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lunedì 24 agosto 2009

Il libro del giorno: Rote Armee Fraktion. Il caso Baader-Meinhof di Stefan Aust (Il Saggiatore)

Germania, fine anni sessanta. Frustrazione e rabbia aggrediscono la sinistra extraparlamentare e il movimento studentesco dopo la formazione della Grosse Koalition, l'uccisione di uno studente per mano della polizia e l'inasprirsi della guerra in Vietnam. Lo sdegno si trasforma in protesta, la protesta in resistenza, la resistenza si perde nel terrorismo. Ulrike Meinhof, giornalista militante della sinistra radicale, Gudrun Ensslin e Andreas Baader, appena evaso di prigione, danno vita alla Raf. Gli attentati del gruppo, al quale si unisce presto Jan-Carl Raspe, colpiscono la Repubblica federale in una successione diabolica; rapine e omicidi irrompono in maniera devastante. La guerra terroristica turba e disorienta l'intero paese, scuote l'indifferenza della borghesia, mette in crisi il meccanismo di rimozione del dopoguerra. Stefan Aust, testimone diretto di quella drammatica svolta, ripercorre le storie personali dei protagonisti, dagli esordi del 1970 alle azioni dell'"autunno tedesco" del 1977, dal rapimento di Schleyer, potente industriale, al dirottamento di un aereo della Lufthansa, fino al raggelante culmine della parabola della Raf, la "notte di Stammheim", in cui i fondatori del gruppo terroristico furono trovati morti nelle loro celle. In parallelo alla banda Baader-Meinhof agisce lo Stato: la linea dura della repressione e lo spietato regime carcerario imposto ai detenuti tracciano il volto di una Repubblica tormentata nelle sue contraddizioni.

"Rote Armee Fraktion (Il Saggiatore, pagg 531, euro 26) di Stefan Aust, caporedattore del settimanale Der Spiegel e cronista della rivista konkret, nonchè collega di Ulrike Meinhof, è la lucida analisi di un decennio di vita della banda, nel contesto difficile di una Germania che non aveva finito di fare i conti con le pesanti colpe collettive del proprio passato"

di Rock Reynolds tratto da L'Unità del 24/08/09, p. 32

casa editrice Il Saggiatore: http://www.saggiatore.it/home_saggiatore.php?

Rote Armee Fraktion. Il caso Baader-Meinhof di Stefan Aust
2009, 531 p., ill., brossura, Il Saggiatore (collana Storia)

domenica 23 agosto 2009

La tigre di Dark0



Il respiro della tigre,
lambisce l'anima,
e ti scalda dentro.

I suoi artigli,
delle catene si fan beffe,
tagliano il ferro,
solleticano le stelle.



Le sue strisce,
sono nero ebano nel bianco manto,
sono lunghe e sinuose,
come oscura passione.

La coda si agita inquieta,
sferza nel vento,
da forma a nuove geometrie.

Invisibile ombra,
si aggira inquieta,
della morte compagna,
e di vita maestra.

la tigre:
incubo dell'innocente agnello.

Qui trovate l'autore: http://i-am-dark0.blogspot.com/

Il libro del giorno: La parrucca di Mozart di Jovanotti (Lorenzo Cherubini) per Einaudi


Affascinato dal prodigio di Salisburgo, che a 5 anni già compone, a 6 si esibisce al cospetto dell'imperatrice d'Austria, a 11 ha prodotto oltre cento composizioni e a 35, quando muore, lascia 626 opere, Lorenzo Cherubini si è gettato a capofitto nell'ascolto della sua straordinaria musica, nelle biografie e nei saggi critici e soprattutto nelle centinaia di lettere scritte dallo stesso Mozart, per afferrare il segreto di quella musica. Eppure, più si entra in contatto con la sua essenza e meno "si riesce a fare chiarezza", anzi si rimane "ancora più confusi e invischiati nel suo mistero". Da tutto questo cercare è nato questo volume, un libretto d'opera in tutto e per tutto. Ma non solo. Un racconto appassionato, ironico, gioioso, a tratti melanconico, della sua breve ma intensa esistenza: il rapporto con il padre, con la sorella-amica Nannerl e la moglie Costanza, le fitte relazioni con il potere e con l'aspetto ludico della vita, e ancora la ferrea disciplina e l'impetuosa spensieratezza. Con parole che fanno pensare, con canzoni in rima che fanno ballare, con disegni che fanno immaginare, Jovanotti regala a lettori grandi e piccini un incontro insolito e fascinoso con la musica del maestro austriaco, "convinto che nella musica ci sia una chiave per innamorarsi del mondo". "La parrucca di Mozart" è andata in scena per la prima volta nel 2006 al Teatro Signorelli di Cortona con le musiche e la regia di Bruno de Franceschi. (Prefazione di Daniel Harding)

"Il libretto in questione è scaltro abbastanza per intrigare un pubblico giovane(...)"

di Margherita Oggero tratto da Tuttolibri de La Stampa del 22/08/09, p. V

La parrucca di Mozart di Lorenzo Cherubini (Jovanotti)
2009, VI-89 p., ill., brossura, Einaudi (collana Super ET)


casa editrice Einaudi: www.einaudi.it

Alexander Calder: la scultura diventa gesto. Di Maria Beatrice Protino






























Il suo lavoro è concettuale e allo stesso tempo intriso di poesia e giocosità.
Era un omone dall’aria burbera, ma dall’animo di un bambino. Si scopre subito il suo spirito ludico assistendo ai due filmati sul Circo Calder che dal 18 marzo al 20 luglio scorsi ha aperto la mostra “Les années parisiennes, 1926-1933” al Centro George Pompidou, a Parigi, dove si è voluto compiere un’esposizione dedicata allo scultore statunitense più influente del ventesimo secolo.
Famoso per l'invenzione di grandi sculture di arte cinetica - chiamata appunto i mobiles – si dedicò anche alla pittura, alle litografie e alla progettazione di giocattoli.
Quando arriva nella capitale francese è il 1926 e C. ha 27 anni: è già un giovane pittore e illustratore satirico formatosi nelle scuole di Philadelphia e New York carico dell’iconografia del nuovo mondo, fatta di pellerossa, cavalli e treni a vapore. A Parigi, attraverso una ricerca estetica che lo vedrà in contatto con i protagonisti delle avanguardie del ‘900 – da Picasso a Mirò, da Man Ray a Mondrian - inventerà il drawing in space, un’audace declinazione della scultura moderna, disegnata nello spazio da linee di forza in grado di rappresentare oggetti verosimili e figure astratte, che lo renderà uno dei più grandi scultori del 1900.
I mobiles degli anni '30 sono il risultato logico di una ricerca imperniata su segno e movimento, forse riferibili a una ricerca dell’artista di tipo costruttivista.
Calder compie nei confronti del materiale industriale un’impresa di détournement di matrice situazionista – per cui si opera uno straniamento che modifica il modo di vedere oggetti comunemente conosciuti, strappandoli dal loro contesto abituale e inserendoli in una nuova e inconsueta relazione per avviare un processo di riflessione critica: si pensi ad esempio al collage e al montaggio.
Creerà, così – dopo il passaggio attraverso l’astrazione geometrica, le sfere e le ellissi, e poi le forme biomorfe e organiche - i grandi stabiles, le monumentali opere fisse in metallo verniciato destinate al paesaggio urbano che oggi possono essere ammirati in molti parchi francesi e non solo – si pensi al Teodelapio in acciaio verniciato realizzato per Spoleto nel 1962.
Animali di piccola taglia di metallo piegato, una rivista di sue illustrazioni, giocattoli colorati, i mobiles circensi, i cavalli e i leoni, gli acrobati: i primi lavori di Calder offrono una chiave di lettura per la sua arte, l'arte di un ispirato DIYer, l’arte del fai-da-te, di un mago che con materiali di base, spesso riciclati, e meccanismi primitivi – in pratica oggetti tenuti insieme da fili - crea scultura.
Si passa poi ai personaggi quotidiani ispirati dalla stampa, dallo sport, dal mondo dello spettacolo, ma riprodotti sempre con umorismo caricaturale.
Ed è proprio nel Circo che si riassume tutto l’universo di C.: luogo dove il movimento diventa performance, la scultura gesto, l’infanzia coscienza collettiva.

sabato 22 agosto 2009

Come fanno le serpi a primavera di Patrizia Ricciardi (Lupo editore)

Noi camminiamo al vento, gli occhi storti, soli di fatto e aspri nel respiro.
Nell’essenzialità espressiva di questa raccolta, la poesia appare come suprema dignità del dolore e della solitudine, come cifra di verità difficili e trasfigurazione del quotidiano.
C’è qualcosa di eversivo nelle poesie di Patrizia Ricciardi, un fermento sotterraneo che percorre il linguaggio di ogni giorno che si fa allegoria e percorso.





Cosa ci legherà di più di un mezzo
amore?
Un mezzo amore basta
per viversi oltre
per guardare il nulla
per trovarsi nel diniego
per lasciarsi,
questo è il meno

OUT Deluxe (Cagliostro E-Press) di Marco Laggetta*

Cagliostro E-Press recupera, in antologia, il meglio della fanzine underground OUT.
Era il 1998 quando uscì il primo numero di Out. Animi incandescenti, voglia di sperimentare, un pieno di ossigeno per i polmoni, nuove idee e nuove storie per la testa e per lo stomaco. Fanzine come sinonimo di controcultura. Out per puntare il dito sulle cose sbagliate, le persone, le parole sbagliate, gli esclusi dal discorso che poi sono il solo discorso da prendere a cuore. Oggi OUT torna con un formato tutto nuovo e la stessa identica voglia di provocare, per i tipi della Cagliostro E-Press.
L’obiettivo di Out è sempre stato quello di centrare il nucleo di un fermento sotterraneo sconosciuto ai più: ci sono in ogni arte molte piccole realtà underground, dislocate e sincretiche, che si muovono in punta di piedi parallelamente alla cultura massmediatica, per colonizzare nuovi territori e covare le loro uova. Fumetti, illustrazioni, articoli, poesie, racconti... tutto questo è Out. Nuovi e vecchi autori con in comune la medesima urgenza di raccontare. Alla miglior produzione dello storico gruppo OUT si aggiungono, in quest'edizione di prestigio, i contributi speciali di nuovi e giovani autori del fumetto underground italiano, fra i quali basti citare i pugliesi Mauro Gulma e Claudia Piccolo, entrambi alle prese, nelle loro storie, con la ricerca ed il senso della libertà. Il primo, nella sua “Prison/life”, illusione ultima di un condannato a morte, sorprende da un lato per il cinismo e la lucidità della sua narrazione, dall'altro per la scelta di uno stile fortemente caricaturale: un connubio degno della migliore tradizione eisneriana.
La seconda, in “Animalaux”, racconta, con un umorismo poetico, la scelta della prigionia come rinuncia volontaria alla libertà. OUT Deluxe racchiude 140 pagine di originalità e sperimentazione, di assoluta, prorompente, irriverente libertà espressiva. Nella collana PTP della Cagliostro E-Press torna, in un volume antologico, curato da Baldo Di Stefano, una delle fanzine storiche del fumetto italiano underground, una vera chicca per intenditori.

*redazione Talkink

venerdì 21 agosto 2009

Il libro del giorno: Oggetti smarriti e altre apparizioni di Beppe Sebaste (Laterza)

Sono tanti gli oggetti smarriti e i fantasmi nelle nostre vite. Il catalogo è questo. Mazzi di chiavi, telefoni, biglietti da visita, occhiali da sole, documenti e palloncini colorati scappati via da mani bambine. Ma anche gli ‘ego’ individuali, i ‘soggetti’ intesi come idee e storie che perdono e si perdono fino a un gesto che affiora in un ricordo. «Mi ha guidato nella scelta un’idea dei margini, forse anche un’idea del fantasma. I fantasmi sono dolorosi, i fantasmi sono necessari. I fantasmi sono quello che ci manca – e se la felicità è quello che ci manca, disse una volta Carmelo Bene, essa ci deve mancare. Oggetti smarriti sono frasi, racconti, avventure, occasioni, protocolli di esperienza, alcuni recentissimi, altri remoti. Hanno in comune, oltre a una scrittura ibrida, tra il documentario e la finzione, il sentimento di essere perduti».

"Gli oggetti smarriti escono dalla nostra vita. Per una dimenticanza. Per una scelta. Per un caso. Sono cose. Non solo. Persone. Pensieri. Stati d’animo. Sentimenti. Fantasmi. Che si fa fatica - e dolore - a ritrovare. Ad acchiappare. Non certo a ripensare. Ma restano lì, annidati nella memoria. Non più sotto i nostri occhi. Forse più veri e vivi degli oggetti trovati. Oggetti smarriti e altre apparizioni è il Leitmotiv che attraversa gli scritti di varia natura ed di varie epoche raccolti per Laterza, sotto l’omonimo titolo, da Beppe Sebaste"

di Gino Dato tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno.it

casa editrice Laterza: www.laterza.it

Robin Hood punto Net di Simona Ruffini (ed. Lupo). Una favola ai tempi della rete secondo Silla Hicks

Non ho mai creduto alle favole. Né io né mia sorella ci abbiamo mai creduto: non ne abbiamo avuto il tempo con tutto il casino che ci ha afferrato da piccoli e ci ha raccontato la vita prima che potessimo capirlo e scegliere se amarla o no.
E anche adesso preferisco il neorealismo e la crudezza del neon alle commedie romantiche e alle luci soffuse, e se penso a una storia d’amore penso a una tragedia, immensa e spietata, una lettera scritta col sangue … amare è un gioco di morte, non una passeggiata tra i fiori.
O almeno, è così che è se è amore, perché le coincidenze capitano di rado e quasi mai ci si incontra e ci si riconosce nello stesso istante, quando basterebbe stendere la mano e prima che altri corpi e altre storie ci vincolino, o dopo che sono svaniti via: quasi sempre, i tempi non coincidono, come per un uomo ed una donna a letto, siamo geneticamente condannati a rincorrerci e a smarrirci, e Marquez Gabriel Garcìa, vecchio saggio visionario ha ragione, ci vuole una vita per ritrovarsi, e ne vale la pena anche … ma frattanto è l’inferno, e un inferno che ci intrappola quasi sempre soli.
È la premessa che devo fare, prima di parlare di questo libro (Robin Hood punto Net di Simona Ruffini, Lupo editore), che è una favola, appunto, e che come tale non m’appartiene, e non poteva entusiasmarmi né commuovermi, perché non l’ho mai visto un film con Meg Ryan, io.
E avrei pensato persino fosse per bambini, visti i caratteri grossi e tondi con cui è stampato, se non ci avessi scovato dentro - a tradimento - citazioni densamente adulte, prima tra tutte quella November Rain dei Guns’n Roses che Giuseppe canta nel suo inglese storpio ogni volta che il pensiero di lei gli folgora il cervello, come ho imparato a intuire avendolo da una vita amico, e che anche per questo mi conquista e commuove, come nessun lieto fine sa fare.
Perché, superato l’impatto iniziale, questa storia che pare costruita di mattoncini Lego tanto è semplice e semplificata invece si rivela non esserlo per niente, come un quadro naif, in cui le pennellate ingenue sono frutto di elaborato studio, e per capirlo guardate da vicino la tigre di Ligabue.
Più che raccontino, è destrutturazione consapevole, e più che una favola appare essere un tool, uno strumento, nel senso di modello costruito eliminando le variabili inutili rispetto alla teoria che si vuol dimostrare per consentirne uno studio che punti dritto al senso.
Pur con tutti i limiti che questo processo di alleggerimento comporta, e che finiscono per condizionarne la voce, non si può non riconoscere a questo libro un registro autonomo, e non intravederne dietro tutto un percorso che è ricerca, e come tale entusiasmante, in una classe che in genere copia, e anche male.
Perché personalmente è questo che mi resta, quando leggo una riga o mille pagine, l’impronta: il resto, il contenuto, può starmi vicino oppure no, e spesso è no, quasi sempre, anzi, ma ammetto che non si può raccontare il mondo solo attraverso Roth, Palahniuk e Kureishi, guardarlo solo come io lo guardo, perché ognuno ha i suoi occhi di colore diverso, che vedono diverse cose uguali.
E di sicuro questa ragazza che dal risvolto di copertina sorride con la faccia da liceale anche se ha la mia età non ha il mio stesso sguardo, ma ha le palle di cercarsene uno suo, e pazienza se indulge nel buonismo – Omar lo zingaro/principe azzurro, giusto per citarne una – e tenta l’impresa disperata di una polaroid del nostro tempo finendo per tagliare troppe teste fuori dall’inquadratura.
Perché trattare – tutto insieme - d’immigrazione, precariato, licenziamenti, nuovi poveri, traffico d’organi e così via può riuscire nello spazio di un film solo se si è Ken Loach, e nemmeno sempre: pretendere di farlo in forma di tavoletta lieve, poi, è impossibile, ci vorrebbe lo sguardo disperato del Fellini migliore – quello di Zampanò – per almeno provarci.
Ma se non si vuole guardare ad occhi spalancati la tragedia nascosta dietro la maschera, bhè, allora non credo sia possibile. Non credo. Ma sto qui, e aspetto di leggere quello che la ragazza di cui sopra deciderà di scrivere, ancora. Non è detto che ci riprovi, tantomeno che ci riesca, è chiaro, ma questa volta ha tentato, ed è un miracolo, in questi giorni densi di parole ripetute, originali quanto temi di maturità estratti dalla cartucciera, che affollano scaffali e librerie e discorsi. Non concordo su quello che scrive, né su come lo fa, lo dico e lo ripeto, ma non credo le importi, e le sono grato. Perché sono quelli come lei, che fanno esperimenti, che prima o poi vanno da qualche parte. E intendo: da qualche parte nuova.

giovedì 20 agosto 2009

Sandokan di Hugo Pratt (Rizzoli-Lizard). Rec. di Vito Antonio Conte















La notizia girava nell'aria (di chi, come me, respira letteratura disegnata) già da un po': per dirla con Alfredo Castelli (curatore del progetto editoriale, nonché autore della nota introduttiva “Se vuoi, questa non la racconto” del libro di cui vi dico), “La vicenda del era già vecchia nel 1971...” e, con le parole di Claudio Gallo (che ha curato la nota di chiusura del libro), “La notizia della possibile esistenza di una versione a fumetti di Sandokan illustrata da Hugo Pratt circolava da anni tra gli appassionati di Emilio Salgari e nei Forum Internet a lui dedicati. Lo stesso Pratt aveva contribuito a creare attorno all'opera un alone di leggenda, negandone e poi confermandone l'esistenza...” e, finalmente, dopo quarantanni, nello scorso maggio, ha visto la luce (che di parto - e difficile- si tratta) “Sandokan”, opera postuma di Hugo Pratt (ch'è andato a visitare altri sogni il 20.8.1995, partendo da Losanna) e Mino Milani (1928, i suoi testi sono stati illustrati dai più grandi disegnatori italiani, tra i quali Milo Manara, Dino Battaglia, Sergio Toppi e -appunto- Hugo Pratt) per i tipi Rizzoli-Lizard (2009, pagine 79 in B&N, € 25,00). Ho scritto “finalmente” e non a caso ché in fine si è scoperto cos'è quest'opera: facile pensare a una riduzione in tavole disegnate del famoso libro di Emilio Salgari, ma “Le tigri di Mompracem” realizzata da Pratt nel 1969 per il “Corriere dei Piccoli” (e, ripeto, soltanto ora pubblicata) di che... Pratt era fatta? Il segno è indiscutibilmente il suo, quello di Hugo, poco più che quarantenne, che però non era ancora così (in una parola) “magico” come poi divenne dopo la creazione di Corto Maltese, per il quale, si dice, non portò mai a compimento il suo Sandokan. Il gentiluomo di fortuna che, come ha notato Castelli, è già contenuto ne “Le tigri di Mompracem”: basta togliere i baffi a Yanez e appare un primitivo Corto Maltese (a sua volta alter ego dello stesso Pratt). E “finalmente” si può leggere e vedere quest'opera inedita, persa e ritrovata, ma definirla -come si legge sul cofanetto che contiene il libro - il vero Graal del fumetto italiano significa esagerare, a meno che non si sia voluto, con quel richiamo, far riferimento -appunto e esclusivamente- al ritrovamento! E al conseguente clamore... Ché per il resto (a parte la somiglianza sopra notata di Yanez con Corto Maltese... di sicura importanza) rimane oscura tanta enfasi, non essendo poi fondamentale nell'opera prattiana (ch'è immensa: non solo per volume, ma soprattutto per qualità) questa storia. Almeno questo è il mio pensiero. E lo correggo subito dicendo che non ritengo si tratti soltanto di una “speculazione” editoriale, ma una storia monca, quale questa è, rimane pur sempre tale, anche se a disegnarla e a sceneggiarla sono stati due pezzi da novanta del fumetto italiano. Anche se Hugo Pratt è l'autore che (per tutto quel ch'é stato nella vita* e continua a essere nell'arte -non solo del fumetto, basti pensare ai suoi acquerelli- e ancora...) amo di più. Forse è proprio per questo che “Sandokan” mi è piaciuto, ma non mi ha entusiasmato. E allora perché questo libro abbia un senso compiuto è bene ribadire che non ci sono soltanto le tavole disegnate e la sceneggiatura, ma anche gli scritti di Castelli e Gallo che è il caso di conoscere in quanto svelano aneddoti e contengono informazioni di certo interesse per gli appassionati del genere. Chiarisco l'asterisco (*) che ho usato a proposito della “vita” di Pratt: più volte ho detto e scritto, per tanti motivi, che una vita soltanto non basta... in questo caso è appropriato scrivere “vite” ché Pratt è uno dei pochi (che conosco) che -per davvero- ne ha vissute molte! Continuando a leggerlo, spero, prima o poi, di comprenderne il mistero.

Il libro nero del mondo di Gabriele Dadati (Alberto Gaffi editore) dal 2 settembre in libreria

"Il libro nero del mondo è un romanzo che vi confonderà. Ci troverete dentro un uomo e una donna che si amano di un amore perfetto e tutto materiale, senza sentimenti. Ci troverete due cattivi – due grandi cattivi – che sono cattivi senza una ragione, senza una spiegazione. Ci troverete due vittime che sono vittime per scelta: una per scelta attiva, perché ha desiderato essere una vittima; e l’altra per scelta passiva, perché non ha desiderato mai nulla di diverso dalla sua condizione di sempre, che è la condizione della vittima. E ci troverete una bambina magica che compie sempre lo stesso percorso in un angolo di giardino, e compare sempre quando qualcosa di inspiegabile accade, o sta per accadere. Giulio Mozzi

Gabriele Dadati sa come si racconta una storia, sa fingere un distacco che appartiene alle scritture mature, ma a ben guardare in questa cinematografica vicenda di arcangelo metropolitano che affianca, quasi sorveglia, una Maria profana si legge una sommessa ricerca di sé. Questa scrittura ha corpo e spirito e non promette nulla che non possa mantenere in pieno. In bilico tra il romanzo di genere, alto, e il Bildungsroman Gabriele guida attraverso lo specchio Gabriele. Marcello Fois.

Una città italiana di una provincia qualsiasi, nei nostri anni Zero. Un giovane regista è solo, insieme a tutto: insieme alla moglie, che più di ogni altra cosa ama spiare mentre dorme e che lascia correre a grotteschi raduni new age, solo insieme al suo lavoro, alle prese con la produzione che potrebbe finalmente portarlo fuori dall’asfissiante mondo televisivo verso il cinema. Sembra l’ultima occasione, il film sul cannibale ispirato a una storia vera. Così vera che durante le riprese il suo attore principale - nonché migliore amico - viene rapito. Sarà proprio il regista a tentare di salvarlo, perché l’attore non è che l’esca che il rapitore cattura per arrivare a lui. Inizia così un confronto claustrofobico e serrato tra un serial killer alla ricerca della Giustizia e l’uomo che lui ha scelto come testimone delle sue deliranti imprese. Il tutto in un clima da ordinaria Apocalisse che entra con disarmante semplicità nella mente del lettore.

Gabriele Dadati (Piacenza, 1982) ha pubblicato Sorvegliato dai fantasmi (peQuod, 2006), accolto con calore da critica e pubblico, vincitore del premio Dante Graziosi e finalista come “Libro dell’anno” nella trasmissione Fahrenheit di Radio 3 Rai. Cofondatore della rivista letteraria «Ore piccole», collabora al quotidiano «Libertà» di Piacenza e dirige una collana di narrativa per Barbera Editore. È autore di Booksweb.tv, la televisione dei libri ideata da Alessandra Casella (http://www.booksweb.tv/content/show/ContentId/1156).

mercoledì 19 agosto 2009

Un bambino prodigio di Irène Némirovsky (casa editrice Giuntina) dal 27 agosto in libreria


Irène Némirovsky

Pubblicata in Italia dalla Giuntina nel 1995, la Némirovsky passa inosservata finché la casa editrice Adelphi pubblicò “Suite francese” nel 2005, e subito dopo “Il ballo”,“David Golder”, “Jezabel”. “Un bambino prodigio” è una fiaba che ha l’ambientazione sfumata e il tono apologetico delle favole. Una Némirovsky segreta.

Un bambino prodigio

Nelle taverne di un porto del mar Nero, Ismaele Baruch, il bambino prodigio, canta i dolori e le gioie dei miserabili, degli emarginati, degli esclusi. Il suo talento affascina il poeta in crisi Romain Nord e la sua amante, la «Principessa», una ricca vedova in cerca di nuove emozioni. Strappato al suo mondo di miseria, Ismaele diventerà il giocattolo di una società aristocratica, pronta all'entusiasmo quanto al disprezzo, che finirà per umiliarlo inesorabilmente.

L’autrice

Irène Némirovsky nacque a Kiev nel 1903. A sedici anni emigrò in Francia con i genitori. Ebbe due figlie e scrisse una dozzina di libri. In quanto ebrea, nel luglio del 1942 fu arrestata dalla polizia francese e poi deportata ad Auschwitz dove fu uccisa un mese dopo.

Pagg. 67, Euro 8, Traduzione: Vanna Lucattini Vogelmann
In libreria dal 27 agosto

Le crew graffitare di Beirut lanciano messaggi di pace di Maria Beatrice Protino

In Libano c’è un singolare accordo: non si racconta la storia degli ultimi trent’anni.
Saro A., in arte Oras, ha 29 anni, fa il graphic designer e vive a Beirut, in Libano.
Nel 2006 inizia a dipingere sui muri della sua città, subito dopo lo scoppio dell’ennesima guerra tra Libano e Israele.
Come rilascia in un’intervista pubblicata su Ventiquattro del maggio scorso: «Beirut era sotto i bombardamenti e non era consigliabile uscire di casa. Non c’era da fare granché e abbiamo iniziato a scrivere sui muri a Karantina», il luogo di una delle peggiori stragi avvenute durante la lunga guerra civile degli anni settanta a opera della Falange cristiana. Eppure, loro, i graffitari, non scrivono niente di politico, niente che possa ricondurre la memoria a quella strage: del resto Saro non ha alcun ricordo di Karantina perché a scuola non si studia neanche la storia recente, per non rimettere in discussione i già precari equilibri libanesi.
I muri di Beirut, di Tripoli, di Sidone non possono essere usati per attaccare i concorrenti politici, ma solo per scrivere messaggi sociali, pacifici, costruttivi.
Le scritte sono coloratissime e spesso in inglese, altrimenti in arabo o in armeno e recitano: “Orsù, libanesi, svegliatevi!” o “Un solo Libano”, mentre le donne writer preferiscono i disegni e i graffitari più duri – quelli che fanno rap e graffiti insieme - usano le bombolette oro e argento, e poi, gli ultimi arrivati, i ragazzini di 13-14 anni, imbrattano i graffiti dei più grandi già presenti, in barba al principio dell’intoccabilità dell’opera di altri.
Il fenomeno della graffiti art è un fenomeno recente, anche se in linea con quello che già accadeva da anni sulla scena musicale rap. Naturalmente, dietro ai graffiti e alla scena hip hop c’è sempre la spinta verso la cultura underground e alternativa occidentale. D’altro canto, i graffiti hanno storia antica, se si pensa alle scuole calligrafiche arabe la cui eredità continua ad avere un ruolo importante nella cultura contemporanea: nelle terre del Levante sconquassate dalle guerre ha prodotto una precisa tendenza murale. Infatti, il graffito politico veniva usato già negli anni Ottanta, al tempo della prima intifada, quando i palestinesi usavano i muri di Gaza City e di Ramallah per scambiarsi parole d’ordine, appuntamenti, scioperi: erano i writers contro il potere, niente a che vedere con quelli libanesi.
Eppure, anche adesso e nonostante tutto, c’è qualcuno – come il saudita Saab B., anche lui graffitaro, ma sul web – che ritiene i murales di Karantina atti vandalici e contrari alla religione: a quanto pare tirare in ballo e agire in nome della cd. Religione è lo sport preferito ancora da molti – e purtroppo – nelle terre del sole Levante, anche quando sarebbe meglio non andare troppo per il sottile.

Il primo bicchiere, come sempre, è il migliore di Charles Bukowski (Minimum Fax): omaggio a Fernanda Pivano

Da sei anni a questa parte minimum fax ha iniziato la sua opera di riscoperta della poesia di Charles Bukowski, pubblicando opere inedite e postume che restituiscono l’immagine di un artista decisamente più complesso e profondo dello stereotipo del “vecchio sporcaccione” o della “mosca da bar” in cui lo si è spesso ingabbiato. Questo libro comprende la prima parte di Open All Night, una voluminosa antologia di poesie scritte fra gli anni Settanta e Novanta, che Bukowski lasciò al suo editore storico, la Black Sparrow Press, affinché fossero pubblicate dopo la sua morte.
È in gran parte una galleria di ritratti e di ricordi. Vecchi amici di gioventù, compagni di sbronze e compagne di letto, capiufficio e habitué dell’ippodromo, poeti vanesi e puttane orgogliose – tratteggiati con uno sguardo acutissimo in cui si mescolano l’affetto, il rancore e l’ironia – vanno a comporre un universo poetico e umano fatto di romanticismo sporco, di lucido disincanto ma anche, in fondo, di incrollabile speranza.

Caresse Crosby ha pubblicato il mio primo racconto
quando avevo 24 anni e poi altre cose tipo una
follia e depressione innata si sono impadronite
di me, e una sera da non so dove in Georgia ho scritto
una serie di lettere chiedendo aiuto - non aiuto morale
ma chiedendo soldi per magiare e roba del genere finchè non
fossi
riuscito a trovare un sistema per continuare a vivere nel modo
più indolore possibile.
dato che avevo dei genitori indifferenti e nessun amico ho spedito
le mie
lettere a dei letterati che non conoscevo.
be', non è arrivato un soldo, anzi non ci sono state proprio risposte, tranne
una
che in qualche modo mi ha seguito lungo una serie di città
e paesi
e mi ha raggiunto a New Orleans
ed era di Caresse e dentro non c'era un soldo
ma
la lettera era bella: lei raccontava che abitava in un
castello in Italia e aiutava i poveri.
Sono sempre stato innamorato delle fotografie di due persone:
Kay Boyle e Caresse Crosby.

nei panni di Harry non mi sarei mai ucciso
così stoltamente come ha fatto lui
me ne sarei stato a letto con Caresse, a bere vino
e a tirare freccette ai manifesti delle corride appesi alle pareti.
non ho mai scritto a Kay Boyle perchè avevo finito i francobolli
ma sono sicuro che mi avrebbe risposto anche lei
se ne avesse avuto la possibilità
(p.164,165)

Charles Bukoswski

Dedico questo post alla "bad girl" della Beat Generation, Fernanda Pivano, e lo faccio con i versi di Bukowski che grazie a lei ho imparato ad amare.

martedì 18 agosto 2009

Il libro del giorno: La maledizione degli Usher di Robert C. McCammon (Gargoyle Book)

Per intere generazioni la Casa degli Usher ha prosperato e si è arricchita grazie alla realizzazione a alla vendita di micidiali armi da guerra. Ma un' entità malefica ha vissuto e si è sviluppata all'interno della Casa degli Usher, una remota eredità di depravazione e di sangue che imbratta i corridoi della tenuta di famiglia... Liberamente ispiratosi a "La caduta della Casa degli Usher" di Edgar Allan Poe, McCammon usa la sua sulfurea immaginazione per ricavarne un romanzo coinvolgente e terrificante: ne "La Maledizione degli Usher" l'autore s'insinua sapientemente nella trama originaria ponendo un dubbio... E se la storia non fosse finita con la morte di Roderick e Madeline, più di cento anni fa? E se ci fosse stato un fratello a portare avanti il nome di famiglia, oltre che a ereditare il deplorevole patrimonio lordato di sangue? Ambientata ai giorni nostri nel Nord Carolina, la storia ha inizio con Rix, giovane erede degli Usher, prossimo a fare ritorno a casa dopo il servizio militare. Ad attenderlo, il padre sul letto di morte. Rix è un fervente pacifista, e non ha alcuna intenzione di subentrare nel giro d'affari di 10 miliardi di dollari al quale è predestinato. Ma la Casa lo ha scelto, sarà lui a ereditarne le redini: non solo per quanto riguarda l'opulento patrimonio che si dice maledetto, ma anche per gli orripilanti e terribili segreti che abitano e governano la Casa degli Usher. Rix, in preda a un vortice d'incubi ancestrali, sarà costretto a scatenare tutti gli atroci e oscuri poteri degli Usher e ad affrontare una volta per tutte la più tetra delle realtà: non solo chi egli è... ma cosa è.

"Nell'accumularsi continuo di rivelazioni e orrori di questo notevole omaggio a Poe e alla sua mitologia e poetica (ma anche romanzo pacifista contro l'industria delle armi), orchestrato da McCammon con la perizia di un musicista di cacofonie del terrore esaltanti e nauseabonde, si giunge al climax finale, davvero sorprendente, con la sensazione di precipitare in una dimensione di spavento che rimanda in molti suoi spunti a Roger Corman"

di Federico Ercole tratto da Il Manifesto del 18/08/09, p. 12

casa editrice Gargoyle Books: http://www.gargoylebooks.it/site/

Nani, Ballerine e altre Suggestioni di Angela Leucci (Edizioni Akkuaria

Il Salento. Terra di transito, di attraversamenti, di ragni tarantolati, di ulivi secolari. Salento, terra di meraviglie barocche, di cultura, non solo terra dove impera lu sule, lu mare, lu ientu! Già perché c’è un aspetto della storia della letteratura di questo territorio ancora tutta da scoprire, tutta ancora da valorizzare e da apprezzare, e per certi versi forse poco rassicurante. Obiettivamente la produzione letteraria di queste lande, da Salvatore Toma a Antonio Leonardo Verri sino a Claudia Ruggeri, ha raccontato sia in prosa che versi, una geografia della scrittura che parlava di queste latitudini in maniera non certo entusiastica, dove il lirismo mitologico di un luogo quasi utopico e incontaminato sotto qualsiasi punto di vista, veniva sostituito dalla narrazione di un luogo, il nostro, tutt’altro che idilliaco,anzi … un inferno “minore”, citando l’opera della Ruggeri, dove il barocchismo delle identità diveniva sublimazione dell’ipocrisia, della volgarità, del pressapochismo, di una claustrofobia esistenziale che lacerava ogni slancio. A cavallo poi tra gli anni ’80 e ’90 il Salento ha visto nascere il pulp, la beat generation con Maurizio Leo di Copertino, Giovanni Santese di Sternatia (ricordo per Luca Pensa editore il suo “Amore lavati, che ti porto a ballare), il leccese Vito Antonio Conte, il noir con Luciano Pagano, sino al Giallo di Raffaele Polo, Graziano Tramacere, Gianni Capodicasa, Piero Grima, Lino De Matteis, Lucia Accoto e altri che hanno pubblicato i loro gialli ambientati nel Salento con altre case editrice tra cui Manni. Devo dire che le sorprese non sono ancora finite, sintomo che la possibilità di trasformare una terra del “rimorso” in una gigantesca fonte d’ispirazione per quel genere letterario come il “Giallo” (Il termine "giallo" si deve al colore della collana Il Giallo Mondadori, ideata da Lorenzo Montano e pubblicata da Arnoldo Mondadori a partire dal 1929) che a tutt’oggi ha i suoi appassionati seguaci, sono ancora moltissime. Con meraviglia poi leggo il lavoro di Angela Leucci per i tipi di Edizioni Akkuaria, dal titolo “Nani, ballerine e altre suggestioni” e dal titolo mi aspetto una prosa immaginifica, tra il grottesco e l’onirico o metafisico se si preferisce, sulla scia della migliore visione di un Federico Fellini. Ma pagina dopo pagina mi accorgo che Leucci mi ha coinvolto nella sua ragnatela di storie, personaggi, contingenze davvero inquietanti. Ora che l’autrice sappia come condire di brividi i suoi racconti, è fuori discussione, vi è il crimine, il mistero, le relative indagini per scoprire il colpevole di turno, che vi assicuro in questo caso non è il maggiordomo. Le vicende prendono corpo a Lecce, Maglie, nel Salento tutto insomma, (l’ambientazione è facilmente individuabile) e ci si può immedesimare da subito perché parlano di fatti che sono alla portata della nostra quotidianità, ma che di usuale hanno veramente ben poco in quanto ci fanno capire come le persone che ci circondano, quelle che possiamo incontrare lungo le scale del nostro condominio, mentre facciamo la fila alle poste, o che siedono al tavolo accanto mentre prendiamo un aperitivo con degli amici al bar, rappresentano l’altro come atroce (con un gioco semplice di elisione possiamo trasformare il latino “alter” , altro per l’appunto, in “ater” atroce) ovvero come entità mostruosa che può tutto. D’altra parte i killer seriali ce lo insegnano da Rostov ( nella realtà Andrej Romanovič Čikatilo) in poi! E dunque chiunque potrebbe essere un cannibale, un omicida efferato, un necrofilo e chi più ne ha più ne metta. L’abilità di Angela Leucci sta poi nell’aver voluto trasformare questi incubi in scene descritte con estrema velocità, e sintesi, da 8 mm direi, proprio come l’assurdo e la morte si manifestano in tutta la loro forza e assurdità, senza darti nemmeno il tempo di riflettere. In questo libro si parla di amore, di amicizia, di sesso, di morte con un unico filo conduttore: una lunga scia di sangue. Da leggere magari con sottofondo Nick Cave, Bob Dylan, Tom Waits. Scrive Antonio Errico nella prefazione al libro: “Angela Leucci racconta. Con precisione, esattezza, rapidità. Con ironia, icasticità, a volte con sarcasmo. Interpreta situazioni e condizioni del vivere. Prende parte. Racconta. Dei suoi personaggi conosce ogni storia, condivide tutte le passioni, è compagna di strada discreta, premurosa. Racconta facendosi personaggio tra i personaggi, senza nascondere mai sentimenti ed emozioni, senza pretendere di governare le storie, ma lasciandosi portare dal loro corso, affidandosi, se occorre, all’imprevedibilità della sorte. La sua narrazione prevede – strutturalmente – il soggetto che narra. Le vicende che si dispiegano non sanno farne a meno, lo pretendono, lo richiamano.” Certo, ha ragione Antonio Errico, ma alla fine quello che quest’autrice ci dimostra, è che la sorte alla fine è solo una delle tante storie che esistono simultaneamente in questo mondo, che è il peggiore dei mondi possibili

lunedì 17 agosto 2009

Il libro del giorno: Incontri alla fine del mondo Conversazioni tra cinema e vita di Werner Herzog (Minimum Fax)

Cineasta, esploratore, antropologo, poeta, visionario. Tutti questi tratti si fondono organicamente in una delle figure più originali, creative e irriducibili del panorama cinematografico contemporaneo: Werner Herzog. Famoso per i suoi film «estremi», Herzog ne ripercorre in questo generoso libro-intervista la genesi, la lavorazione e l’impatto su critica e pubblico. Ma quel che più conta, per Herzog, è l’individuazione dello strettissimo legame tra i suoi film e la sua vita, tanto stretto da far sì che i primi appaiano un naturale prolungamento e sviluppo della seconda. Perché ciò sia possibile, Herzog si tiene alla larga dai teatri di posa e dalle produzioni in provetta; si getta nel mondo e trasforma il set in un luogo avventuroso e pulsante.

"La freschezza, vivacità e apertura dello sguardo di Herzog rendono il libro un’affascinante occasione di incontro con terre e popoli remoti, un emozionante attraversamento della storia europea della seconda metà del Novecento, nonché una lucida riflessione teorica sul rapporto tra cinema di finzione e documentario, tra mondo dell’immaginario e reale",

Conversazioni tra cinema e vita di Flavio Fabbri
Key4biz - 20 luglio 2009

casa editrice Minimum Fax: http://www.minimumfax.com/home.asp


Incontri alla fine del mondo, Conversazioni tra cinema e vita di Werner Herzog
(Minimum Fax) a cura di: Paul Cronin e Francesco Cattaneo

Nuovo successo del musicista di Galatone Giovanni Maria Pala che ha scoperto le note ne “L'ultima Cena” di Leonardo da Vinci


Il libro di Pala tradotto in spagnolo, giappponese, e portoghese in tutto il Centro e Sud America.
Ritorna a varcare l’oceano il successo della ricerca di Giovanni Maria Pala, autore del volume "La musica celata”. Il libro, che illustra la scoperta di un codice segreto scritto in maniera speculare tra le figure del dipinto di Leonardo da Vinci - "L'Ultima Cena" - è stato recentemente tradotto in lingua spagnola e portoghese e distribuito in tutto il Centro e Sud America. Dopo l'attenzione riservatagli dalla comunità scientifica giapponese, concrettizzatasi con l’edizione della prestigiosa casa editrice East Press e in un documentario sulla principale televisione nazio¬nale nipponica - Tokio Television con la collaborazione della Kirin Art Gallery - l'opera ha appena fatto il suo debutto in tutta America Latina. Le due edizioni - “La musica escondida”, edito dalla Spagnola Ediciones B di Madrid - e “A musica oculta”, prodotta dalla prestigiosa casa editrice LaRousse, sono già nelle librerie di Brasile, Messico, Argentina, Venezuela, Colombia, Cile, Perù, Honduras, Costa Rica, Bolivia, Uruguay, Ecuador, Paraguay, Guatemala, Panama, Nicaragua e Guyana. Proprio in questi ultimi giorni la televisione di Stato Argentina – TV4 - ha trasmesso all'interno della serie “I misteri del terzo millennio”, un'intera puntata dedicata alla straordinaria scoperta del musicista Salentino. In questo “Special” la melodia, un requiem che è stato già trasportato in una toccata e fuga per organo e in una versione per orchestra, ha fatto da sottofondo a un'accurata analisi della ricerca. Il libro appena pubblicato è una edizione rivista che ha comportato alcuni ampliamenti e spiegazioni, più adatte per i poco accorti lettori sud-americani. La scelta è stata soprattutto dettata dall’esperienza acquisita nel fortunato tour nord-americano dello scorso ottobre 2008, quando Giovanni Maria Pala si è trovato a dover rispondere a diverse domande sui legami con il “Codice da Vinci” di Dan Brown. Accostamento più che mai inopportuno, visto il valore scientifico della ricerca del musicista e studioso Salentino. Un saggio che si legge come un romanzo e che contiene un accurata analisi su un pezzo di storia dell’arte, sulla musica del quattrocento, e sui misteriosi codici che Leonardo ha criptato nella sua celebre opera. Una scoperta affascinante, unica al mondo, che ha ag¬giunto un inedito tassello ai tanti misteri che ancora circondano la figura di Leonardo da Vinci.

domenica 16 agosto 2009

Il libro del giorno: Rossini. L'uomo, la musica di Giovanni Carli Ballola (Bompiani)

"II ritorno imponente di Rossini che nella ricerca musicologica non meno che nel mondo dello spettacolo ha caratterizzato la seconda metà del '900, ha portato a tali mutamenti di giudizio sui compositore, da giustificare il termine di renaissance col quale tale fenomeno si suole indicare nel mondo della musica. Alle testimonianze degli studiosi, promosse dalla ammirevole fondazione Rossini di Pesaro, agli atti dei convegni, ai saggi e articoli sparsi nelle pubblicazioni musicologiche, non corrispondeva ancora un'opera organica che di tale rinascita fosse lo specchio fedele, offrendone un quadro completo, agile e aggiornato, tale da qualificarsi come punto di una situazione culturale che ha necessariamente consegnato alla storia e reso improponibili i precedenti e anche illustri documenti bibliografici." (Giovanni Carli Ballola)

"La musica ha una morale, interna alle proprie regole, alle tecniche, agli stili, alla consapevole memoria di sè. Di tale moralità formale Gioacchino Rossini è un consapevole campione. L'ampia monografia di Giovanni Carli Ballola (Rossini, l'uomo la musica) dedicata a un benefattore dell'umanità, capace di lenire col miraggio pietoso di un bello ideale le nostre spirituali miserie, svela pieghe creative ancora poco indagate dalla pur immensa bibliografia rossiniana"

di Sandro Cappelletto tratto da Tuttolibri de La Stampa, del 15/08/09, p. V

casa editrice Bompiani: http://bompiani.rcslibri.corriere.it/bompiani/

Rossini. L'uomo, la musica di Giovanni Carli Ballola, 2009, 403 p., brossura
Bompiani (collana Tascabili)

Fortune e miserie del counseling filosofico. Di Mimmo Pesare (seconda parte)

















Scomposizione, ricomposizione, disamina e indagine. Attraverso questi quattro step, dunque, sarebbe possibile cristallizzare l’interpretazione di tutti i possibili casi umani e portare una soluzione ai relativi dilemmi. In questo modo, continua Lahav, sentimenti quali la mancanza di fiducia, il senso di melanconia, il pudore eccessivo e la sensazione di non farcela, lungi da una visione come quella di Hillman, secondo il quale tali passioni deboli sono altrettanto ricche e costituiscono chiavi di lettura privilegiate della propria anima, possono essere modificate in direzione cognitivista, armeggiando, cioè, all’interno della propria visione del mondo!
Al contrario della più condivisibile lezione di Achenbach, secondo il quale il counselling consisterebbe in una continua reinterpretazione di se stessi e del mondo, dunque in un’ottica ermeneutica, Lahav ritiene invece che la meta di tale pratica sia la formazione di un’immagine stabile di sé (cfr. p. 32), della propria vita, da adottare come visione del mondo nuova di zecca e che sostituisca la propria originale visione del mondo malandata. La consulenza filosofica, pertanto, costituirebbe una soluzione umanistica a chi “chiede un senso alla propria esistenza”. Questo, nell’opinione di chi scrive, rappresenta l’elemento di maggiore problematicità: un senso. Secondo Lahav la phronesis, la saggezza pratica che il counselling dovrebbe dispensare, sarebbe equivalente del senso, di “un” senso, ossia dell’unica chiave d’accesso a una normale razionalizzazione del proprio vissuto. Il’y a du sense, amavano ripetere negli anni Cinquanta gli esistenzialisti di matrice fenomenologica: c’è del senso, c’è un senso per ogni cosa e trovandolo si accede alla verità.
Probabilmente, però, la fluidità contemporanea di cui si diceva all’inizio, mal si presta a un tipo di rassicurante contenitore come quello suggerito da Lahav; pare difficilmente proponibile, oggi, una visione della saggezza come struttura soterica. Una salvezza preconfezionata e, in qualche modo, “impartita” appare né più né meno che una pallida versione laica dei catechismi elargiti negli oratori del boom economico italiano...poco cambia il fatto che tale approccio alla propria vita sia nobilitato dai contenuti alti del pensiero filosofico, poiché il messaggio di fondo è che esiste un senso come risposta alle cose, e questo senso viene dall’esterno. Tale concezione soterica del counselling mina alla base i processi dinamici di costruzione del Sé, che, invece che arroccarsi dietro i baluardi di una legittimazione di senso unitaria e salvifica, crescono e si strutturano attorno a una visione della propria vita quale racconto e costruzione graduale e continua, come nella lezione di Kohut (1978).
Risulta molto pericoloso, infatti, barattare un periodo di crisi personale con una soluzione cognitiva alle vicissitudini interne che il processo di crescita individuale impone come stepping-stone psico-emotiva. Questo perché se nella visione del mondo del consultante, la saggezza del consulente viene avvertita come antidoto ai propri malesseri, si va a colludere con la mancanza di senso del primo. Un esercizio come quello del counselling, pertanto, non dovrebbe rappresentare la nostalgia unificatoria in una presunta normotipia da “maestro di vita”; al contrario – e prendendo umilmente il contributo dell’epistemologia psicoanalitica – il counselling dovrebbe educare, servendosi dei concetti (e non di altri strumenti che non possiede) a un abbandono al pluralismo evenemenziale insito naturalmente nella casualità della vita umana. Quest’ultima, in senso profondo, è fondamentalmente una costruzione interminabile (Freud 1937).
Per questa ragione il pericolo più concreto che viene da una razionalizzazione del vissuto, come auspica il contributo di Lahav, è quello di creare un gap per il quale nei momenti di assenza di razionalità (e la vita quotidiana ne è piena!) la reazione emotiva del consultante sarebbe di burn-out, ossia caratterizzata da una impossibilità di contenere la situazione traumatica. Allo stato del discorso, dunque, si sarebbe di fronte a una dicotomia tra la tentazione di una saggezza soterica e sistematrice, da una parte, e una educazione all’abbandono nei confronti della multiformità della vita, dall’altra. Quest’ultima, nell’opinione di chi scrive, e seguendo la lezione di Kohut, costituisce una possibilità più concreta di contenere ed elaborare il proprio vissuto problematico; un atteggiamento, insomma, più che una “soluzione” (apparentemente) decisiva come quella di assumere una visione del mondo diversa dalla propria. Del resto, come riteneva lo stesso Jaspers (1919), ogni visione del mondo, non importa se espressa in forma mitologica o concettuale, inerisce all’intima esistenza di chi la professa e nell’esistenza di ognuno di noi coesistono le cosiddette situazioni-limite, cioè ossia quei “luoghi” in cui l’esistenza sperimenta lo scacco della ragione cartesiana, il naufragio verso il nulla ma insieme anche la possibilità di una esperienza di vita “autentica”:
Situazioni come quella di dover essere sempre in una situazione, di non poter vivere senza lotta e dolore, di dover assumere irrimediabilmente la propria scelta, di dover morire (...) Esse non mutano in sé ma solo nel loro apparire; nei confronti del nostro essere hanno un carattere di definitività. Sfuggono alla nostra comprensione, così come sfugge al nostro esserci ciò che sta al di là di esse. Sono un muro contro cui urtiamo e naufraghiamo. Non possiamo operare in esse alcun mutamento, ma dobbiamo limitarci a guardarle in faccia con coraggiosa chiarezza, senza poterle spiegare o giustificare in base a qualcosa. Esse sussistono con l’esserci stesso. (Jaspers 1932, p. 678)

Se, allora, la consulenza filosofica si deve rivolgere all’esistenza del consultante, questa deve essere interpretata in senso ermeneutico e secondo la sua chiave etimologica più profonda: e-sistenza come “posto eccentrico”, dove cioè, convivono situazioni “normali” e situazioni-limite. E siccome la filosofia “lavora” coi concetti e non con strumenti terapeutici che appartengono ad altre scienze, l’unico vantaggio che può venire da un approccio filosofico ai dilemmi umani è esclusivamente il riconoscimento di tali situazioni limite e la possibilità di “nominarle” attraverso i concetti. Come scrivono, infatti, Deleuze e Guattari (1991), “il filosofo non è chi dispensa saggezza, ma chi forma concetti” (p. 25).
I concetti, al massimo, possono essere elementi mediatori di come ci rappresentiamo il mondo e di come percepiamo il nostro vissuto, non certo produttori di Weltanschaungeen a domicilio. Per questa ragione, probabilmente, il ruolo del consulente filosofico come dispensatore di visioni del mondo, non solo mal si presta a una cura animi che deve necessariamente fare i conti con altri saperi e altre competenze (per non creare più danni di quanti ne voglia lenire), ma oltretutto cozza con lo stesso spirito originario della filosofia socratica, che tendeva a trarre fuori dal soggetto la propria personalissima saggezza e non, al contrario, a instillarne una, per così dire, “esogena”.
Del resto già Freud, nella lezione 35 dell’Introduzione alla psicoanalisi (1917), non mancava di esplicitare tutto il suo sospetto e il suo sarcasmo per un’accezione di Weltanschaung come sinonimo di “determinismo”; questo perché, secondo lo psicoanalista viennese, il lato più pernicioso di una visione del mondo intesa come antidoto alle insicurezze e alla sofferenza, è quello di presentarsi alla mente come una “macchina erogatrice di verità e norme” (p. 218). E la verità, secondo Freud, ha come suo contrario non la menzogna o la non-verità, ma la ricerca, cioè il nucleo stesso dello spirito filosofico. Se allora l’errore metodologico della filosofia è quello di sopravvalutare la portata conoscitiva delle operazioni logiche, un’esperienza quale quella jaspersiana delle situazioni-limite dovrebbe essere non solo “non risolta”, ma esperita quale sorgente di auto-chiarificazione e auto-interpretazione senza soluzione di continuità a vantaggio della propria peculiarissima costruzione interiore.
In questo senso, la consulenza filosofica non può sostituirsi alla psicoanalisi come sua versione light, né potrebbe probabilmente ritagliarsi un suo campo d’azione autonomo basato sulla “produzione e vendita” di visioni del mondo take-away o di “immagini stabili di sé”: la costruzione di sé è un processo fondamentalmente emotivo e non esclusivamente cognitivo – come si tende a pensare – , pertanto se la filosofia lavora coi concetti, un consulente filosofico che voglia rispondere coerentemente allo statuto epistemologico della disciplina che ha deciso di abbracciare, potrebbe essere più utile ai dilemmi di chi decide di affidarsi alle sue foucaultiane cure trattando i concetti come alleati (Deleuze, Guattari 1991) delle emozioni, cioè come catalizzatori e chiarificatori di esse, e non, al contrario, come strumenti di stabilizzazione e di correzione del vissuto personale della gente.


Bibliografia:

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sabato 15 agosto 2009

Il libro del giorno: Ernesto Assante e Gino Castaldo, Il Tempo di Woodstock (Laterza)

Cosa è stato davvero Woodstock? Di sicuro molto di più che un semplice festival di musica. Diciamo una singolarità della storia, un monumento costruito in tempo reale a una rivoluzione che si stava sbriciolando nello spazio di un sogno. Ernesto Assante e Gino Castaldo raccontano, minuto per minuto, la madre di tutti i raduni rock del mondo.

Dobbiamo pensare a Woodstock come l’effetto generato da anni di controcultura, come la materializzazione di visioni coltivate da una generazione che, come mai prima nella storia, aveva varcato il confine tra la realtà e l’immaginazione. Non ultimo come l’aggregazione di alcune tra le migliori menti musicali che circolavano in quel momento nel mondo, e in quel momento la musica parlava il linguaggio alato della rivoluzione delle coscienze. Dobbiamo pensare a Woodstock come una foto di gruppo dell’energia esplosiva e liberatoria sperimentata da un’intera generazione. Una immagine mossa, sovraesposta, successivamente manipolata, truccata, imbellettata, ma pur sempre una foto. Rimane da svelare il negativo originale.

" - Il futuro non è quello di una volta - . Lo scrivono Ernesto Assante e Gino Castaldo in un bel libro edito da Laterza, Il Tempo di Woodstock, pp.170, euro 15,00. Come a dire che, quarant'anni dopo il festival più simbolico nella storia della musica, tutto sembra irrimediabilmente perduto. Anzitutto il sogno."

di Andrea Scanzi tratto da Tuttolibri de La Stampa del 15/08/09, p. IV

casa editrice Laterza: www.laterza.it

venerdì 14 agosto 2009

53ma Biennale di Venezia: Virtual Mercury House da un progetto e idea di Caterina Davinio















Nel Centenario del Futurismo, nel quarantennale dello sbarco sulla luna, Caterina Davinio ha realizzato la prima installazione italiana di poesia su Second Life, mondo virtuale in 3D dove si può incontrare, costruire, abitare, vivere una seconda vita e, perché no, anche leggere, installare, “performare” poesie con un avatar 3D. La prima installazione italiana di poesia su SL ha la forma di un'astronave sospesa a pochi metri dal suolo su una spiaggia, dove i poeti assumono l'aspetto di prismi colorati: cliccando su ognuno di essi si riceve in dono una poesia. E' inoltre possibile farsi teleportare - tra effetti speciali - all'interno dell'astronave, dove altri poeti hanno forma di sfere che, a contatto del mouse, rilasciano un testo. Sono presenti link alla costellazione di siti del progetto, che nel libro degli ospiti ha raccolto oltre duecento poesie da tutto il mondo in numerose lingue diverse, lingue “aliene” incluse… Hanno aderito all’evento, dedicato a Eugenio Miccini, esponente storico della poesia visiva italiana, scomparso nel 2007, molti protagonisti dell’avanguardia poetica internazionale e artisti di varie generazioni che operano con il linguaggio. Il progetto, ideato e realizzato da Caterina Davinio, pioniera della computer poetry italiana dal 1990, è parte di MHO_Save the Poetry, evento collaterale della 53ma Biennale di Venezia promosso dalla Fondazione Mare Nostrum, curato da Marco Nereo Rotelli e coordinato dall'Arch. Elena Lombardi. Collaboratore tecnico SL: Riccardo Preziosi. Il progetto on line è aperto alle adesioni, infatti gli utenti possono proporre loro testi creativi e poesie in questo link:

http://htmlgear.tripod.com/guest/control.guest?u=virtualmercuryhouse&i=1&a=sign
o inviarli per e-mail all’indirizzo: davinio.art.electronics@gmail.com

Nella “call for entries” scrive Caterina che i poeti sono un po’ come alieni in terra, e forse la poesia è guardare da un punto di vista estremo, da una prospettiva altra, qualcosa da difendere in un mondo globalizzato e omologato, divenuto forse un pianeta da cui fuggire. Ma i poeti, benvenuti a bordo dell’astronave di poesia, ritorneranno per affermare il loro punto di vista contro la violenza e l’annullamento di identità e differenze. Sul tema delle identità culturali minacciate la Fondazione Mare Nostrum, presieduta da Orlando Pandolfi, ha sviluppato negli anni altri progetti, tra cui Isola della Poesia, evento collaterale della Biennale di Venezia del 2005, a cura di Marco Nereo Rotelli, con un grande evento on line a cura della stessa Caterina Davinio, che ha coinvolto 500 poeti da tutto il mondo. La collaborazione tra Rotelli e la Davinio risale, però, al 2001, anno in cui collaborarono allo storico evento di poesia della 49ma Biennale di Venezia: Bunker Poetico, progetto speciale voluto da Harald Szeemann, cui parteciparono oltre mille poeti e artisti da tutto il mondo. Nell'ambito della Biennale di Venezia del 2009 in corso, tra gli Eventi collaterali, è possibile vedere sull'Isola di San Servolo l’installazione “Save the Poetry” di Marco Nereo Rotelli, ispirata alla ricerca dell’artista sulla scrittura rongo-rongo dell’Isola di Pasqua. E' inoltre previsto un evento speciale il 9 ottobre 2009, a Venezia (Isola di San Servolo, Piazza Baden Powell), cui sono invitate personalità della cultura internazionale e della poesia, tra cui: Adonis, Yang Lian, Massimo Donà, Giulio Giorello, Claudio Angelini, Loretto Rafanelli, Edgar Hereveri, Annette Zamora Rapu, Matteo Ferretti, Marco Nereo Rotelli, Orlando Pandolfi, Mattia Listowsky, Edoardo Sanguineti, Cinzia Fratucello e altri. Parte on line: Caterina Davinio, con eventi live in contemporanea su SL e sugli altri siti del progetto, che coinvolge Facebook, YouTube e altre community. Coordina Elena Lombardi. Assistenza tecnica SL: Riccardo Preziosi.

Tra i poeti e artisti invitati all’evento on line:

Francesco Dalessandro (Italia), Luigi Di Ruscio (Norvegia), Chiarlone Bruno (Italia), Antonio Spagnuolo (Italia), Chiara De Luca (Italia), Fortuna Della Porta (Italia), @Netwurker (Australia), John Gian (Italia), Pietro Barbera (Italia), Faraòn Meteosès (Italia), Marco Palladini (Italia), Antonia Colasante (Italia), Rod Summers/Vec Maastricht, (The Netherlands), Ida Campagnola (Italia), Doron Furman Tel Aviv, (Israel), Wilton Azevedo Sao Paulo (Brazil), Ted Warnell (Medicine Hat,Canada), Eugenio Lucrezi (Italia), Enrico Tavernini (Italia), Ilaria Drago (Italia), Franco Piri Focardi (Italia), Anat Elberg (New York, Ny), Mario Vassalle (New York ,Usa), G.H. Hovagimyan (New York, Usa), Geraldo De Joachima (Neuva York, Etats Unidas), Irving Weiss Dix Hills, (Ny Eua), Gabriella Di Trani (Italia), Ben Brack Maastricht, (Holland), Matteo Fantuzzi (Italia), Alckmar Santos Silveiras – (Sp/Brasil), Sitalo Nove (Italia), Luisella Carretta (Italia), Laura Mautone (Italia), Sergio Sarritzu (Italia), Stefano Donno (Italia), Miekal And Dreamtime Village, (Usa), Rosetta Berardi (Italia), Linda Mavian (Italia), Paolo Arceri (Italia), Luc Fierens (Belgium), Massimo Mori (Italia), Alfonso Lentini (Italia), Elda Torres (Italia), Holly Crawford (Nyc/Usa), Gustavo Sànchez-Velandia (Paris/France), John M. Bennett Columbus, (Ohio, Usa), Massimo Zanasi - Arka (H.C.E.) (Italia), Eric Dubois (Joinville Le Pont/France), Reid Wood Oberlin, (Ohio, Usa), Javier Robledo (Argentina), Pete Spence (Australia), Karissa Lang (Chicago/Usa), Randy Adams Nanaimo, (Canada), Lucas Farrell Middlebury, (Vermont, Usa), Adrian Arias (Peru) (San Francisco Us), Gigi Zoppello (Italia), Caterina Davinio (Italia), Italo Testa (Italia), Giovanni Fontana (Italia), Lorenzo Mazza (Italia), Tomaso Binga (Italia), Keith A. Buchholz (St. Louis, Missouri, U.S.A.), Sara Maino (Italia), Mud Scab (Usa), Vermeulen Guido (Belgium), Radoslav B. Chugaly (Odzaci / Serbia), Djazairia Lamia (Rue Emir Khaled Ain-Defa 44000 Algérie), María Jimena Pintos (Montevideo/Uruguay), Klaus Peter Dencker (Germany), Pedro Juan Lopez (Caracas, Venezuela), Maria Grazia Calandrone (Italia), Lamberto Caravita (Italia), Reynolds (Brooklyn, Ny Usa), Paul Murphy (Ireland), Piotr Osuszkiewicz (Brussels/Belgium), Juan Jose Díaz (Infante Mexico), Margherita Levo Rosenberg (Italia), Anna Boschi (Italia), Giovanni And Renata Strada (Da Italia), Robitah Nawawi (Malaysia), Richard Piegza Paris (France), Vincent Gregory (Switzerland), Carmela Corsitto (Italia), Maria Grazia Galatà (Italia), Robert Van Saane (Netherlands), Alberto Mori (Italia), Armando Tinnirello (Italia), Pascale Gustin Paris, (France), Ricci Rossella (Italia), Ignacio Pérez Pérez (Venezuela), Alessio Liberati (Italia), Aidana Rico (Caracas), Allan Revich Toronto, (Canada), Angela Ibañez Zaragoza (España), Mario Lunetta (Italia), Vincenzo Bagnoli (Italia), Lamberto Pignotti (Italia), Lello Masucci (Italia), Francesco Muzzioli (Italia), Cecil Touchon (Fort Worth, Texas Usa), Bruno Santos Coimbra (Portugal), Emanuela Santoro (Italia), Daniel Daligand Levallois (France), Aristotelis Triantis Karditsa (Greece), Joe Murray Kansas (Usa), Gilberto Prado (São Paulo Brazil), Tony Green (North Shore City, New Zeland), Nathalie Ranc (France), Flavia Fernandes (Florianopolis,Brasil), Thomas Nicolai (Germany), Claudio Grandinetti (Italia), Carla Della Beffa (Milano/Italia), Maria Grazia Martina (Italia), Don Boyd Mt. (Vernon/Ohio/Usa), Mariapia Quintavalla (Italia), Sanda Nedic (Italia), Marija Nikola Vauda Pilipovic Manik (Serbia), Jean-Pierre Balpe Paris (France), Demosthenes Agrafiotis (Greece), Eugenia Serafini (Italia), Sérgio Monteiro De Almeida (Curitiba/Brazil)

Il libro del giorno: In difesa del cibo di Michael Pollan (Adelphi)

Nel Dilemma dell'onnivoro Michael Pollan aveva smontato, una portata dopo l'altra, il pranzo che ci apparecchiamo ogni giorno, dimostrando che cosa in realtà contenga a dispetto delle etichette. In questo libro, che amplia e conclude il precedente, Pollan va oltre, demolendo alla sua maniera - brillante e sempre imprevedibile - una credenza perniciosa e ormai diffusissima, e cioè che a renderci più sani e più belli non siano le cose che mangiamo, ma le sostanze che le compongono. Nel mondo immaginato dai nutrizionisti, ricorda Pollan, anziché perdere tempo a sbucciare e fare a spicchi le arance basterebbe assumere una quantità equivalente di vitamina C. Nel nostro accade invece che gli stessi nutrizionisti mettano improvvisamente al bando le componenti della dieta che fino a poche settimane prima avevano considerato irrinunciabili, e che per paradosso gli Stati Uniti, cioè il paese più di qualsiasi altro ossessionato dal terrore di mangiare ciò che fa male, o di non mangiare ciò che fa bene, si siano dati il modello alimentare più malsano e patogeno fin qui conosciuto. Il rimedio? Sarebbe semplice, sostiene Pollan: non mangiare nulla che la nostra nonna non avrebbe mangiato. In altre parole, cibo vero, meglio se poco, e meglio ancora se verde. Sarebbe semplice, cioè, se non sconvolgesse il credo dell'industria più potente e insostituibile al mondo, quella agroalimentare. Che, come dimostrano le violente polemiche subito suscitate da questo libro, non intende arrendersi senza combattere neppure all'evidenza.

"Una nuova puntata delle grandi inchieste di Michael Pollan sul pianeta cibo"

di Massimiliano Panarari tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1117, p. 88

casa editrice Adelphi: www.adelphi.it

Umberto Galimberti, La casa di psiche, Milano, (Feltrinelli). Intervento di Mimmo Pesare

Non è facile descrivere in poche righe questo lavoro di Umberto Galimberti, anzitutto perché se dovessi definirne la tipologia scientifica non saprei se indicarlo come saggio critico o come manuale.
In realtà quest’ultima definizione è difficilmente utilizzabile in quanto l’oggetto del libro, ossia la pratica (o consulenza) filosofica, non possiede ancora i caratteri di disciplina scientifica, per quanto da una decina d’anni in Europa, e da un po’ meno in Italia, si stia cercando di delinearne lo statuto teorico e di organizzarne la struttura. Probabilmente, il fatto che la consulenza filosofica stia diventando una issue, un argomento di discussione – a volte anche feroce – tra sostenitori e detrattori di una pratica che ancora stenta a percorrere un sentiero organico e unitario, è indice, quantomeno, di un interesse nei confronti di un modo alternativo di immaginare la speculazione filosofica. Nel senso che, al di là delle palinodie tra scuole, vulgate e lobby, sarebbe opportuno partire dal dato di fatto che un numero sempre più consistente di individui che hanno studiato filosofia, avverte l’urgenza di un indebolimento della sua aura di disciplina esoterica e intra-accademica, per provare a “far qualcosa” con essa. A questo proposito, il fatto che negli ultimi anni si stia consolidando una letteratura in merito (quasi tutti i titoli appartengono all’editore Apogeo di Milano), attraverso i libri di Achenbach, di Lahav, di Lindseth, e in Italia di Pollastri e di Poma, e la constatazione che in un universo ancora non disciplinato da albi professionali, esista più di una associazione che difende il titolo di detentore della formazione per quanto riguarda la nuova figura del consulente filosofico, rappresentano il sintomo di una costruzione concettuale progressiva e non senza dissidi interni. Il primo tassello per capire cosa dovrebbe – o vorrebbe – essere il counselling filosofico potrebbe essere fornito da una spiegazione per differenza.

Se infatti l’auspicato profilo del consulente filosofico costituirebbe una figura con provate competenze filosofiche e psico-pedagogiche teoriche (non cliniche!) che siano d’aiuto a singoli e a enti nell’affrontare problemi quotidiani (etici e non patologici), il rapporto deontologico con la psicoanalisi e con le psicoterapie in generale ne dovrebbe costituire il primo strumento di identificazione. Il counsellor filosofico non cura alcunché, non provenendo da una formazione medico-clinica, ma può diventare una figura di riferimento per tutta una serie di situazioni sociali o individuali in cui sia utile la capacità di interpretare nodi quali difficoltà di scelta, elaborazione di delusioni o dolori legati al mondo del lavoro o delle relazioni sociali, e, in generale, una abilità ermeneutica nei confronti delle situazioni quotidiane e dei nostri modi di affrontarne le difficoltà. Pur essendo chiaro come una figura del genere non possa curare individui nevrotici o psicotici, è importante definire in maniera netta entro quali campi e attraverso quali procedure epistemologiche questa nuova praxis possa trovare posto nell’empireo delle discipline, ancor prima che nel mondo del lavoro. Ebbene, Galimberti parte dalla premessa che il nostro tempo, l’età della tecnica, risulta caratterizzato fondamentalmente da una “insensatezza”, da una caduta della domanda sul senso dell’esistenza, che si esplicita in una percezione del dolore, della miseria, della malattia e dell’infelicità, radicalmente diversa da quella che era possibile avvertire nell’età pre-tecnologica. La domanda sul senso della vita che da millenni l’uomo si pone, oggi è diversa perché non è più provocata dal prevalere del dolore sulle gioie della vita ma dal fatto che “la tecnica rimuove ogni senso che non si risolva nella pura funzionalità ed efficienza dei suoi apparati”, al cui interno l’individuo si sente un mezzo in un universo di mezzi.



Insomma la tecnica, che filosofi come Heidegger, Jaspers, Anders identificavano come il destino della metafisica occidentale, sembra non avere altro scopo che il proprio impersonale autopotenziamento, tanto che “se nell’età pretecnologica la vita e il mondo apparivano privi di senso perché miserevoli, nell’età della tecnica appaiono miserevoli perché privi di senso”. Per questa insensatezza, sostiene Galimberti, la psicoanalisi risulta impotente in quanto gli strumenti di cui dispone scandagliano il non-senso quotidiano di una vita malata di sofferenza; qui invece è la sofferenza a essere determinata da un non senso che non appartiene all’individuo, ma a uno scenario antropologico globale che ha determinato un disagio della civiltà contemporanea e che, dunque, necessita di comprensione, più che di cura. Gli strumenti filosofici, allora, possono restituire una riappropriazione del senso dell’esistenza nella sua accezione più allargata, quella cioè di un destino comune che l’umanità si gioca contro una sofferenza non più solo individuale, ma fondamentalmente collettiva, dalla cui morsa non si esce con una cura ma con una riconciliazione nei confronti dell’esperienza del dolore. Questo è non solo costitutivo della vita, ma rappresenta la condizione che ci mette di fronte al nostro limite mortale, ovvero l’impossibilità di scelta, l’ineludibilità della sofferenza e della morte, di cui l’angoscia è l’avvisaglia.



Ma se le pratiche psicoterapeutiche colgono l’angoscia nevrotica nell’eziologia del passato del paziente, la pratica filosofica coglie l’angoscia esistenziale non attraverso l’analisi di una sintomatologia, bensì in ordine allo sfondo a cui tali sintomi rinviano, che è poi lo sfondo dell’esistenza percepita come assoluta precarietà. “Qui la pratica analitica è impotente, mentre la pratica filosofica ha ancora una parola da dire” scrive Galimberti. E la dice attraverso il discorso della grecità classica e della sua antropologia filosofica basata su un rapporto con gli dei dell’Olimpo che non rappresentava una vera e propria fede religiosa, ma un monito continuo a vivere “secondo misura” (katà métron) e all’insegna di quella virtù (areté) che è in primo luogo eccellenza, ovvero realizzazione della propria natura e atteggiamento indomito verso di essa. Galimberti contrappone a una tradizione etica giudaico-cristiana, un’etica propria della cultura greca.



La prima – la cui laicizzazione è rappresentata dalla stessa psicoanalisi – interpreta il senso dell’esistenza come un’espiazione di una colpa e quindi vede nella sofferenza un passaggio temporaneo e identifica la stessa vita terrena come malata, patologica, mentre la seconda iscrive la sofferenza umana in un orizzonte liberato da quella pedagogia del dolore di Francesco di Sales, in cui elementi quali l’abnegazione di sé, il portare la croce, l’attesa della salvezza, siano il viatico di una presunta liberazione futura, ma, al contrario, all’interno di una condizione di consapevolezza per la quale il dolore è sentito come l’ineluttabilità di una legge di natura. Per corroborare questa tesi, Galimberti delinea, nella parte centrale del libro, una intelligente storia analitica della psicoanalisi e dell’ermeneutica filosofica attraverso un ricchissimo excursus che parte da Nietzsche e Freud, passa per Lacan e Jung e attraverso la trattazione dell’analisi esistenziale di Binswanger e di Jaspers, arriva alla costruzione di un discorso sulla cura del sé e sull’etica del viandante. In questo senso il libro può essere considerato quasi un manuale ante litteram per una disciplina che necessita di sistemazioni teoretiche, e la ricchezza storiografica con la quale si dà atto del cammino che la psicoanalisi ha compiuto fino a oggi, rende un valore aggiunto a un testo che vale quanto pesano le sue 460 pagine.

Strano, che proprio uno studioso che, oltre che filosofo, è anche psicoanalista junghiano, abbia realizzato questa amorevole invettiva nei confronti di una pratica come quella psicoanalitica che, probabilmente, dopo più di un secolo dalla sua nascita, pare richiedere una sdrammatizzazione e un addolcimento umanistico.

giovedì 13 agosto 2009

Il libro del giorno: Nausicaä di Hayao Miyazaki (Panini Comics)

Dopo che la civiltà industriale, un tempo prospera e gloriosa, finì inghiottita dalle tenebre del tempo, la superficie terrestre fu invasa da una gigantesca foresta fungifera che emetteva miasmi velenosi: il Mare della Putrefazione. Gli uomini si trasferirono nelle poche terre risparmiate dalla foresta e li vissero nei regni da loro stessi fondati. La Valle del Vento è un piccolo regno abitato da appena 500 persone, protetto dall'inquinamento del Mare della Putrefazione grazie ai venti che soffiano dal mare. Principessa di questo regno incontaminato è la giovane Nausicaä...

" - Ma se fossimo noi umani il vero inquinamento di questo pianeta? -. Una domanda che è una visione del mondo. Una filosofia di vita. Si può partire da questa frase di Nausicaä, la protagonista della saga a fumetti omonima, per parlare del suo creatore, Hayao Miyazaki, il mito vivente per i cultori dei cartoni animati e dei manga giapponesi".

di Roberto Arduini tratto da L'Unità del 13/08/09, p. 40

Panini Comics: http://www.paninicomics.it/web/guest/paninicomics/news

La Panini Comics ristampa, a 10 anni dalla prima edizione,Nausicaä di Hayao Miyazaki, uno dei capolavori del fumetto che in Giappone viene considerato un'opera letteraria

Il segreto del cuore di Ruediger Schache (Macro edizioni)

Macro edizioni presenta in Italia, un nuovo bestseller “Il Segreto del Cuore” ci parla della forza nascosta in noi, fondamentale per riuscire a essere i protagonisti principali della nostra vita. Si tratta di un’opera che in pochissimo tempo ha travolto le classifiche di vendita tedesche, arrivando a vendere oltre 500.000 copie. Ma non è tutto. Verrà tradotto in Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Grecia, Repubblica Ceca e Slovacca, Polonia, Russia, Korea e Lituania, e poi ancora in Francia, USA e Ungheria. Lo strabiliante successo di quest’opera è dovuta al fatto che si incanala perfettamente nel progetto editoriale che è stato avviato a livello internazionale dal famigerato “The Secret” e dal New Thought in genere. Ora avendo presente il prodotto “The Secret” che è stato immesso nel mercato italiano, si potrà notare osservando quest’opera come dal formato, alla veste grafica, all’impaginazione si sia voluto già coinvolgere direttamente il lettore affezionato al genere, in una “zona comfort” di riconoscibilità, tale da comunicare la continuità perlomeno di contenuti . L’obiettivo questa volta non sono energie vibrazionali cosmiche, ma interiori: Ruediger Schache spiega come attrarre nella vita le persone che si desiderano. Se dovessimo analizzare gli aspetti che riguardano più strettamente il linguaggio, potremmo senza dubbio sostenere che esso è semplice, immediato, di facile comprensione da chiunque abbia un livello base di istruzione. I concetti sono estremamente chiari anche se non costituiscono certo una novità, per quanti già siano addentro agli argomenti, vuoi per studi personali, vuoi per individuali percorsi di crescita ed evoluzione spirituali. Ma il valore dell’opera rimane immutato, anche perché i dieci “segreti” e i consigli limpidamente esposti dall’autore, per mettere in atto gli “insegnamenti” appena appresi, sono graduali e arricchiti da una folta serie di testimonianze indispensabili per dare un’idea concreta dell’applicazione. Nel libro si parla di affari di cuore, e di tutti i nessi e connessi, dalle relazioni sentimentali, al senso dell’esistenza. I rapporti amorosi, secondo Ruediger Schache, sono lo specchio di ciò che noi (consciamente o inconsciamente) siamo in un dato momento. Attiriamo persone, situazioni, oggetti che rappresentano quello che realmente ci serve. E se le cose non vanno è perché non ci siamo dati ancora il permesso di essere amati, e dunque nutriamo costantemente le nostre paure, facendole crescere, e dando loro un potere enorme. In fondo l’obiettivo delle nostre vite è che siano degne di essere vissute, e dunque impieghiamo tutta la nostra attenzione e cura ad apprendere e migliorarci, ma soprattutto ciò che ci fa stare bene è il desiderio di amare ed essere amati. E tutti noi siamo dotati di un magnete (sembra che rappresenti per l’autore una sorta di strumento in grado di produrre un’energia emotiva le cui peculiarità sono simili ad una vera e propria calamita) che utilizziamo per dirigere le nostre azioni nel miglior modo possibile. Secondo l’autore dunque non è possibile rimanere ancorati ai nostri ricordi, che non hanno più ragione d’esistere nel presente, per cui si può ricominciare qui e ora. Se ci si lega in qualche modo ai ricordi, occorre farlo pensando a quelli positivi, che aumentano il nostro benessere psico-fisico. Fondamentale inoltre per Ruediger Schache fidarsi certo dell’intelletto, ma necessario affidarsi alle nostre sensazioni, che ci condurranno verso una vita ricca di soddisfazioni in tutti i campi.

“Le persone e gli avvenimenti che compaiono nella vostra vita nascondono importanti motivi, significati e spiegazioni. Per questo sbagliamo quando pensiamo che incontri e rapporti siano casuali: tutto dipende da una forza potente che ci collega e favorisce determinate conoscenze e relazioni. Leggendo Il segreto del cuore avrai l’opportunità di conoscere e utilizzare questa forza e attirare nella tua vita le persone e gli eventi che più desideri”

ISBN: 9788862290517

Prezzo € 15,81
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mercoledì 12 agosto 2009

L' amore crudele di Silvana Mazzocchi e Patrizia Pistagnesi (Baldini Castoldi Dalai) a Capalbio

Modena, una donna muore e suo marito mette in scena una rapina con delitto. Le indagini segnano il passo, ma la sorella Luisa, volitiva e indipendente, pur non credendo ai sospetti che si addensano intorno al cognato, decide di andare fino in fondo. Spinta dall'inesorabile necessità di capire le verità nascoste, quel le intime e inconfessabili che alimentano le relazioni umane, ricostruirà a poco a poco i meccanismi psicologici, le ragioni profonde e le oscure contraddizioni che condizionano la realtà. Luisa indaga, interroga, ricorda. E il passato diventa presente: Marta e Carlo si incontrano e si abbandonano a una passione irrefrenabile, vanno a vivere insieme e hanno un figlio. Lui dirige l'azienda familiare, un'impresa tessile, messa in crisi dai nuovi mercati globali. Presto tutto cambia. Carlo, complice la sua famiglia patriarcale, in nome dell'amore crudele, costringe Marta alla sottomissione. Con allusioni, parole e comportamenti la allontana dal lavoro, dai suoi cari, dagli amici. L'arrivo della seconda figlia peggiora le cose, e dalle Iiti continue si arriva alla violenza fisica.

martedì 18 agosto 2009, h. 18.00, Capalbio, Piazza magenta

Il libro del giorno: Amore chimico di Davide Venticinque (Gruppo Albatros Il Filo)

L'amore al tempo della droga non è che un modo per toccarsi senza essere davvero vicini. Un tacito accordo solo apparentemente crudele, che lascia liberi ventenni come Matteo di oscillare nel lucido sbando. In cerca, senza troppa convinzione, del proprio centro di gravità permanente. "Amore chimico" è la storia di giovani in cerca di risposte e identità, in precario equilibrio sul filo della vita.

"L'amore ai tempi della droga è Amore chimico, primo romanzo di Davide Venticinque, studente salentino a Bologna, ma non agli esordi con la scrittura. I sensi viaggiano in balia delle alterazioni stupefacenti, Matteo e Lana travolti da passione irrefrenabile, lui convinto di non innamorarsene, lei che non lascerebbe mai Marco. Nel libro scorre sul filo del rasoio la vita da studenti fuori sede affiancata a quella dei lavori precari, tra capatine al bar con i vecchi bolognesi e feste di tre giorni, puzzolenti d'acido e trance finchè il romanzo non prende una piega che il lettore prima o poi si aspetta. Al giro di boa solo una stella cadente"

di Marina Greco tratto da QuiSalento del 15-31/08/09, p. 68

Gruppo Albatros Il Filo : http://www.ilfiloonline.it/

Amore chimico di Davide Venticinque
2009, 158 p., brossura, Gruppo Albatros Il Filo (collana Nuove voci)

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