Alessandro Salvi ha una sua forza poetica che non lascia indifferenti, vuoi per registro, per un suo timbro per versi personalissimo, vuoi per il messaggio poetico. La sua scrittura gioca in maniera obliqua tra vita e transitorietà delle cose, amore e distanza, trasformandosi in forza e sublimazione che solo si può dare quando il canto è autentico. Certo Separazione, Lutto, Nostalgia e Dolore sono costanti che hanno popolato e popolano tutt’ora le migliori produzioni poetiche da Omero a Virgilio, da Dante a Foscolo a Hikmet a Neruda, ma la poesia di questo autore che per Aletti ha pubblicato “Piovono formiche carnivore e altre inezie” si tratta di una costante rimetabolizzazione di tracciati autobiografici lasciati a metà, e che occupano (proprio per questo) con la loro pesantezza ogni giorno della propria vita. In lui non sussiste nessuna lotta con il passato, i ricordi sono ombre e talvolta si materializzano in un’angoscia latente, e costante. Per quel che ho avuto modo di percepire, in taluni componimenti velenosissimi come ad esempio “Delirio in do#”, Salvi sa che la Poesia oggi è prerogativa di pochissimi, vuoi per la questione dolente del leggere libri di poesia, vuoi per l’industria culturale in questo settore, in più di qualche occasione ingenerosa verso gli esordi o comunque poco attenta a produzioni di buona qualità. Alessandro Salvi, non solo è consapevole che fare il poeta non rientra nell’hobbystica, e che dunque è una scelta di responsabilità nella propria esistenza, una vera e propria missione direbbe il poeta albanese Gezim Hajdari, che non è l’essere mestieranti delle parole che fa di uno scribacchino un poeta, anzi questo autore assume su di sé l’onere della Parola, che porta sempre e lo fa in maniera lucida, lo stampo del tempo in cui vive: “La poesia non sta tra noi. Non più./ Cerchiamola nel bottone mancante/ di una camicia color marrone, nel/ tampone usato gettato per terra/ tra vari rifiuti, tra gli sputi e i mozziconi/ nella sale d’aspetto delle stazioni/ di raccordo./ Anzi, no, meglio non cercarla/ perchèla poesia è come la morte,/ prima o poi sarà lei a farsi viva./” (“Delirio in do#”). Che l’intero lavoro che qui presentiamo sia acuto, ironico, spregiudicato, struggente, furibondo, rabbioso, è fuori discussione, ed è fuori dubbio che sia di difficile classificazione, o incasellamento in una qualche determinata corrente poetica. Salvi è cantore di un grande disagio esistenziale e di profonda irrequietezza generazionale che porta alla disintegrazione di qualsivoglia modello di vita, ma che non si preclude la bellezza di una guerra spietata, fatta di carne e sangue su uno dei campi di battaglia in assoluto tra i più difficili: quello della libertà e onestà di spirito! Inoltre per questo poeta l’amore è lontana da qualsiasi seducente carezza, non è un sentimento intenso, totalizzante o profondamente esclusivo rivolto verso una persona, un animale, un oggetto, o verso un concetto, un ideale. Salvi non parla dell’amor cortese, romantico, ma delinea un aspetto forse patologico dell’amore, forse più vicino a certe nuances del dionisiaco, ma che si configura senza ombra di dubbio come una visione di questa categoria vicina a certa poetica americana degli anni ’70 (Charles Bukowski, William S. Burroughs tanto per intenderci) e costituita dal suo essere dunque spigolosa, scomoda, disturbante e che inevitabilmente porta ad auto scandagliarsi nei privatissimi recessi di meschinità dell’essere semplicemente, maledettamente un uomo: “L’amore è un liquore andato a male,/ più dolce del miele/ facilita il comporre/ poesie. Ma quando muore/ in bocca lascia un sapore amaro/ e nel ricordo brucia/ come su una ferita aperta/ brucerebbe il sale./ Amore non si dice/ perché non significa/ niente di preciso. E porta male./” (“L’amore è un liquore andato a male”)
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venerdì 24 luglio 2009
Piovono formiche carnivore e altre inezie di Alessandro Salvi (Aletti editore)
Alessandro Salvi ha una sua forza poetica che non lascia indifferenti, vuoi per registro, per un suo timbro per versi personalissimo, vuoi per il messaggio poetico. La sua scrittura gioca in maniera obliqua tra vita e transitorietà delle cose, amore e distanza, trasformandosi in forza e sublimazione che solo si può dare quando il canto è autentico. Certo Separazione, Lutto, Nostalgia e Dolore sono costanti che hanno popolato e popolano tutt’ora le migliori produzioni poetiche da Omero a Virgilio, da Dante a Foscolo a Hikmet a Neruda, ma la poesia di questo autore che per Aletti ha pubblicato “Piovono formiche carnivore e altre inezie” si tratta di una costante rimetabolizzazione di tracciati autobiografici lasciati a metà, e che occupano (proprio per questo) con la loro pesantezza ogni giorno della propria vita. In lui non sussiste nessuna lotta con il passato, i ricordi sono ombre e talvolta si materializzano in un’angoscia latente, e costante. Per quel che ho avuto modo di percepire, in taluni componimenti velenosissimi come ad esempio “Delirio in do#”, Salvi sa che la Poesia oggi è prerogativa di pochissimi, vuoi per la questione dolente del leggere libri di poesia, vuoi per l’industria culturale in questo settore, in più di qualche occasione ingenerosa verso gli esordi o comunque poco attenta a produzioni di buona qualità. Alessandro Salvi, non solo è consapevole che fare il poeta non rientra nell’hobbystica, e che dunque è una scelta di responsabilità nella propria esistenza, una vera e propria missione direbbe il poeta albanese Gezim Hajdari, che non è l’essere mestieranti delle parole che fa di uno scribacchino un poeta, anzi questo autore assume su di sé l’onere della Parola, che porta sempre e lo fa in maniera lucida, lo stampo del tempo in cui vive: “La poesia non sta tra noi. Non più./ Cerchiamola nel bottone mancante/ di una camicia color marrone, nel/ tampone usato gettato per terra/ tra vari rifiuti, tra gli sputi e i mozziconi/ nella sale d’aspetto delle stazioni/ di raccordo./ Anzi, no, meglio non cercarla/ perchèla poesia è come la morte,/ prima o poi sarà lei a farsi viva./” (“Delirio in do#”). Che l’intero lavoro che qui presentiamo sia acuto, ironico, spregiudicato, struggente, furibondo, rabbioso, è fuori discussione, ed è fuori dubbio che sia di difficile classificazione, o incasellamento in una qualche determinata corrente poetica. Salvi è cantore di un grande disagio esistenziale e di profonda irrequietezza generazionale che porta alla disintegrazione di qualsivoglia modello di vita, ma che non si preclude la bellezza di una guerra spietata, fatta di carne e sangue su uno dei campi di battaglia in assoluto tra i più difficili: quello della libertà e onestà di spirito! Inoltre per questo poeta l’amore è lontana da qualsiasi seducente carezza, non è un sentimento intenso, totalizzante o profondamente esclusivo rivolto verso una persona, un animale, un oggetto, o verso un concetto, un ideale. Salvi non parla dell’amor cortese, romantico, ma delinea un aspetto forse patologico dell’amore, forse più vicino a certe nuances del dionisiaco, ma che si configura senza ombra di dubbio come una visione di questa categoria vicina a certa poetica americana degli anni ’70 (Charles Bukowski, William S. Burroughs tanto per intenderci) e costituita dal suo essere dunque spigolosa, scomoda, disturbante e che inevitabilmente porta ad auto scandagliarsi nei privatissimi recessi di meschinità dell’essere semplicemente, maledettamente un uomo: “L’amore è un liquore andato a male,/ più dolce del miele/ facilita il comporre/ poesie. Ma quando muore/ in bocca lascia un sapore amaro/ e nel ricordo brucia/ come su una ferita aperta/ brucerebbe il sale./ Amore non si dice/ perché non significa/ niente di preciso. E porta male./” (“L’amore è un liquore andato a male”)
giovedì 23 luglio 2009
Appocundria! Intervento di Vito Antonio Conte su Del pesce e dell'Acquario di Ilaria Seclì (Lietocolle)
“L'appocundria me scoppia ogni minutu a 'mpietto...”, cantava Pino Daniele degli esordi, 1980 all'incirca, “Nero a Metà” si chiama l'album in cui è contenuto questo pezzo (che amo ancora), se mal non ricordo. Testo scarno e essenziale, come di anima che si palesa. Melodia di chitarra che compie il miracolo di unire fado flamenco e blues. Era il mio primo anno all'Università: questo lo ricordo bene. Quasi trent'anni addietro: cazzo, mi verrebbe da dire! E sia. L'appocundria, nella sua accezione dialettale (nella lingua napoletana, siccome in quella salentina), significa qualcosa di più del corrispondente (ipocondrìa) italiano... Non è afferente, all'evidenza, al significato psicologico di nevrosi o patofobia... né coincide appieno con quegli stati più strettamente evocati e cioè con la depressione, la malinconia, lo scoramento, lo sconforto, l'abbattimento, pur contenendoli (in qualche misura). È qualcosa di più. E di diverso. È quella sorta di apatia che ha il sapore dell'indolenza e dell'impotenza (equamente divise). Molto vicino alla refrattarietà. Io, per certe cose, sto così da un po': faccio quel che devo: quel che dovere impone, appunto. Senza passione. Senza entusiasmo. È necessario. E lo faccio. Nel modo migliore, s'intende! Ma farei volentieri altro, se non avessi bisogno di quel che il lavoro dà. Mezzi di sussistenza, li chiamano. Lasciamo stare. Non m'impelagherò in parole sociologicamente rilevanti, né ho voglia di bestemmiare, oggi. Ché dire male del mio lavoro, in periodi di precarietà e di crisi -come quello presente-, significa bestemmiare. E anche la bestemmia ha un suo valore. Riservo di essere blasfemo per altre -più meritorie- occasioni. Coltivo altre passioni. Che ci sono. Per fortuna. Scrivo sempre. Appunto l'ordinario. Segno incipit per lo straordinario (almeno credo). Annoto, per non perderla, la meraviglia (ritengo). Lascio tracce dell'incanto (ne sono certo). Ci sono cose nuove che mi frullano nel grigio incipiente de... i miei capelli. Mi limito a serbarne memoria con una parola. Aspetto altro tempo. Ché questo non basta per il resto. Per tutto quanto il resto. E per quel che resto non è. Non leggo più come fino a qualche settimana fa. Non ho voglia di reading e presentazioni (salvo rare eccezioni) e, in genere, di tutta quella cultura svenduta nelle serate che, pure, a lungo, ho assiduamente frequentato. Refrattarietà! Non riesco a respirare certe atmosfere d'aria falsa. Meglio la campagna. E la fatica. Col sudore. E il silenzio. Non fraintendete: è uno stato mio. Sicuramente aiutato dal clamore e dalla frenesia inutili d'intorno, ma mio. C'è che ho voglia d'altro. E quell'altro, grazie al cielo, c'è. Non esattamente siccome vorrei, ma c'è. E anche quando non ci sarà più, semmai non ci sarà, so che “è” per sempre. No, non gioco con le parole. Non faccio sofismi. Non pratico strambe filosofie. Oddio, mi perdo ancora nei versi, da ultimo in quelli di Ilaria Seclì: “Del Pesce E Dell'Acquario” si chiama la sua ultima raccolta, edita da Lietocolle (pagg. 72, tutto compreso, € 13,00). Ma è un perdersi lieve e doloroso insieme. Un andare verso mondi toccati senza conoscerli, ovvero verso mondi conosciuti senza averli mai toccati. Non spetta a me aggiungere altro sull'opera di Ilaria Seclì. Su di lei qualcosa potrei aggiungere. Di buono. Ma non lo faccio. Dico soltanto, e lo dico a lei personalmente, che -è vero- una vita sola spesso non basta: ce ne vorrebbero almeno due!?! Ma -io (oggi)- guardo la mia e penso: una vita è tutto... Poi, aggiungo e chiudo, è il coraggio che manca; è la responsabilità che inchioda; è capire questo che difetta; comprendere questo e lasciarsi andare lo stesso; e dire: Grazie, ancora... “io, sposa del dio estinto, del figlio perduto, se il cielo rovescia / ciò che la terra solleva tu tieni e sposti nella misericordia / della valle senza vento”, così scrive Ilaria ed è solo la fine del primo componimento della raccolta poetica citata. Non perdetevi questo libro! Perdetevi in questo libro. Perdetevi in “vite infette” (uno dei versi che amo di più). Poi, tornate alle vostre occupazioni. Se ci riuscite. Io torno alla mia refrattarietà. Non mi tangono le vostre corse ultronee. L'indifferenza verso quel che ho scritto su (e, di contro, la pienezza di quell'altro che ha il più alto nome divino e ch'è madre di tutti...), adesso mi fa stare qui, tra note sempre nuove (bellissime quelle di Mario Fasciano & C. in “Porta San Gennaro - Napoli”), davanti a quello ch'è aperto da oltre un mese, che non può essere definito libro, ma di carta è fatto. Carta di ottima fattura, con parole sussurrate, immàgini di una bellezza sconvolgente, tavole note che mi appaiono come mai viste, acquerelli che fotografano anime in viaggio nella più reale delle camminate, chine di un'essenza fatta di pochissimi tratti e che evocano soprattutto quel che segno non è né potrà mai diventarlo e intanto (così) lo vedi lo tocchi lo annusi lo accarezzi e ti accarezza, tecniche miste di indicibile forza: quella che cattura l'occhio e lo fa godere... Il “LIBRO”, di grande formato (29 x 27), è “Periplo Segreto” di Hugo Pratt (a cura di Patrizia Zanotti e Thierry Thomas), edito nella scorsa Primavera da Rizzoli-Lizard (su progetto editoriale della CONG SA, Losanna), e conta ben 415 pagine (€ 70,00), con traduzione in inglese e in francese, delle quali la gran parte illustrate con gli splendidi sogni fermati nella sospensione lirica del vivere l'onirico dell'insuperato Hugo. Quest'opera si apre con una splendida fotografia (del volto in primo piano) di Hugo Pratt; quindi troviamo la “Premessa” di Patrizia Zanotti e “Sotto il segno dell'ironia” di Thierry Thomas. Prosegue con i disegni di Pratt: “Tecniche miste: 1950/1995”; poi con una sezione dedicata a “Hugo Pratt. La vita e i viaggi”. Si chiude con una “Bibliografia essenziale”. Più volte ho scritto (anche su queste pagine) di lui e delle sue opere... Ma quella di cui dico adesso è la “summa” straordinaria delle singole prodigiose storie di Pratt, frutto della sua infinita fantasia artistica. Quella che gli permetteva di vivere quel che immaginava. Quella resa immortale nelle tavole disegnate attingendo alla sua stupefacente memoria. Ricordo vivido dei fatti della sua esistenza e di tutto quello che aveva conosciuto. Di tutto ciò Pratt sapeva evocare e rendere appieno ogni espressione con pochi tratti. “Quanta musica, movimento e allegria ci sono nella Josephine Baker appena tracciata con due gesti di carboncino? Una volta in una libreria di Parigi in occasione dell'uscita del suo libro "Lettere dall'Africa" di Rimbaud, un ragazzo, molto timido e emozionato di trovarsi di fronte a Pratt, gli chiese un ritratto di Rimbaud, ma Hugo capì "Rambo" e, anche se piuttosto sorpreso, gli tracciò un bel ritratto di Silvester Stallone. All'inizio di "Aspettando Corto" c'è un passaggio che evidenzia molto chiaramente l'entusiasmo, ma al tempo stesso lo stupore per le possibilità che gli si aprivano nella vita grazie alla sua capacità di disegnare, e naturalmente, grazie al fatto che qualcuno avesse riconosciuto queste capacità e potenzialità. "Immaginate di aver sognato l'America per cinque anni. Non un posto preciso dell'America, a nord a sud o al centro. No. Avete sognato l'America come un nome, una situazione, una droga, un rinvio, una dilatazione, un'evasione, un inizio, un Eldorado, un'avventura, una chiavata o una fuga (…) e un giorno vi trovate sulla nave con un biglietto e tutto (…) con l'orizzonte che precipita a poppa mentre la prua della nave, ondata dopo ondata, apre per voi le porte del mondo. E avete poco più di vent'anni (…) Ero in viaggio per l'Argentina (…) biglietto pagato e contratto di lavoro con l'Editorial Abril. Mi chiedevo: sei un disegnatore? Sono passati vent'anni da quella prima partenza per l'America e ancora non mi sono risposto.". La sua era la "generazione entusiasta", mi diceva alla fine dei vari racconti. Erano entusiasti di tutto, ma soprattutto di essere sopravvissuti alla Guerra. Una guerra che Pratt aveva conosciuto da vicino in Africa e disegnato negli "Scorpioni del deserto" conservando un'incredibile memoria dei dettagli: delle divise, delle mostrine, degli stemmi che evidentemente aveva memorizzato inconsapevolmente da bambino. Anche nel rigido mondo militare Pratt riusciva a far entrare l'ironia, attraverso personaggi che col loro linguaggio denunciavano l'assurdità delle guerre che lui raccontava.” (Dalla premessa di Patrrizia Zanotti). Quell'ironia che gli ha permesso di raccontare disegnando mille altre realtà stordendo i lettori col suo tratto poetico e facendoli risvegliare con una domanda in più. “Per nessun disegnatore realista (cioè autore di un fumetto di avventure e non di una serie che vuol essere comica) l'ironia ha avuto tanta importanza come per Hugo... i clichè delle sue storie hanno perso il loro carattere artificiale, e i suoi personaggi sono diventati veri, quando lui è stato in grado di iniettare nelle sue strisce quell'ironia che gli era connaturata. Quando ha saputo, semplicemente, disegnarla. Ma l'ironia, viene da dire, non si disegna! Invece sì: grazie alla semplicità, appunto, grazie alla rarefazione e alla rapidità. "Il mio modo di lavorare è cercare sempre di andare oltre..." dichiarava Hugo. Di fatto il suo stile si è rivoluzionato in modo decisivo quando ha iniziato a epurare il disegno. Da quel momento tutto è diventato più leggero, e più profondo.” (Thierry Thomas). Più leggero. E più profondo. Insieme. Gli opposti. Ciò che -apparentemente- sta agli antipodi. Che si toccano. Coincidendo. Forse. Mia vecchia fisima!?! Un po' come questo pezzo. In cui ho finito per dirvi che sono impenetrabile dal mondo parlandovi di tanti mondi... E ce ne sarebbe da dire, ancora, e ancora, sì ancora... ma c'è “Il Libro” che mi reclama, questo LIBRO. Che non è un libro. Ma è fatto di carta. Come certi sogni. Di fragile carta. Tanto fragile che devi trattarla con cura e attenzione. Così fragile che può vivere (e, spesso, vive) oltre una vita. Amatela.powered by Paese Nuovo
L'esorcista di William Peter Blatty (Fazi editore) alla Libreria del cinema a Roma
Scritto a partire dallo studio di un caso di possessione diabolica riportato dal «Post» nel 1949, L'esorcista richiese all'autore, William Peter Blatty, una lunga e accurata ricerca sull'argomento: «Penso che il mio inconscio, una volta accumulato tutto il materiale e la fatica necessari, abbia creato la maggior parte della trama, elargendone poco alla volta delle porzioni alla mia coscienza razionale». Pubblicato nel 1971, accolto con un certo scandalo dalla critica, il libro iniziò ad avere un impressionante successo di vendite; nel '72, l'autore fu insignito della Silver Med for Literature Commonwealth of California. Nel '73 il film tratto dal libro, sceneggiato da Blatty, diretto da William Friedkin e interpretato da Max Von Sydow e Linda Blair, ebbe dieci nomination agli Oscar. Riportò due vittorie: come miglior suono e miglior sceneggiatura. Il successo del film nelle sale fu tale da indurre la produzione americana a finanziare, negli anni successivi, ben due sequel, L'esorcista II - L'eretico e L'esorcista III - La genesi.William Peter Blatty è nato nel 1928 a New York. La famiglia, di origine libanese, era in grandi ristrettezze economiche; il padre, carpentiere, se ne andò quando William aveva sei anni. Nel corso dell'infanzia, Blatty e la madre cambieranno residenza circa ventotto volte. A metà degli anni Cinquanta, Blatty vince 10.000 dollari nel quiz show You Bet Your Life: cifra che gli consentirà di dedicarsi all'attività di scrittore. Inizialmente autore di romanzi umoristici, dal '64 al '70 Blatty inizia a collaborare come sceneggiatore con il regista Blake Edwards. Dopo l'immenso successo de L'Esorcista (1971), e del film di Friedkin tratto nel '73 dal romanzo, nel 1978 Blatty pubblica The Ninth Configuration (del quale dirige nell'80 la riduzione cinematografica); nel 1983 scrive il romanzo Legion, un sequel de L'Esorcista dal quale, nel 1989, trae il film (che scrive e dirige) L'Esorcista III. Nel 1996 dà alle stampe Demons Five, Exorcists Nothing: A Fable, e in America è appena uscita nelle librerie la sua ultima ghost story, Elsewhere.
Lunedì 27 luglio, ore 21.00, presso la Libreria del Cinema in via dei Fienaroli 31 d a Roma, in occasione della pubblicazione della nuova edizione del libro L'esorcista di William Peter Blatty cisarà l'incontro con Enrico Ghezzi ed Edoardo Nesi. A seguire, proiezione del film L'esorcista di William Friedkin(versione integrale)
William Peter Blatty, L'esorcista (Fazi editore)
Prefazione di Edoardo Nesi
traduzione di Cristiano Peddis
pp. 416 - euro: 19,00
lunedì 20 luglio 2009
MAN AT WORK 2 !!!
Il libro del giorno: La fortuna non esiste di Mario Calabresi (Mondadori)
"Non importa quante volte cadi. Quello che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi." Come si esce da una crisi, come si supera una perdita, un insuccesso, un fallimento? C'è chi ha avuto la forza di rimettersi in piedi dopo che l'azienda in cui lavorava ha chiuso, chi ha rifiutato di arrendersi dopo che la recessione lo aveva costretto a vendere la casa in cui viveva e a partire per chissà dove, chi ha ritrovato la forza di andare avanti dopo che un lutto sembrava avergli tolto una ragione per vivere. Due anni in viaggio attraverso l'America, trentasei Stati, l'elezione presidenziale più emozionante che si ricordi e tante vite di gente comune. Ma al centro di tutto questo per Mario Calabresi c'è una sola domanda: che cosa accade nel cuore di chi cade e trova la forza di rialzarsi? Magari con fatica, con dolore, ma con tenacia incrollabile e soprattutto senza aspettare la fortuna? Qual è il segreto di una nazione e della sua gente, capace da sempre - ma oggi più che mai - di reinventarsi da zero, di darsi una seconda chance, di eleggere un presidente nero contro ogni previsione, di rimettersi in cammino anche dopo che la più grave recessione del dopoguerra ha travolto la vita di milioni di persone?"Attraverso queste storie, Calabresi ci fa capire che la vera forza della democrazia americana non sta tanto nella potenza militare o in quella economica, quanto nella profonda fiducia di riuscire a superare gli ostacoli, secondo il principio riassunto nella frase non importa quante volte cadi, quella che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi"
di Giovanni Russo tratto da il Corriere della Sera del 20/07/09, p. 29
casa editrice Mondadori: http://www.mondadori.it/libri/index.html
La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi di Mario Calabresi, 2009, Mondadori (collana Strade blu)
"Ci vediamo domani" ( edizioni bd): il fumetto esplora l’abisso della mente umana. Rec. di Fabrizio Malerba*
“Ci Vediamo Domani” è una graphic novel realizzata dal bravissimo Ned Bajalica, artista di origini leccesi che ora vive a Milano, un lavoro complesso, di qualità, non solo perché realizzato con il prestigioso contributo del famoso psichiatra Paolo Crepet, che ne firma il soggetto, ma anche e soprattutto per la bellezza dei disegni che raggiungono una maturità espressiva indice di grande padronanza del media fumetto. Il mondo del fumetto offre spesso inaspettate sorprese, opere di grande valore non destinate al puro intrattenimente ma rivolte ad un pubblico esigente, curioso ma anche coraggioso, perché non sempre è facile accostarsi a determinate tematiche, soprattutto quando le stesse coinvolgono quei luoghi oscuri della mente umana. Atmosfere quasi irreali costruite attraverso un sapiente utilizzo di luci e ombre dove i neri dominano le pagine per aprire un varco nell’oscurità dell’animo umano. Un segno essenziale e ricercato, poche linee per descrivere le complessità di esistenze giunte a un bivio.I racconti, tratti da una raccolta di casi clinici, scritti da Crepet trovano nei disegni di Bajalica la loro naturale collocazione. Lo stesso psichiatra, nella prefazione, ha manifestato grande entusiasmo nel vedere il risultato positivo di questo sodalizio:“…quando pensavo ai miei personaggi provavo a immaginare a chi potessero assomigliare. Adesso lo so, ed è, ve lo posso assicurare, una bella sorpresa scoprire che ogni tanto non solo ti accade di sognare, ma anche di vedere la tua idea raggiungere un’altra persona. Grazie Ned.”
Storie ordinarie, di tragedie personali, consumate nella solitudine del web, della strada, a volte della propria famiglia.
Ned Bajalica, già artisticamente noto come “erede” di Jacovitti, torna, con uno stile del tutto rinnovato, per regalarci emozioni nuove, frutto di una maturazione umana e professionale, dove le vicende dei suoi personaggi pongono l’attenzione su una dimensione più profonda della realtà. Una riflessione sulla vita e sulla morte, un intensa esperienza narrativa da cui partire non per trovare risposte, ma piuttosto per porsi nuove domande sull’esistenza umana.
“Ci Vediamo Domani” è un libro pubblicato da edizioni bd nella linea Alta fedeltà.
*redazione Talkink
Poesie in transito n.7/12 di Maria Grazia Palazzo

7. Da riva a riva
Come un messaggio in bottiglia
che il vento sospinge da riva a riva,
salva dopo un lungo percorso, attendo
che l’ onda lunga mi raggiunga,
giorni, notti, anni fino all’approdo.
8. Viaggio di ritorno
A colpo sicuro voglio abbracciare
questo viaggio di ritorno
in un battito di luce d’alba
voglio chiamare la donna bambina
diventata adulta, amica, amante
fattrice di coscienze ridestate, ribelle
a fuochi fatui di amori immaturi,
levatrice instancabile di felicità perdute
dietro le porte sante dei nostri quotidiani.
9. Ferro e fuoco
Ferro e fuoco
per trovare riposo,
cercasi una carezza sul corpo
fino a dentro l’anima, il crocifisso è dietro l’angolo,
dietro finestre socchiuse che soffoca, gronda sudore, il sangue non si vede,
eppure ha voglia di tenerezza, di un sorriso.
Ognuno reclama il suo paradiso.
10. Il suonatore di reti
Il suonatore di reti
maneggia la corda ad occhi chiusi
non si scompone, non si scoraggia,
non perde mai la concentrazione, il filo…
Una musica lo sostiene, nel silenzio di una luce a straforo,
per salvarsi dalla noia, dai veleni sordi dell’ozio,
scioglie nodi e ricompone albe e tramonti ...
11. Abbracciami
Abbracciami, voglio sentire il tuo respiro, la tua risata
non è destino tra noi, ma una specie di fascinazione rara
come radici di pianta che si attaccano alla pietra
resisterò, mi nutrirò della stessa linfa,
e staremo così, appena appoggiati,
con la testa reclinata, spalla a spalla
come in un quadro di Klimt…
12. Memoria
Scivoliamo in chiave di sol
le tue dita rullano in cerca di note giuste
lungo la viola da gamba il legno
profuma la notte antica dell’ amore
i petali si sfaldano in un soffio
la luna ci sorride versando in semicerchio
un po’ del suo silenzio, una nuvola
allontana il mondo, il mare
arriccia la schiuma verso
l’orizzonte…una rete
infuoca la memoria
del risveglio.
domenica 19 luglio 2009
Il libro del giorno: Noi due come un romanzo di Paola Calvetti, Mondadori (collana Omnibus)
Emma sta per raggiungere la fatidica soglia dei cinquanta, ha un figlio adolescente, un ex marito e una brillante carriera, quando decide di rivoluzionare la sua vita - e quella di molti altri. Nei locali avuti in eredità da una zia, nel cuore di Milano, apre una libreria: si chiama "Sogni&Bisogni" e venderà solo libri d'amore... "Sogni&Bisogni" diventa presto il rifugio e il luogo d'incontro per una folla di personaggi: da Alice, trentenne e vivacissima aiutante libraia, a Gabriella - l'amica di sempre, il cui marito commercialista è il Nemico Fedele che veglia sui progetti di Emma ai tanti lettori, uomini e donne, giovani e anziani, che portano le loro vite fra i libri e così ne trovano di nuove. Ma, soprattutto, è grazie alla libreria e a una fatale coincidenza che Emma ritrova Federico, il grande amore della sua giovinezza."(...) un libro da leggere d'un fiato, intelligente, raffinato, elegante, e in cui scoprire o riscoprire, come la lettura possa essere anche occasione di conoscenza, d'incontro se, parafrasando Vinicius de Moraes, mi sento di dire: la lettura è l'arte dell'incontro (lui disse la vita è l'arte dell'incontro). Eppoi evviva queste libraie, queste biblioteche, sapienti donne di libri, di lettura e di vita"
di Massimo Gatta tratto da Leggere:Tutti (giugno/luglio 09), p. 48
casa editrice Mondadori: http://www.mondadori.it/libri/index.html
Noi due come un romanzo di Paola Calvetti
2009. Mondadori (collana Omnibus)
Balla Juary. Sferragliando verso sud, di Fabio Izzo, prefazione di Gianluca Morozzi, Il Foglio (Piombino, 2009). Rec . di Nunzio Festa
Inutile prendersi in giro o far finta di non capire: Juary era quel giocatore dell'Avellino che inventò un modo più strambo del normale d'esultare dopo la rete: un balletto intorno alla bandierina del calcio d'angolo. Inutile prendersi in giro, ancora; perché “Balla Juary. Sferragliando verso sud” è pure la storia d'un innamoramento, o quantomeno d'una infatuazione. Diciamo, visto che è comunque inutile passeggiare su certe cose fingendo, che questo nuovo romanzo di Fabio Izzo – autore del meglio riuscito e completamente diverso (per stile, forma, contenuti, vivacità...) “Eco a perdere” - prova a essere una creazione letteraria che tenta di guardare a cose che non tutti guardano. Cosa, però, appunto riuscita a metà. In quanto, per esempio, se è vero che d'un protagonista del sud a nord e del nord a sud non s'era forse mai letto, e anche vero che lo si deve poter leggere in tutto il suo Significato. Ma, per fortuna, l'autore riesce bene, e utilizzando una lingua meno 'innovativa' e sperimentale del recente passato, a presentare una rappresentazione d'almeno un paio di dinamiche che oggi sono parte della vita realte. Tanto per cominciare, l'influenza e il rapporto fra genitore e/o genitrice con figlio e/o figlia, in special modo guardando alla sensibilità o insensibilità persino del mammone, come il sempre attuale processo di ritorno e d'andata verso sud che vuol dire emigrazione per lavoro specialmente in direzione nord. Ancora, Izzo dice ma non racconta se non in parte e in maniera parziale che significa tifare al Meridione e che significa farlo più sopra del Mezzogiorno. Il romanzo sarà servito in particolare allo scrittore stesso, che difronte all'immensità di certi temi comprende o comprenderà o ha compreso che serve soffermarsi maggiormente oppure non pensarci proprio sopra su tanto. Non esistono vie di mezzo. L'autore, che recentemente è stato premiato al concorso Dialoghi con Pavese del Premio Grinzane di Cavour, ha molto davanti e doti da far vivere. Balla Juary. Sferragliando verso sud, di Fabio Izzo, prefazione di Gianluca Morozzi, Il Foglio (Piombino, 2009), pag. 137, euro 12.00.
sabato 18 luglio 2009
Il libro del giorno: Duecentosei ossa di Kathy Reichs (Rizzoli)
Tempe Brennan sente il cuore pulsare al ritmo della paura. È prigioniera e non sa perché: qualcuno l'ha rinchiusa in un sotterraneo, insieme a mucchi di resti umani. Proprio lei, che di mestiere legge nelle ossa dei morti la storia delle persone. Confusa e incredula, con le mani e i piedi legati, Tempe non riesce a immaginare cosa possa esserle accaduto. Finché, lentamente, comincia a ricordare... Una telefonata anonima che l'accusa di aver insabbiato la verità sull'omicidio di un'ereditiera - un'inchiesta chiusa da tempo, che qualcuno ha voluto portare alla ribalta. Poi un nuovo caso, tre cadaveri ritrovati nei boschi attorno a Montreal, tutte donne anziane, tutte massacrate con inaudita ferocia, e i grossolani errori che la dottoressa Brennan avrebbe commesso nell'analisi dei loro corpi. Errori inspiegabili per una professionista come lei, cui ogni volta ha rimediato una nuova, ambiziosa collega, l'anatomopatologa Marie-Andréa Briel. Così, sola nella sua prigione, Tempe ricompone il puzzle: questa volta è lei il bersaglio, e solo lei può trovare il modo di liberarsi e capire chi l'ha voluta fuori dai giochi e perché."Torna l'antropologa forense Tempe Brennan, che nelle ossa dei morti legge la storia delle persone. Ma questa volta è lei, sepolta viva, in trappola tra falangi rubate e cadaveri"
di Annalisa Usai tratto da L'Almanacco dei libri de La Repubblica del 18/07/09, p. 42
casa editrice Rizzoli: http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/rizzoli/
Duecentosei ossa di Kathy Reichs, 2009, 394 p. (Rizzoli)
Rossano Astremo, 101 cose da fare in Puglia almeno una volta nella vita (Newton Compton). Anteprima dell'autore
Carpignano Salentino è un paese di quattromila anime, in provincia di Lecce, distante 15 chilometri da Otranto. Nel 1974, da maggio ad ottobre, Carpignano ospitò Eugenio Barba e il suo Odin Teater. In quel periodo la compagnia teatrale danese era in tournee formativa e scelse Carpignano come base delle sue attività. Dopo un iniziale periodo di seminari ed incontri, Barba propose l’idea di scambiare le tradizioni locali di musiche e danze con gli spettacoli del suo gruppo. Immaginate ora la presenza, nelle strade di un piccolo paesino del Salento, dove gran parte dei suoi abitanti non sapeva ancora né leggere e né scrivere, di spettacoli teatrali d’avanguardia. L’iniziale reazione dei carpignanesi fu d’incomprensione. Questo sino a quando un gruppo di amici diede vita ad una festa paesana improvvisata, in cui a farla da padrona furono musiche e balli tradizionali, assaggi di prodotti tipici preparati in famiglia e vino locale. Era l’11 agosto del 1974. Barba ebbe il merito di condurre gli abitanti di Carpignano fuori dalla monotonia dei una vita spesa nei campi e diede la dimostrazione del fatto che rivivere la propria cultura può dare gioia e felicità, anche se solo per una notte. Questa è l’origine della Festa te lu mieru (Festa del vino), che dal 1975 si ripete ogni anni nella prima settimana di settembre. Definita la “madre di tutte le sagre”, la Festa te lu mieru accoglie ogni anno migliaia di visitatori provenienti da tutta la regione, i quali si riversano nelle due piazze del paese, Piazza Duca D’Aosta e Largo Madonna delle Grazie, dove sono presenti centinaia di stand enogastronomici e i palchi in cui s’inscenano spettacoli con pizziche e tarante a scandire il ritmo dell’evento. Occasione ghiotta questa per gustare i piatti tipici del Salento, dai pezzetti di cavallo al sugo alla carne arrostita, dalle friselle ai fagioli, dalle pitte (piatto tipico salentino realizzato con patate) alle uliate (pane con olive), dalle pittule fritte (frittelle salate) alle porzioni di patatine fritte di cui ogni anno ne vengono distribuite oltre centomila, il tutto annaffiato dal vino locale distribuito a fiumi. È una sagra, questa di Carpignano, che coinvolge e travolge ed anche chi si reca con le migliori intenzioni sarà vinto dal potere dionisiaco che conquista tutti i partecipanti. Restare sobri sarà un’impresa ardua.
(Carpignano Salentino . Cercare di restare sobri alla Festa te lu mieru di Rossano Astremo - per concessione dell'autore)
Rossano Astremo, 101 cose da fare in Puglia almeno una volta nella vitacollana Centouno n. 25, Newton Compton
Dal 30 luglio in libreria
venerdì 17 luglio 2009
Il libro del giorno: I loro occhi guardavano Dio di Zora Neale Hurston (edizioni Cargo)
Janie Stark, donna di colore di qurant'anni, rievoca la storia della sua tormentata vita. Sposata a un uomo molto più grande di lei Janie fugge per finire tra le braccia di Joe, furbo e ambizioso, che ben presto diventa un potente commerciante. Condannata a subire i soprusi di Joe, rivelatosi arrogante e violento, Janie decide di fuggire di nuovo quando incontra Tea Cake, per ricominciare una nuova vita. Ma la sorte si accanisce contro di lei, e sarà proprio Janie, quando un cane rabbioso morde Tea Cake, a dover mettere fine alle sofferenze del ragazzo con un colpo di fucile. Solo dopo aver subito un processo infamante, Janie ritorna al suo paese natale, dove vivrà nel ricordo di una felicità perduta. "Una lettura intensa,che ha molto contribuito all'emancipazione delle donne di colore sin dai tempi della prima pubblicazione,ma che nonostante tutto, rimane di attualità"
di Gian Paolo Serino tratto da Il venerdì di Repubblica n. 1113, p. 108
Edizioni Cargo: http://www.edizionicargo.it/
I loro occhi guardavano Dio di Zora Neale Hurston
2009, 267 p., brossura, Editore Cargo (collana Biblioteca di Cargo)
LE BENEVOLE di JONATHAN LITTEL (EINAUDI). Rec. di Silla Hicks
Di tutto quello che mi è capitato tra le mani, negli ultimi mesi o in tutta la vita, queste quattrocento e rotte pagine sono sicuramente tra il poco che non mi riuscirà di scordare. Intanto, per la scritta bozze non corrette sotto al titolo:cazzo, chiunque scriva sa che privilegio è, poter accedere a una cosa del genere,una specie di pass per la zona vip dove normalmente uno come te non potrebbe sognarsi di entrare, nella testa e nel cuore di chi ha partorito quel mondo prima che c’entrasse il gioco al massacro della sala tagli e molto ne restasse sul pavimento, magari proprio quello che adesso hai la fortuna di sentire artigliarti lo stomaco, e che commercialmente non era possibile mantenere. E sottolineo il commercialmente, anche: avverbio che poco o niente dovrebbe c’entrate con la scrittura e che invece l’invade come un tumore maligno: cazzo, quant’è difficile da accettare, e vaffanculo se così va il mondo, quando ci penso ringrazio dio di vivere di altro, sono scorpione ascendente scorpione e anche se non credo agli oroscopi sarà per questo che la diplomazia e i compromessi stanno a me come l’olio all’acqua, non penso mai a quella che sarà la reazione di chi avrà la pazienza di starmi ad ascoltare né a quanti lo faranno, e vaffanculo se questo vuol dire che farò a vita il camionista, non sono capace di prostituire le parole.Persino rileggermi è a volte un tradimento, smussare gli angoli come una bugia: le cose buone escono già buone, e quelle cattive non c’è modo di aggiustarle. Scrivere non è come andare in bicicletta. Non si può imparare, né farlo a comando. Non si può decidere dove andare, sei solo un medium, la storia è già là, ed è un dono. Il cartellino del prezzo, un orpello osceno. Nella mia personale Utòpia (quella di Moore: non l’utopìa, che è una categoria, ma un mondo intero), tutti i libri sono gratis. Come l’open source di Linux.
E questo meriterebbe davvero di esserlo: è Le benevole, di Jonathan Littel, e il consiglio è uno solo, compratelo o fatevelo prestare, leggetelo, insomma, e poi piegatevi in due scossi da conati di vomito e ringraziatemi, perché questo Obersturmfurher mezzo francese chiamato Max Aue – incrocio ben riuscito tra Fernando Caretta e il Grillo Parlante di Pinocchio – è il cicerone ideale per raccontare la Germania impazzita che cercò di distruggere il mondo e che è obbligatorio visitare, per non riesumarla né ora né mai.
Max Aue (Maximilien Aue): da SS a dirigente di una fabbrica francese di merletti, a occhi spalancati attraversa un ventennio disumano con il distacco di un entomologo lobotomizzato al cuore, e senza scuse né giri di parole ammette ogni cosa, perché è quello che è stato, e non ci sono altri modi per dirlo.
In un tempo di collettiva perdita di coscienza, lui vede tutto e racconta tutto, senza metro di giudizio, perché non può essercene. È amante incestuoso, pederasta, matricida e assassino testimone di atrocità irrancontabili – la banda di bambini feroci, le fosse comuni, le amazzoni ariane ossessionate dal perdurare la razza – e tutto senza distogliere le sguardo, mantenendosi lucido mentre cammina scalzo tra cocci di follia. Il fronte orientale e i ricevimenti del Reich, il cranio fracassato del neonato e il morso al naso globoso del Furher, la fedeltà alla propria gemella Miriam che lo spinge tra nerborute braccia maschili, il riciclarsi con successo negli affari quando tutto è finito, facendo sparire le tracce di ciò che è stato assieme al compagno di una vita, Thomas, diventato pericoloso testimone: ogni fotogramma è asetticamente ripreso, senza censura né sensi di colpa, con la camera fissa di un Von Trier in stato di grazia, pacato monologo colto e accurato, e un finale alla Herzog nello zoo bombardato di Berlino, l’agonia dell’ippopotamo come visionaria metafora di quella di un’epoca e dell’universo del mondo.
Apocalittico, come apocalittico è stato il buio della mente che ci ha contagiato tutti, noi tedeschi in primis, ma tutti quanti dietro. Virus mai debellato che raffiora qua e là anche oggi, e che la teoria politically correct del rispetto della sovranità degli Stati vorrebbe costringerci a non riconoscere, così che finirà per divampare in universale epidemia, di nuovo.
Senza che nessuno faccia niente. Così che altri Max Aue ci trovino un habitat ideale.
Sperando che dopo resti qualcuno, ad ascoltarli raccontare.
BENEVOLE HORLA,(LE BENEVOLE, di JONATHAN LITTEL, EINAUDI, TORINO, 2007. Rec. di Silla Hicks)
In libreria per Sellerio Confessione di Bill James
Ritornano i personaggi di Protezione, il primo giallo della serie di Bill James pubblicato in Italia accolto subito come un maestro. L’ambiente è ancora una volta quello di un commissariato di polizia inglese dove agenti non sempre “immacolati” - non mancano i deboli, gli infiltrati, i corrotti - si mescolano a capi dalla dubbia condotta. Il tutto complicato dai rapporti tra loro, le loro mogli, e i tanti che si muovono al confine tra malavita e persone per bene.Questa volta al centro della vicenda è Sarah, la moglie dell’Assistente Commissario Capo Desmond Iles. Una sera Sarah si trova al Monty, il malfamato locale del barone della droga Ralph Ember, quando vi giunge trafelato un giovane molto elegante che subito si accascia sul pavimento, evidentemente ferito.
È proprio Sarah ad ascoltare le ultime, incomprensibili parole del ragazzo, prima che Ralph spenga la luce permettendo ai sopraggiunti inseguitori di completare la loro opera. Sarah vorrebbe vederci chiaro, ma non può certo raccontare l’accaduto al marito Desmond, dato che quella sera al Monty si trovava in compagnia dell’amante Ian Aston. Sarà tuttavia lo stesso Desmond Iles a rivelare involontariamente alla moglie che, proprio a causa di quello che ha visto al Monty, Ian corre un gravissimo pericolo.
“Questo primo romanzo pubblicato in Italia del britannico Bill James è uno dei polizieschi più interessanti dell’anno”. (Mauro Anselmo, Panorama)
“Nel poliziesco, che in fondo è la versione adulta del gioco guardie e ladri, uno scrittore deve decidere prima di tutto da che parte sta, e molto dipende da quella scelta. Però ci sono gli scrittori come Bill James che sanno tenere i piedi in due scarpe, costruendoci la propria fortuna”. (Maurizio Bono, La Repubblica)
“Gli intrighi orditi dai poliziotti buoni per sopperire alle imperizie e ai tradimenti del dipartimento ricordano il Wanbaugh di I ragazzi del coro. E non è poco”. (Laura Grimaldi, Il Sole 24 Ore)
Bill James, pseudonimo di James Tucker, scrittore gallese. “Le leggende editoriali raccontano che Bill James sia stato pilota della Raf e agente del controspionaggio britannico, - scrive Luca Crovi sul ‘Giornale’ - ma lui semplicemente confessa di aver imparato tutto ciò che sa sul mondo del crimine durante l’apprendistato come cronista di nera al Daily Mirror. Da 23 anni è un maestro del noir europeo grazie all’originalità con cui ha caratterizzato i suoi angelici e allo stesso tempo satanici poliziotti Colin Harpur e Desmond”.
Con il suo vero nome ha pubblicato un libro di critica letteraria, The Novels of Anthony Powell.
giovedì 16 luglio 2009
Il libro del giorno: Il lettore controverso di Guido Piovene (Aragno)
Controversa la figura di Piovene non è solo per la coda polemica, anche aspra, che ha seguito le sue molte conversioni politiche e ideali; vi è nel metodo stesso della sua militanza intellettuale una radice critica ‘assoluta’, che impedisce al suo discorso di fermarsi sulle idee correnti. Avverso ai dogmatismi e alle definizioni stabili, anche contro se stesso e le proprie «febbriciattole di convinzione effimera», istituisce sempre coi suoi temi un rapporto dialettico, tortuoso, complicato dalle mille sottigliezze della sua psicologia. Che presenta da un lato una violenta tendenza alla compromissione personale, dall’altro un culto fanatico verso la verità. Scrittore e giornalista, intellettuale integrato ai più alti livelli dell’industria culturale, Piovene è il tipico rappresentante di un secolo impuro come il Novecento, di cui sconta in un singolare corpo a corpo tutte le principali contraddizioni. La riflessione sulla letteratura, tipicamente centrata sui destini dell’arte narrativa, lo accompagna senza pause nella sua lunga carriera, dal ventennio fascista all’età della crisi e della contestazione. Sicché si occupa di Tozzi, Kafka, Moravia, Céline, dialoga con Fortini sul marxismo e prende parte al dibattito sul caso Pasternak. Sono interventi a caldo, scritti a ridosso dei libri e degli eventi che li hanno provocati, prima sulle riviste militanti e con passione da giovane scrittore, poi sulle grandi testate nazionali («Il Corriere della Sera», «La Stampa», «Il Giornale Nuovo» di Montanelli), spesso secondo i tempi urgenti dettati dai giornali. Non si userà pertanto per Piovene la fortunata formula di critico scrittore, perché lo scopo pratico né l’occasione dei suoi articoli vengono quasi mai dimenticati. E tuttavia, in questo stare agganciati al loro tempo, oltre che per le doti di scrittura e per la vasta, inusitata ampiezza di prospettive di Piovene, questi scritti rivelano un sicuro motivo d’interesse, non solo per gli specialisti: per il loro valore di testimonianza e per ‘l’energia dell’errore’ che vi circola libera e potente. L’antologia degli scritti, che li raccoglie per la prima volta in un’edizione organica, è corredata da un’ampia introduzione e da una bibliografia esauriente delle collaborazioni letterarie. "Piovene pensava, anni 60, che Cèline non fosse uno dei maggiori maestri del tempo. Trovava il suo inferno un pò superficiale. E sentiva in lui magari ben dissimulato, un fiatone sentimentale, come un'asma cardiaca. Antipremio (a Piovene)"
di Antonio D'Orrico tratto da Antipremio della settimana del Corriere della Sera magazine n. 28 del 16/07/09, p. 101
casa editrice Aragno: http://www.ninoaragnoeditore.it/
Guido Piovene, IL LETTORE CONTROVERSO
Scritti di letteratura (a cura di Giovanni Maccari), 2009
Miracoli? di Roberto Volterri (Acacia edizioni, 2009)
Con sorpresa e grande piacere ricevo la notizia da Roberto Volterri,ricercatore dell'insolito, (che ho già avuto il modo e il piacere di recensire sulle pagine di questo blog)la notizia dell'uscita per i tipi di Acacia edizioni del suo diciottesimo lavoro dal titolo "Miracoli" con la prefazione dell'immenso Roberto Pinotti. Un libro ‘strano’, diverso, un libro in cui troverete un vasto panorama di fenomeni ‘anomali’, ‘impossibili’, insomma ‘miracolosi’, che, però, potrebbero essere inquadrati da un altro punto di vista, forse nell’ambito della Biologia, della Chimica, della Fisica. Troverete inoltre moltissime Appendici Sperimentali che vi consentiranno di cercare di riprodurre dei ‘miracoli’ molto semplici e che rientrano in qualche modo nella tematiche trattate. Non imparerete di certo a camminare sulle acque, non raggiungerete il vostro appartamento, entrando ovviamente dalla finestra, levitando fino al quarto piano, non farete impallidire Mosè facendo scaturire acqua dalla roccia, ma – si sa – viviamo tempi difficili e bisogna… accontentarsi.Buon ’viaggio’ e buona sperimentazione!
Info:
Acacia Edizioni: Tel. 02/ 90090606 oppure info@eremonedizioni.it
ordini@acaciaedizioni.com
Amnesie amniotiche, di Pasquale Vitagliano, LietoColle (2009). Rec. di Nunzio Festa
I versi che Pasquale Vitagliano ha raccolto in “Amnesie amniotiche” sono un passo di testimonianza, vergate da un 'plurale collettivo' vissuto negli occhi e negli oggetti dell'io. La silloge è essa stessa testimonianza, non poesia civile ma comunque poesia che fa parte della più 'alta' civilta. Una scrittura, quella di Vitagliano, che riesce a sganciarsi, anzi essere sganciata e/o non allacciata invece alla bassa retorica (non di figure ma di parole e sensi e immagini e sviluppi) – certamente diventando cuore che fa anche originalità proprio grazie a questo. Il volume, diviso in otto sezioni e corredato da opere di Mark Rothko, è la prove poetica di un editor e giornalista, leccese di nascita ma che vive a lavora in provincia di Bari, già presente sul spazi telematici e in alcune antologie. Le liriche s'alternano per scelta stilistica, pure; in quanto, per esempio, l'autore predilige la versificazione breve e a tratti frammentata/spezzettata mentre in altre ricorre a un versificare più prosastico. Dove troppo cerca di rendere tangile il presente-futuro, però, la raccolta perde qualcosa. Per analizzare un momento più intimistico, si prenda “ansima”, dalla sezione “salmi”. “Sotto il silenzio / la mansuetudine, / come le vene increspate / sotto un cartiglio autistico, / come le gravine / sotto il viadotto. // È la faccia nuda / che cerca di nuovo / il vento salato / della veduta di Byron, / quando fece volare / al cielo il naso finto / di un'esanime maturità. // È questo pennacchio, / che ho cercato / di giocarmi sull'isola / dell'asino bianco, / con l'anima cieca / della baldoria, / che solo la morte / non si scorda. // Quando l'ho perso / c'era una donna: / era lo specchio muto / della mia obesità. / Di questa faccia / mi sarebbe bastato / conoscerne il nome / e invece... // Ho voluto pure / guardare”. La chiusa è bella soprattutto perché lascia aperto un pensiero. Vitagliano, dopo aver composto questa poesia, potrebbe quindi guardare maggiormente a questo tipo d'espressione, leggendo ancora di più e lasciando leggere ancora di più d'irrequietezza e, in qualche modo, di continue ricerche proprie del poeta. E attraverso il personale, sappiamo, che il collettivo si forma, o comunque tenendo sempre conto d'esso. Con la forza d'immagini superiori, per fare un esempio, appunto: quell'asino bianco. Amnesie amniotiche, di Paquale Vitagliano, prefazione di Giovanni Nuscis, LietoColle (Como, 2009), pag. 92, euro 13.00.
martedì 14 luglio 2009
Il rientro dell'impulso di Marcello Costantini (Lupo editore)
Il Salento. Terra di transito, di attraversamenti, di ragni tarantolati, di ulivi secolari. Salento, terra di meraviglie barocche, di cultura, non solo terra dove impera lu sule, lu mare, lu ientu! Già perché c’è un aspetto della storia di questo territorio ancora tutta da scoprire, tutta ancora da valorizzare e da apprezzare. Ma il Salento è una porzione di territorio che sta sviluppando una serie di riflessioni editoriali molto interessanti su di un genere letterario che sino a Salvatore Toma ed Antonio Verri non c’era mai stato: ovvero il giallo, i cui primi vagiti a queste latitudini sono stati siglati dalle penne di Giovanni Capodicasa e Raffaele Polo. Poi ecco che subentra un ulteriore tassello a questo mosaico che va pian piano a costruire una sua identità ben definita, e mi riferisco al lavoro di Marcello Costantini dal titolo “Il Rientro dell’impulso” per i tipi di Lupo editore. E addirittura si tratta di un tipo particolare di giallo, ovvero quello di natura archeologica, che attraverso una ricchissima serie di narrazioni e storie tratte da fonti specifiche, attraverso l’utilizzo di analisi proprie di metodi provenienti dalla ricerca in questo ambito, la generosità delle citazioni che mai stancano per come il tutto è costruito, ci fanno provare il piacere di una lettura fatta di intrecci che vanno dalle indagini su Roca e la sua tradizione, di un misterioso archeologo “finto messicano” Pallares (curioso e coltissimo) coinvolto in un singolare omicidio le cui vicende ruotano attorno all’Università del Salento, Maria d’Enghien e la sua vicinanza psicotica al tarantismo e mistica al santo dei ragni (S. Paolo di Galatina), e ancora i Normanni, la civiltà dei Messapi legata al culto di una divinità sconosciuta, e ancora tutta una serie di suggestioni che fanno parlare a viva voce paesi salentini come Galatina, Scorrano, Roca, Specchiulla, Porto Badisco sino ad arrivare a Stoccolma, Parigi e Lisbona. Un libro che contribuisce a mettere a nudo il b-side dell’estremo tacco d’Italia, seguendo un intricato percorso che lo porta tra riti primitivi e regine ''tarantate'', santi ambigui e dei arroganti.
Il libro del giorno: Gli enigmi dei Vedovi Neri di Isaac Asimov (Minimum Fax)
La vicenda di Asimov e dei Vedovi Neri è la storia di un amore lungamente coltivato tra un autore e la sua creazione letteraria. Come Maigret per Georges Simenon, Sherlock Holmes per Conan Doyle o Miss Marple per Agatha Christie, i Vedovi Neri – questi sei distinti signori che, assistiti dal cameriere Henry, si riuniscono a cena una volta al mese per dedicarsi con tutto il loro ingegno e la loro cultura alla risoluzione di un enigma – sono il personaggio (collettivo) che permette alla fantasia dello scrittore di confrontarsi con le sue piccole o grandi ossessioni.Spaziando tra la matematica e la musica, la storia e l’astronomia, la letteratura e la chimica, le tessere del puzzle si ricompongono inesorabilmente fino allo scioglimento del rebus, allo stesso tempo piegando la trama classica del giallo in un gioco continuo e imprevedibile di erudizione che rappresenta magistralmente l’essenza del divertissement letterario secondo Asimov.
«Un turbinio di geniali arguzie, riferimenti colti, brillante risoluzione di insondabili enigmi».
Corrado Augias, la Repubblica
casa editrice Minimum Fax: http://www.minimumfax.com/home.asp
Gli enigmi dei Vedovi Neri di Isaac Asimov
traduzione di: Andrea Terzi
Io credo nei vampiri di Emilio de' Rossignoli (Gargoyle books)
Giusto in tempo. Per motivi di studio nei giorni scorsi mi sono recato prima a Camerino e poi più per piacere che per impegni istituzionali, ho fatto una piccola gita nella Repubblica di S. Marino, dove ho avuto la fortuna di poter visitare la splendida e curatissima mostra che non può non essere gustata dagli amanti del genere: “Vampiri e Licantropi, creature della notte” che è stata allestita nelle sale del Nido del Falco (Contrada dei Magazzeni). L’evento parla di 4000 Anni di Paura ovvero la storia, la vita e le origini dei più famosi e sanguinari succhiatori di sangue; dagli albori della storia umana agli ultimi ritrovamenti moderni di sepolture esorcizzate. Indubbiamente negli ultimi mesi, dopo il successo di “Twilight” di Stephenie Meyer la parola “vampiro” sembra ritornare con insistenza in auge con tutta la sua carica erotico-gotica e il suo fascino oscuro (anche se con innumerevoli contaminazioni pop), ma non solo in ambito cinematografico. Recentemente Newton Compton ha pubblicato la bellissima saga “succhiasangue”, “Il diario del vampiro” in ben sei volumi di Lisa Jane Smith che ha venduto oltre diecimila libri con questa serie che ha come protagonisti Elena, Stefan e Damon, negli episodi dal titolo “Il risveglio, La lotta, La furia, La messa nera e Il ritorno”. Possiamo parlare certamente di un revival mediatico veramente notevole, che si aggiunge alla mitologia editoriale che va da Bram Stoker sino ad Ann Rice. Gargoyle Book pubblica il meraviglioso saggio di Emilio de’ Rossignoli dal titolo “Io credo nei vampiri” pubblicato nel 1961 dall'editore Luciano Ferriani e da allora mai più ristampato, e che fortunatamente ora le nuove generazioni e gli “aficionados” di queste misteriose creature potranno apprezzare fino in fondo. Stiamo parlando fondamentalmente di un saggio, pregevolissimo sia per stile che per contenuti (si va ad analizzare storia, antropologia, folklore che riguarda non solo i vampiri, ma anche incubi, succubi, licantropi, lamìe, golem, zombie, fantasmi e chi più ne ha più ne metta), rigoroso da un punto di vista scientifico nell’analisi che l’autore porta avanti, nell’esposizione proveniente da diverse fonti sugli episodi più inconsueti e inquietanti, e dotato di un apparato bibliografico veramente sorprendente che include titoli come il “Manuale exorcistarum ac parochorum” di Padre Candido Brognolo da Bergamo (1651) sino all’immenso Philosophicae et Christianae Cogitationes de Vampiriis di Giovanni Cristoforo Heremburg (1773), o al più moderno Lycanthropie et vampirisme apparso sulla rivista medica “Aesculape” a firma di Roland Villeneuve (1956), solo per citare pochissimi esempi. La mia personale meraviglia, risiede soprattutto nel fatto che De’ Rossignoli, scava a fondo sull’argomento “vampiri” con tanta attenzione, e profondità, che senza ombra di dubbio quest’opera è non solo completa, ma risulta nel panorama della storia della saggistica italiana, il lavoro più completo in quanto include svariati punti di vista sull’argomento in ambito cinematografico, letterario, musicale, pittorico, religioso, mitologico, politico, scientifico, biologico, botanico, giurisprudenziale facendo fruttare al massimo tutte le possibili fonti archivistico-librarie consultate dall’autore, che hanno conferito al tutto l’aspetto di eccezionalità! Sinceramente non immaginavo fosse possibile l’esistenza di un volume che unisse scienza e divulgazione a così elevati livelli. A spingermi nel consigliare vivamente l’acquisto e la lettura di questo lavoro, sono gli splendidi interventi di Angelica Tintori, Danilo Arona e Loredana Lipperini, che scrive nella sua postfazione dal titolo “Bruciare le stoppie” a pag. 365: “Manca, in Italia, la consapevolezza della potenza letteraria dell'horror. Quella che potrebbe avere, e quella che ha avuto. È esistito, nel Novecento, un gotico italiano che sembra essere passato senza lasciare traccia: quello di Tommaso Landolfi, di Dino Buzzati, dello stesso Italo Calvino. L'horror italiano, oggi, è - salvo [.] eccezioni - quello di un piccolo gruppo che si trincera dietro l'incomprensione altrui, e che vivacchia senza guardarsi attorno”.
lunedì 13 luglio 2009
Pierluigi Mele, Da qui tutto è lontano (Lupo Editore 2009, pp. 224, con audio-libro cd). Dal 20 luglio in libreria
C’è voluto del tempo. Quindici anni a mettere il punto alla fine. C’è voluto del gioco. Quel gioco che spinge a stupirsi e dannarsi per ciò che verrà oppure no. Il gioco libero. I personaggi si sono perduti e così ritrovati lungo il cammino. Loro a dettare il passo. Loro ad osare. Perché quei personaggi sono forme di una sola figura. Loro a scoprire cose che credevo dimenticate. C’è voluta paura dei propri fantasmi, sino a guardarli con occhi sereni. C’è voluto tutto l’amore per la musica, i colori, l’infanzia, il sorriso. C’è voluto qualcuno accanto che ci credesse davvero. C’è voluto il tempo che occorre. Anche quello per accettare i rifiuti, tanti. Anche questi sono serviti. Il libro non sviluppa un’unica trama, ne miscela diverse, di storie. Fa la spola fra terra e visione, desiderio e reale, amore e memoria, sarcasmo e dolcezza. Si serve di solitarie, estreme figure per dire del tempo, di questo nostro tempo. Questo, orfano di rivolta, dissenso, utopia. Questo, dove i simboli sono bagattelle di sagra. Si serve del sud come perdita, sogno, chimera. Solo il luogo ha un nome concreto, Torre S. Emiliano. Ma è un luogo di fabula. Un luogo di dentro. Si serve di odori perché le parole da sole non sanno né possono dire. Si serve del potere, innanzitutto, ma come metafora di un certo destino. Come filo rosso che stringe il racconto. Non è in poesia, il libro, ma se ne serve lisca per lisca. Non è propriamente romanzo, ma si nutre di letteratura che è vita. Neppure teatro, ma ne segue il fraseggio. Per annodare man mano ogni filo, e alla fine tutto torna dov’era. Mi avevano chiesto un intervento e non so come stilarlo altrimenti. Mi avevano detto “sei libero, scrivi ciò che ti pare”. Posso dire che parlo di un sogno, nel libro, e che ne aspetto il distacco per saperne di più. Aspetto che si perda lontano come un aquilone sfuggito di mano. Aspetto che qualcuno, più in là, lo raccolga. E allora estraggo un passo dal libro che offre il senso di tutto. Quello che ora dedico a voi. «Credo nel sole, le nuvole, il vento, la neve, la stagione improvvisa che torna, la luna nel pozzo e nei conti che tornano. Credo nei colori, e con questo mio nero li stringo tutti. Credo nell’illusione delle parole, ma credo che un canto valga più di tutti i libri che leggeremo. Credo che la poesia viva dovunque, che sia lei a cercarci, che si tuffi nei versi come ultima spiaggia. Credo in chi si commuove per le sciocchezze e ride senza motivo come un idiota nei campi. Credo nella semplicità e la invidio. Credo in chi non ho mai veduto eppure conosco da sempre, in chi alla fatica sfiorisce ma intanto cammina. Credo in chi ascolta, nei vecchi che svelano siccità e abbondanza con il fiuto dei cani. E soprattutto, credo nel giorno in cui nelle prime file delle autorità siederanno i bambini».
DAL 20 LUGLIO IN LIBRERIA
Il libro del giorno: Amulet vol. 1 di Kazu Kibuishi (Mondadori)
Il custode della pietra. Amulet vol. 1 un libro di Kazu Kibuishi Due anni dopo un terribile incidente in cui ha visto il papà precipitare in un burrone, Emily si trasferisce con la mamma e il fratellino Navin nella vecchia dimora appartenuta al bisnonno, un geniale inventore scomparso misteriosamente. Ma durante la prima notte nella nuova casa si odono rumori sinistri provenire dalla cantina: il grido della mamma è l'ultima cosa che Emily sentirà prima di vederla sparire, inghiottita da una presenza nascosta dietro la porta! Questa volta Emily non resterà a guardare: per ritrovare la mamma affronterà un viaggio pieno di pencoli, con il piccolo Navin al fianco e un essere minaccioso alle spalle, che la segue a ogni passo. Il mondo che la aspetta è popolato di elfi malvagi, mostri dai mille tentacoli, uccelli rapaci dalle forme più strane, ma anche delle meraviglie che il bisnonno ha messo sul suo cammino per sostenerla nella missione: Miskit, il saggio coniglio di pezza, Cogsley, una ferraglia scorbutica ma sempre pronta ad aiutarla e, soprattutto, un portentoso e ambitissimo amuleto. " Questo primo volume di Amulet (Will Smith produrrà il film) narra una storia di magia capitata ai giovanissimi Emily e Navin nella casa del bisnonno, dove sono andati ad abitare dopo la morte del padre"
di Luca Raffaelli tratto da XL di Repubblica n.47 (anno 5), p. 181
casa editrice Mondadori: http://www.librimondadori.it/web/mondadori/home
domenica 12 luglio 2009
Sempre nuova è l'alba (IV edizione). Libera notte di poesia
Nell’ambito della rassegna estiva “Nocincanta 2009”, organizzata dall’Amministrazione Comunale, anche quest’anno torna l’appuntamento con la Poesia. Ormai giunta alla sua quarta edizione la manifestazione “Sempre nuova è l’alba” diretta da Antonio Natile promette nuovamente di coinvolgere e stupire attraverso due personalità originalissime del panorama poetico nazionale e non solo: Maria Grazia Calandrone, poetessa e performer romana che conta numerosissime presenze su riviste letterarie tra cui Nuovi Argomenti, Gradiva, Sud, Le Fram e notevoli pubblicazioni, sua ultima fatica “ La macchina responsabile” Crocetti 2007 e Giovanna Marmo, attrice, poetessa ed artista figurativa napoletana autrice di “Fata morta” Emilio Mazzoli 2005 opera vincitrice del premio Antonio Delfini 2005 e del cd audio “Sex in Legoland” presentato alla BIG (Biennale Internazionale Giovani) nel 2002. Altri autori presenti saranno Biagio Lieti, giovane poeta de “Le Battaglie i robusti no” del 2008 per Poiesis Edizioni e Luciano Provenzano autore di "Tempo liberato" , Pensionante de’ Saraceni , 1985 ). Per concludere Irene Leo, autrice e performer di prossima pubblicazione il suo “Sudapest” Besa 2009, & Elisabetta Liguori autrice di “Il credito dell’imbianchino” Argo edizioni 2005. Incursioni musicali a cura di Checco Curci.Venerdì 31 luglio ‘09
Ore 21.00- Scalinata della stazione, Noci (Ba)
Intervista a Giuseppe De Luca autore di Nemrod (Star Comics)

Nemrod, è un prodotto editoriale che si discosta da tutte una serie di opere che in edicola vedono la luce. Quali sono i tratti distintivi che lo rendono avvincente, interessante,magari presentando delle peculiarità vuoi per contenuti, vuoi per riferimenti letterari o cinematografici?
Dal mio punto di vista ciò che rende originale questo prodotto è l’assenza di un protagonista principale . Di solito nel corso di una classica storia seguiamo le vicissitudini del nostro eroe sapendo benissimo che alla fine riuscirà sicuramente a salvare la pelle, quello che ci può far divertire è il modo in cui si sviluppa la storia, ma questa saga essendo caratterizzata da “un gruppo” di protagonisti, ci può far pensare che qualcuno dei “nostri” ci possa lasciare in qualsiasi momento.
Nemrod, viene citato per la prima volta nella Bibbia, dove è descritto come "potente cacciatore nel cospetto del Signore". Perché partire proprio da un nome come questo?
Questa domanda ci ricollega in qualche modo alla precedente, infatti ci sarebbe da aggiungere anche l’ originalità della scelta di chiamarlo “Nemrod” il quale non è il nome dell’eroe protagonista, ma è il nome che si da allo scopo dei nostri eroi. La prerogativa di questo fumetto è la lotta tra il male è il bene, e il gruppo dei nostri uomini sono appunto gli artefici di questa lotta contro il dilagare del male sulla terra attraverso tutte le sue manifestazioni.
Nemrod è un progetto fumettistico ambizioso che abbraccia più generi dal fantasy, all’horror, con l’inevitabile riferimento ad un filone letterario che è stato inaugurato da Dan Brown e dal suo Codice Da Vinci. E naturalmente a tutta quella tradizione mistico-esoterica di Templari ed altri ordini cavallereschi come Rosa Croce, etc. Nemrod può essere definito una pubblicazione a metà strada tra il pop e il rigore magari di ricerche bibliografiche in tali ambiti?
La base, o ingrediente principale di questo progetto è soprattutto la meticolosa ricerca storica, e a mio avviso per un maggiore apprezzamento della serie sarebbe utile una certa conoscenza degli eventi che fanno capo allo sviluppo della storia. Ovviamente il filone letterario a cui fai riferimento ha influenzato, ma io non essendo il creatore della serie non vorrei addentrarmi in giudizi in merito che potrebbero anche non essere giusti.
Parlaci un po’ del tuo coinvolgimento diretto a livello artistico in Nemrod, quali difficoltà hai incontrato, come si lavora in casa Star Comics?
Entrare a far parte dello staff di Nemrod è stato anche un po per fortuna (un po come tutti immagino in questi casi), un paio d’ anni fa ero alla ricerca di un lavoro che mi potesse dare maggiore soddisfazione a livello professionale, sentii che in star comics si stavano preparando un paio di nuovi progetti, uno era “Khor”, l’altro appunto “Nemrod”, poco dopo in fiera a Torinocomics feci vedere qualche mia tavola a Fabio Celoni e Andrea Aromatico (creatori del progetto), i quali apprezzarono il mio lavoro e mi diedero un paio di tavole di prova da fare, le feci ed eccomi qua.
Le difficoltà che ho incontrato sono state solo e prettamente d’approccio al tema e ai personaggi, ma solo per poco, in seguito ho acquistato più sicurezza e anche la fiducia degli autori fortunatamente.
Domanda di rito: cosa consiglieresti a chi vuole diventare un fumettista?
Consiglierei di esercitarsi sempre, di guardare cosa c’è in giro nelle edicole, e di non farsi influenzare da un solo autore. Questo mestiere fortunatamente è trasparente, se si è bravi si va avanti naturalmente, e lo sbocco prima o poi lo si trova, l’ importante è non mollare.
giovedì 9 luglio 2009
MAN AT WORK!!!
Il libro del giorno: Le vie dorate: con Giuseppe Pontiggia a cura di Daniela Marcheschi (MUP)
A sei anni dalla morte di Giuseppe Pontiggia, una significativa raccolta di saggi critici e di ricordi, testimonianze e documenti inediti, getta nuova luce sulla sua opera e sulla sua figura. Daniela Marcheschi, raffinata studiosa, inserisce all’interno del libro testi capaci di tratteggiare al meglio l’attività complessa e multiforme di questo autore lontano dai conformismi e dalle mode, ma in grado come pochi di radicarsi nell’esperienza del vivere con una forte tensione etica. Una preziosa polifonia di voci di noti esponenti del mondo intellettuale contemporaneo, da Ernesto Ferrero a Luísa Marinho Antunes, da Roberto Barbolini a François Bouchard, da Amedeo Anelli a Laura Lepri e Piero Dorfles, per ripercorrere le letture, i rapporti privati, le riflessioni sulla scrittura e il lavoro editoriale di Giuseppe Pontiggia, in un viaggio appassionante attraverso le “vie dorate” delle sue parole: queste hanno insegnato ad amare la vita e gli uomini, come solo la grande letteratura sa fare.Daniela Marcheschi è una italianista dagli ampi orizzonti interdisciplinari e con i suoi saggi, tradotti in varie lingue, ha contribuito al rinnovamento delle prospettive critiche contemporanee, anche curando i due meridiani Mondadori delle Opere di Carlo Collodi (1995) e di Giuseppe Pontiggia (2004). Ha insegnato in diverse università italiane e straniere, fra cui Uppsala e Salamanca. Attualmente docente a Perugia di Antropologia delle Arti, ha tenuto a Firenze corsi di Lingue e Letterature Nordiche. Nell’ambito di questa disciplina ha pubblicato traduzioni (Karin Boye, August Strindberg, Edith Södergran, Birgitta Trotzig e di altri autori svedesi) e saggi riuniti nel volume Una luce dal nord. Scritti scandinavi (1979-2000), Le Lettere, 2001. Per il lavoro di traduzione e critica in campo scandinavistico, nel 2006 ha ricevuto il Tolkningspris dell’Accademia di Svezia. Fra i suoi saggi sono anche Prismi e poliedri. Scritti di Critica e Antropologia delle Arti, vol. I, Orizzonti e problemi, Sillabe, 2001; Sandro Penna. Corpo, Tempo e Narratività, Avagliano, 2007; Chiara Matraini. Poetessa lucchese e la letteratura delle donne nei nuovi fermenti religiosi del ’500, Maria Pacini Fazzi Editore, 2008. Per Mup Editore ha curato, nel 2007, il volume Alloro di Svezia. Le motivazioni del Premio Nobel per la Letteratura
"Per Pontiggia, ogni anno i Nobel della letteratura erano due: quello dato al vincitore e quello non dato a Borges. Aggiornamento: sostituire Borges con Roth"
di Antonio D'Orrico tratto da Corriere della Sera Magazine, n.27, p. 102
casa editrice Mup: http://www.mupeditore.it/
Le vie dorate: con Giuseppe Pontiggia a cura di Daniela Marcheschi(MUP editore)
Dovunque tu vada, ci sei già di Jon Kabat Zinn (Tea edizioni)
Siamo tutti consci che la nostra umanità versi in una condizione di precarietà immensa, da una parte abbiamo orrore del caos, dall’altra cerchiamo spasmodicamente delle sicurezze aggrappandoci di continuo al noto, al conosciuto, alle nostre esperienze. Queste tipologie di atteggiamenti ci chiudono al nuovo, facendoci costruire delle vere e proprie gabbbie che ci sottraggono libertà e ci fanno perdere il significato dell’espressione “essere vivi”. Talvolta questo stato di sofferenza diventa talmente intollerabile da costringerci a seguire ideologie, religioni, falsi guru, oppure a stordirci attraverso forme compulsive di shopping, potere, e vacuità del genere nella pura utopia che il senso della vita possa essere una merce come tante in questo mondo. La verità è che ciò che ci ha imprigionato non è al di fuori di noi, ma è nella nostra mente, ormai “fuori forma” dopo un’intera esistenza di condizionamenti, a essere libera, aperta e ricettiva. L’uomo può essere liberato a livello del suo Sé, soltanto facendo tacere la sua mente con tutti i suoi contenuti, per poter recuperare la capacità di comprendere naturalmente se stesso e il suo ruolo nel mondo, senza che ci sia né un soggetto controllante, esterno a lui e che lo domina, né qualcosa che debba essere controllato. La mente dunque deve giungere ad un livello di quiete, silenzio, rilassamento, lontana da ideali e dipendenze. E allora, nel momento in cui siamo sommersi dagli impegni, quando abbiamo la netta percezione che qualcun altro o qualcosa domini la nostra vita, quando non riusciamo più a godere delle cose belle, è giunto il momento di riconquistare la voglia di vivere, crescere, sentire, amare, gioire: ovvero di ritrovare e ritrovarci nel “qui e ora”. Questo libro “Dovunque tu vada, ci sei già” di Jon Kabat Zinn (Tea edizioni) illustra un percorso semplice, adatto a chi si avvicina alla meditazione per la prima volta nonché per i praticanti di lunga data, per il “risveglio”, ovvero per raggiungere consapevolezza e lucidità nel momento che ciascuno vive quotidianamente. Un sentiero di saggezza, una discesa interiore nella causa e nell’effetto della correlazione tra le cose, una guida indispensabile per non farci irretire dai fantasmi dell’immaginazione. L’insegnamento di Jon Kabat Zinn consiste fondamentalmente in questo: per trovare la nostra dimensione autentica occorre essere attenti, presenti su qualsiasi nostro gesto, fare silenzio sui nostri pensieri, praticare la coscienza dell’amore profondo, e la forza della compassione. Scrive l’autore: “Quando parliamo di meditazione è importante sapere che non si tratta di un'attività curiosa o esoterica, come spesso sostiene la nostra cultura popolare... Meditazione significa semplicemente essere presenti a se stessi, approfondire la propria autocoscienza. Significa anche arrivare a rendersi conto che, ci piaccia o meno, stiamo percorrendo un cammino, il cammino della vita; la meditazione può aiutarci a capire che in quanto tale esso ha una direzione ed è in costante evoluzione, momento per momento; ciò che accade ora, in questo istante, influenza gli avvenimenti successivi”. Insomma se volete modificare il dolore con la gioia e il sorriso, sublimare la depressione in leggerezza, ritrovare la libertà arrivando a comprensioni nuove e profonde sulla vita, il libro di Jon Kabat-Zinn vi permetterà di cambiare radicalmente la vostra lucidità sui fatti che vi circondano, e lo farà passo dopo passo con esempi chiari e illuminanti. Jon Kabat-Zinn, professore di medicina, è fondatore e direttore della clinica per la riduzione dello stress dell'Università del Massachusetts.
Each man kills the thing he loves di Silla Hicks (Intervento sulla trilogia di Millenium di Stieg Larsson editi da Marsilio)
Each man kills the thing he loves. È la canzone di Querelle de Brest, che certo non consiglio alle anime candide, che sinceramente è un pugno nello stomaco per tutti, anzi, ma è pur sempre il gigantesco Rainer Werner Fassbinder. Però poteva anche essere la sigla di questo film, e di questo libro, se i libri avessero una sigla, e secondo me dovrebbero averla. Lo dico subito: non è un capolavoro, la triologia del signor Larssen morto prima di arricchirsene. E nemmeno il film resterà nella mia cineteca interiore – quella, per intenderci, dove si proiettano, uno dopo l’altro, l’opera omnia di Ferrara e Lars Von Trier – incluso Antichrist, e non sono ammesse obiezioni - insieme a Cronenberg, e a sprazzi di Oliver Stone, con sopra a tutti quel Blade Runner che più di ogni altra cosa mi ha insegnato il senso dell’esistere.
Ma nel multisala affollato del sabato ci ho accompagnato mia sorella, a vedere l’istant-movie tratto da questo polpettone Ikea, e l’ho vista piangere tutto il tempo senza nemmeno guardare lo schermo, così ci sono stato tirato dentro, mio malgrado. È per questo che ne parlo: altrimenti non ci avrei speso 3 giorni, a leggermi qualcosa come cinquemila pagine di rarefatto trhiller scandinavo, che dio se Wallander non è centomila volte meglio, volendo restare in zona. Ecco perché ne parlo, anzi: ecco perché TI parlo, Kalle Blomqvist: perciò, siediti, e stammi a sentire.
No, non è che improvvisamente mi sia ricordato di essere il fratello maggiore: lo sono sempre stato, anche mentre avevo una vita a cui pensare. Ma vedi, adesso è diverso, adesso dividiamo tutto il tempo in cui non guido, io e questa ragazza che non pesa neanche un terzo di me, e parla solo attraverso numeri, quando proprio le va di parlare.
Lei, che si nasconde dietro al suo PC e beve birra dal mio bicchiere, e non ha amici e ha paura della gente, e tutti dicono che è strana, e la chiamano pittbull e le girano al largo, lei, che ha il cuore frantumato da troppo tempo per cercare di rimetterne i cocci assieme, lei, che sarebbe bellissima e invece è speciale, lei, che è mia sorella, stava lì, ferma dov’era, e cazzo, potevi lasciarcela, invece te la sei andata a cercare. Te la sei andata a cercare, e l’hai vista come nessuno aveva mai avuto il coraggio di guardarla in tutta la vita, e a te è bastata un’occhiata sola: e tutto questo, per scappare come un coniglio e tornare alla tua squallida vita del cazzo o qualsiasi altra cosa essa sia, e lasciarla che butta nel cassonetto la foto di Elvis (è così che finisce, il tuo primo cazzo di volume).
Salvo insistere, per ritrovarla e parlarle – di cosa? Di Gadda? Dell’ipotesi di Reimann? Scegli, può tranquillamente discettare di entrambe, e farlo mentre si smalta le unghie dei piedi – come se fosse una macchina senza carne né sangue, e infatti lo era, prima di te, rassegnata a che nessuno le leggesse dentro in mezz’ora così tanto da non aspettarlo nemmeno più. Ma poi sei comparso, e l’hai fatto gratis, e ieri sera ha pianto due ore, dentro a un cinema, mentre io ero là, e avrei voluto romperti la faccia, lo schianto della cartilagine del tuo naso sotto il mio sinistro, tra le poltrone e in mezzo alla gente, un fiotto vischioso e scuro che si allarga sulla tua bella camicia di lino bianco, mi avresti guardato incredulo, anzi no, non credo. Perché se sei stato capace di vederla, allora sai. Tutto. Incluso quello che sto per dirti. Incluso me.
Allora: siediti Kalle Blomqvist, siediti, e stammi a sentire, e sì, ti chiamerò con questo nome ridicolo da Pippi Calzelunghe che nella triologia usano per schernirti sulla stampa e che s’adatta benissimo all’uomo che sei stato, con lei almeno, così che nomen omen mi verrebbe da dire, tanto più perché è ridicolo anche il tuo nome vero (ammesso che in te ci sia qualcosa che non sia di cartone).
Cominciamo dal titolo e dal primo libro, uomini che odiano le donne, e tutta la storia di una famiglia di sadici che nemmeno le colline hanno gli occhi, e tu e lei in mezzo (sorvolo sul fatto che è lei a salvarti la vita): mi spiace dirti che te ne sei perso il senso, perché non odia le donne solo chi le ammazza, anzi spesso quello è uno psicopatico e punto, e forse non odia nessuno, perché l’odio è un prodotto della neocorteccia e lui è solo arcaico sistema libico, è solo un animale.
Piuttosto, le odia chiunque faccia come te, e non tenga a distanza degli origami quando sa di avere forbici al posto delle dita (e tu sai che gli origami esistono, Kalle Blomqvist, lo sai, se no non avresti intitolato il tuo terzo la regina dei castelli di carta, e alla tua età dovresti sapere anche di essere Edward mani di forbice, se non altro perché ti sarai tagliato da solo e più volte, e nel buio della notte avrai visto le lame, sul tuo cuscino).
L’origami del libro è un’hacker e si chiama Lisbeth Salander, ed è vero che – quindici centimetri in meno a parte – è la fotocopia di mia sorella, o almeno di quello che lei è realmente e gli altri – quasi tutti, tranne te – non vedono.
E non per il fatto che anche mia sorella porta anfibi e guida la moto, no, quelli sono dettagli, abbastanza pittoreschi solo qui, che siamo all’estrema propaggine d’Italia dove anche un bacio fa rumore.
Se ti dico che c’avevi preso, accostandola a lei – mi permetto di suggerirle la lettura di questo libro, un personaggio del quale ha con lei una qualche affinità, hai scritto, e a dirla tutta hai una bella scrittura, fluida e pastosa e inclinata, e una firma che è un susseguirsi di compiaciute s minuscole, mont blanc, è da credere – è per qualcosa di molto meno visibile, e di molto più vero. La sua matematica, che è quanto le resta del disadattato piccolo prodigio che era alle elementari. La sensibilità esasperata che solo chi vive fuori dalla superficialità sociale può avere. La fame di amore che la chiude a riccio e le fa mettere l’anima nelle mani di chi incontra, anche se dovrebbe sapere che è solo sua, e che non ne ha altre e deve proteggerla.
Non so niente della tua vita, Kalle Blomqvist, anche se io la tua Erika l’ho vista e da uomo a uomo non ti capisco, tutto l’universo che adombri nel tuo sguardo di laguna e poi questa cinquantenne qui, uno e sessanta con le meches: potrei dirti che sei scemo, che non è il timbro di Hanoi sul passaporto ad ammantare di Indocina – habitat di vertigine: condivido appieno - una che sì e no può sembrare una matura segretaria, ma non è questo il punto.
Potresti dirmi che non è questo che tu hai visto e vedi, e dio lo sa se ci sono due occhi che vedono la stessa cosa. Ma non è questo il punto.
Il punto è che lei era lì, e che tu te la sei andata a cercare, senz’altro fine se non vedere se avevi ragione, e dio quanto deve averti lusingato, anche, cazzo, ha vent’anni meno di te, e l’intelligenza folgorante che hai sempre voluto, il faro che abbaglia e che nessuno può essere se non per dono. Puoi parlare greco e latino quanto vuoi, Kalle Blomqvist, ma quella è istruzione, non è genio.
Ti può servire per fare colpo sulle sciacquette del rotary, e accomodati, per quello che vale.
Ma non dirmi che gli hacker sono hacker, e quelle che si portano a cena al Bastione sono qualcos’altro, perché allora sì che ti prendo a calci.
Perché vedi, Kalle, o comunque tu ti faccia chiamare, sono tutte prima di tutto donne. E poi il resto, se – fortunatamente - un resto c’è: è una donna Lisbeth, con i suoi tatuaggi e i suoi piercing e le unghie rose a sangue, quanto una delle tue fighette con i capelli stirati tutti uguali e la french manicure di plastica e le Hogan bianche, perché le donne sono tante, non solo una.
E riconoscerlo e amarle è un po’ la stessa cosa.
Non so niente di te, Kalle Blomqvist.
Ma sei tu, uno che odia le donne, di questo sono convinto.
E non dirmi che avresti sposato Lisbeth, se ci fossero stati altri libri, perché alla fine del terzo tornavi, e le portavi la colazione.
Che facevi scena solo per allungare il brodo, perché altrimenti sarebbe stato scontato. Non dirmi che l’amore è scontato, né altre stronzate.
Each man kills the thing he loves.
È verissimo.
Ma per favore, Kalle o comunque ti chiami, per favore. Non parlarmi, proprio tu, d’amore.
Recensione di Silla Hicks sulla trilogia di Millenium di Stieg Larsson editi da Marsilio
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