, energia, felicità e prosperità. Insomma il primo manuale pratico per applicare in modo veramente efficace la Legge d'Attrazione nella nostra vita, diventare la persona che abbiamo sempre voluto essere e per raggiungere ciò che abbiamo sempre voluto, attraverso la focalizzazione, la visualizzazione, la volontà. Questi gli obiettivi primari che Michael J. Losier vuol far raggiungere a lettore tramite il suo lavoro: “realizzare i tuoi desideri; allontanare tutte le cose negative per te; attrarre il tuo partner ideale; diventare ricco, sempre di più; vivere meglio con gli altri (amici, parenti, colleghi); individuare la tua vera strada, nel privato e nel lavoro” . Ma elemento che impreziosisce ancora di più il lavoro di Losier,è una delle ultime sezioni del volume, che hanno una vera e propria ricaduta pedagogica, in quanto vengono fornite una serie di indicazioni pratiche per poter insegnare ai bambini la Legge dell’Attrazione, una sorta di formazione tout court per allenare all’ottimismo. Interessante inoltre come emerge in tutta l’opera il valore del linguaggio e della scrittura, strumenti di vera e propria fenomenologia della liberazione umana.

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ISBN: 9788820045968

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mercoledì 29 luglio 2009

Andrea Di Consoli su L'Ombra di Turi Vasile (Hacca edizioni)

Questi racconti di Turi Vasile sono scritti in pienezza di luce. Il vecchio io autobiografico de L’ombra torna aessere, per le misteriose metamorfosi del destino umano, un bambino ammalato di nostomanìa, abbacinato nell’eden di una Messina che sempre risorge, come l’Araba fenice, dalle sue ceneri. Non c’è scrittore in Italia altrettanto disarmato e disarmante, ché la mano di Vasile, nel mentre scrive, anziché chiudersi, si apre, mostrando ogni linea, ogni vena. Non ci sono segreti, in questi racconti; e anche la vita fuggitiva, e il mistero ella morte e del dolore, sono accettati con bonomia, con lacrime di bambino con la faccia di vecchio.
I racconti di Vasile sono aperti come un ventaglio. Tutto vi è detto con pudore e sincerità: la disperazione per la moglie Silvana, chiusa nella torre della malattia; l’affanno degli anni, che hanno perso la giovanile dispnea causata dalla “lissa”, e hanno trovatol’altra dispnea, quella di chi ha il cuore malato; i tanti ricordi che risorgono intatti da un luogo che non esiste, se non nell’anim; la certezza barcollante per un Dio che solo in quanto “essere”pensabile diviene possibile. Con questo memoriale lirico e familiare, Turi Vasile scrive uno dei suoi libri più commoventi. E, nonostante in uno dei racconti più belli di questa raccolta un uomo perda la propria ombra, solo alla fine quest’uomo capirà che, senza la propria ombra, si muore per davvero. L’ombra è su di noi, e dobbiamo portarla addosso come un doppio siamese. Sono pochi gli scrittori che sanno “dialogare con le ombre”come Vasile – e, sempre, anche i morti sembrano vivi, nei suoi racconti.
Aleggia sull’opera di questo scrittore un nuovo mito, quello di Margite, colui che sapeva fare tutto, ma tutto faceva male. È, chiaramente, una riconferma del grande mito dello scrittore come dilettante. Senza grancasse e senza sociologia – sorretto soltanto da una lingua tersa e immediata, da un’attitudine al sogno che lo pone al fianco dei grandi lirici greci, e da un’attenzione al quotidiano miracolosa, e all’epifanico dettaglio minimo – Vasile si riconferma uno dei nostri grandi scrittori, proprio perché raramente s’era vista così tanta luce nella disperazione, sia pure addolcita da lontani gesti perduti, e da un Dio lontano che, in certi momenti, sembra avere la stessa faccia del suo buon padre.

Turi Vasile (Messina, 1922), regista, produttore e scrittore,ha pubblicato, tra le altre cose: Paura del vento e altri racconti (Sellerio, 1987), Un villano a Cinecittà "Sellerio,1993), L’ultima sigaretta (Sellerio, 1996), Malefare (Sellerio, 1997), Il ponte sullo stretto (Sellerio, 1999),La valigia di fibra (Sellerio, 2002), Morgana (Avagliano,2007) e Silvana (Avagliano, 2008). Vive a Roma.

IL 3 AGOSTO IN LIBRERIA

Il libro del giorno: Una buona scuola di Richard Yates (Minimum Fax )

In un’America alle soglie della seconda guerra mondiale, un romanzo crepuscolare sull’amore, la giovinezza, la crescita. Un collegio maschile del New England è il teatro delle avventure di William Grove – alter ego dell’autore – che cerca un riscatto dai soprusi dei coetanei affermandosi come reporter del giornalino scolastico; di Jack Draper, professore alcolizzato alle prese con i ripetuti tradimenti della moglie; e di Edith Stone, la figlia del preside, che si innamora del ragazzo più popolare della scuola. Le vite degli studenti e degli insegnanti si intrecciano in una tela imprevedibile, le cui maglie s’infittiscono via via che si avvicina l’ombra della chiamata alle armi.
Originariamente pubblicato nel 1978, Una buona scuola mostra uno Yates che nel confronto con i temi dell’adolescenza trova la sua voce più nostalgica e, forse, più vera.

Luca Mastrantonio - Il Riformista

"Il romanzo dello scrittore americano, pubblicato dalla Minimumfax, è
l'autobiografico viaggio di una generazione a stelle e strisce."

casa editrice Minimum Fax: http://www.minimumfax.com
/home.asp


Una buona scuola di Richard Yates, Minimum Fax, prefazione di Zadie Smith, traduzione di Andreina Lombardi Bom

Le declinazioni affettive di Alfredo Annicchiarico (Lupo editore). Rec. di Silla Hicks

Non ho mai pensato che la droga potesse aggiustare le cose. Non l’ho pensato adolescente alieno in un mondo non suo, incapace di comunicare nella lingua degli altri e di sembrare come loro. Non l’ho pensato uomo col cuore spezzato, che faceva male a tal punto da tenermi sveglio la notte, tutte le notti, come una parodia dell’uomo senza sonno condannato a rivivere ogni attimo l’inferno.
Non lo penso neanche oggi, che pure vita e morte hanno lo stesso insapore dell’assenza, che mi sono scordato come sia, provare qualcosa, qualsiasi cosa, che non sia questo niente sempre uguale.
Ma se fossi un cinquantenne con una moglie che non vuole vedere e un’amante che ha smesso di lottare e una figlia così priva di un minimo di amore per sé da correre dietro a un frocio, bhè, credo che una pera proverei a farmela anch’io. È questo che mi resta, di queste nemmeno cento pagine – in pitch 12 e formato 10x15, va precisato – che vorrebbero essere sceneggiatura di Lelouch riscritta dalla Margaret Mazzantini e invece sono – volontariamente o no – un condensato drammatico sull’incomunicabilità che solo – forse – una Liaison pornogràphique può essere valido paragone.
Quest’uomo si droga, e lo capisco, non vorrei, ma lo sento, soffrire il male di essere che non riesce a dipanare, senza collocazione come marito né amante né padre.
Ambientato nel sottobosco della musica – ché quella di prima grandezza non lascia spazio a niente altro, divora tutto come i Langolieri – questo racconto – romanzo è una parola grossa – trasuda il dolore di Stefano all’ombra dell’uomo che suo padre è e che a lui non riesce di essere: si droga per scappare, e per quanto sia una scelta idiota non gliene riconosco altre, forse la sua amante potrebbe essere una, ma no, lei non è capace, di tendere le braccia a uno che sta annegando e si dibatte e potrebbe trascinarla sott’acqua, per queste cose ci vuole amore, disperato e assoluto, amore, in una parola, e l’amore non cosa da tutti.
E l’assurdo è che l’amante in questione si chiama Emma, lo stesso nome della Bovary, una che per amore ha sacrificato tutto, e senza pensarci: non so se sia ironia consapevole o no, ma certo funziona, come la storia della figlia, che si chiama Camilla come la vergine guerriera dell’Eneide, una che vuole sembrare tosta e che invece è solo una ragazzina, ingenua e con le calze a rete, commoventemene spudorata come solo a vent’anni si può essere, le ciglia bistrate di una bambina che s’impiastriccia di trucco, e sale in albergo con uno che scopa uomini perché suo padre se’è fatto trovare con l’ago nel braccio.
Storie di ordinario degrado familiare, certo. Ma, lo stesso: dio, che desolazione.
E il tutto scritto in una lingua paratattica che nei punti più riusciti ha di Hanif Kureishi, malgrado il voluto provincialismo dei riferimenti, o anzi proprio per questo. Non è una storia facile, di facile ha solo la lingua, e a tratti nemmeno quella, ché ci sono passi da tema, che stonano – musicalmente parlando – ed è un peccato (un esempio, l’uso dei puntini di sospensione, cui Umberto Eco dedica le indimenticabili pagine del suo diario minimo che mi hanno convinto a bandirli dalla mia tastiera). Concludendo, come dice un mio amico, da uno a dieci, quanto: non so, mi servivano altre pagine, personaggi più spessi e una storia intera. Tra tutti, il cattivo patriarca è l’unico che ha le dimensioni – 2 – che dovrebbe avere, gli altri sono abbozzi, tratteggi, forse solo Camilla può andare com’è. Moglie e amante odiose, senz’appello. L’amante, soprattutto, ché un’amante senza amore davvero serve a niente, e l’amore non si auto/protegge, l’amore per definizione si butta via.
Quindi, povero Stefano: forse, al suo posto mi drogherei anch’io. Anzi, no, perché comunque non ci credo, che si possa mai spegnere la mente. A meno che di non prendere un fucile, una sera di primavera, mentre tutti dormono. Di inginocchiarsi a terra e di poggiare il calcio sul pavimento ed ingoiare la canna, le mani unite sul grilletto per non cambiare idea. So di uno che l’ha fatto. Non so se sia stato coraggio, o paura. So che suo fratello – il suo gemello – è tuttora solo in giro per il mondo, senza riuscire a perdonarlo né a perdonarsi né a piangerlo né a piangere. L’ho ascoltato, parlarne. Non sono riuscito a dirgli niente. Ma so che non farei mai una cosa del genere a mia sorella, e che prego lei non lo faccia mai a me. Spegnere la mente non serve. Scappare non serve. Questa vita fa schifo, è rumore, ma è insieme Sergej Vasil'evič Rachmaninov. Forse vale la pena, comunque, di restare svegli ad aspettare come va a finire.

STORIE DI ORDINARIA TRISTEZZA (Le declinazioni affettive di Alfredo Annicchiarico secondo Silla Hicks)

martedì 28 luglio 2009

IERATICO POIETICO (BESA) IL 30 LUGLIO AL LIDO LE DUNE DI PORTO CESAREO

Il 30 luglio alle ore 21,30 presentazione del volume “Ieratico Poietico” presso il lido Le Dune Via dei Bacini, 89, di Porto Cesareo (Lecce) nell'ambito della rassegna "Autori sotto le stelle". Introduce Vito Antonio Conte.

Ieratico poetico (Besa editrice) è sviluppato in tre movimenti dove si alternano l’accumulazione e la riflessione, il lirismo e la prosa, italiano e inglese, autobiografismo e citazionismo. Il primo e più corposo movimento, Flumen, dirige il corso del poema in gran parte degli esiti successivi. Ne è messa in luce un’umanità (in)dolente («fottere gli stranieri / fottere i dispersi / fottere i disadattati»), come dolenti sono le mura del paesaggio cittadino che fa da sfondo («dove i piccioni smerdano / gli archi grandiosi») e dolente è il canto po(i)etico dell’autore («quanta fatica / ogni giorno / evitare gli abissi / barattare parole / mentre il giorno / vacilla / sui miei occhi / imploranti / misericordia»). Fiumi di citazioni letterarie, filosofiche, musicali e cinematografiche (si parte con Charlie Chaplin per finire a Vin Diesel) costituiscono la nervatura del poema che anche per questa caratteristica è necessario definire iper-moderno. Allo stesso modo interessante è la ripresa ciclica all’interno del poema di quello che il poeta stesso, nell’ultima pagina del libretto, definisce «un discorso di denuncia del mercato dello spettacolo, del trionfo della macchina, sentendo l’invenzione poetica come documento etico». Una denuncia che appare evidente nella ‘trama’ del poema e che tende ad assumere i tratti di un discorso ancor più vasto, che fa ricorso alla storia del Novecento, alla crisi della società post-industriale, riprodotta baustellianamente con le immagini della crisi dell’individuo, nei bar, in casa, per strada, in gruppo, in treno, ovunque gli sia possibile «protestare... che il viaggio è troppo lungo». Ha scritto Luciano Pagano nell’introduzione, dal titolo “Una canzone di città”, al poema di Stefano Donno: «Rispetto ai maledetti del secolo scorso Stefano Donno ha un vantaggio, quello di poter mascherare e nascondere il suo ego dietro un affastellarsi di immagini che non ha più il suo referente nei papiri inceneriti di una biblioteca alessandrina, bensì in una wikipedia infinita nella quale tutti i linguaggi e tutte le nozioni si trasformano nei colori di una palette personale. Questi versi regalano ordine alla visione di un mondo caotico, malgrado la dichiarazione di non intento al poetare di altro, “sguardi / in un cesso di locale / che arrivano a testa bassa / tra codici sorgenti”».

Il libro del giorno: Luogotenente del nulla Heidegger, Nietzsche e la questione della singolarità di Francesco Cattaneo (Pendragon)

Quello di Heidegger con Nietzsche è uno dei dialoghi filosofici più profondi e gravidi di conseguenze. In esso continua a essere in gioco la fisionomia del nostro presente e, in particolare, la possibilità di una sua rimessa in questione radicale – così come richiede l’intima indole della filosofia. Tale rimessa in questione viene qui sondata secondo il filo conduttore di quel concetto di singolarità che domina – nelle forme del soggetto, dell’individuo, della persona – il nostro orizzonte culturale, sociale, politico ed economico. Il tema della singolarità trova una sua specifica rimodulazione nelle parole chiave di “superuomo” e di “Da-sein”, la cui portata è ancora tutta da ponderare. Per farci carico di questo compito dobbiamo collocarci in modo consono nella spaziosità della domanda che il pensiero ci invita ogni giorno a rinnovare e in cui continuamente, volens nolens, ci troviamo: chi siamo noi?

Francesco Cattaneo collabora con la cattedra di Estetica del dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna, occupandosi di filosofia tedesca tra Ottocento e Novecento. Ha scritto saggi su Heidegger, Nietzsche e la fenomenologia ermeneutica. Nell’ambito dell’estetica del cinema, ha pubblicato Terrence Malick. Mitografie della modernità (Edizioni di Cineforum – ETS, 2006) e curato Werner Herzog, Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita (Minimum Fax, 2009).

edizioni Pendragon: http://www.pendragon.it/index.html

Luogotenente del nulla : Heidegger, Nietzsche e la questione della singolarità
di Francesco Cattaneo (Pendragon). Collana Le sfere - 121

Il tuo sacro io di Wayne W. Dyer (Tea edizioni)

E’difficile poter raggiungere un'assoluta padronanza sul corpo e sulla mente, soprattutto se come obiettivo si ha la realizzazione del Sé, ossia il traguardo della consapevolezza assoluta circa la propria natura trascendente e immortale. Prima cosa in assoluto cercare la concentrazione sul presente, mai proiettarsi nel futuro, gustando lentamente l’oggi, e accettando serenamente il domani, perchè l’uomo può conoscere la libertà solo nell’attualità, non lasciandosi condizionare da tutto ciò che accade fuori di lui, ma gioendo soprattutto delle conquiste spirituali. L’obiettivo primario è quello di raggiungere la coscienza dello Spirito coltivando una calma, continua ed esclusiva attenzione sull’autoanalisi dei propri comportamenti, delle proprie azioni, dei propri pensieri, finché i tumulti dell’anima non svaniscono. Già perché il più delle volte quel senso di inquietudine, una specie di rumore bianco costante e fastidioso, che proviamo, dipende dal nostro principale nemico, la mente, colma di enormi quantità di informazioni e stimoli provenienti dal mondo che ci circonda, e che spesso ci fa vivere in una grassa ignoranza, fatta di costruzioni e sovrastrutture artificiali che ci conducono sulle strade della negligenza e dell’illusione. Nella vita di ogni giorno, numerose domande restano senza alcuna risposta (come mai ci siamo comportati in un determinato modo e non in una maniera più adeguata; perché abbiamo concretizzato nella nostra mente un pensiero ostile magari nei confronti di una persona amata, etc.) , e questo fondamentalmente determina uno stato di profonda frustrazione, facendoci dimenticare quanto invece siamo decisi e volenterosi nella ricerca della vera felicità, ovvero di quell’assenza di tumulto che ci fa comprendere l’origine ogni essere, dalla quale anche noi proveniamo. Dunque la saggezza non giunge dall'esterno, ma è la nostra perseveranza nell’essere ricettivi interiormente che ci fa comprendere quanto possiamo realizzare in vera conoscenza, e quanto rapidamente. Per i tipi di Tea edizioni, nella collana “Pratica”, da poco è disponibile “Il tuo sacro io” di Wayne W. Dyer, una meravigliosa opera che spiega come passare dal tumulto alla pace, dall'inganno alla verità, dalla paura all'amore e alla libertà, attraverso un viaggio spirituale e a tratti molto concreto, per raggiungere i più alti livelli di consapevolezza. Si tratta di un prezioso contributo nell’ambito della letteratura d’auto-aiuto, grazie al quale il dottor Wayne W. Dyer permette al lettore di passare al setaccio la dimensione sacra del Presente in ognuno di noi, insegnandoci a scendere nelle profondità del proprio Io più autentico arrivando a comprendere tutti quei meccanismi che ci fanno superare le vicissitudini di tutti giorni con un vero senso di pace e con il benessere della realizzazione personale. Sviluppare il Sé sacro che è in noi, ci porta a capire il nostro ruolo nel mondo e cosa importante come sviluppare quella compassione che ci mette in totale apertura nei confronti dell’altro permettendoci di essere con gli altri e non attraverso gli altri. Punto per punto con esempi, testimonianze e chiarimenti, Dyer ci mostra come conoscere il «divino» in noi, destrutturando tutti quei trabocchetti che il nostro Ego ci mette sul cammino. Già l’Ego, un piccolo mostro che si nutre delle nostre paure e insicurezze, che si ciba famelicamente della convinzione che noi siamo separati non solo dal divino, ma siamo una cosa individuale, indivisibile, singola, e che non smette di aver fame di sopraffazione e bassi istinti. Il percorso proposto dall’autore è quello di spostarci da livelli di vita primari verso piani più elevati,dove la nostra energia vitale ha la possibilità di irradiarsi su tutto ciò che la circonda. Tutto raggiungibile ovviamente se siamo noi a sentire quel senso d’urgenza nel voler migliorare e progredire nella ricerca spirituale. Sostiene Wayne W. Dyer in quest’opera : “Non siamo solo un corpo, un nome, un lavoro, un codice fiscale… Siamo anche, eternamente, «luce e divinità», indipendentemente da ciò che abbiamo fatto o mancato di fare, dal genere di famiglia o comunità in cui viviamo, dall'etichetta che ci hanno appiccicato addosso, e siamo qui con uno scopo. Uno scopo che non si trova nel mondo fisico, come un oggetto, una carriera, un conto in banca. La strada da seguire è un viaggio dentro noi stessi, spirituale e insieme concreto, verso un nuovo livello di consapevolezza: sperimentando la ricchezza di significato delle coincidenze; trovando un nuovo accordo con la realtà; comprendendo che per ogni problema esiste una soluzione”.

Wayne W. Dyer - Psicoterapeuta, è autore di libri di grande successo. Tiene affollatissime conferenze negli Stati Uniti e partecipa regolarmente alle più seguite trasmissioni radiotelevisive delle principali reti americane. Vive con la famiglia in Florida.


Passare dal tumulto alla pace, dalla paura all'amore e alla libertà
ISBN: 9788850200702

Prezzo € 9,50


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lunedì 27 luglio 2009

Con l’insistenza di un richiamo di Francesco Randazzo (Lupo Editore). Rec. di Silla Hicks

Finalmente uno che ha letto Charles Michael "Chuck" Palahniuk, che l’ha studiato, anzi, è da credere. 110 pagine – 109 – che si leggono in mezz’ora, leggere nel loro terrificante disincanto, e benedette dal filo rosso dell’ironia. Avete presente Soffocare? C’è molto di Chuck, in questi raccontini che parlano di stupri, serial killer, pedofili ed estreme “second lives” come di cose quotidiane, normali, ormai parte del nostro habitat che s’è giocato ogni pudore e ogni valore, e sopravvive incosciente di se stesso. Ognuno è una piccola bomboniera – di tulle nero, è chiaro – che nasconde confetti avvelenati, ma deliziosi: il precario che esce a comprare l’ascia con cui dissezionare il cadavere della sua affittacamere e viene pestato sul raccordo da un lubrico vecchietto, il pedofilo disgustato da un’anziana checca che l’ammazzerebbe per pietà, l’extracomunitario massacrato nel sebac che s’identifica con gli escrementi attorno, l’Elettra moderna che vendica la madre morta di corna uccidendo il padre satiro e paraplegico con i piatti rotti, quello che resta della furia impotente della genitrice.
E poi la prof. obesa di filosofia che vive una vita virtuale hard e una reale di forzata astinenza (dopo la relazione con un prete, cui ha messo fine letteralmente a morsi), e soprattutto il monologo del serial killer sociologo, che ha ucciso 197 persone in 20 anni con precisione chirurgica, clone italico di Dexter, il racconto più lungo e più ispirato, quasi un testo teatrale, e difatti l’autore è regista e sceneggiatore, e si vede. In un mondo che va a rotoli, che convive con l’orrore su tutte le prime pagine e in tutti i TG, questo signore resta immune – e fieramente – dai “cuori mocciolosi” e dai lucchetti ai lampioni, e racconta ciò che vede proteggendosi con l’unica arma che l’intelligenza ha mentre dilaga il buio della mente, l’ironia vera, quella di Pirandello, che è via di fuga e alternativa alla follia. Non si può raccontare, questo libricino che davvero diverte, e insieme fa pensare senza importelo: bisogna leggerlo, e non è uno sforzo, perché, lo ripeto, è scritto con un lessico famigliare che non l’appesantisce oltre i 30 grammi di carta con cui è fatto, dimostrando che si può parlare di tutto usando le parole come tessere da colorare a piacere.
Come per le “Schegge” di Schifano, non è la dimensione che conta, ma la luce, la grana pastosa che t’ipnotizza davanti al fogliettino: sono solo schizzi, sì, ma fatti bene, infinitamente meglio di colossali tele imbrattate giusto per fare cassa.
Non m’esprimo sui lucchetti ai lampioni, io che porto le catene attorno al cuore e un cuore spezzato tatuato sopra il braccio, ma mai mi sognerei d’incatenarlo a qualcosa. Dico solo che ci ho provato, a leggere quei libri, e non sono arrivato oltre pagina quattro, mentre questo qui non volevo che finisse, e quando l’ho chiuso sono rimasto a rifletterci, in silenzio.
Indubbiamente è tosto, sì, ma non più di un ispirato Tarantino o di una performance di Orlan: è una secchiata d’acqua che ti sveglia, e no, non chiamatelo pulp, parola scagliata da Hank e abusata da tutti gli altri a seguire, soprattutto dopo la fiction di Wolf il risolutore e compagni.
Non chiamatelo pulp, perché pulp fa spesso rima con cool, e il cool questi racconti lo sbeffeggiano con l’acume concreto che ha chi non si fa abbagliare dai lustrini della civiltà dell’immagine, e riesce ancora a cogliere la vera natura delle cose: leggetelo, e basta.
E poi, cercate di credere che sia solo fantasia. Provateci, almeno. Se volete riuscire a dormire.

PICCOLA BOTTEGA DI QUOTIDIANI ORRORI (Con l’insistenza di un richiamo – Francesco Randazzo – Lupo Editore 2009)

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

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