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martedì 2 giugno 2009

Il libro del giorno: Appena ho 18 anni mi rifaccio (Bompiani) di Cristina Tagliabue Silveri

Hanno tra i 16 e i 18 anni, sono benestanti e, per lo più, bei ragazzi e belle ragazze. Per il loro compleanno, per la maggiore età, per l'esame di maturità chiedono un solo dono, l'esaudimento di un desiderio che si portano dietro da anni, oppure da giorni. Chiedono un piccolo o grande ritocco estetico: i piedi per sembrare come la Barale, che li ha perfetti; le labbra, tipo Scarlett Johanson; la maggior parte il seno, come quello di Jessica Alba o dell'amica con cui fanno palestra o con cui vanno in discoteca. Hanno smesso di credere al corpo come a un dato di natura. Sono smaliziati, irruenti, incoscienti: "la cosa più importante è piacere e non rimanere indietro." Così iniziano a modificarlo, il corpo, appena ne hanno coscienza. Soffrono le pene dell'inferno, alzano la soglia di sopportazione del dolore fisico, rinunciano al motorino pur di avere un corpo il più simile possibile a quello dei loro sogni. E se pure colui o colei che amano e da cui sono amate tentano di convincerle-li che stanno bene esattamente come madre natura le ha fatte-li ha fatti, loro non ci credono, devono apparire come l'immagine che hanno in testa

"(...) spesso i media affrontano l'argomento, non senza sforare sul macabro quando il bisturi meite tragicamente qualche vittima della sua - presunta - vanità. Ma la Tagliabue, ed è questa la caratteristica del suolibro d'esordio, va oltre i flash di notizia per arrivare in fondo, conducendo una vera e propria indagine su minorenni e neomaggiorenni che non si sentono a proprio agio con il proprio corpo"

di Antonello Guerrera tratto da Il Riformista del 2/06/2009 p. 21

casa editrice Bompiani: http://bompiani.rcslibri.corriere.it/bompiani/

Appena ho 18 anni mi rifaccio. Storie di figli, genitori e plastiche di Cristina Tagliabue Silveri, 2009, 236 p., brossura
Editore Bompiani (collana Grandi asSaggi)

lunedì 1 giugno 2009

Rimedi Casalinghi di Angela Pneuman (Minimum Fax) alla libreria Giufà di Roma

«Questi meravigliosi racconti sono pieni di intelligenza e di eleganza. Angela Pneuman è senz'altro una delle giovani scrittrici di maggior talento che ci siano in circolazione».

Lorrie Moore

«Un'autrice solida, attenta e dotata di grande umorismo, che vale la pena di leggere e di tenere d'occhio in futuro».

The Believer

Otto racconti che hanno come protagoniste figure femminili colte nell'età delicata e crudele che sta fra l'infanzia e l'adolescenza, e i loro rapporti con le madri e i padri, le amiche, il corpo, il sesso e la fede religiosa. La Pneuman non ha paura di creare situazioni estreme e tragicomiche (tartarughe usate come armi, cucine come sale operatorie, ortaggi come strumenti di iniziazione) e di armare le sue giovani eroine di mazze da golf o psicosi da immacolata concezione; ma la sua bravura sta soprattutto nel disegnare dietro le vicende surreali i sottili rapporti psicologici fra i personaggi: il mescolarsi di amore e odio, il collidere di aspirazioni, fallimenti e bisogni in cui ogni lettore non può fare a meno di immedesimarsi. Un immaginario potente e una finezza psicologica degna di maestre del racconto come Alice Munro e Flannery O'Connor per uno degli esordi più indimenticabili dell'anno.

mercoledì 3 giugno 2009
Start h. 19.00

Libreria Giufà, via degli Aurunci, 38, Roma, Italy

Con l'autrice intervengono Tiziana Lo Porto, Rosella Postorino e Martina Testa

Angela Pneuman, Rimedi casalinghi, (Home Remedies) - Minimum fax
227 pagine - aprile 2009
ISBN 978-88-7521-209-4
traduzione di: Martina Testa

Gemini di Fabio Rossi (Lupo editore)

E’il mio genere, d’accordo. Amo autori come Isaac Asimov, Ken Follett o Richard Matheson, adoro film come “Ventotto settimane dopo” per la magistrale regia di Juan Carlos Fresnadillo. In teoria non dovrei sbilanciarmi più di tanto quando recensisco titoli che si nutrono di atmosfere e sfumature appartenenti a latitudini della scrittura a me così care, dal momento che rischierei di avere uno sguardo troppo corto e forse un tantino miope nel parlare di narrazioni a me più congeniali. Eppure in questo caso sento di sbilanciarmi, di poterlo fare tranquillamente. E’ il caso del primo lavoro di Fabio Rossi dal titolo molto accattivante, ovvero “Gemini” (Lupo editore), e dalla copertina (illustrazione a cura di Giovanni Nori, grafica di Paolo Guido) in bianco, rosso e nero, secondo gli ultimi trend cromatici del design e dell’arte contemporanea da due anni a questa parte. Fabio Rossi è riuscito ad affascinarmi con la sua scrittura, fresca, incalzante nel ritmo, mai ridondante. Un sentire la parola e il suo potere immenso di resa immaginifica, non è solo questione di mestiere: quando si crea un contesto narrativo, si struttura una trama, la complessità dell’operazione in sé, che non deriva solo da una padronanza del mezzo tecnico, è anche il risultato di una capacità quasi immaginifico-predittiva di altre dimensioni e altri universi. Non è mistica della scrittura: è Visione! E “Gemini” è un romanzo che si muove a ridosso di due universi paralleli (partendo da una base teorica dei viaggi nel tempo a metà strada tra le fondamenta della fisica quantistica e i multiversi di Stephen Hawking secondo il quale l'universo non ha confini nello spazio-tempo, e dunque secondo il suo modello del non-contorno, esisterebbero punti di contatto tra diverse dimensioni dove altri noi e altre realtà accadono simultaneamente ma con possibili e infiniti sviluppi fenomenologici) dove nel primo in una natura selvaggia e ostile, un giovane uomo, un giovane cacciatore, si misura a mani nude con il suo destino, che lo ha portato sulle tracce di chi ha massacrato senza troppi scrupoli e con una ferocia inaudita il suo clan, nel suo villaggio natìo; nel secondo veniamo catapultati nel sottosuolo di Europa (l’unica megalopoli ad aver conservato le tracce di una vecchia civiltà e sinceramente mi ricorda un po’ Resident Evil ) dove si trova Babilonia, un laboratorio scientifico in cui ci si dedica a ‘Gemini’, il progetto nato da una scoperta sconvolgente ed elaborato da Ulisse, sociologo dell’evoluzione, con ’obiettivo di bloccare la deriva antropologica nella quale l’uomo si è andato a ficcare con le sue mani , giungendo sull’orlo dell’auto-distruzione. Un cammino, forse, senza ritorno, dove le viscere della terra possono nascondere qualcosa di mostruoso. Un libro da leggere e gustare, non solo per il fatto che ti tiene incollato alle pagine, ma anche perché l’autore è stato in grado di creare una fitta interconnessione di spunti di riflessione provenienti dalla sociologia e dall’antropologia culturale ed evolutiva … anche se parliamo di quelle del futuro ovviamente!

Il libro del giorno: Il Prete grasso di Piero Manni (collana I Chicchi di Manni)

Manni racconta il Cristianesimo contadino, contaminato delle tradizionali religioni naturalistiche animistiche, di miti pagani, di riti magico-astrali-divinatori; i poveracci che vanno a messa prima, onorano i santi e invitano anche se li odiano i preti al pranzo di matrimonio, che votano lo scudo crociato per ottenere la pensione d'invalidità in attesa di Baffone; e racconta l'infanzia di un fanciullo, e poi di un altro, e di un altro ancora, a comunicare con le api o a consentirsi giochi impertinenti; insomma, l'infanzia di una civiltà già antica millenni, che bestemmia i suoi santi e cucina per loro le tagliatelle coi ceci.

"Un libricino che si legge d'un fiato, e già dalle prime pagine regala il piacere di un linguaggio diretto ma dai termini ricercati. Un Salento che non c'è più si dipana tra le pagine di Il Prete grasso di Piero Manni per la collana Chicchi di Manni. Una trentina di pagine e si torna indietro in un tempo in cui i bambini avevano un rapporto così privilegiato con la natura da potersi permettere di accarezzare le api"

di C.D. tratto da QuiSalento - giugno 2009, p. 36

casa editrice manni: http://www.mannieditori.it/index_x.asp

Il prete grasso di Piero Manni
2009, 32 p., brossura, Editore Manni (collana Chicchi)

domenica 31 maggio 2009

Il libro del giorno: Islabonita di Nico Orengo (Einaudi)

La Riviera luccicante degli anni Venti, tra i balli e il casinò, le spiagge e i campi da golf, è lo scenario di questa storia in cui cospirazioni di corte, trame massoniche e manovre dei Servizi segreti sospingono i destini dei personaggi in un gioco che può rivelarsi mortale. È a Sanremo infatti che soggiorna Maometto VI, sultano in esilio. E poco distante, a Bordighera, ha la sua dimora la regina madre Margherita di Savoia. Ma quando il medico del sultano muore in circostanze misteriose, Fatima viene fatta fuggire dalla corte perché ha visto qualcosa che non doveva vedere. Sotto una copertura insospettabile si nasconde a Isolabona, paesino dell'entroterra ligure che "crede nella Madonna e nel silenzio". Qui trascorre le sue giornate aspettando Michel e l'ineluttabile compiersi del destino, mentre dal grammofono di Ricò, all'ingresso del paese, escono le note malinconiche di una canzone sudamericana che inspiegabilmente si interrompe sempre prima della fine. Ma il nascondiglio di Fatima si fa sempre meno sicuro: sono in troppi a voler conoscere il suo segreto. A partire da Gino Cariolato, lo chauffeur-coiffeur della regina, che invidioso delle sue doti di pettinatrice rischia di mettere a repentaglio la vita del sultano.

"Lo scrittore e giornalista Nico Orengo è morto ieri all'ospedale Molinette di Torino, dove era ricoverato per una crisi cardiaca. Nato a Torino nel 1944, aveva lavorato all'Einaudi dal 1964 al 1977, entrandoquindi alla Stampa. Dal 1989 al 2007 ha diretto l'inserto settimanale Tuttolibri"

tratto da La Stampa del 31/05/09, p. 42

casa editrice Einaudi: http://www.einaudi.it/

Islabonita di Nico Orengo
2009, 159 p., rilegato - Editore Einaudi

Considerazioni psicoanalitiche sull'opera di Michelangelo. Di Maria Beatrice Protino

È di Stefano Calamandrei, specialista in Psichiatria, l’articolo dedicato all’opera di Michelangelo e pubblicato su Florilegio 2003, ed. Nicomp L.E., a seguito degli incontri di Arte e Psicologia che da qualche anno la Biblioteca degli Uffizi ospita. L’associazione, creata ad uopo, di storici d’arte, psichiatri e psicologi conduce delle «incursioni borderline in ambienti scientifici autonomi e diversi» per favorire quella interdisciplinarietà culturale atta ad interpretare forse o a scoprire addirittura i percorsi psicologici dei singoli artisti, per svelarne le interne contraddizioni o i lampi di quella genialità che li ha condotti alla soglia dell’immortalità. Michelangelo ha affrontato un tema molto moderno, percepito oggi in tutta la sua drammaticità e divenuto senz’altro il contenuto centrale dell’arte contemporanea: la rappresentazione del bambino insufficientemente stimolato, con un Sé indebolito, vulnerabile. «La creatività artistica ha un carattere spesso coatto e involontario – scrive C. – tanto che in molti artisti la sua assenza produce una depressione che affonda negli strati più profondi della loro personalità. Frammenti infantili, lasciati indietro durante una crescita non ottimale, possono rimanere esclusi dalla struttura attiva e produttiva della mente, più superficiale e cosciente, e legati a qualcosa di più profondo e non integrato».
M. ha elaborato il tema dominante della maternità e della morte per tutta la sua vita artistica. Ma la sua creatività ha avuto una nota di ripetitività, anche se sofisticata ed elaborata, data dall’abbraccio tra madre e figlio raffigurandolo come una holding insoddisfacente: questo è accaduto sia che eseguisse una maternità – si veda ad esempio la Madonna della Scala, la Madonna di Bruges - sia che scolpisse la Pietà, cioè una madre che culla il figlio morto.
Come spiega C., ognuno di noi, per tutta la vita, cerca di integrare la propria personalità di ciò che possono essere considerate le mancanze interiori… Nel farlo ha anche bisogno degli altri esseri umani; ha bisogno di provare emozioni; ha necessità di scambi affettivi. Eppure è vero che si impara a stare con gli altri solo dopo aver imparato a stare con se stessi. Quest’ultima è un’acquisizione complessa - che si compie nel periodo dai sei mesi ai due anni - che la nostra mente deve apprendere attraverso un contatto stretto e la presenza di un’altra persona, una persona che svolga il compito di una sorta di mediatore di fronte alla disperazione che arriverebbe inevitabile dalla solitudine e dal nulla. L’altra persona è appunto la madre, per cui l’immaturità dell’Io del bambino viene equilibrata dall’Io della madre, proprio perché lo stare soli ma con un’alta persona permette al bambino di introiettare – dice C. - quella capacità di sostegno, come se il bambino si creasse una madre interiore, una funzione interna. Per tutto il resto della vita non faremmo altro che continuare ad addomesticare quel senso di solitudine grazie a quella capacità di auto-sostegno ormai strutturata interiormente.
Naturalmente, se questo passaggio non avviene, non si riesce ad entrare in relazione con gli altri in maniera soddisfacente e nemmeno a stare bene da soli, ma nasce un senso di risentimento e dipendenza comunque mai soddisfacente, per cui le angosce di separazione non elaborate diventano una ricerca estenuante della soddisfazione mancata dell’infanzia. Il sostenere della madre, cd. Maternage, si orientano essenzialmente a creare un ambiente adatto a venire incontro alle esigenze del bambino, che si raffigura soprattutto col tenere in braccio. Ed è appunto l’essere tenuti in braccio, o meglio, il non esserlo, il tema caro a M. La raffigurazione del rapporto madre-neonato vede spesso il bambino sofferente tenuto in braccio da una donna distratta ed assente. Certo, questo distacco può essere interpretato in maniera diverse. Se analizziamo l’opera in chiave religiosa, potremmo ritenere che la Madonna è pensierosa perché consapevole del destino del figlio. Ma se facciamo riferimento a tutta la produzione di M. e, soprattutto, se guardiamo alla sua infanzia, trascorsa presso una famiglia di scalpellini dove fu messo a balia, per tornare poi nel nucleo familiare originale solo verso i due anni, probabilmente riusciremo a trovare anche altre motivazioni, magari più complesse. Nella Madonna della Scala, eseguita probabilmente dall’artista all’età di quindici-diciassette anni, Michelangelo raffigura una donna con un bambino in braccio: lei appare molto distaccata, sembra pensare a qualcos’altro mentre il bimbo si volta verso di lei ed esprime fatica ad autosostenersi e angoscia a cercarla. La madre scopre un po’ il seno per allattare il figlioletto e sembra accudirlo con gesti istintivi ma forzati e con un dito gioca con la veste, dando l’impressione di essere assorbita in una fantasticheria che la conduce altrove. Queste caratteristiche torneranno sempre in tutte le Madonne che l’artista rappresenterà. Nella Pietà, scolpita nello stesso periodo della Madonna di Bruges, ha un’iconografia nordica e aveva preso ispirazione da un testo di Simeone Metafraste del X sec. che narrava di come la Vergine avesse tenuto il figlio morto sulle sue ginocchia ricordandosi di come lo aveva cullato da piccolo. La Madonna è una donna giovanissima, tanto da apparire quasi coetanea al Cristo morto, critica alla quale M. rispondeva considerando che le donne caste mantengono sempre un aspetto giovanile. Michelangelo, inizialmente, scolpì la Pietà per adornare la sua tomba e pose dietro la coppia madre-figlio - le cui teste si fondevano là dove si toccavano - un San Nicodemo, una figura paterna che sostiene le altre due, figura probabilmente da interpretarsi come una raffigurazione di se stesso che sostiene la coppia. Un’altra considerazione di C. è condotta sul lavoro non-finito che M. ha lasciato fin dalle sue prime opere: «Il non finito esprime quell’abbraccio, quell’integrazione cercata, il dualismo madre-figlio, anche se viene messo in evidenza soprattutto il rapporto con qualcosa che spaventa, con la tentazione». Se si pensa alla Tauromachia, può riscontrarsi quasi un Io che si emancipa, emerge dal caos e si volge alla strutturazione. Ma è un divenire che parte dal non-finito, appunto, costituito da un insieme di frammenti confusi, in lotta tra loro, con centauri uomini e centauri donne e figure non distinguibili, opera sulla quale Michelangelo ritornò spesso come a parafrasare la sua crescita personale, l’ affinarsi della sua personalità.
Michelangelo continuerà a raffigurare o a scolpire la difficoltà dell’Io ad emergere, senza una madre davvero presente, attanagliato da un senso di abbandono e solitudine sofferente, che forse, come già aveva evidenziato Freud, sarebbe stato poi il vero tema caro a M., cioè la rappresentazione del controllo dell’ira e della frustrazione provati nel sentirsi rifiutato dalla madre.

sabato 30 maggio 2009

Scritto sul corpo di Jeanette Winterson (Oscar Mondadori). Rec. di Vito Antonio Conte

“Perché è la perdita la misura dell'amore?”: questa domanda, ma potrebbe pur'essere una constatazione (e tante altre cose), è anche l'incipit di una storia densissima, una storia che non è una storia, una storia ch'è tante storie, una storia che leggo non per scelta e nemmeno casualmente, ma per dono di chi l'ha letta (quasi) per caso (frutto d'un altro dono) e ha visto l'immagine di sé riflessa dentro... Una storia che non mi prende, non so perché (o, forse, sì). Ma mi fa pensare. Non so perché si scrive una storia così (o, forse, sì). So perché la leggo: voglio vedere anch'io quell'immagine. Da una prospettiva differente. È una storia dell'amore, non d'amore, ma dell'amore, una storia dell'amore universale, non “la” storia dell'amore universale, ma “una” storia dell'amore universale, dell'amore che non si può dire, di quello difficile da raccontare, che cerchi di renderlo in una storia ma quella (volente o nolente) svicola via, non ne vuole sapere di aderire a quel che è, per quanto attingi dappertutto e i richiami si moltiplicano all'infinito, ma quel tutto non s'incastra, non dice niente, anzi diverge, s'allontana da quel che è e che vorresti fotografare, ma sulla carta -piuttosto che una finitezza- rimangono soltanto tratti sfumati, ché non ci sono parole e qualunque espediente è inadeguato per disegnarla e darle il pur minimo contorno. Non si può definire l'infinito. Lo si può intuire. Forse. Lo si può ascoltare. Lo si può sentire. E condividere. A volte. Ché non puoi dire di tutte le altre storie per far capire la diversità di questa storia, ché non puoi narrare del mondo, dei cieli, delle terre, dei mari, dell'oltre, degli uomini, delle donne, di tutti gli uomini che hai conosciuto, di tutte le donne che hai conosciuto, per spiegare quanto è raro quest'amore! E non basta invocare la bellezza delle stagioni per dipingere la bellezza di quest'amore e non c'è da guardarsi intorno e dentro e altrove per far comprendere quel che sai e quanto ti sfugge per colorare l'improvviso ch'è fragore assordante e quiete indicibile di quest'amore che arriva senza annuncio che ti coglie come scossa d'alta tensione quando compare lei. Lei che già sapeva lei che ti amava già senza saperlo lei che non osava confessarlo neanche a se stessa e che ha avuto l'ardire di dirlo a te lei che non voleva ma che non poteva far tacere quell'amore lei che adesso lo vuole con ogni parte di sé lei che intanto ti era scoppiata dentro spezzato il cuore impazzito ogni atomo frantumata l'essenza e non servono più virgole inutili i punti non c'è bisogno di parentesi nessun segno grafico accapo per niente nessuna interpunzione alcunché che possa in un modo qualunque staccare parole dalle parole respiro dal respiro voce dalla voce pelle dalla pelle anima dall'anima fiato dal fiato labbra dalle labbra natura dalla natura occhi dagli occhi capelli dai capelli carne dalla carne sorriso dal sorriso non si può frenare la piena di un fiume non puoi ripararti dal monsone lui spira tagliente da terra verso l'oceano e dall'oceano verso terra neppure il millenario albero cavo può accoglierti ché questo amore tracima e ti porta con sé non puoi liberarti dalla costanza smisurata dell'aliseo non c'è tregua nel vento dell'amore non c'è ortodossia nella forza degli elementi che possa mutarne il corso non c'è temporale senza devastazione non esistono argini quando la pioggia diventa torrenziale ma anche quell'acqua può essere calda nel gelo dell'inverno più inverno se lasci straripare quell'amore sì che rompa ogni terrena costruzione e non puoi fuggirlo non puoi limitarlo non puoi costringerlo un amore così quando arriva se arriva non conosce leggi un amore così quando arriva se arriva non ha ragione un amore così quando arriva se arriva ignora qualsiasi forma è contenuto assoluto è galoppo di cavalli selvaggi lunghe criniere in faccia ai confini noti scalpitìo assordante e polvere che s'alza fin quando chi governa quell'impeto maestoso unico tra simili riceve un segno proprio quel segno esattamente quel segno e lo trasmette agli altri inarrestabili per il resto che s'acquietano a guardare oltre quella fatalità un amore così è fulmine che genera luce è fuoco che avvampa e divampa è dolore incandescente è fiamma che cauterizza la ferita è gioia lancinante è andare incontro al sole senza motivo stringersi le mani sfiorarsi di baci mordersi il morso graffiare il gatto godendo l'irto pelo e fusa e fusa e fusa è andare così incontro al sole e penetrare tra le ciglia scovando colori mai visti è perdersi nelle infinitesime goccioline di nebbia di una città sconosciuta nel mentre su quel ponte sopra un altro corso umido hai perduto il senso e sai che potrebbe crollare ad ogni istante anche se il tuo peso è leggero come di nuvola araba ma insostenibile come di piombo notturno a Gaza un amore così è tutte le latitudini che hai toccato ed è soprattutto i poli che mai ti è stato dato di avvicinare e chissà forse un giorno chissà forse una notte di luna e di stelle chissà avresti potuto ma ti è mancato qualcosa e l'hai perduto hai perduto quell'amore hai perduto lui hai perduto lei non importa chi non importa uomo o donna ché era proprio quell'amore l'unico amore precisamente quell'amore ed è quell'assenza non il dolore ma quell'assenza che non sopporti non la sopporti proprio non la sopporti più ché l'hai detto l'hai detto bene l'hai detto senza scampo nonostante i troppi manuali che c'è un abisso tra il dolore e l'assenza ché l'assenza è vuoto e “il dolore finisce... ma il vuoto non viene mai colmato”. E puoi scrivere che “L'amore è la sola cosa più forte del desiderio e l'unica vera ragione per resistere alle tentazioni”, puoi far dire a Louise “Non ti lascerò più andar via” e inventarti che “Quello che si rischia è misura di quel che si vale” e (dopo di me, prima di me o insieme a me, cosa importa?) “Vorrei sentire ancora la tua voce”, ma poi – te lo devo dire Jeanette- tu non sai cos'è la felicità, perché l'altro sei tu! Questo ho pensato fortemente a un certo punto. Senza cercare nulla su di te... Poi però so che hai giocato, un gioco brutale e bellissimo, come quell'amore: maledizione e miracolo. Come l'ultima immagine che regali, Jeanette Winterson, in questo libro, “Scritto sul corpo” (Oscar Mondadori, €? Non lo so, ve l'ho detto, è un regalo!), “La storia comincia qui, in questa stanza spoglia. Le pareti stanno esplodendo... Oltre la porta c'è il fiume, ci sono le strade; lì saremo noi. Quando usciamo, possiamo portare il mondo con noi, e prendere il sole sottobraccio. Ora sbrigati, si sta facendo tardi. Non so se questo è un lieto fine, ma eccoci nella piena libertà dei campi”. E chiunque tu sia, donna o uomo, non importa, non importa perché -come aveva giurato- lei (Louise) è ancora con te. E se, come te, “non credo alla letteratura che diventa vita”, sono convinto che la realtà spesso supera la fantasia e, a volte, l'anticipa... Poi inizio a leggere anche “Il sesso delle ciliegie”, sempre di Jeanette Winterson, e nelle prime pagine, tra l'altro, incontro questo pensiero: “Ogni viaggio ne cela un altro nella sua rotta: il sentiero che non è stato seguito e l'angolo dimenticato”. E mi piace. Mi prende. Subito. Continuo ad andare... con te e con quest'altra immagine di te, con te che sei parte di questa scrittura, con te che sei parte di quest'amore.

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Scritto sul corpo di Winterson Jeanette
2000, 210 p., 8 ed.
Editore Mondadori (collana Piccola biblioteca oscar)

Il libro del giorno: La danza del gabbiano di Andrea Camilleri (Sellerio)

Prima di morire i gabbiani agitano freneticamente le ali in una sorta di danza macabra. Montalbano si lascia incantare dal gabbiano morente dalla finestra della sua casa di Marinella, ma fa presto a dimenticarlo. Sta infatti per andare in vacanza con Livia che è già giunta a Vigàta. Solo un salto al commissariato per lasciare tutto in ordine e poi finalmente partire.
Giunto in ufficio Montalbano chiama i suoi a raccolta. Manca solo Fazio, il più fedele e puntuale dei suoi uomini. Non è tornato a casa, il cellulare è muto; il timore diventa allarme.
Il commissario ripercorre le più recenti tracce di Fazio: è stato visto per l’ultima volta al molo, aveva appuntamento con un vecchio compagno di scuola, un ex ballerino finito nei pasticci. Qualcuno poi l’ha notato in campagna, in una zona disseminata di pozzi artesiani, forse un cimitero di mafia. E in effetti un primo cadavere affiora…
Un giallo tutto d’azione, con un Montalbano turbato per la sorte di uno dei suoi, e in corsa contro il tempo.
E Livia? Anche il lettore, come Montalbano, sembra essersene dimenticato, ma non è certo uscita di scena...

I romanzi gialli con protagonista Salvo Montalbano finora pubblicati da questa casa editrice sono: La forma dell’acqua, Il cane di terracotta, Il ladro di merendine, La voce del violino, La gita a Tindari, L’odore della notte, Il giro di boa, La pazienza del ragno, La luna di carta, La vampa d’agosto, Le ali della sfinge, La pista di sabbia, Il campo del vasaio, L’età del dubbio.

venerdì 29 maggio 2009

TRICASE COMICS 09


TRICASECOMICS
30 e 31 MAGGIO 2009


PALAZZO GALLONE
(start 30 Maggio 2009 ore 15:00)


STANZA ADIACENTE SALA DEL TRONO:

ESPOSIZIONI TAVOLE E BOZZETTI ORIGINALI DEI SEGUENTI AUTORI:

Emilio Urbano (Walt Disney) – Alessio Fortunato (Eura Editoriale) – Giuseppe De Luca (Nemrod della Starcomics – Domenico Rosa (Illustratore de “Il Sole 24 ore”) – Lupiae Comix (Scuola di fumetto) – Il Regno delle Arti.

SABATO 30 MAGGIO 2009

ORE 15.30 SALA DEL TRONO

PROIEZIONE FILM DI ANIMAZIONE
“GOLDRAKE ALL’ATTACCO” (Regia Go Nagai)


ORE 17.00 SCUDERIE PALAZZO GALLONE

WORKSHOP A CURA DI ALESSIO FORTUNATO (Disegnatore della Eura Editoriale) E DI GIUSEPPE DE LUCA (Disegnatore di Nemrod della Starcomics)
“IL FUMETTO REALISTICO DALLA SCENEGGIATURA SCRITTA ALLE TAVOLE DISEGNATE”

ORE 18.00 SCUDERIE PALAZZO GALLONE


WORKSHOP A CURA DI LUPIAE COMIX (Scuola di fumetto)
“LE RIVISTE DEL FUMETTO – CONTENITORE DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI”


ORE 19.30 SALA DEL TRONO
CONFERENZA STAMPA CON GLI AUTORI


ORE 21:00 PIAZZA PISANELLI

CONCERTO DEI RAGGI FOTONICI
(Autori ed Interpreti originali di Sigle tv per RAI, Disney, Sky)

Domenica 31 Maggio 2009


ORE 10.00 SALA DEL TRONO

PROIEZIONE FILM DI ANIMAZIONE
“LA CITTA’ INCANTATA” (Regia Hayao Miyazaki)


ORE 15.00 SALA DEL TRONO

PROIEZIONE FILM ANIMAZIONE
IL GIGANTE DI FERRO (Brad Bird)


ORE 16.30 SCUDERIE PALAZZO GALLONE

WORKSHOP A CURA DI EMILIO URBANO (Walt Disney)
“SCOPRIAMO IL FUMETTO DISNEY CON I MERAVIGLIOSI PERSONAGGI DI TOPOLINO & CO”
A SEGUIRE KETTY FORMAGGIO (McK Edizioni) SPIEGHERA’ IL RUOLO DEL COLORISTA NEL FUMETTO
E NELL’ILLUSTRAZIONE

ORE 18.00 SCUDERIE PALAZZO GALLONE

WORKSHOP A CURA DI DOMENICO ROSA (Illustratore de “Il sole 24 ore”)
DISEGNARE SENZA SCHEMI PARTENDO DALL’IMMAGINE E FINENDO ALLA NARRAZIONE

ORE 21.00 PIAZZA PISANELLI

SPETTACOLO “GENTE DI CARTOONIA
(lo show dei cartoni animati – conducono i Raggi Fotonici)

IN CASO DI PIOGGIA LA MANIFESTAZIONE SI TERRA’ COMPLETAMENTE ALL’INTERNO DI PALAZZO GALLONE

Il libro del giorno: È un problema tuo di Filippo La Porta, Gaffi Editore in Roma

Un viaggio ironico nelle secche dell'omologazione linguistica, analizzando genesi e storia di frasi fatte e modi di dire. Nel mirino i tic della lingua quotidiana. Brevi capitoli in cui si delinea una critica divertita ma radicale delle mitologie e dei conformismi che risuonano in fraseologie standardizzate. "È un problema tuo" "Tuttaposto" "Non c'è problema". Nelle radio, in tv, nei bar, nelle strade, si sentono ripetere ossessivamente queste e altre espressioni. È come un ronzio ininterrotto, corale, una koinè semplificante dietro cui si nasconde forse un vuoto insondabile. Alle divagazioni socio-morali di Filippo La Porta si aggiungono le vignette esilaranti di Dario Frascoli.

casa editrice Gaffi: http://www.accainco.it/

"Il saggista e critico Filippo La Porta si addentra nel repertorio delle frasi fattee dei tic, vizi e vezzi linguistici dell'Italia postmoderna (...)".

di Massimiliano Panarari tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1106 p. 110

È un problema tuo di Filippo La Porta, 2009
106 p., ill., brossura, Gaffi Editore in Roma (collana Sassi)

giovedì 28 maggio 2009

Mario Salina con le sue Visioni Suburbane a Palazzo Sasso (Ravello)

Con una personale dal titolo “VISIONI SUBURBANE”, il prossimo 6 giugno 2009 Mario Salina presenterà il suo ultimo ciclo di opere nella splendida cornice di Palazzo Sasso a Ravello. Verranno esposti una serie di dipinti di vari formati, eseguiti nel corso del 2008 e di questi ultimi mesi. I soggetti sono figure in atteggiamenti semplici e quotidiani, colte in primo piano e in gran parte accomunate da un contesto dove domina l’elemento dell’acqua, da sempre amato dall’artista: Bagnante, Figura in riva al mare, Il pescatore, Il ponte, Pugile, Uomo di periferia, Uomo e cane. Dipinte come di consueto ad acrilico su tela, le opere raggiungono un delicato equilibrio fra i toni freddi (blu, verdi e grigi), in apparenza dominanti, e i toni caldi bruni e rosa, il tutto percorso da luminosi accenti di bianco. Ogni singolo pezzo è l’esito di una lunga elaborazione, che tuttavia conserva traccia dei passaggi precedenti, anche grazie al puntuale utilizzo degli stracci, laddove l’artista intende cancellare, e all’originale intervento di pennelli “modellati” dallo stesso Salina, dove invece vuole generare particolari effetti. Rispetto ai dipinti del 2007, che pure affrontavano tematiche affini utilizzando una tecnica analoga (Sali-scendi, Porto del sud, Lupo di mare e Canicola), in queste ultime tele si assiste al rafforzamento della sintesi delle figure e alla loro progressiva fusione con il paesaggio, quest’ultimo non più soltanto suggerito da singole presenze (un edificio, un animale ....), ma ormai semplicemente evocato da poche macchie di colore.
Segno evidente che Salina è sempre più concentrato sulla pittura e si sta indirizzando verso una sintassi più densa.

Mario Salina è nato nel 1963 a Mozzanica (Bergamo), dove vive e lavora. Si è diplomato all'Accademia di Brera nel 1987 e due anni dopo ha esordito con una personale alla Galleria Cannaviello a Milano. Da allora ha partecipato a numerose collettive e ha tenuto un buon numero di personali, ottenendo diversi premi e riconoscimenti.

M A R I O S A L I N A - "VISIONI SUBURBANE"
Inaugurazione: sabato 6 giugno 2009 · ore 19,00
Palazzo Sasso, Via San Giovanni Del Toro, 28, Ravello (SA) · Italia
testo in catalogo: Sara Fontana
progetto: GiaMaArt studio
dal 6 al 25 giugno 2009
direzione: Gianfranco Matarazzo
catalogo edizioni GiaMaArt studio

Gregorio Botta alla Fondazione Volume!

L'artista crea per Volume! un percorso in cui le opere agiscono sulle pareti e nello spazio per mezzo di riflessi e flebili visioni che sublimano la propria fisicità all'interno di un movimento capace di generare flussi di pensiero, in una sorta di processualità circolare. Un gioco di ombre e moltiplicazioni delle forme,dove la visione ricrea un movimento dialettico che lascia emergere l'essenza interna alle cose, l'armonia che le costituisce. Figure e immagini riflesse, apparenza e materia creano un mondo umbratile, come nella sotterranea caverna platonica. La consistenza della materia, la pesantezza del ferro sono trasposti nella leggerezza del colore come nella trasparenza dell'acqua, equilibrati meccanismi capaci di instaurare un dialogo tra luce e ombra, tra visibile e invisibile. La mostra sarà accompagnata da un catalogo in italiano e inglese con testi di Achille Bonito Oliva, Valerio Magrelli, Giangiorgio Pasqualotto e Gregorio Botta.

Gregorio Botta
giovedì 28 maggio 2009/venerdì 26 giugno 2009
Fondazione Volume!
via San Francesco di Sales 86-88, Roma, Italy

Da principio era la neve di Fabio Mele (Lupo editore)

L’11 settembre 2001 ha rappresentato una vera e propria catastrofe “psico-cosmica” come direbbe Manlio Sgalambro, dove il concetto stesso di sicurezza è venuto meno, se si pensa al fatto che la più ricca e potente nazione del mondo sia stata messa in ginocchio da una rete terroristica molto più efficiente e coordinata sul piano operativo di una CIA o di un FBI. Ma questo è solo un pretesto per dire che tutto il retroterra socio-politico-culturale ( con tutti i suoi pro e contro ovviamente) degli anni ‘80 e degli anni ‘90 si è lentamente sgretolato sino a polverizzarsi del tutto, rimanendo solo un debole ricordo di qualcosa di bello ( o brutto a seconda dei punti di vista), che non tornerà più . E dunque tutta una serie di sensazioni di straniamento, precarietà, instabilità, dis-equilibrio si affacciano nella vita non solo delle giovani generazioni, ma anche in quella dei “bamboccioni” di cui tanto si sente parlare da un anno a questa parte. L’orizzonte del futuro, ora è sempre più difficile da delineare, sempre più fosco, e la speranza ancora di qualcosa di certo e solido su cui costruire la propria vita, non è più possibile, e non lo è nemmeno e soprattutto per i protagonisti del romanzo d’esordio di Fabio Mele dal titolo “Da principio era la neve” per i tipi di Lupo editore di Copertino. Alex, Stefano, Aurora, e Sofia, sono personaggi che lavorano nel backstage delle loro esistenze, nel senso che si sentono sempre in bilico tra il prendere sulle proprie spalle la scelta di decisioni mature e responsabili, o ancora lasciarsi trasportare dalla melanconica gioia del vivere giorno per giorno, e delle sognanti elucubrazioni di società giuste, meritocratiche, senza guerre, e senza corruzione. I personaggi che Mele delinea, accolgono la precarietà anche nelle storie d’amore, dove la paura di sbagliare e farsi marchiare a fuoco il nome di una giovane donna o di un giovane uomo, sulla propria pelle, li fa richiudere nella più rassicurante zona comfort dell’amicizia, dove ci può scappare, perché no, anche un rapporto sessuale, tanto tra amici si fa no? Dimensione letteraria alla Sartre? Io non l’ho mai capita, e penso non la capirò mai. Datemi pure del provinciale, ma non posso farci niente! Ad ogni modo in questo lavoro, Lecce la ritroviamo per intero, vista dagli occhi di chi è nato nel 1982, ma che sa cosa sia un Mazinga Z, o un Gigi la trottola, che ascolta Marlene Kuntz e apprezzi Caparezza. Pop certo, e pop diventa anche il capoluogo salentino, dove il must dei gelati è un cono al gusto Pacific Blue, che sembra più il titolo di un serial televisivo americano. Il lettore potrà così sapere di via Trinchese, del “Tabacchi”, di Piazza Mazzini e di altri posti che riconoscerà o imparerà ad apprezzare per la prima volta. Insomma si parla del modo di vivere di ragazzi e ragazze nati dopo gli anni Ottanta, dall’adolescenza che non si ferma ai soli vent’anni, cosciente a corrente alternata dei problemi che vive e di quelli che affliggono la società.
Sullo sfondo del Salento, si stagliano coinvolgenti ed atipiche storie d’amore e di amicizia, in un’inconsueta miscela di musica, poesia e qualche sprazzo di analisi sociologica dell’oggi che non guasta!

Il libro del giorno: L' ultima campagna. Robert F. Kennedy e gli 82 giorni che ispirarono l'America di Thurston Clarke (Il Saggiatore)

La notte fra il 4 e il 5 giugno del 1968 il senatore dello stato di New York Robert F. Kennedy fu colpito a morte nel corridoio delle cucine dell'Hotel Ambassador a Los Angeles. Aveva appena concluso il discorso di ringraziamento per la vittoria delle primarie in California. Era a pochi passi dall'elezione alla presidenza degli Stati Uniti. La parola chiave della sua campagna era stata Hope, speranza. Per curare le ferite di un'America afflitta da tre anni di guerra in Vietnam, da discriminazioni e scontri razziali, da una povertà estrema tenuta nascosta. Speranza in una nuova guida morale per tutto il pianeta. Attorno a Bob Kennedy si erano strette le minoranze etniche e le categorie sociali più povere: chicanos, nativi americani, coltivatori del delta del Mississippi... Per gli afroamericani era la promessa del riscatto. Che cosa aveva fatto Kennedy negli 82 giorni della sua campagna elettorale? Chi era l'uomo a cui l'America guardava con speranza? Che cosa univa quella catena di persone in lutto che, per più di quattrocento chilometri, accompagnò il treno che trasportava la sua salma? Nel rispondere a queste domande, Thurston Clarke ricostruisce le primarie americane del '68, intervista amici, collaboratori, testimoni. Restituisce la figura di un uomo che in quei giorni diede il meglio di sé, che fu riconosciuto dagli elettori come un politico buono e onesto. L'epigono che in sé racchiudeva i destini del fratello John e di Martin Luther King.

casa editrice Il Saggiatore: http://www.saggiatore.it/home_saggiatore.php?

"Un giornalista scorse negli occhi di Kennedy morente una specie di dolce accettazione, come se invece di chiedere Cosa è successo, dicesse Allora ci siamo"

da In venticinque parole rubrica a cura di Antonio D'Orrico
tratto da Corriere della Sera Magazine n. 21 p.120

L' ultima campagna. Robert F. Kennedy e gli 82 giorni che ispirarono l'America
di Clarke Thurston
2009, 367 p., ill., brossura - Editore Il Saggiatore (collana Storia)

mercoledì 27 maggio 2009

Il gregario di Paolo Mascheri (Minimum Fax) al Tuma's bar di Roma

Ventotto anni, una laurea per ereditare controvoglia la professione del padre, il protagonista di questo romanzo conduce un’esistenza fatta di giornate identiche a se stesse. Ha un lavoro e uno stipendio sicuri. È fidanzato con una ragazza che gli garantisce stabilità emotiva e una soddisfacente routine sessuale. Ha abbandonato da tempo le velleità artistiche giovanili.
Una vita normale in un’opulenta città della provincia cronica che tuttavia sembra aver riempito lentamente il protagonista di frustrazioni e cupo malessere. E anche quando proverà a dare una svolta alla propria vita e a emanciparsi da tutto ciò che gli impedisce di diventare adulto (il rapporto fatto di conflitti e amore viscerale con il padre, la stanca relazione con la fidanzata) il protagonista si troverà faccia a faccia con una realtà cinica e miserabile: l’Italia di questi anni.
Ambientato in una Toscana lontana dallo stereotipo del Chiantishire da cartolina, pullulante invece di capannoni industriali, outlet, locali equivoci e ragazze dell’est che inseguono voracemente il benessere, Il gregario è un romanzo sul declino italiano ma anche una profonda riflessione sul devastante e struggente legame tra un padre e un figlio.

giovedì 28 maggio 2009 - Start: h. 20.00
Tuma's bar, via dei Sabelli, 17, Roma, Italy
Intervengono, Gianfranco Franchi, Antonio Veneziani e Andrea Di Consoli


"Pochi scrittori avevano narrato l'impotenza grigia di un'Italia esausta e incarognita, con una prosa così essenziale".

Filippo La Porta
- XL di Repubblica

I Democratici Anonimi

"Per quelli che hanno votato PD ma sono stanchi di farlo. I Democratici Anonimi sono un gruppo di sostegno per chi crede di non poterne fare a meno. Ma se ce l'ha fatta la Montalcini, possiamo farcela anche noi ... " Democratici Anonimi
Il blog: http://boboanchio.blogspot.com/

Il link l'ho ricevuto sul mio profilo di Facebook da Giuseppe Genna. Il video si trova su YouTube. Lo condivido con voi!

Il libro del giorno: L' irresistibile eredità di Wilberforce di Paul Torday (Elliot edizioni)

"Non sono un alcolizzato. Ho la passioni per il Bordeaux, tutto qui". Possiamo davvero scegliere chi siamo e cosa vogliamo essere? Wilberforce, schivo e brillante programmatore di computer, pur essendo ancora giovane, ha sempre condotto una vita solitaria e senza affetti: il centro della sua esistenza è il lavoro, l'azienda di software che ha fondato poco più che ragazzo e che lo ha reso milionario. Wilberforce non ha mai coltivato nessuna vera amicizia, e le sue giornate si concludono regolarmente a casa, da solo, di fronte a un pasto precotto. Un pomeriggio però incontra una persona destinata a cambiare il suo destino: l'anziano ed eccentrico Francis Black, nobile decaduto e supremo conoscitore di vini pregiati. Francis introduce Wilberforce alla passione per il Bordeaux e tra i due nasce un'amicizia intensa, speciale, che si rafforza ancora di più quando, grazie a lui, Wilberforce fa la conoscenza dell'affascinante Catherine. Saranno proprio la passione per il vino e l'amicizia con Francis Black a regalare finalmente a Wilberforce il senso del proprio posto nel mondo e a fargli conoscere l'amore, ma saranno anche la causa del suo progressivo sprofondare nella dipendenza alcolica e nell'autodistruzione. Alla morte dell'amico Francis, Wilberforce erediterà la sua leggendaria cantina, e con essa, però, anche i fantasmi che questa nasconde...

casa editrice Elliot: http://www.elliotedizioni.com/catalog/pags/

"La storia dell'Irresistibile eredità di Wilberforce è quella di un uomo che si è fatto da sè. Se ne conosce solo il cognome, è un imprenditore milionario, ha fondato e dirige un'azienda di software. Ma è anche un giovane letteralmente solitario e senza affetti. Che inconra un giorno la sua madeleine nel vino. Un altro copione da maldetto inguaribile romantico? Proprio no."

Stefano Ciavatta da Il Riformista del 27/05/09 p. 19

L' irresistibile eredità di Wilberforce di Paul Torday
2009, 315 p., brossura, Editore Elliot (collana Scatti)

Salomè di Oscar Wilde per la regia di Pierluigi Mele

Lo spettacolo chiude il Laboratorio di Teatro Moderno tenuto dal poeta e regista Pierluigi Mele nel Liceo Capece, giunto quest’anno alla settima edizione. La storia di “Salomé” è nota: una principessa danzatrice chiede al tetrarca Erode la testa del profeta Giovanni, non per compiere la vendetta di sua madre, Erodiade, ma per coronare un proprio sogno di macabra lussuria. Nell’allestimento di Mele la testa del profeta diviene una sfera luminosa, metafora di quella vita “altra”, di quel sogno impossibile di rinascita che ciascuno insegue. Una rilettura drammaturgia moderna della femme fatale di Oscar Wilde, figura decadente della bellezza maledetta e dell’isteria, che qui si trasforma in una giovane donna indifferente al potere, incantata invece dalla vita, lontana dagli stereotipi di dissoluzione e decadenza. Lo spettacolo propone, in un crescendo di intensa poesia, un montaggio visionario e ironico, sorretto da una ricca colonna sonora. Essenziali, tra l’altro, sono i momenti coreografici. La scenografia è essenziale e priva di palco, formata da quattro pedane e da alcuni scanni, giocata intorno alla suggestiva cornice dell’Atrio Capece. L’azione scenica si sviluppa tra l’intero spazio ed il pubblico, e si avvale di una particolare illuminazione scenica. Inoltre, alcuni personaggi dello spettacolo, tra cui Salome ed Erode, sono interpretati da più attrici che si alternano sulla scena, scambiandosi un particolare accessorio, specifico di quel personaggio, e segnalando così i passaggi di ruolo. È importante, in tempi così difficili per la scuola pubblica, ricordare l’impegno del Liceo Capece per l’offerta formativa. Anche nell’anno scolastico appena concluso, infatti, si è rinnovato l’appuntamento con lo spettacolo di teatro moderno, seguito da un pubblico sempre più numeroso e attento alla qualità dei lavori sino ad oggi proposti.

Venerdì 10 giugno alle ore 20.30 nell’Atrio del Liceo Capece a Maglie è di scena lo spettacolo teatrale “Salomé” di Oscar Wilde.

Con - Alice Maruccia, Francesca Nicoletti, Paola Minosi, Alessandra De Luca, Arianna Merico, Natascia Giannini, Ludovica Petracca, Roberta Melissano, Alessia Petracca, Gianluca Panico.

Regia - Pierluigi Mele


Info:
Pierluigi Mele – Via Re di puglia 102, 73020 Castrignano dei Greci (LE)
339.6820463 – e mail: lelune@libero.it


l'opera riportata è di Franz Von Stuck

martedì 26 maggio 2009

Sensaktions alla Living Gallery

Emozioni dal profondo: Massimiliano Manieri, Dario Manco, Marissa Benedict, Matteo Procaccioli, Ilgvars Zalans.

Collezionisti di memorie: Kim Aesun,James Cooper ,Victoria Dearing, Stefan Havadi-Nagy, Minas Halaj,

Jean James, Ben Mitchell, Mario Nimke, Matteo Procaccioli, Shelley Vouga.

Un nuovo senso di spazio: Gennaro Barci, Mirta De Simoni, Giovanni Felle, Remko Leeuw, Samuel Lipp, David Moyano Prieto, Helena Zapke Rodriguez, Benjamin Sohnel.

Si inaugura domenica 31 maggio alle ore 21,00 la mostra d’arte contemporanea “SENSAKTIONS” a cura di Dores Sacquegna.

La mostra gioca sulla riflessione metafisica dell’uomo e dello spazio che lo circonda, sulle emozioni e le sensazioni, il tempo e i luoghi della memoria. L’artista comunica il suo pensiero, il suo essere hic et nunc, l’identità culturale di cui è partecipe, le sensazioni di alienazione, disagio, potenza, dominio, frustrazione, inadeguatezza, piacere, provocazione, alla ricerca costante di una propria identità senza condizionamento alcuno.

La mostra è suddivisa in tre sessioni, ciascuna riconoscibile per le proprie peculiarità e per il modo in cui gli artisti si predispongono nei confronti delle proprie sensazioni (emozioni dal profondo) o dei luoghi e della memoria (collezionisti di memorie) o per la cartografia di una identità culturale in movimento (un nuovo senso di spazio).

La sessione “emozioni dal profondo” si apre con la performance “ L’inizio delle trasmissioni…?” di Massimiliano Manieri (Lecce) che gioca sui flussi di informazione tra il proprio corpo e la macchina, in questo caso dei monitor, dove l'interattività, modella identità complesse, innescando il “funzionamento” di un’altra frequenza di relazione, in uno scambio di percezioni fisiche, psichiche e multimediali.

Dario Manco (Lecce), ci accompagna in un territorio Off Limits, costruito da prossimità spaziali in continua costruzione. Una fusione di perfetta simbiosi tra due realtà: il corpo e la sensorialità.

Sulla relazione fisica tra il corpo umano e sostanze ibride, gioca la ricerca di Marissa Benedict (Usa) il cui corpo diventa un “manufatto” umano, soggetto ad un equilibrio provvisorio, ad una dominazione ed un soggiogamento da parte dell’oggetto.

La definizione di un nuovo senso umano, diventa la soluzione naturale alla proliferazione di una virtualità pluridimensionata nella serie “Cylindrical “ di Patrick Mitch (Alabama), in cui l’artista incapsula in forme sferiche immagini multiple, prese dal voyeurismo di internet. Questi disegni citano trasgressioni, amputazioni, luoghi violati, come svelati da un occhio licenzioso di un guardone o da una lente della macchina fotografica.

Per Matteo Procaccioli (Italia), le figure diventano metafore, si connettono in intrecci di linee di una ricercata casualità, in una dimensione onirica multisensoriale. Per Ilgvars Zalans (Latvia), la vista assume il carattere di dominio e di controllo percettivo; la vista è l'unico senso che crea l'illusione di spazi uniformi e connessi. Negli ultimi decenni la figura dell’artista è divenuta eclettica, volta alla ricerca, alla conservazione, alla catalogazione della storia e del nostro vivere. In questa cartografia della contemporaneità si innesta il discorso sui “collezionisti di memorie” , cioè su coloro che riflettono sull’identità, i luoghi, l’ambiente, la natura,etc. L’artista oggi interpreta il ruolo dello storico, del ricercatore, dell’archivista, dell’editor e/o del collezionista, con riferimenti autobiografici o in linea generale della collettività.

La fotografia, è il mezzo per eccellenza che cattura l’immagine di un momento, di un’emozione, una sensazione che con la sensibilità dell’artista diventa poesia interiore e ci rende unici o blocca le nostre visioni per sempre.In appendice sulle scienze sociali in cui il ruolo dell’artista è quello di “registrare”, salvaguardare, apprezzare il territorio in cui vive e a rispettare le sue leggi. Di questa sessione fanno parte i seguenti artisti: Kim Aesun (Giappone) James Cooper (Bermuda), Victoria Dearing (Usa), Stefan Havadi-Nagy (Germania), Minas Halaj (Armenia), Jean James (Canada), Ben Mitchell (Australia), Mario Nimke (Germania), Matteo Procaccioli (italia), Shelley Vouga (Svizzera). L’arte, si sa, offre diverse prospettive di pensiero. E’ un’architettura dell’interno, uno strumento a disposizione della collettività per capire i meccanismi della vita e/o proporre modelli progettuali raffinati di una colta espressività. Dallo spazio reale dell’opera allo spostamento "virtuale", l'arte è un ponte tra queste due dimensioni, evidenziandone le qualità e i suoi enigmatici dialoghi tra un paesaggio dimensionale e quello immateriale.

In questo contesto “Un nuovo senso di spazio” è la ricerca di questi ultimi artisti.

Gennaro Barci (Italia) presenta i suoi “blending” bi-facciali su plexiglass che restituiscono la fisicità di estensioni o memorie interscambiabili che si trovano nel nostro inconscio e si sublimano in percezioni.

Nel dittico pittorico di Mirta De Simoni (Italia) si assiste ad un mondo in transito che crea nuove estensioni di senso.

Giovanni Felle (Brindisi), con “ora et labora” annulla in un geometrismo rigoroso e bianco, elementi sacri (rosario) e un piccone da campagna, un dualismo quasi cartesiano, enigmatico nella sospensione della dimensione temporale.

Remko Leeuw (Olanda) è uno degli artisti della “BLIK-collective of action painting” gruppo che lavora con le performance d’azione. Le sue opere, fluide come un cortocircuito entrano nello spazio percettivo più intimo dell'individuo, quello fatto dei desideri, dei sogni.

Samuel Lipp (Usa) ci provoca sul senso della parola e del potere con le” twin tower”.

David Moyano Prieto (Spagna), riflette sull’identità con connessioni di linguaggio che illuminano modi e mondi nel loro ipnotico funzionamento.

Helena Zapke Rodriguez (Spagna), vede nella natura una zona quasi di pericolo, una corsia preferenziale con innumerevoli interferenze racchiuse l'una nell'altra, una somma di filtri che si sovrappongono creando le più svariate e stimolanti percezioni.

Benjamin Sohnel (Germania) rappresenta la morfologia di un batterio delle barriere coralline. Lo spazio infatti è costituito da una materia sconosciuta, un effetto "morphing" che lascia intuire l'intima struttura di una forma primordiale.

SENSAKTIONS
Giorni e Orari Visite: dal lunedì al sabato ore 17 – 20 mattina su app.to
31 MAGGIO - 17 GIUGNO 2009

Sede: Primo Piano LivinGallery
Indirizzo: Puglia - Lecce | Viale Guglielmo Marconi 4
Telefono Sede: 0832.304014
Sito Web: www.primopianogallery.com
Email: primopianogallery@gmail.com
Curatori: Dores Sacquegna

I bruchi ovvero il ragazzo in fondo al mare di Giovanni Bernardini (Manni editore, collana Pretesti)

La crisi che colpisce tutta l’Europa dopo la prima guerra mondiale, mostra i suoi effetti ancora più devastanti in Italia. Una guerra di quattro anni, con oltre 600.000 morti, provoca contraccolpi economici, sociali e morali, a cui si sommano risentimenti e rancori, diffusi un po’ in tutti gli strati della popolazione. Serpeggia un generale senso di delusione e molto più spesso di rabbia per l’inconsistenza di tutti quei benefici che si credeva sarebbero stati raggiunti con la vittoria. Questo è il contesto storico, da cui parte il romanzo di Giovanni Bernardini dall’emblematico titolo “I bruchi ovvero Il ragazzo in fondo al mare”(Manni editore, collana Pretesti). Il protagonista principale, Anselmo, nato in un venerdì 13 alle 13, racconta la sua vita, e la storia della sua famiglia negli anni più bui della storia della nostra nazione: l’ascesa al potere di Mussolini e l’ingresso in guerra dell’Italia. Ma le vicende storiche sono solo unno splendido ornamento alla ancora più splendida narrazione di come un bambino diventi prima ragazzo e poi uomo. E così con grande eleganza e magistrale padronanza di uno stile inconfondibile, il lettore partecipa delle gioie e dei dolori della vita di Anselmo, che si sviluppa sotto i suoi occhi: dalle prime esperienze amorose nelle case di tolleranza, alla vita universitaria, agli orrori della trincea, sino al baratro della follia. Un ventennio di storia italiana visti attraverso gli occhi di questo novello Forrest Gump, dal grande cuore, che narra della sua infanzia, della sua Pescara, del suo rapporto con parenti ed amici, della guerra, ma soprattutto che racconta di un’amore smisurato per la vita e per le donne. E i bruchi allora? Un’inquietante citazione del grande Antonio Galateo, introduce il lettore ad un mistero che si cela tra le pagine di quest’opera: “ Produce questa contrada i bruchi… che col solo tatto corrompono ogni cosa, divorano tutto, tutto devastano a guisa di un nemico vincitore”. Si tratta di un romanzo che senza alcun dubbio può essere colto come una magistrale satira del regime fascista, visto dagli occhi dell’autore come grottesco e irreale. Scrive nell’Introduzione Donato Valli: “È come se il pensiero, trasformatosi in scrittura, designasse una fedeltà troppo umana per poter invadere il guscio del surreale. Così il fatto rimane fatto in se stesso, puro nella sua essenzialità, rinsaldato da un tale impegno di fedeltà da sorpassare l’amore della scrittura in sé e traboccare nel piacevole eden d’una sognata surrealtà.”, Ma la bellezza di questo lavoro di Bernardini, forse uno tra i migliori rappresentanti di quella letteratura contemporanea salentina esportabile e apprezzabile anche dalla critica nazionale, sta nel costruire e ricostruire frammenti di memoria, di vita che ci appartengono in maniera totale assoluta, e non solo per i riferimenti storico-culturali che nelle pagine di questo libro si respirano. Vi consiglio caldamente di acquistarlo e leggerlo, perché Bernardini è un autore completo, che riesce a parlare al cuore, e che soprattutto ci lascia a bocca aperta quando in pochi tratti di penna delinea personaggi, storie, vicende, sentimenti … e questo lo può fare solo un grande scrittore!


Giovanni Bernardini
, nato a Pescara, dal dopoguerra opera nel Salento, dove vive a Monteroni di Lecce. Ha pubblicato narrativa, poesia, saggistica e, con Manni, le prose Il bivio e le parole (1989) e i volumi di versi Emblema e metafora (1988) e Nel mistero del tempo (2005).

Il libro del giorno: L' ubicazione del bene di Giorgio Falco, Einaudi (collana Stile libero big)

A venti chilometri in automobile dal lavoro e dal supermercato, come accade ai bordi di ogni metropoli, la città continua e diventa un altro luogo: Cortesforza. Come la contea di Yoknapatawpha in Faulkner e la Regalpetra di Sciasela, Cortesforza è un luogo tanto più vero quanto più è immaginario. Qui si vive un esodo eterno, e la giornata è ridotta a tragitti in tangenziale verso casa. Il lavoro non si vede più, è dappertutto, ha invaso i comportamenti quotidiani, affettivi. Per dare un senso alle proprie esistenze, gli abitanti di Cortesforza accendono un mutuo, traslocano in una zona nuova o "mettono in cantiere un figlio". Ogni volta, però, lo svelarsi improvviso di una seppur piccola possibilità provoca una sconfitta irreversibile. Una commedia umana raccontata con sguardo lucido, impietoso, privo di giudizi. Nessuna apocalisse: solo un'inevitabile, comune disfatta.

casa editrice Einaudi: http://www.einaudi.it/


"In un mondo dove tutto è compresso per un acme istantaneo, dove anche i documentari, sono un serrato montaggio di copule e sbranamenti, non c'è spazio per il Bene, semra dirci la voce cinica di Falco. Ci si deve accontentare dei beni minuscoli, plurali democratici."

di Mauro Covacich tratto da Corriere della Sera del 26/05/09 p. 31

L' ubicazione del bene di Giorgio Falco, 2009, 141 p., brossura
Editore Einaudi (collana Einaudi. Stile libero big)

lunedì 25 maggio 2009

Paolo Valesio, Il braccio indebolito (da Avventure dell'uomo e del figlio, Caramanica editore)



Gli duole il braccio destro come un ramo
che sempre gema sotto la tempesta
è un attrito sottile ma costante
che gli contorna il corpo in-abitato.

All'alba il male serve da richiamo
("vedi? Sei solo nella stanza desta");
braccio piegato sotto il fianco ansante,
arto fantasma - e forte avvinghiato.



Tracciare ogni parola è un tormento
che scorre il polso e i nervi accavallati,
ma egli ha appreso da ciò l'accoglimento

e rende omaggio timido al dolore:
il braccio e lui sono adesso alleati
e da ogni suo dito cresce un fiore.

Abbasso la schiavitù del braccio destro! (F.T. Marinetti)


Paolo Valesio, Avventure dell'uomo e del figlio (Caramanica editore), p. 70

Il libro del giorno: «Qui Brigate Rosse». Il racconto, le voci di Vincenzo Tessandori (Baldini Castoldi Dalai editore)

Quando nel 1977, Vincenzo Tessandori, cronista della "Stampa", scrisse "Br. Imputazione: banda armata", il primo libro sul nucleo originario delle Brigate rosse, pareva una storia chiusa, era soltanto il prologo. Sopravvissuta agli arresti del gruppo storico, l'organizzazione clandestina si è sviluppata per lustri. I brigatisti rossi erano ormai nelle fabbriche, nelle università, nei quartieri disastrati di Roma, nei bassi napoletani, nell'inferno chimico di Porto Marghera. Avevano pianificato la guerra globale al sistema attraverso l'attacco al partito egemone, la Democrazia cristiana, e poi al suo nuovo grande alleato, il Pci, accusato di ammorbidire le richieste e la forza dirompente del proletariato. E furono i protagonisti del fatto più clamoroso accaduto negli anni della prima Repubblica: il sequestro Moro. Tessandori sceglie ora di fare la cronaca ravvicinata della "generazione brigatista". Chi erano, come vivevano, agivano e pensavano i giovani invecchiati all'ombra di una rivoluzione impossibile? Attingendo alle sue personali esperienze, ai dialoghi con i protagonisti, allo studio dei documenti giudiziari e dell'organizzazione, ha cercato non di spiegare ma di calarci nella loro quotidianità, nella loro lucida follia, nella preparazione degli agguati, nei retroscena dei pentimenti, evitando le dietrologie e il gusto dei misteri, riducendo al minimo il suo giudizio ma lasciando parlare i fatti, anche dal versante delle vittime.

casa editrice Baldini Castoldi Dalai editore: http://bcdeditore.it/

"Il caso Moro, i suoi misteri, le mille contraddizioni tra chi tentò di salvare l'uomo politico e chi si oppose, sono il cuore del suo libro. L'inizio della fine di quella follia rivoluzionaria. Con troppi morti. Tessandori, passo dopo passo ce li ricorda tutti"

di Antonio De Florio tratto da Il Messaggero del 25/05/09 p.22

«Qui Brigate Rosse». Il racconto, le voci di Vincenzo Tessandori
2009, 782 p., brossura, Editore Baldini Castoldi Dalai (collana I saggi)

domenica 24 maggio 2009

Il libro del giorno: Elisa Albano, Mai più scema. Come sviluppare l’autostima e trasformarsi in donne vincenti (pp. 200, euro 15), Lupo Editore

Dove vai se l’autostima non ce l’hai? Da nessuna parte, perché l’autostima è la benzina delle nostre azioni ed emozioni e, in fondo, il motore di tutto ciò che ci accade. E se allora nulla di quel che ci accade è come vorremmo è perché siamo a secco di questo straordinario carburante: l’abbiamo consumato, o non l’abbiamo mai avuto. Urge allora un distributore facile da raggiungere, e possibilmente economico: e questo libro di Elisa Albano sembra fatto apposta per questo, tanta benzina per tutte senza spendere una fortuna. (Dall'introduzione di Leda Cesari)

"La tesi di Elisa Albano è quella secondo cui l’autostima è la benzina delle nostre azioni ed emozioni e, in fondo, il motore di tutto ciò che ci accade".

di Stefano Savella tratto da http://www.puglialibre.it/


Elisa Albano, Mai più scema. Come sviluppare l’autostima e trasformarsi in donne vincenti (pp. 200, euro 15), Lupo Editore

Pontica Verba, a cura di Nono Memè (Altrimedia)

brocca diritta, riflesso del vuoto,
sterile vetro capace di farsi passare
attraverso, dal bel manico abile
a farsi prendere rompere intendere.
brocca balocco di liquida luce
squadrata torre il mattino col suo
lato d'ombra come un pensiero,
col suo tetto ansioso di vino
o di te. oppure di pioggia che lavi
l'arsura. brocca baldracca,
immutabile, zitta, inscalabile vetta,
ardua disfatta, trasparente miraggio
del bere,inconsolabile, acuminata
promessa dell'essere appena
un pò più vicini ad un dio


Pontica verba, 2008, 64 p. di Nono Memè
Editore Altrimedia

Almadressa su HiPop (Salento web tv)

Per questa nuova puntata di Hi-Pop (Salento web tv),ho intervistato una giovane artista esordiente Almadressa, alias Maria Beatrice Protino, autrice non solo di opere di transizione sul corpo poetico della donna, ma anche sulla trasformazione dei codici attraverso l’uso della computer grafica che aumenta l’essere “trans-gender” delle immagini, l’essere simultaneamente “trans-culturale” e “multi-culturale”. Inoltre Almadressa ha curato l’aspetto grafico delle immagini contenute in “Mediobevo” Doctorlife, un video di sensibilizzazione sui danni provocati dall’abuso dell’alcool. Un progetto Medikanto (organizzazione di volontariato costituita da medici gastroenterologi e chirurghi di Bologna), con testi e musica e direzione artistica del dott. Vincenzo Cènnamo, gli arrangiamenti di Mauro Malavasi, Stefano Mazzoni per Dreamed srl come produzione esecutiva e la post produzione: Zoomworkx video di Bologna. Almadressa è al sito www.almadressa.com

Qui:
http://www.salentoweb.tv/index.php?option=com_seyret&Itemid=2&task=videodirectlink&id=557

sabato 23 maggio 2009

EMERGENZE arteroma2009 - prima edizione

Il panorama artistico attuale, seppure nelle continue proposte di artisti nuovi, è spesso circoscritto nell'ambito di ben determinate inclinazioni che rispondono più ad esigenze di mercato, di mode, di programmi o indirizzi tecnici.
In questo caso, al contrario, si vuole sottolineare una distinzione, dove le ragioni della mostra sono costituite dall'esigenza di indicare una più libera scelta di proposte, non vincolate da nessun condizionamento che non sia quello dell'urgenza di mettere in evidenza le opere ed il lavoro di ciascun artista.
EMERGENZE da una parte evidenzia il lavoro di giovani artisti emergenti, che, come frequentemente accade, non trovano facilmente spazio nei circuiti tradizionali, dall'altra, vuole dare rilievo alla produzione di quelli che, pur attivi nel panorama artistico da un po' di tempo, hanno urgenza di presentare e mostrare nuove ricerche e sperimentazioni.


THE SECRET GARDEN


I lavori di Marco Colletti ci conducono in luoghi immaginari, popolati da fiori antropomorfi, dame invisibili, di cui si intravede solo la scia luminosa e da creature di altri mondi simili a individui, di cui mantengono soltanto le sembianze.
Il punto di partenza da cui hanno origine queste figure è sempre la realtà, che l’artista volutamente trasfigura in un’apparizione onirica.
Giardini storici, particolari di archi antichi o luoghi dimenticati sono l’ambiente ideale per far vivere queste apparizioni che una volta manifeste, tendono a fuggire, a volersi nascondere allo sguardo dello spettatore.
Il tema del mascheramento, del nascondimento è alla base della sua poetica, una realtà ideale che non può essere completamente rivelata perché potrebbe svanire.

EMERGENZE
arteroma2009 - prima edizione


a cura di Paola Consorti

da mercoledì 27 maggio 2009 a mercoledì 10 giugno 2009
Chiostro della Basilica dei S.S. Apostoli, Piazza di Santi XII Apostoli 51, Roma

Io sono un genio! Maria Beatrice Protino su Salvador Dalì

È uno degli artisti più discussi dell’ultimo secolo, quel genio che attraversò tutta la vicenda del novecento con quadri e oggetti surrealisti ispirati all’idea della psicanalisi freudiana, ma anche con le sue provocazioni, le sue feste surrealiste che spesso diedero manforte a scandali, facendo - col suo comportamento imprevedibile - da ponte tra il dandismo belle époque e lo starsystem dei cantanti rock e delle fotomodelle più capricciose, divenendo idolo del jet set internazionale, eroe della stampa scandalistica, approdando a teorie tanto diverse quanto contrastanti (avanguardie rivoluzionarie e cattolicesimo più conservatore), muovendosi tra personaggi che segnarono il farsi di un’epoca vocata alla ricerca artistica ma anche alla pubblicità e al consumismo: da Andrè Breton e Walt Disney a Jean Cocteau e Amanda Lear. Lui era Salvador Dalí, e tutta la sua produzione, geniale e delirante, lo ricorda trionfatore e massimo esponente sulla scena mondiale della corrente surrealista, dichiaratosi genio forse per non ammettere d’essere pazzo - stante ormai lo scontato binomio genio-follia - incoraggiato dall’originalità dell’affermazione. Nel saggio di Pier Mario Fasanotti e Roberta Scorranese – Io non sono pazzo, il Saggiatore, 2004 - racconta di quel Salvador nato nel 1904 a Figueras, cittadina catalana a venticinque chilometri dal confine francese, da una famiglia di medio alta borghesia: padre notaio, ateo, repubblicano, gran bestemmiatore, «il dottor Denaro», uomo pratico, severo, ma anche stimato, un tiranno agli occhi del figlio e madre arrendevole, schiva, che amava rimanere nella penombra cimiteriale della vecchia casa e idolatrava il figlio, assecondandolo in tutto. Ma questo suo modo di mostrarsi dipendeva senz’altro da un fatto tragico: dieci mesi prima della nascita di S. era morto di meningite il primo figlio, anche lui Salvador. Il secondogenito, dunque, rappresentò per lei quasi la resurrezione del primo, da amare e custodire con precauzione spesso eccessiva. Il pittore dirà in un’intervista: «La morte di mio fratello aveva fatto cadere i miei in una profonda disperazione, quindi loro trovarono conforto in me. Io e mio fratello ci rassomigliavamo come due gocce d’acqua: come me aveva l’inequivocabile morfologia del genio». Il primo Salvador condizionò la vita del secondo, costituendo quell’eterna sfida ad un ingombrante fantasma e un appiglio per spiegare la schizofrenia forse un po’ studiata che sfruttava a scopi pubblicitari, mostrandosi convinto che «l’arte fosse una malattia». Di conseguenza, ogni suo comportamento va inquadrato nella megalomania di un uomo consapevolmente e dolorosamente timido che nascondeva, quasi custodiva se stesso agghindandosi di eccentricità e stravaganza o provando gusto per il travestimento, impegnandosi a costruire attorno a se’ quell’alone di leggenda fatto di piccole menzogne ed esagerando la portata di avvenimenti privati e pubblici, spettacolarizzando le sue iniziative. Così, ad esempio, già da piccolo si buttava ripetutamente dall’alto della scala di marmo della scuola lanciando urla con l’obiettivo di osservare lo sbalordimento e l’orrore negli occhi dei compagni e degli insegnanti. Ma sarà la sorella Ana Marìa a scrivere che S. era terrorizzato quando la madre lo portava alla tomba del fratello o quando inciampava nei giocattoli del morto, sparsi dappertutto, o si trovava dinanzi alle tante fotografie. Eppure sarà proprio quel terrore e quel tormento a far nascere l’idea della fratellanza e del doppio che poi svilupperà nella sua pittura, icone non solo delle differenti facce della realtà, ma anche dell’incertezza e della vertigine, della mobilità ottica della visione umana. Il piccolo S. era viziatissimo, ma anche sadico, crudele. Ha raccontato che a cinque anni, per costruirsi un’identità diversa da quella del fratello, in occasione di una gita, andava a passeggio con un bambino biondo e riccioluto che montava un triciclo. S. all’improvviso lo spinse verso un piccolo dirupo, provocando il ferimento alla testa dell’altro e passò tutto il pomeriggio nella penombra della sua casa a mangiare ciliegie e a godersi la vista dell’acqua macchiata di sangue nelle bacinelle, privo di qualsiasi forma di rimorso. Si mostrò recalcitrante soprattutto quando il padre lo iscrisse a scuola, ricorrendo così ai suoi soliti stratagemmi, dando vita ad una sorta di guerra contro le regole, cercando di affermare la sua personalità: fare pipì a letto e lasciare i suoi escrementi sul pavimento. Il suo rapporto con le istituzioni scolastiche , d’altro canto, non fu mai felice. Lui si sentiva molto a disagio fuori dalle musa domestiche, diverso com’era dai compagni: completo alla marinara, scarpe con bottoni d’argento e bastone da passeggio. A quel dandy extraterrestre i compagni, che spesso andavano a scuola scalzi, lanciavano addosso lumache. Tra quegli scalmanati c’era, però, una bambina, molto povera, che portava abiti con molte tasche e pantaloni attillati. S. la guardava continuamente e s’innamorò di lei e fu appunto in quel periodo che iniziò a prediligere le tasche e i cassetti mobili, tema anche questo frequente nei suoi dipinti. L’immagine di sé non gli piaceva affatto, così spesso si mascherava. Gli zii di Barcellona gli mandarono un mantello di ermellino, uno scettro dorato e una corona saldata a un’enorme parrucca bianca e lui si denudava e diventava re e si guardava allo specchio facendo in modo di occultare i genitali tra le cosce. Anni dopo, in una lettera a Garcìa Lorca – il rapporto tra i due fu molto stretto, da sfiorare l’intimità: sembra, però, che tra i due non si raggiunse se non una profonda amicizia, considerando che D. viveva di amori solo platonici, terrorizzato dal contatto fisico – scriverà di essere amante dell’esteriorità, perché «quando tutto è stato detto e fatto, l’esteriorità è obiettiva». All’età di dodici anni fu mandato dai genitori alla tenuta della famiglia Pipxot, amici di famiglia. Quello fu per D. un importantissimo soggiorno perché i Pitxot erano artisti. Sbalordì tutti quando prese una vecchia porta tarlata e vi dipinse sopra delle ciliegie utilizzando solo tre colori: rosso vermiglione per le superfici illuminate dei frutti, rosso cadmio per quelle in ombra e bianco per i punti di massima luminosità. La sua invenzione cromatica fu sbalorditiva e quando gli fu fatto osservare che le ciliegie mancavano dei gambi, lui li appiccicò direttamente nel quadro. Ma il suo approdo al surrealismo arrivò dopo una intensa fase di sperimentazione che si mosse tra classicismo, realismo e cubismo e, non ultima, la frequentazione col gruppo dada di Parigi: periodo di grande entusiasmo e di un’autodisciplina che considerò sempre punto di partenza essenziale «per fare cose memorabili». L’abitudine a guardarsi dentro venne rafforzata dalla lettura dell’Interpretazone dei sogni di Sigmund Freud: «Questo libro ha rappresentato per me una fra le illuminazioni essenziali della mia vita.. l’interpretazione di me stesso divenne quasi un vizio». Ma sulla sua pittura influì moltissimo anche Bosch, quel pittore olandese del fantastico e del grottesco, considerato molto distante dai gusti del tempo, le cui tele esercitarono su D. quel senso della decadenza e del tormento che lo portavano a viaggiare nei labirinti dell’inconscio. «La pittura è un’arte sensuale». Scrisse: «L’essenziale per il pittore è la mancanza di dottrina e metodo: un pittore non può tracciarsi la strada da seguire senza violare la propria sensibilità». L’incontro coi surrealisti di Breton avvenne nel 1929, quando Mirò lo presentò a Magritte e agli altri e lo portò in quel variopinto film surrealista che si girava in diversi set: a casa di Breton, nei caffè, in rue Chateau, nelle salette riservate dei bistrot e nelle case aristocratiche, come quella della viscontessa Marie Laure de Noailles, dove Paul Eluard mostrava a tutti, e con grande compiacimento, le foto di sua moglie Gala completamente nuda. Fu proprio in quel modo che S. conobbe Gala, la donna che poi gli rimarrà accanto per tutta la vita. La loro fu un’intesa molto complessa, che si intrecciava con le memorie erotiche che avevano affollato i primi anni di vita di S., come lui stesso ricorda, eppure la loro unione non ebbe mai nulla a che fare col sesso: la donna fu soprattutto una contabile, oltrechè mamma e musa. All’inizio della loro conoscenza i due si scrutarono, si capirono, si scambiarono segreti e lui assorbì la natura della compagna, una donna quasi malata di esoterismo – lei gli leggeva spesso le carte – e di sesso – continuerà a scambiare una focosa corrispondenza col primo marito nonché sempre nuovi rapporti amorosi anche con uomini molto più giovani di lei. Era una donna decisa: voleva un uomo da fare, tutto da costruire. Non le interessava un genio già compiuto perché voleva formarlo lei, voleva stargli accanto con la sua forza, la sua ambizione ed il suo egocentrismo, inseguendo il sogno di divenire la spalla di un genio. Così, molti ebbero modo di verificare la sua malvagità, quando sequestrava ogni cosa dipinta da S. – che divenne suo marito – per venderla al miglior offerente, indipendentemente dai progetti che in quel momento lui aveva in testa. Eppure lui le fu sempre riconoscente e l’amò – a suo modo, s’intende: «Soltanto lei, Gala, mi restituiva la forza di vivere. Cercava per me i migliori vini di Bordeaux, mi portava al Chateau Trombette o al Chapon Fin, dove facevamo dei pranzi meravigliosi. Posava sulla mia lingua un fungo alla Bordelaise, fragrante d’aglio, e mi diceva: mangia, è buono..».
Il suo rapporto coi surrealisti non fu mai facile, anzi, ad un certo punto, fu addirittura allontanato dai rappresentanti più ortodossi dello stesso. Breton, severo difensore di quell’ortodossia, teneva d’occhio il pittore catalano e dirà : «Dalì è un uomo che pare oscillare tra talento e genio. Fra virtù e vizio.. senza pronunciare una parola, egli si inserisce in un sistema di interferenze..»: lo guardò sempre con ammirazione, ma anche con una certa diffidenza, mentre D. si muoverà sempre tra due fuochi: da un lato la provocazione esasperata, dall’altra un passo indietro e una dichiarazione di fedeltà agli amici del Café Cyrano. In realtà, si sentiva stretto in quei catenacci che il movimento si era autoimposto. Lui cercava l’entusiasmo per la sua arte e per la sua combinazione di genio, fantasia, frivolezza e grandeur. E anche la critica si sforzava di capire lo strano connubio di quei sogni e desideri inconsci, visioni apocalittiche di un uomo bizzarro che se ne andava in giro ingioiellato all’inverosimile, coi capelli lunghi fino alle spalle e baffi lunghissimi all’insù, spesso vestito di bianco: un clown. Il suo surrealismo di matrice autobiografica supererà «l’idea deprimente dell’irreparabile divorzio fra azione e sogno». Lui, a gran voce, professava quel suo metodo paranoico-critico, rete di incubi e angosce, morte, odio, amore, gli opposti inconciliabili che formavano la griglia della sua personalità, una sorta di allucinazione volontaria che lui stesso ha descritto come «metodo di conoscenza irrazionale, basato sulla oggettivazione critica e interpretativa dei fenomeni del delirio». Ha vissuto il surrealismo con tutto se stesso, è stata la sua vita, la ragion d’essere delle sue idee, il genio con cui ha raccontato il mondo, arrivando a quella biforcazione netta tra animale e artista, facendo venir fuori l’uno o l’altro a seconda delle circostanze, o entrambi contemporaneamente. Breton scrisse nel secondo manifesto del surrealismo: «Tutto porta a credere che esiste un punto dello spirito in cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il trasmissibile e l’intrasmissibile, l’alto e il basso, smettono di percepirsi contraddittoriamente». Dalla teoria del putrefacos – la sua scoperta della carne e della realtà in putrefazione – alla teoria del morbido e del duro – come accade nei sogni, le immagini ci appaiono deformate, sciolte nell’acqua calda: le stesse paure compaiono sulla tela come gelati sciolti – per approdare definitivamente al debutto degli orologi molli , di cui lui stesso raccontò: «Un giorno rimasi a casa a causa di un forte mal di testa. Faceva molto caldo e l’occhio mi cadde su alcuni pezzi di formaggio camembert rimasti sul tavolo dal pranzo. Pensai allora che tutte le forme avessero una componete dura e una morbida, che tutte potessero mutare d’aspetto ed essere viste da un’altra dimensione: gli orologi molli non sono altro che camembert paranoico- critico, tenero, stravagante e solitario del tempo e dello spazio»: una risposta davvero daliliana all’interrogativo che è lo spazio-tempo einsteiniano: formaggio.

Il libro del giorno: Credere all'invisibile di Cesare Viviani (Einaudi)

Con questa sua nuova raccolta Cesare Viviani fa un passo ulteriore nel percorso di ascolto e di meditazione che caratterizza i suoi ultimi libri. La forma è più immediata. Sono poesie brevi, con una sola voce, affabile e colloquiale anche nel proporre temi elevati, come i limiti dell'umano, la pulsione all'autenticità, il confronto con l'angoscia della fine. L'"invisibile" di Viviani non è qualche cosa di trascendente, ma è ciò che, innervato nella concretezza della natura, resta indecifrabile, incomprensibile, irriconoscibile. E dunque credere, più che l'oggettivazione di una fede, è rispettare, accettare, affidarsi alla vita. In questi versi diretti e spesso sorprendenti per clausole inattese, la via maestra è l'umiltà: rinunciare alla presunzione umana significa trovare il giusto posto di se stessi e delle cose, e sapere che tutte le esperienze, anche quelle estreme, fanno parte di un ciclo e non hanno niente di eccezionale: sono natura. Sotterranea e parallela al discorso cosmico-esistenziale, scorre una riflessione poetica in cui il medesimo atteggiamento interiore vede con distacco ogni ironia narcisistica e abilità verbale: perché un animale nel suo habitat - dicono i versi di una poesia significativamente dedicata a Mario Luzi - è più vicino all'"invisibile" di qualsiasi ambiziosa invenzione letteraria

"Credere all'invisibile (Einaudi, pp.98, euro 11) riesce a coniugare alcuni dei tratti più specifici di quei due percorsi. E'infatti, in tutta evidenza, un libro di pensiero che sboccia per frammenti di meditazione, in una lingua limpidissima, di grande eleganza ed equilibrio, e in uno stile che è il più difficile da praticare: quello della semplicità"

di Maurizio Cucchi tratto da Tuttolibri della Stampa del 23/05/09, p. V

casa editrice Einaudi: http://www.einaudi.it/

Credere all'invisibile di Viviani Cesare, 2009, 97 p., brossura
Editore Einaudi(collana Collezione di poesia)

venerdì 22 maggio 2009

Sei nato ricco di Bob Proctor (Bis edizioni)

Esiste tutta una serie di pubblicazioni nel nostro paese (da anni invece il mercato statunitense ne produce in grandissime quantità) che stanno vedendo la luce in questi ultimi mesi e che hanno poco a che fare sicuramente con psicologia e altre discipline che cercano di studiare l’uomo e i suoi problemi nella gestione della quotidianità con nessi e connessi. Dunque la domanda che sorge spontanea, potrebbe essere: che tipo di utilità hanno questi libri se alla loro base non vi sono parametri o scandagli di indagine che presuppongono l’utilizzo di metodologie scientifiche o comunque un certo rigore? E ancora come poterle classificare, se dovessimo in qualche modo inserirle in un genere? Letteratura d’intrattenimento, saggistica, o che cos’altro? Il libro di cui voglio parlare “Sei nato ricco” di Bob Proctor (Bis edizioni), rientra in quella che viene definita letteratura d’auto-aiuto, una categoria che vede tra i suoi più grandi protagonisti Roy Martina, Joe Vitale, Fred Alan Wolf, Andrea Scarsi, Stuart Wilde e tantissimi altri. Ovvero se vi trovate in un momento difficile della vostra esistenza, non sapete a quale risorsa interiore attingere per trovare le giuste dosi di energia per affrontare la vita, o recuperare il giusto equilibrio, questi libri fanno al caso vostro. La formula della felicità ve la danno su un piatto d’argento, e senza troppi peli sulla lingua: l’uomo può tutto; egli è in grado di emettere particolari vibrazioni che se portate a livello di una focalizzazione di ciò che vuole raggiungere o ottenere, a livello conscio e inconscio, emetterà particolari vibrazioni, come se facesse una vera e propria richiesta all’Universo, che poi con precisione matematica recapiterà al mittente sul piano fisico il risultato invocato (Legge dell’Attrazione). In più la costruzione di questo meccanismo dal piano mentale al piano fisico è descritto ampiamente utilizzando teorie e spiegazioni che derivano dalla fisica quantistica. L’uomo occidentale vuole delle prove, concrete, verificabili, non ciarlatanerie. E quale migliore standard di prova, se non proprio la fisica quantistica, le cui teorie comunque almeno al momento non sono smentibili. Parola d’ordine, focalizzare sempre sul di più che si vuole ottenere, imponendosi una visualizzazione mentale del meglio che ciascuno di noi può desiderare per il suo bene, abbandonare il passato con i suoi “ se avessi fatto questo o quello ...” “ se avessi agito così, ora …”, concentrarsi sulla tenacia, perseveranza, il desiderio di mettersi in gioco, e provare e riprovare fino al conseguimento del successo. In parole povere “Yes, we can”, senza limiti di sorta. Entrando nello specifico, Bob Proctor ci spiega che ogni essere umano nasce dotato di una certa quantità di ricchezza: succede, però, in alcuni casi che la maggior parte delle persone sia per un motivo x momentaneamente al verde. L’autore ha scritto questo libro soprattutto per aiutare le persone a mettere un pò d’ordine nella "vita" , in modo che chiunque lo desideri può creare la prosperità nella propria vita. Il potere di produrre ricchezza lo abbiamo già: basterà un semplice piano d’attacco pensato, visualizzato e studiato nei particolari più piccoli, per permetterci di concretizzare tutti i nostri sogni. “Sei nato ricco” fornisce gli strumenti per utilizzare il potenziale che è nell’uomo per raggiungere la prosperità a qualsiasi livello la si voglia intendere: finanziaria, emotiva, fisica e spirituale. Un ultimo consiglio: se i vostri affari non stanno andando per il meglio, e vi trovate in una situazione di indigenza, resistete ancora un po’, mancano pochi passi per il successo e la Legge dell’Attrazione sta lavorando per voi. Altro che Dianetics di Ron Hubbard!

QUI:http://www.bisedizioni.it/libri/sei_nato_ricco.php

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