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lunedì 15 marzo 2010

Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società per Azioni felici). Parte 1 a cura di Daniela Cecere


















Ho avuto il piacere di conoscere la Troglodita Tribe, nelle persone di Lella e Fabio, poco più di un anno fa: loro occupavano uno stand nella fiera “Cartacanta” di Civitanova Marche. Il loro spazio non passava inosservato. Era decisamente quello più colorato e conteneva il materiale più “inedito”, appunto perché “non – edito”: libri o libelli di tutte le dimensioni, realizzati con carta di tutti i tipi, compresa quella riciclata dai biglietti del tram, al confine tra fanzine e libro d’artista, tra raffinato e grezzo. Libri prodotti dall’”editoria casalinga”, della quale il sito dei nostri ci da la definizione: “L’editoria creativa casalinga è una tecnica per la realizzazione di libri fatti in casa. Prevede l’autoproduzione in tutte le sue fasi (scrittura, taglio, rilegatura, manipolazione, inserimento di oggetti, distribuzione, scambio, baratto e/o vendita). I testi e qualche immagine vengono spesso fotocopiati, ma l’oggetto libro contiene sempre e comunque tocchi manuali che ne caratterizzano l’anima casalinga. Non avremo quindi delle copie, ma dei veri e propri esemplari, ciascuno con piccoli differenti particolari.” Per farsi un’idea, consiglio a tutti di visitare il sito http://trogloditatribe.wordpress.com/ . Lascio lo spazio all’intervista con i nostri.

Come nasce l’idea di “costruire” i vostri libri?

I nostri libelli creativi nascono da un incontro, un vero e proprio incontro d’amore in cui le passioni di due bipedi si fondono nel tentativo di creare qualcosa di nuovo, qualcosa che emozioni e dia piacere. Quindi, nel nostro caso, abbiamo la passione per la scrittura e quella per la manipolazione cartacea, per il collage, per il ribaldo ribaltamento di cartoline e immagini pubblicitarie.

Come nasce l’idea? Prendi uno scrittore, prendi un’artista riciclatrice, prendi il loro incontro, il loro desiderio di abbandonare qualunque forma di lavoro che preveda sbadigli e frustrazione, ed ecco che ottieni le nostre prime cartoline truccate, i nostri primi biglietti poetici che vendevamo in strada durante i festival, i concerti, i mercatini a Milano. È stata un’esperienza forte e bella. Lella creava immagini, soprattutto con la tecnica del collage e io, Fabio, scrivevo testi provocatori, poetici, ironici che si adattassero a quell’immagine. Mi divertivo un sacco, giocavo con le parole, con le rime, con le assonanze, con i doppi e tripli sensi. La strada è una scuola straordinaria, in quel periodo abbiamo prodotto tantissimo, abbiamo affinato le tecniche, abbiamo portato alla gente quello sapevamo fare, quello che amavamo fare.

I libelli creativi sono stati la naturale evoluzione di quelle provocazioni poetiche, ma nascono in un secondo momento, dopo l’esperienza con l’editoria ordinaria.

Quale è stato il vostro primo “libello”? Qual è la scintilla che origina un singolo “libello”?

Abbiamo cominciato pubblicando libri con piccoli editori e l’esperienza è stata fondamentale, ci ha permesso di esplorare dall’interno un mondo che ci aveva sempre attratto e incuriosito. Poi, quando è venuto il momento di presentare “L’irresistibile tenerezza della spazzatura (germogli di post-ambientalismo)” è scattato qualcosa.

Devi sapere che eravamo negli anni novanta e ancora non si parlava tanto di decrescita, di riciclo, di frugalità e quindi abbiamo pensato a questo testo sulla figura dei raccoglitori urbani: gente che recupera, aggiusta, scambia e vende ciò che viene condannato al termine spazzatura. Però volevamo che il messaggio fosse un po’ più radicale e così abbiamo deciso che il libro doveva essere realizzato solo con materiale di scarto. La copertina, il filo per cucire i fogli, le immagini, tutto materiale di scarto. È così che è nato il primo libello. È così che abbiamo scoperto che non si trattava più di libri, ma di pezzi unici con manipolazioni, interventi, collage, oggetti inseriti; insomma la festa della creatività che sventolava tra le pagine di un’opera irripetibile, ma anche di un esemplare facente parte di una tiratura.

La scintilla che origina un singolo libello è sempre in equilibrio tra ciò che trovi e ciò che hai in mente di scrivere, è un gioco di chiaroscuri tra forma e contenuto, è un’armonia che deve mantenere in vita l’oggetto libro e la sua anima. Noi, seguendo la dada-strada dei primi coraggiosi sperimentatori, vogliamo dimostrare che un libello creativo può essere realizzato con qualunque cosa. Come dicevi abbiamo utilizzato i biglietti del tram, ma anche le cartoline, le lastre radiografiche, i pacchetti di fiammiferi, la tappezzeria, gli scatoloni dei supermercati, i cartamodelli, i cataloghi di moda, gli scarti tipografici, le scatole dei cioccolatini... L’elenco è veramente infinito. Quando troviamo qualcosa da recuperare pensiamo subito ad un possibile libello e quando ci viene in mente qualcosa da scrivere pensiamo subito ad un possibile recupero.

Di “libelli” si può vivere, nel senso più “materialistico” del termine? La vendita di un libro, oltre che gioia per chi lo fa e chi lo acquista (che già è tanto), produce il pagamento delle bollette?

Questa è la domanda più difficile, e naturalmente ce la pongono spessissimo. L’unica possibile risposta è: dipende! Dipende dall’entità e della quantità di bollette, dipende dallo stile di vita, dipende, soprattutto, dalle tue priorità. Per noi mantenersi significa principalmente mantenere un buon livello di libertà, di realizzazione personale e di felicità. Quindi la nostra editoria creativa ci basta. Tieni conto che da qualche anno abitiamo sulle colline, coltiviamo un orto, raccogliamo noci, nocciole, castagne, erbe selvatiche; tieni conto che uno dei nostri ultimi libelli si intitola “Facile Felice Frugale”; tieni conto che amiamo molto la filosofia Wabi-Sabi, quella che dice: riducete all’essenziale, ma senza eliminare la poesia.

Come funziona la vostra attività? Avete una rete di collegamenti?

Avete collaborazioni e/o collaboratori?

La nostra vita non ha una reale suddivisione in tempi di lavoro e tempi di divertimento. I libelli nascono in un’atmosfera casalinga tra una pastasciutta e una tisana; magari l’idea viene mentre andiamo a prendere l’acqua alla fonte o quando vediamo un magnifico cartone colorato e buttato fuori da un supermercato. L’editoria creativa è parte integrante del nostro stare su questo mondo.

Per la distribuzione non abbiamo intermediari, preferiamo un rapporto diretto con gli eventuali fruitori quindi andiamo alle fiere e alle rassegne della piccola editoria indipendente, ma anche alle fiere e alle feste del riciclo, del consumo critico, della decrescita...E poi c’è il sito dove è possibile vedere le foto di tutti i libelli, abbiamo da poco superato i cento titoli.

Quando si crea una sintonia ci piace molto lavorare con altre persone perché il libello, così, si arricchisce e mostra un livello creativo più ampio scatenando reazioni felicemente feconde. Proprio per questo realizziamo anche libelli collettivi. Seguendo lo stile della mail-art proponiamo una tematica e, chi desidera aderire, può mandarci il suo intervento scritto, disegnato, fotografato...Alla fine, mettiamo insieme il materiale e facciamo una piccola tiratura. Chi ha partecipato riceve uno degli esemplari prodotti.

Esistono figure che possono paragonarsi al collezionista per quanto riguarda le vostre produzioni?

Si certo, i collezionisti sono attratti principalmente dai pezzi unici o dalle tirature numerate. Soprattutto in Francia o in Inghilterra il concetto di libro travalica il solito volume da tipografia e quindi gli amatori sono molto interessati alle infinite e bizzarre variazioni sul tema. Qui in Italia forse è ancora presto, la gente è troppo legata al nome famoso da vetrina, o da trasmissione da salotto. Fortunatamente ci sono le persone giovani che riescono ad apprezzare la provocazione grafica, il riciclo artistico, la leggerezza di un’editoria diversa, lo straniamento generato dall’utilizzo di materiali improbabili che dissacrano e rinnovano il vecchio concetto di libro. In effetti produciamo tirature particolarmente elaborate, ma abbiamo anche libelli agili e frizzanti come i mail-book che sono assaggi di saggi sdraiati tra due cartoline. Sono molto provocatori, i titoli spaziano da La sfiga non esiste a Ozio estremo, da Mistica dello scrocco a Elogio della fuga...

Ci sono altri come voi?

Siamo convinti che la biodiversità editoriale, anche in Italia, sia ancora viva e vegeta e, di conseguenza, diamo per scontato che molte altre persone utilizzino la propria creatività per inventare, ribaltare e scomporre in mille palline colorate il concetto stesso di libro. Il punto è che queste persone, spesso, non escono allo scoperto.
Il desiderio di farsi il proprio libro è un fatto naturale, circola frizzante e vivace nel sangue di quasi tutti quelli che amano scrivere, disegnare, fotografare, cucire, tagliuzzare ed esprimersi con le tecniche più disparate. Purtroppo, però, il mito dello Scrittore Famoso che firma copie e guadagna treni di soldi, ha monopolizzato l’immaginario fino a bloccare totalmente lo spirito giocoso e avventuroso che dovrebbe caratterizzare qualunque progetto editoriale. È questo il vero guaio, il vero problema dell’editoria. Noi cerchiamo in tutti modi di risvegliare l’immaginario di chi scrive! Abbiamo anche realizzato un romanzo (Il pianeta degli scrittori e delle scrittrici) i cui personaggi sono tutti scrittori e, tutti, hanno validi motivi per uccidere lo Scrittore Famoso. I personaggi/scrittori sono tanti quante sono le lettere dell’alfabeto e, i loro nomi e cognomi, iniziano con la relativa lettera (Alonso Alani, Beba Berti, Camelia Calci...). Sono tutti scrittori estremi, particolari, ribelli che, in fondo, non riescono ad accettare un’unica definizione del concetto stesso di scrittore.
Comunque, frequentando con il nostro stand parecchie fiere del libro, ci capita spesso di parlare con persone che hanno il classico “manoscritto” nel cassetto e, a tutti, proponiamo di farsi il proprio libro, di autoprodursi la prima piccola tiratura creativa, di passare all’azione.
E poi siamo alla perenne ricerca di colleghi. Per ora ne abbiamo trovati ben tre: La Libera e Senza Impegni di Milano, la Verso Casa di Firenze, La Innesto Irreale di Bologna. Ciascuno produce i suoi libelli con stili e tecniche completamente differenti. È questo il bello dell’Editoria Creativa Casalinga! Così abbiamo deciso di metterci insieme e di dare alla luce una vera e propria Interstellare dell’Editoria Creativa Casalinga.

domenica 14 marzo 2010

Il libro del giorno: La tempesta. Il mistero di Giorgione (Morganti) di Paolo Mauresing

Uno scrittore giunge a Venezia per preparare la sceneggiatura di un film tratto dal Carteggio Aspern di Henry James. Nella città incontra l'affascinante Olimpia, che gli confida d'aver ritrovato un taccuino del romanziere americano e un racconto inedito ispirato alla figura del pittore Giorgione e al suo quadro più enigmatico, La Tempesta. Lo scrittore, attratto dal fascino della donna e desideroso di poter avere il prezioso carteggio jamesiano, avrà modo di incontrare un gruppo di studiosi, impegnati a svelare il messaggio che il pittore ha celato nel quadro che colpì anche Henry James. Attraverso un abile artifizio letterario, Maurensig fa rivivere la Venezia ottocentesca alternandola a quella odierna. Tutti i protagonisti, di ieri e di oggi, legati dall' attrazione per La Tempesta, si muovono tra calli, campielli e palazzi, cercando di svelare il messaggio esoterico celato dal Giorgione nel quadro; costui fu un personaggio unico, che visse e morì misteriosamente. Lo scrittore offre al lettore la propria personalissima, e assai convincente, interpretazione sulla simbologia del quadro e sulla personalità del pittore, scomodando teorie ermetiche, dottrine rosacrociane e massoniche.

Due creativi in libertà di Angela Leucci




Giovanni e Francesco sono due ragazzi. Sono molto giovani, ma questo non conta, perché quando si ha un sogno fin da bambini si finisce per trascurare il tempo che passa. E allora Giovanni e Francesco, dopo il liceo, vanno a Roma, alla facoltà di Arti e Scienze dello Spettacolo presso l'università La Sapienza, dove apprendono tecnica, fotografia e tutto quello che serve per trasformare il loro sogno in realtà. Ma quello del filmaker è un lavoro che si deve avere nel sangue, perché un bravo regista o un bravo sceneggiatore devono visualizzare la scena nella loro mente prima di girarla. E, in fondo, la tecnica non è tutto, e talvolta, nel senso lynchiano del termine, finiamo per temere che la tecnologia ci allontani da un sensibile sentire, dal cuore.

Giovanni (Vincenti) e Francesco (Luperto) sono in postproduzione con due nuovi cortometraggi, di cui uno in tandem, e l'altro del solo Luperto. Quest'ultimo corto, che ha visto la collaborazione storica dello studioso Salvatore Coppola, è un documentario ispirato alla figura del sindacalista salentino Pietro Refolo, in esilio in Francia durante il secondo conflitto mondiale, per sfuggire alla repressione fascista. Una figura interessante quella di Refolo, che “non si mise mai il cappello”, per così dire, non si piegò mai rinnegando i propri ideali, una figura da ammirare indipendentemente dalle nostre tendenze politiche. “Il mio desiderio non è spinto da ideali politici di parte – ha spiegato il giovane regista alla Gazzetta del Mezzogiorno – ma dalla volontà che la memoria storica su chi ha combattuto per la libertà, anche del nostro Salento, non vada perduta”.

Ma veniamo al corto che vede la regia a quattro mani di Vincenti e Luperto, dal titolo “Sua mafiesità”, una storia ambientata nel Salento, che parla del Salento attraverso i suoi luoghi e la sua “lingua”, l'idioma dialettale che fa sì che la narrazione sia più realistica. In “Sua mafiesità” non c'è nulla di reale, al di là dei possibili riferimenti a fatti a persone, che i due disseminano nel filmato, e che sono meramente casuali o forse no. Una tecnica che si ispira a quella modaiola di Quentin Tarantino, parodiato, portato all'eccesso fino quasi alla derisone, con un corollario, l'interpretazione magistrale, seriosa e seria a un tempo, di Simone de Lorenzis, attore, come si diceva al tempo del Neorealismo, “preso dalla strada”.

Questi due giovani registi hanno saputo raccogliere in pieno la parabola postmoderna e fanno sfoggio di quell'Orfeo, smembrato sì da donne tracie e da flussi di coscienza, ma ricoperto di sangue rigorosamente finto. Entrambi i corti saranno distribuiti dal prossimo aprile nei circuiti underground.

sabato 13 marzo 2010

Il libro del giorno: Banda larga di Vincenzo Pardini (Fandango)

Donata è una donna misteriosa dalla vita apparentemente irreprensibile. Eppure in casa sua nasconde un grande serpente che un cinese le ha venduto come "animale d'affezione e compagnia". Donata coltiva nel suo privato una torbida sessualità che la porta a relazioni ambigue, con uomini e con donne, finché il giro delle sue conoscenze inizia a essere scosso da morti accidentali... tutte molto sospette. Inizia con "La moglie del serpente" questa raccolta di storie criminali firmata da Vincenzo Pardini. In "Ferrovia parallela" il protagonista è in servizio sui treni e rimane prigioniero di un vagone, da cui non scenderà forse più, per un viaggio mozzafiato nelle viscere della terra. L'avventura non si conclude, resta aperta nel mezzo di una campagna innevata, forse la Siberia. La novella "Banda randagia" è la vicenda di un operaio che rinviene per caso in una cartiera una pistola. L'apparente routine di tutti i giorni verrà quindi sconvolta e il tranquillo operaio si trasformerà in un serial killer sanguinario, una spirale che si fermerà quando irromperà una banda di cani randagi. Sin dal primo racconto di questo libro fuori dal comune, si entra nel mondo di Vincenzo Pardini. Emozioni, passione, sangue, sensualità, misfatto e giustizia.

Un giorno come lei di Isabella Marchiolo (Abramo editore). Intervento di Rossella Montemurro

La famiglia rifugio, nido sicuro, àncora di salvataggio nei momenti critici. Dimenticate tutto questo: dopo la lettura di “Un giorno come lei” (Abramo, collana Le Onde) di Isabella Marchiolo, del concetto classico di famiglia rimarrà un ricordo sbiadito. C’è una madre, Catena, che ha deciso di fuggire e a causa del suo “colpo di testa” dettato dal coraggio o dall’incoscienza di inseguire quello che crede essere il “vero amore”, ferisce in modo irreparabile il marito e i due figli,Lorenza e Federico. Due giovani vite, queste ultime, che si troveranno a fare i conti con un dolore probabilmente mai affrontato del tutto, tanto da rimanere imprigionate in una condizione, essenzialmente psicologica, di perenne “sospensione”: Federico, tutto d’un pezzo sul lavoro ma incapace di sciogliere alcuni nodi nel privato (si rifiuta, ad esempio, di chiedere spiegazioni a Tiziana, la sua ex, sui motivi che l’hanno spinta a lasciarlo ad un passo dall’altare); Lorenza, donna forte solo in apparenza, capace di accettare la sfida del rischio, reinventandosi in una torbida doppia vita. Di “Un giorno come lei” colpisce la scrittura introspettiva che rende molto bene la complessità dei protagonisti e delle loro storie: è una trama che non lascia indifferenti e che non ha paura di misurarsi con alcune tematiche (il senso materno, la famiglia, il tradimento, solo per citarne alcune) completamente rivisitate, con forza, dall’autrice.

Il tuo è un romanzo “ispirato alle vite di quelli che scappano, per la fragilità. A quelli che restano, per il coraggio”. Hai affermato di aver conosciuto tanta gente che scappa e tra loro c’eri anche tu ma non sei mai riuscita ad andare fino in fondo. Quanto è stato terapeutico scrivere “Un giorno come lei”?
«E’ stato terapeutico scriverlo e soprattutto rileggerlo quando il mio personale “istinto fuggiasco” svaporava lentamente in una nuova consapevolezza di me stessa. E mentre ero al lavoro sulla revisione pensavo che il romanzo era anche un “dono di commiato”. Mi spiego: credo che la maggior parte degli esseri umani, in almeno un momento della vita, abbia desiderato scappare da qualcosa. Per alcuni (come Lorenza), la fuga è la rottura, l’evasione da un mondo che non si sente affine; per altri (come Catena), la fuga coincide con l’impossibile volontà di bloccare nel tempo un destino felice (o che si crede sia felice), per esempio un grande amore. A Lorenza ho regalato la possibilità di attraversare due vite e uscirne indenne, cambiando il corso delle cose, anche da sola e contro tutti. A Catena ho regalato l’utopia più dolce e irreale, quella di salvare l’irrimediabile declino di un amore, e per declino intendo il naturale “invecchiamento” di certi sentimenti che, al loro acme, sembrano promesse di felicità assoluta e senza ombre. Questo, se ricordi, era già il tema dell’ultimo racconto di “Comuni immortali”, ma lì i due amanti sceglievano una soluzione ancor più estrema per “conservare” l’eternità della passione».
Tra famiglie irrimediabilmente sgretolate e famiglie che non si comporranno mai (penso a Lorenza), alla fine quello che viene fuori è un ritratto molto disilluso della realtà contemporanea. La famiglia, che dovrebbe essere un nucleo protettivo, diventa invece in “Un giorno come lei” spesso causa di dolore. Per effetto di una reazione a catena, genitori, figli e amanti si ritrovano a vivere vite frammentate, per colpa di scelte dettate dall’emotività e dalla passione. C’è sempre l’assenza, volontaria, di qualcuno che provoca ferite difficilmente rimarginabili. E chi è rimasto è costretto a vivere in una sorta di “sospensione”, tra passato e presente. Pur di non rimanere soli, alcuni protagonisti sono disposti a fare scelte controcorrente. Hai ribaltato con coraggio il concetto di “famiglia”.
«Credo che oggi la famiglia stia sperimentando nuove forme di aggregazione e affettività. Ci sono le coppie di fatto, e tra queste le coppie gay. Ci sono sempre più famiglie allargate dove gli ex, anziché farsi la guerra, si aprono alla frequentazione dei nuclei nati dalle separazioni, sebbene lo facciano soprattutto per il bene dei figli. Non credo, come sostengono i “family men” cattolici, che queste novità sociali indeboliscano il concetto di famiglia. Anzi, queste forme contemporanee di stare insieme rafforzano l’idea che la famiglia sia un valore irrinunciabile, qualcosa di cui non possiamo fare a meno. Idea che mi trova d’accordo, mentre non sono affatto d’accordo sui fondamentalismi attorno al concetto di famiglia. In questo senso, le scelte spesso trasgressive dei personaggi nel mio romanzo sono una provocazione. Le storie di Catena, Lorenza o Federico, dimostrano quanto male possa fare una famiglia fondata solo sugli schemi, sul muro delle apparenze e delle convenzioni. Da madre, io non riuscirei a compiere la scelta di Catena perché nella maternità ho scoperto la mia autentica essenza, ho trovato la realizzazione di me stessa. Ma non significa che con questo io sia legittimata a giudicarla: quello di Catena è di certo un comportamento che sciocca e provoca dolori non rimarginabili, ma a nessuno spetta emettere giudizi. Essere madre non annulla l’essere persona: ci sono anche donne che non si riconoscono appieno nella maternità, e questa contraddizione porta con sé traumi personali dilanianti. E se non si è donne consapevoli non si può essere madri felici, neppure se la natura ha fecondato un altro essere umano nel proprio corpo».
Il rapporto tra Lorenza e Federico lascia presagire l’ombra dell’incesto, anche solo immaginato.
«Il sentimento che lega Lorenza e Federico è forte e doloroso. Nella loro affinità, nella loro attrazione, i due fratelli tentano di colmare un vuoto, una ferita aperta nell’infanzia e mai suturata. Fino a dove potrà spingersi la pulsione dell’uno verso l’altra è un limite “aperto”, che lascio alla delicatezza – o al coraggio – del lettore».
Nel romanzo racconti anche di due bambini scomparsi. Inevitabile pensare alla vicenda dei fratellini di Gravina. E’ una storia che ti ha colpita in modo particolare?
«Sì, mi ha colpito subito soprattutto la possibilità che, com’è ovvio, mai nessuno, nella cruda evidenza delle indagini, ha voluto dare alla storia di Ciccio e Tore: quella che fossero fuggiti di propria volontà e che, in qualche parte del mondo, fossero felici. Quando ho scritto il libro, ancora non sapevamo del tragico epilogo di questa vicenda, ma poi non ho mai pensato di cambiare la mia versione dei fatti. I “miei” fratellini si trovano in un posto molto più bello di quello che, nella realtà, gli ha assegnato la sorte».
E’ una scelta voluta quella dei vocaboli all’inizio di ogni capitolo che hanno a che fare principalmente con tematiche psicologiche (tipo insonnia, stordimento, afasia, dissimulare)?
«Non ho fatto una scelta di questo tipo. Mi interessava sottolineare il rigore del “dizionario Gallucci” in relazione al personaggio di Leandro. E poi ho pensato a un filo subliminale (quello sì, psicologico) con gli stati d'animo vissuti dai personaggi nei vari capitoli».
Quale tra i vari personaggi senti più vicino?
«Un po’ tutti, di certo soprattutto le donne. Amo molto Catena, per la sua fragilità e sincerità. E mentre
scrivevo ho imparato ad amare Anna: un personaggio a me antitetico, al quale sono riuscita a ritrovarmi affine e persino solidale».


Isabella Marchiolo ha pubblicato “Schermi dell’utopia – glossario dei calabresi nel cinema” (Ariel) e “Comuni immortali” (Palomar), vincitore del Premio Anassilaos Giovani.

venerdì 12 marzo 2010

Il libro del giorno: Il cattivo soggetto di Cavalluzzi-Rubini-Starnone (Manni editori)

Il cattivo soggetto è don Lucio, prete in crisi mistica. O forse Mimì Festa, irresistibile farabutto.
Di certo non Odette, incantevole cantante. Il cattivo soggetto è anche la vita che mescola continuamente il Bene dubbioso e fragile e il Male furbo, che assolve e si autoassolve.
È chiesa, prete, bandito, sangue: si guarda scrittura, si vedono mondi. Attraverso un campionario di personaggi, con un ritmo cinematografico, questa commedia gioca continuamente tra il grottesco e il giallo incalzando il lettore con una serie di situazioni a volte comiche, a volte commoventi, sempre avvincenti. La storia è quella di un uomo del Sud, Mimì Festa, che scappa da un passato nero e da una famiglia di malviventi che lo vogliono ammazzare.
Nella sua fuga incontrerà il prete di una piccola e tranquilla contrada, diventerà suo amico, ritroverà una donna e suo figlio e dovrà fare i conti con un’umanità che fino a poco prima sentiva estranea.

Argomento: Narrativa/Collana: Pretesti

Carlo Flamigni, Circostanze casuali (Sellerio editore)




















Come nella migliore tradizione del giallo, una persona conosciuta e rispettabile in società come il notaio Annibale Ricci Ribaldi (in realtà uomo laido e dai tanti vizi), con l’ “aggravante” di essere per giunta ricco di famiglia, viene trovato senza vita nel suo studio. Sorte analoga a distanza di poco tempo spetta all’ostetrica che ha fatto nascere i suoi figli. Un caso intricato e singolare, che viene affidato al questore Primo Casadei e la sua “progenie” di bizzarri investigatori. Quando si parla di un genere letterario come il Giallo, si deve sapere che fondamentalmente esso tende a rappresentare specularmente la vita, con tanto di intrecci di accadimenti casuali e fatti volontari, di tutta una serie di casualità che generano una serie di caoticità fastidiose che spesso però in maniera del tutto autonoma trovano il loro ordine e la loro esatta collocazione. Ovvero per dirla con la teoria del caos, un sistema dinamico si dichiara caotico quando a variazioni infinitesime delle condizioni degli ingressi, corrispondono variazioni finite in uscita. Di Carlo Flamigni, so che vive e lavora a Forlì e che è professore di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università di Bologna. Di lui ho letto “Un tranquillo paese di romagna” appartenente in tutto e per tutto a quei polizieschi lontani sia dal thriller d’azione che dal giallo enigmistico e che mi è piaciuto veramente tanto. Ora torna con “Circostanze Casuali” sempre per i tipi di Sellerio, con l’evidente intenzione da parte dell’autore che questo lavoro letterario non venga letto come un semplice giallo. Romanzo non solo ricco di sesso, ma anche di particolareggiate digressioni di natura sessuale che è meglio lasciare in mano del lettore, per non perdersi il gusto di tutta un’atmosfera fatta di questo, ma anche di malelingue, livori di provincia, e numerosi caratteri vividi, innaffiati da un retrogusto “dolcenero” di Sangiovese. Di solito molti scrittori di giallo sembrano perdere il focus dello stile per cercare di trovare soluzioni scritturali che siano attinenti solo alla suspence e ai colpi di scena, ma non è il caso di Flamigni, che nonostante quella filosofia di vita al sapore di “non ti curar di loro, ma guarda e passa” e che si insinua tra le fitte maglie di questo lavoro (cosa che tra l’altro in tempi come i nostri ricchi di tanto rumore non guasterebbe), Flamigni cura tutto l' intreccio narrativo, realizzando dunque un libro davvero ben scritto e coinvolgente, che segue un intreccio generale (l'inchiesta poliziesca) nelle cui svolte sono intrappolati tanti personaggi i cui destini si gonfiano in una specie di tumultuosa fiumana del destino.

Carlo Flamigni vive e lavora a Forlì. Professore di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università di Bologna, è stato Presidente della S.I.F.E.S. ed è membro del Comitato Nazionale per la bioetica.Presidente onorario dell'A.I.E.D., si occupa principalmente di Fisiopatologia della riproduzione e di Endocrinologia ginecologica. Con “Sellerio” ha pubblicato “Un tranquillo paese di Romagna” (2008).

giovedì 11 marzo 2010

Il libro del giorno: q.b. La cucina quanto basta di Sapo Matteucci (Laterza)

Delizioso, irresistibile, quasi un romanzo: un prontuario di cucina quotidiana per trarsi d’impaccio da ogni emergenza gastronomica. E non solo.
Vi piace mangiare, avete i vostri piatti preferiti e cucinarne degnamente alcuni è il vostro più grande desiderio ma non sapete nemmeno fare le uova strapazzate? I vostri amici sono soliti presentarsi alla porta inattesi, spesso di domenica, e preferibilmente ore pasti, mandandovi nel panico? Amate la buona cucina e provate una certa felicità di fronte a un piatto preparato con cura, specie se accompagnato dal vino giusto, ma la vostra inettitudine ai fornelli è ormai leggenda? ‘Sfamarsi’ da soli è proprio triste? Vorreste essere ricordati e non dimenticati, per un risotto? Siete ancora sotto shock per il vostro ultimo tracollo culinario? La cucina della zia è davvero irripetibile? Questo è il libro perfetto per voi. Arguto, originale, tutto da leggere, zeppo di idee inconcepibilmente semplici, q.b. di Sapo Matteucci è scritto per quelli che, a dirla tutta, non saprebbero cucinare (e forse non avrebbero nemmeno il tempo per imparare a farlo davvero) o temono se stessi in cucina, ma non per questo hanno intenzione di privarsi di un piacere tanto sociale, mondano, raffinato quanto intimo, estetico, esistenziale. Concreto e quotidiano.

Sapo (Saporoso) Matteucci, giornalista, ha lavorato per “Il Globo”, “Bell’Italia” e ha collaborato con “Traveller”. È vissuto a Firenze, Milano, Roma e Torino, dove ha lavorato nella casa editrice Einaudi. Attualmente è direttore responsabile della rivista della Società Italiana Autori ed Editori “Vivaverdi” e collaboratore di “Nuovi Argomenti”. Tra i fornelli c’è sempre stato ma finora solo gli intimi conoscevano le sue ricette.

Lovesickness di Michele Caccamo (Gradiva Publications)

Ormai posso dire non solo di conoscere la poesia di Michele Caccamo, ma anche di reputarmi un forte sostenitore della modalità espressiva che trasmette in quel suo fare versi singolarissimo. Finalmente ho tra le mani l’ultimo suo lavoro edito da Gradiva Publications in New York (di cui ho apprezzato da tempo il percorso editoriale) dal titolo “Lovesickness”. La cura editoriale e traduttiva è di Irene Marchegiani, e l’intervento post-fattivo di Maria Grazia Calandrone. Questo poeta, perché di poeta originale e “dulcissimo” si tratta, continua a stupire per alcuni aspetti che ora dimostrerò e legati soprattutto a quest’ultima raccolta poetica. La precedente produzione (penso a “Chi mi spazierà il mare” per i tipi di Zona e “La stessa vertigine, la stessa bocca” per i tipi di Manni) manifesta da subito un gioco ritmico dove le giustapposizioni di senso, gli accostamenti, le cesure, le metafore crude e ardite, risultano dense di un forte imprinting novecentesco. Sono poesie quelle della precedente produzione sature non solo di una insopprimibile malinconia e melancolia, ma manifestanti una tensione metafisica che fa sentire il poeta ora succube della terra ora padrone del cielo. Non insegue più dunque il vorace desiderio di corpi e pelle che si muovono nel suo ideale spazio lirico, non desidera più trasformare la sua poesia in una specie di bilancia che tenta di porre nel giusto equilibrio eros e amore, non vuole solo abbeverarsi del silenzio di una forte introspezione. Questa raccolta di versi invece è un inno alla speranza, un inno alla ricontestualizzazione del proprio slancio vitale nell’hic et nunc, un desiderio dialogante immenso e prepotente con il Divino, il Sacro, che è Donna, che è Maria, che è trans/gender, che è polifronte, che è Mistica. In questo dialogo sovrannaturale, Caccamo è cieco, come lo era Omero, e canta dell’eterna lotta tra angeli e demoni, tra sacro e profano, tra miseria e morte, tra infero e superno. Ma sa il nostro poeta che “come in alto, così in basso” e dunque in questo gioco di eterne finzioni, la fiducia nella parola deve essere massima, e in grado di creare paesaggi meravigliosi, chiari, tangibili dove i comandamenti dell’Amore creano una scienza esatta fatta di lirismo e trasfigurazione. Ma la vera legge, a mio avviso, che governa l’universo per versi di Michele Caccamo, è l’interrogarsi sulla finalità ultima e sulla plausibilità ultima del nostro esistere, quasi che questo domandare senza posa, imponga una indomita inquietudine che neanche l’Amore più alto potrà sedare. “Amore/noi viviamo in avvenire/come superstiti linee di gesso/ come fossimo un vento/fermato indurito/un tempo a due teste/ come ci fosse una distanza/tra stagni e stagni/ non ci fosse alcun fenomeno.” (pag. 94)


mercoledì 10 marzo 2010

Scassata dentro di Enzo Mansueto (D'If edizioni) alla Libreria Gutenberg di Lecce il 13 marzo















SCASSATA DENTRO
esplora l’universo poetico di Enzo Mansueto, agghiaccian-te e disincantato, suturando con metrica rigorosa e rabbia autentica testi editi e inediti in un nuovo organismo poetico destinato all’esecuzione.

Umanità alienata, orizzonti metropolitani, televisione, squallori notturni, algido lirismo, per un libro poetico dall’impatto forte, riflessivo, disturbante… Il cd allegato contiene le liriche del libro sonorizzate dai musicisti Davide Viterbo e Angelo Ruggiero, artefici, assieme all’autore, del progetto La Zona Braille. L’impianto sonoro varia dall’elettronica digitale e concreta alla composizione acustica, alle chitarre elettriche post-rock, intessendo in un flusso musicale mobile e autonomo la parola poetica.

Gli autori
Enzo Mansueto (Bari 1965), poeta, critico letterario e musicale, saggista, insegnante, ha fondato nel 1980 la band post-punk The Skizo, raccontata in Lumi di Punk (Agenzia X, Milano 2006). Ha partecipato a varî festival, reading e performance. Vincitore della terza edizione del premio di poesia «Laura Nobile» (Siena 1993), ha pubblicato le raccolte poetiche Descrizione di una battaglia (Scheiwiller – All’insegna del pesce d’oro, Milano 1995) e Ultracorpi (Edizioni d’if, Napoli 2006).

Davide Viterbo (Bari 1963), violoncellista, chitarrista, compositore, produttore, fondatore di diverse formazioni musicali, dagli Skizo ai Nura, ha collaborato con numerosi artisti. È in procinto di pubblicare l’opera strumentale Distant City.

Angelo Ruggiero (Bari 1961), cantautore, ha vinto nel 1991 il «Premio Recanati». Ha pubblicato gli album Regina dei Gatti (Musicultura-BMG 1993) e L’amore che non si può dire (Sottosuono 2005).

SCASSATA DENTRO” di ENZO MANSUETO (D’If edizioni)
Libreria Gutenberg, via Cavallotti 1 a Lecce sabato 13 marzo 2010 h. 18.30

in foto Enzo Mansueto (al centro) con il gruppo La Zona Braille

Il libro del giorno: Flashforward, avanti nel tempo di Robert J. Sawier (Fanucci editore)

Cosa succederebbe se l’umanità intera avesse la possibilità di vedere un frammento del proprio futuro? Il futuro dipende completamente da noi o è già stato scritto? E una volta conosciuto, lo accetteremo passivamente o decideremo di cambiarlo in ogni caso? A queste domande risponde Robert Sawyer con un romanzo avvincente, che affronta con competenza e profondità questioni di interesse scientifico e filosofico, come la responsabilità individuale e collettiva, la causalità degli eventi, la natura umana, riuscendo a innovare la migliore tradizione della grande fantascienza classica di Isaac Asimov e Robert Heinlein. Un’ulteriore conferma della statura di un autore giustamente considerato tra i migliori, che con Flashforward - Avanti nel tempo affronta uno degli argomenti più classici di tutta la fantascienza, ispirandosi al tema di Herbert George Wells nel romanzo La macchina del tempo. Flashforward è adesso anche una serie televisiva di successo, in onda su Fox, con protagonista Joseph Fiennes. Questo è il romanzo più amato e avvincente di Robert J. Sawyer, che adesso è anche una serie televisiva di successo in onda su Fox.

Robert J. Sawyer è oggi considerato uno dei massimi autori di fantascienza. Su Solaria sono usciti Avanti nel tempo (Solaria 6, giugno 2000), perfetto mix di avventura ed estrapolazione scientifica e sociale, e Processo alieno, originale legal thriller di stampo fantascientifico

La sposa gentile di Lia Levi (edizioni e/o)

Chissà per quale strana ragione del Destino, con Lia Levi ho avuto sempre a che farci, vuoi perché qualcuno mi consigliava un suo libro, vuoi perché mi sia trovato da spettatore (nelle rare occasioni in cui mi sono spostato da Lecce) ad assistere alla presentazione di un suo libro. Mi ha sempre sbalordito la dolcezza del suo sguardo, il suo sorriso accogliente, e i suoi modi gentili da donna di altri tempi. Mi piacciono i suoi racconti densi nel respiro di una scrittura che sa alternare leggerezza, piacevolezza e gusto sopraffino con grande maestria, in grado di eseguire ritratti dell’anima degni del più grande pittore contemporaneo. Insomma Lia Levi è una delle nostre scrittrici più interessanti.
Di origini piemontesi, Lia Levi vive a Roma dove per ben trent'anni è stata a capo del mensile ebraico “Shalom”. A Roma dalla prima infanzia, la signora Levi ha vissuto in questa città la maggior parte degli accadimenti più nefasti della storia del nostro paese: quelli segnati dalle “leggi razziali” del 1938. Ho seguito le sue vicende editoriali per la casa editrice E/O da “Il mondo è cominciato da un pezzo” sino a quest’ultimo lavoro e devo dire che non ha mai tradito le mie aspettative. “La Sposa Gentile”, fondamentalmente prende spunto da un intreccio familiare ambientato nel secolo scorso che ha come sottofondo una vicenda vera: l’avversato matrimonio di un giovane banchiere, figlio della borghesia ebraica piemontese, con una contadina cattolica. E’ la storia di Amos, giovane banchiere ebreo di una cittadina piemontese, che vuole diventare qualcuno e vuole mettere su famiglia. Una famiglia però di solido stampo patriarcale.
Si innamora fortemente di Teresa, una contadina cristiana del luogo, che diverrà il motivo principale per cui il loro matrimonio sarà caldamente osteggiato dalla comunità ebraica. Ma la forza dell’amore di Teresa per il suo uomo, porterà la giovane donna ad una scelta difficile ma ineludibile: quella di voler diventare anche lei ebrea. L’intera vicenda narrata nelle pagine di questo deliziosissimo lavoro, va dai primi del novecento sino alle leggi razziali del 1938, con un sottofondo di vicende politiche e di costume includenti l’età giolittiana, le prime agitazioni femministe per il diritto di voto alle donne, l’avvento del fascismo. Romanzo dunque storico e sentimentale, con protagonista un bellissimo modello di donna, Teresa, originale e in grado di accettare ciò che non conosce e di aprirsi senza pregiudizi e remore al nuovo che la vita le offre. Imperdibile!

martedì 9 marzo 2010

La Balena Mangialibri















Da giovedì 11 a domenica 14 marzo presso i Magazzini Ex Upim di Lecce si terrà la prima edizione di Balena Mangialibri - Festival di Letteratura e Illustrazione per l’Infanzia. La manifestazione è organizzata dall’Associazione Fermenti Lattici nell’ambito del progetto regionale “Principi Attivi – Giovani Idee per una Puglia Migliore” nella sua edizione 2009/2010, in collaborazione con Lupo Editore, Manifatture Knos, Cooperativa CoolClub, Farm e Festival Maggio all’Infanzia, con il patrocinio di Unicef, Provincia di Lecce e Comune di Lecce.
Balena Mangialibri è un festival nato per avvicinare i bambini alla letteratura e all’illustrazione attraverso il contatto diretto con l’oggetto-libro e tramite numerose attività: tre mostre d’illustrazioni, una video performance a tema, laboratori creativi, workshop, incontri letterari per grandi e bambini. In questa prima edizione saranno presenti con le loro ultime novità più di trenta case editrici italiane specializzate in pubblicazioni per l’infanzia.
Grande attenzione è inoltre riservata alle scuole primarie e dell’infanzia per le quali è stato predisposto lo speciale percorso didattico K-Bambini che prevede la visita guidata alle mostre, la partecipazione ai laboratori curati dalle Manifatture Knos e gli incontri con autori e illustratori. Luogo biblico, luogo fiabesco, luogo d’orrore ma anche di meditazione, il ventre della balena ospitò il profeta Giona che ne rimase imprigionato per ben tre giorni e tre notti. Molti secoli dopo una balena inghiottì Pinocchio e l’enorme stomaco divenne per Mastro Geppetto il luogo dell’attesa dell’incontro tanto desiderato col figlio. Il grembo della balena è immagine del ventre materno dove si gesta una nuova vita o del luogo ritirato dove si pensa ad un cambio di esistenza. Ispirandosi a questo immaginario l’associazione Fermenti Lattici vuole trasformare la pancia di questa strana balena in uno spazio d’incontro e di scambio che possa restituire un mondo pieno di libri e di bambini lettori. Tra gli ospiti del festival Arianna Papini, Giordano Aterini, Simone Nuzzo, Livio Sossi, Cristiana Valentini, Philip Giordano, Federica Iacobelli, Maddalena Gerli e molti altri autori e illustratori. Le mostre allestite saranno quattro: L’Equilibrio dei Sogni, in collaborazione con L’Istituto Europeo di Design di Milano; Big Faces, a cura di Big Sur Immagini e Visioni e in collaborazione con Gruppo Alternanza Scuola Lavoro del Settore Grafico Pubblicitario e Istituto d'Istruzione Superiore A. De Pace di Lecce; La Baleine Arc-En-Ciel, ovvero La Balena Arcobaleno, video performance interattiva che l’eclettico artista francesce Le Singe Vert ha progettato per i bambini del Festival; la Gattoteca dell’artista fiorentina Arianna Papini che comprende ventuno opere realizzate negli ultimi tre anni di lavoro i cui soggetti sono gatti. Inoltre nel corso del Festival saranno presentate le due nuove produzioni della casa editrice salentina Lupo: I Prepotenti, primo titolo della collana 33x33 che si propone di affrontare in chiave fiabesca, questioni attuali e di rilevanza sociale quali il rispetto del bene comune, l’ecologia, l’educazione alla legalità; Sotto mentite Spoglie nuovo numero della rivista UnduetreStella.
Il festival si chiuderà domenica 14 marzo con una lunga festa tra l’ex Upim e la vicina Piazza Sant’Oronzo dove busker, mimi e saltimbanchi animeranno la domenica del festival. Nel pomeriggio si terrà invece Favole Burro e Marmellata, una merenda durante la quale Balena Mangialibri incontrerà i bambini che hanno partecipato all’iniziativa L’incredibile viaggio di un libro in Book-Crossing partita nelle settimane precedenti alla manifestazione.
Balena Mangialibri è una balena bianca, verde, rosa, azzurra, a seconda delle occasioni colora ciò che ha intorno, è grande come Moby Dick, famelica come quella di Pinocchio e nella sua pancia accadono cose fantastiche. Attenti a non nuotarle troppo vicino, potrebbe scambiarvi per un libro.

Le scuole possono prenotare il percorso K-Bambini via mail scrivendo a info@balenamangialibri.it o telefonicamente allo 0832.092717 /340.4722974

Il libro del giorno: Tibet addio di Massimo Di Paola (Mursia)

«È il paese dove la natura è più selvaggia,

la luce del sole più intensa, l’aria più limpida
e frizzante, lo spazio più ampio
e gli uomini più buoni.»

Il Tibet, con tutte le sue contraddizioni, le sue meraviglie, le sue zone oscure, visto con gli occhi partecipi e commossi di un chirurgo romano che per sei mesi ha vissuto nel «paese sopra le nuvole» per istruire giovani medici tibetani e cinesi. Un incarico accettato per «curiosità» che si trasforma con il passare delle settimane in un’esperienza straordinaria tra lama, eremiti, malati, medici tradizionali, cantastorie, bambini sorridenti, commercianti, rigidi funzionari cinesi.
Un diario di viaggio che porta il lettore attraverso altopiani sconfinati, grotte oscure e città millenarie su cui pesa l’incuria: luoghi dove gli stranieri abitualmente non camminano ma in cui sopravvive il fascino di una cultura antichissima e di una medicina naturale che rischiano di scomparire sotto lo sguardo distratto del mondo.

Massimo Di Paola, nato a Roma nel 1948, laureato in Medicina, ha conseguito due specializzazioni chirurgiche. Ha partecipato a iniziative di formazione di chirurghi di Paesi emergenti in Madagascar, Somalia, Gibuti, Eritrea, Tibet, Iraq e Albania, dove è stato anche consulente del ministro della Sanità Kristo Pano nella riorganizzazione del sistema sanitario del Paese. I suoi progetti di qualità e umanizzazione del ricovero ospedaliero hanno vinto numerosi premi.

Storia del mondo arabo a cura di Ulrich Haarmann (Einaudi)

Tra il VII e l’VIII secolo gli arabi conquistano buona parte del Mediterraneo e dell'Asia, destando per la rapidità delle loro azioni grande stupore. I diversi califfati succedutisi da Maometto in poi, sono stati creatori e testimoni di una civiltà di gran lunga superiore a quella europea, e formatasi in tempi relativamente brevi. Una cultura quella islamica, ricca di tensioni interne ma soprattutto nella sua storia, piena di conflitti con mondi non musulmani e in perenne sfida e confronto con il mondo occidentale. Un confronto che nella più immediata contemporaneità è costato caro al mondo arabo visto che con la recente crisi finanziaria il tasso di disoccupazione ha raggiunto circa il 13% e che tenderà ad aumentare per la fine del 2010, nonchè perdite per ben 3 trilioni di dollari secondo quando dichiarato nel 2007 dai più illustri rappresentanti del mondo arabo riuniti in un meeting economico pan-arabo a Dubai. Per conoscere tutto questo e molto di più di un mondo a noi contingente sotto molti punti di vista, consigliamo un classico editato dal 1987 già diverse volte: “Storia del mondo arabo” pubblicato da Einaudi a cura di Ulrich Haarmann, e a cura di Francesco Alfonso Leccese per l’edizione italiana. Nuovi autori si affacciano in questa nuova edizione dove la complessità e le svariate problematiche del mondo arabo vengono analizzate sino agli anni 2000. Da evidenziare tra gli interventi quello di un esperto dell’Islam contemporaneo, come Reinhart Schultz, ordinario presso l’Università di Berna. La qualità del lavoro in questione è veramente grandiosa vuoi per rigore metodologico, vuoi per un grande respiro di analisi storica del mondo arabo, non più dunque secondo criteri legati allo sterile succedersi di dinastie, o ad un semplice studio dell’omogeneità antropologico-linguistica di quella zona geografica. L’approccio viene a strutturarsi secondo un processo d’indagine legato anche e forse soprattutto al fitto rapporto esistente tra logiche di potere e fenomenologie sociali nell’Islam. Vorrei segnalare i capitoli relativi ai secoli XIX e XX del mondo arabo, lo sutdio della formazione degli stati moderni in quell’area, la prima Guerra del Golfo. Studio originale questo dato alle stampe da Einaudi soprattutto per lucidità nel cogliere tutti quei condizionamenti che sono frutto di alternanti questioni oscillanti tra dogmatismo religioso e potere politico

Gli interventi presenti nel volume sono di : Monika Gronke, Ulrich Haarmann, Heinz Halm, Barbara Kellner-Heinkele, Helmut Mejcher, Tilman Nagel, Albrecht Noth, Alexander Schölch, Reinhard Schulze, Hans-Rudolph Singer, Peter von Sivers, Ulrich Haarmann

lunedì 8 marzo 2010

Il libro del giorno: Il frutteto di Vittorino Curci (LietoColle)

La raccolta propone testi prodotti dall'autore nel biennio 2007-2009. La scrittura di Curci è inconfondibile e originale nello sviluppo di testi in versi e in prosa secondo un'architettura che comprime in sintesi il pensiero per poi estenderlo in narrazione poetica.

L'IDEA DEL FUTURO NEL PASSATO

L'impulso dei minuti sulla mia strada senza luna/(dove guardo il tutto incerto di una folla silenziosa/nel sospiro che giudica il mondo). I frutti maturano/nel candido fulgore dei mattini. /I fatti sono questi./C'erano altri che avevano più fretta di noi./Battevano i pugni sulle porte razionando l'aria./Due di loro, supplichevoli, aggiungevano lacrime/alla pioggia. L'immotivata tensione della scena/irrompeva in luoghi e giorni del passato/dove i monaci-viandanti, le torri di sughero e i leprotti/sui treni, erano tutti/nel mezzoforte della voce, nel movimento delle braccia/in un racconto di guerra.

Succede spesso che i vecchi siano buoni profeti/(specialmente se hanno messo molto a capire)./Ma nel fiato della terra si è sempre soli./E io pensavo a cose a cui non avevo/mai pensato. A figurazioni che fanno razzia del tempo/senza farci soffrire.

Vittorino Curci è nato e vive a Noci, in provincia di Bari. Con LietoColle ha pubblicato "La stanchezza della specie" nel 2005 e "Un cielo senza repliche" nel 2008.

"Bianca come il latte, rossa come il sangue" di Alessandro D'Avenia (Mondadori)




















Leo ha sedici anni: vuole stare con gli amici, giocare a calcetto, e non si separa mai dal suo iPod. Di scuola neanche a parlarne, e i docenti non sono altro che dinosauri destinati all’estinzione. Leo viene a sapere che sta per arrivare un supplente di storia e filosofia, e quale occasione migliore, pensa il ragazzo, di fargli capire al prof. “nuovo di zecca”, che anche lui è uno di cui non ci si deve fidare più di tanto perché sta dall’altra parte della barricata, e merita dunque una certa attenzione con tanto di “cerbottanate” preparate ad hoc . Ma la storia è diversa: questo prof. carica di passione le sue lezioni, sollecita l’attenzione e la cura per il sapere e per i propri sogni. Tutto bello certo, ma col bianco che si fa, pensa Leo, che si fa con quel vuoto che sembra ingoiare tutto. Col rosso invece tutta un’altra faccenda: il colore dell'amore, della passione, del sangue; rosso come i capelli di Beatrice, il suo sogno. Un sogno però difficile da coccolare, da tenere tra le braccia, quando scoprirà che il bianco sta per divorare Beatrice, facendola ammalare, regalandole un male duro da inghiottire. Questo splendido libro racconta un anno della vita di un adolescente che oscilla tra ingenuità, voglia di speranza e disperazione, quel tipo di disperazione che un po’ tutti abbiamo problematicamente vissuto sulla nostra pelle. Già perché è facile identificarsi con Leo, sentirlo parte di se stessi, assaporare i suoi pensieri che ci proiettano in altri tempi, e in altri odori, colori e nostalgie. Alessandro D’Avenia ha tutte le carte in regola per diventare un grande scrittore, non certo perché è stato pubblicato da Mondadori. E’ riuscito a strutturare un’opera che si fa leggere volentieri, che arricchisce interiormente il lettore (direi quasi terapeutico) e soprattutto fa pensare in maniera positiva. “Bianca come il latte, rossa come il sangue” oltre ad essere un romanzo di formazione, è un testo scanzonato e brillante, intimo e tormentato allo stesso tempo, che può piacere anche agli adulti, che ne troveranno anzi sicuramente beneficio. Un libro insomma che non può lasciare indifferenti ed anche se pieno di parolacce amalgamate sapientemente con tanto di forza evocativa e immagini poetiche, si insinua nel cuore con delicatezza insegnando che se si vuole capire il perché di molte cose nella vita bisogna assumersi il rischio di tutto anche del dolore.

domenica 7 marzo 2010

Il libro del giorno: Ad personam di Marco Travaglio (Chiarelettere)


"Che un miliardario con aereo privato, mass media privati, partito privato e cimitero privato pretenda anche una giustizia privata è perfettamente nella logica."

Michele Serra


Corrompere giudici e testimoni, falsificare bilanci, frodare il fisco. E non essere processati. Sedici anni di leggi prêt-à-porter (1994-2010) ad personam, ma anche ad personas, “ad aziendam”, “ad mafiam” e “ad castam” per pochi potenti illustri. Dai decreti Conso e Biondi dopo Tangentopoli alla Bicamerale (“Il piano di rinascita democratica? Me lo stanno copiando con la bozza Boato”, esultava Licio Gelli). Per continuare con le leggi sul falso in bilancio, le rogatorie, le intercettazioni, con le norme pro Sofri e Dell’Utri, pro Sismi e Telecom, e con i condoni fiscali ed edilizi, con l’indulto del centrosinistra, con i lodi Schifani e Alfano, gli illegittimi impedimenti e il processo breve che fulmina gli scandali Mills, Cirio, Parmalat, Fiorani, Unipol, Calciopoli e le truffe della clinica Santa Rita. Tutti salvi. Sedici anni per tornare a Tangentopoli e a Mafiopoli, cancellando Mani pulite e la Primavera di Palermo, e beatificando Craxi, corrotto e latitante.


Marco Travaglio, editorialista e cofondatore de “Il Fatto Quotidiano”, collaboratore

fisso di Annozero, ha scritto fra l’altro "Mani sporche" (con G. Barbacetto e P. Gomez), "Se li conosci li eviti" (con Gomez), "Italia Annozero" (con Vauro e B. Borromeo), "Bavaglio" e "Papi" (con P. Gomez e M. Lillo), tutti editi da Chiarelettere. Per Editori Riuniti ha pubblicato una nuova edizione de "L'odore dei soldi" (con E. Veltri). Di grande successo il suo tour teatrale con "Promemoria" (Libro e dvd, Promomusic). Da poco in libreria il dvd "Democrazya 2009" (Casaleggio Associati). Cura anche un blog, voglioscendere.it, con Gomez e Pino Corrias.


"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distionzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Art. 3 della Costituzione italiana

L'Accademia dei Vampiri di Richelle Mead (Rizzoli)

“Piegai la testa di lato e scostai i capelli, lasciando scoperto il collo. La vidi esitare, ma la vista del mio collo e di ciò che le offriva fu troppo convincente. Un’espressione affamata, le attraversò il viso, e le sue labbra si schiusero, un poco, snudando i canini…”
Se dobbiamo parlare di “politicamente corretto” dovrei essere sincero e dire che lo è solo questo primo volume della serie Vampire Academy (negli Usa già al quinto volume) della scrittrice Richelle Mead, visto che tutti le altre pubblicazioni utilizzano un linguaggio a volte nudo e crudo e descrivono scene per niente adatte al pubblico di “giovani adulti” a cui ipoteticamente è destinata l’opera. “L’accademia dei vampiri” è nel nostro paese edito da Rizzoli. L’originalità di questa scrittrice sta soprattutto nell’aver creato due tipologie di vampiri assai differenti tra loro: i primi sono i Moroi buoni, vivi e soggetti alla Morte come tutti gli altri comuni mortali, tollerano la luce del sole e si nutrono solo del sangue di “volontari”; i secondi sono gli Strigoi, non-morti e immortali, insolenti, perfidi, notturni e desiderosi di nutrirsi sangue Moroi. L’alternativa genomatica è rappresentata dai Dhampir metà vampiri e metà umani, che sono stati “programmati” per divenire i guardiani dei Moroi. Queste ultime due specie sono soliti muoversi in coppia, frequentano la stessa accademia, studiano più o meno le stesse materie. Le vicende raccontate in questo libro riguardano la bella Lissa Dragomir, principessa Moroi, “succhiasangue” mortale, vessata dalle minacce degli Strigoi, vampiri più pericolosi, agguerriti, nonchè immortali. Rose, la sua custode, è una Dhampir, “una mezzosangue”. Le due ragazze, dopo due anni a contatto con la dura realtà (viaggiando tra Portland e Chicago) vengono riportate a St. Vladimir's, l'Accademia dei Vampiri. Solo leggendo l’intero romanzo, il lettore potrà scoprire perchè le due ragazze sono fuggite, le gerarchie di casta e i rapporti che ci sono tra i vari studenti dell’accademia, quali sono poteri di cui è dotata Lissa e molto, molto di più il tutto tra una fitta serie di impegni delle protagoniste che comprendono balli, nnamoramenti, flirt con i più anziani, fascinosi coach e conflitti senza esclusione di colpi con gli insidiosi Strigoi . Senza ombra di dubbio si tratta di una bella sorpresa questo romanzo della Mead, sotto ogni punto di vista sia scritturale, che ideativo. La prima cosa che mi è venuta in mente leggendola è che si trattava di un esperimento da laboratorio meravigliosamente riuscito che lo collocava a metà strada tra Harry Potter e Twilight. Ad ogni modo dire che è per un pubblico di 12 anni mi sembra azzardato. Imperdibile per gli amanti del genere!

"Fuori i secondi" di Vito Antonio Conte (Luca Pensa editore) visto da Elisabetta Liguori

Ora lo so che leggere chi ami è più doloroso. Vito Antonio Conte ha mandato in stampa all’inizio dell’anno una nuova raccolta di scritti per Luca Pensa Editore, dal titolo evocativo “Fuori i secondi” ed io da allora mi tormento. Mi tormento perché ormai lo so bene che non potrò far finta di nulla. Non potrò restare indifferente e non rendermi conto di quanto sia cambiata la mia vita negli ultimi dieci anni. Oggi non leggo per leggere, oggi leggo per capire, per confermare, oggi leggo per sopravvivere. Quello di Vito Antonio Conte è esattamente quello che io definirei un manuale di sopravvivenza, infatti. Il manuale di chi sa. Perché diciamolo una volta per tutte: non è che la lettura fortifichi gli animi come a volte si è detto (mentre altre volte si è sostenuto che la scrittura renderebbe più inquieti). Non è vero, ché (ecco lo vedete: uso le causali come fa Vito Antonio e già divento come lui) ci sono letture che mettono in discussione ogni percorso, ogni ricerca. E dall’ultimo passo equivoco poi tocca ricominciare a costruire sovrastrutture, corazze, schermi. Ricominciare sempre, a prescindere dagli esiti.

La lettura degli scritti di Vito Antonio Conte, in particolare, riporta alle origini. Rende innocenti e come tale più fragili. E’ nudità che si espone e restituisce alla vista le radici, come acqua che cade dall’alto abbondante e, nutrendo la pianta, scopre svuota il vaso che la contiene. Non a caso il luogo principe in cui gli eventi (i pochi), i pensieri (i tanti), le suggestioni contenuti in questa raccolta, trovano corpo è il motel. Il non luogo per eccellenza. Non un “dove” fisico ma un concetto astratto. Un’entità che si oppone agli abituali luoghi antropologici, proprio per il suo non essere identitaria, relazionale in senso sociale, né storica. Un luogo nudo nel quale, meglio che altrove, si può far scrittura. Scrittura radicale. Per comprendere immaginiamo qualcosa di simile a quanto teorizzato da Marc Augè. O qualcosa di vicino allo sguardo di Hopper. Immaginiamo una sosta, un transito, un ristoro solitario. E un uomo che vi scrive dentro. Immaginiamo la scrittura generata da quella nudità, scaturita per reazione grazie alla sensibilità estrema e modernissima (la surmodernità di cui scriveva Augè appunto) che caratterizza alcuni scrittori, a volte incapaci di affidarsi a confini temporali angusti o a banalizzazioni geografiche. Immaginiamo di trovarci in luogo bianco dove tutte le diversità diventano una, semplice, sola vita. Un luogo primitivo ma attuale, colto nell’istante più precario e a quello inchiodato. Immaginiamone lo stordimento e la gioia. Il piacere assoluto e breve. Per Vito Antonio Conte è “non luogo” anche un cellulare, una bicicletta, l’Orient Express, una via come quella dei Cavamonti nella Valle della Cupa. Immaginiamo forme pure, simboliche, incorporee, del sé. Ecco, è quel non luogo a parlare: il poeta è solo un fruitore. La sua unica responsabilità resta quella nei confronti di se stesso e del proprio viaggiare. Nei viaggi di Conte, le luci sono coperte dai foulard. Le parole non hanno maiuscole. La musica canta il mondo. Tutto si muove naturalmente senza fini imposti, al ritmo del respiro e del cuore, e non ha alcun senso chiedere e chiedersi: come stai? Qui la scrittura semplicemente sta. È nelle cose. Si muove con le cose. Le strade sono note, si attraversano con il naso all’insù. E’ il camminare che conta. Non la strada, ma è il ritmo dell’andare, che fa da guida alla narrazione. Questo andare costruisce una certa idea di uomo. Passo dopo passo, l‘uomo di Vito Antonio Conte ha le sue intuizioni jazz (qualcosa che ricorda le acrobazie musicali del sommo maestro Paolo Conte). C’è il mondo in quelle intuizioni. Tondo ed enorme. Come molti di coloro che si dedicano alla scrittura per necessità vitale, Vito Antonio Conte si sforza di raggiungere quella intuizione, di toccarla con le dita nella terra nuda, ma è fatale: ogni volta che egli si avvia sulla sua bicicletta, col vento che gli dà coraggio e abbrivio, finisce sempre per scoprire che l’intuizione è dietro di lui. Irraggiungibile, inviolabile. “Un giorno ti lasciai per un interno folle miraggio e me ne andai lontano. E me ne andai per ogni suolo estraneo cercando amore. E l'amore cercai, l'estate e il verno… e sempre andai cercando amore. Corsi cercando amore, ma l'amor non scorsi, e da casa tornai malato in cuore”, sussurra il Bell’Antonio di Brancati rivelando la sua impotenza. La stessa impotenza della bellezza torna nelle pagine di Vito Antonio Conte con lo stesso struggimento. Non è ovviamente un’impotenza sessuale, ma ugualmente dolorosa, sommersa e dolce. A volte sorniona, a volte incantata. Perché, moderno Sisifo, il vero poeta può raccontare soltanto la sua illusione.

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