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venerdì 26 marzo 2010

Il libro del giorno: Come funzionano i romanzi di James Wood (Mondadori)

Uno dei primi a indagare i meccanismi del processo creativo fu, nel 1857, il critico d'arte John Ruskin con un saggio dal titolo .Gli elementi del disegno., una sorta di vademecum che voleva essere d'aiuto al pittore, al comune amatore d'arte, all'osservatore curioso. Dopo aver invitato il lettore a guardare la natura, per esempio una semplice foglia, e a riprodurla in un disegno a matita, Ruskin esamina un'opera del Tintoretto, e di qui si addentra pazientemente nei segreti della creazione artistica. Non esistono saggi analoghi sulla narrativa. Importanti scrittori e critici letterari si sono cimentati nell'analisi del romanzo, ma non hanno davvero esplorato l'istinto creativo, limitandosi nella maggior parte dei casi alla forma e allo stile o rivolgendosi a un pubblico di soli specialisti.
James Wood si pone questo arduo obiettivo e tenta un approccio diverso, meno teorico. Forse più di ogni altra forma letteraria, la finzione narrativa vive in osmosi con il reale: nei romanzi e nei racconti, letteratura e vita creano un circolo virtuoso, arricchendosi vicendevolmente. Sul piano dell'esperienza individuale, chi legge, o scrive, affina il proprio sguardo sulla realtà, e vivendo impara a penetrare con maggior acume la pagina scritta, in una continua evoluzione. In tale prospettiva, analizzare gli elementi costitutivi della narrazione l'intreccio, i personaggi, il dialogo, lo stile - e approfondire le tecniche dell'artificio può rivelarsi un prezioso strumento di conoscenza.

La prima notte solo con te di Arnaldo Colasanti (Mondadori)

Cosa può accadere quando nel bel mezzo di una giornata qualunque, dove ogni cosa si trova al suo giusto posto e il tempo si incasella in maniera ordinata nei quadranti regolari dell’esistenza, un cortocircuito manda in pezzi una vita intera. O meglio ci si sente in bilico sull’abisso, e si ha paura, timore e tremore, orrore forse, di precipitare nel nulla senza aver portato a termine magari qualcosa di fondamentale importanza. Si avverte la necessità allora di ricucire in fretta e furia in un unico grande mosaico tutti i nostri ricordi, fosse anche in una sola notte, perché il fiato comincia a mancare e ogni attimo diventa prezioso. E allora si comincia a cercare le giuste parole, quelle che forse ti possono salvare in extremis, capovolgendo la sorte in men che non si dica; si comincia disperatamente una fonte di luce sicura e continua perché si ha paura del buio, dell’immemorialità, del non essere un pensiero felice degno di ricevere un cantuccio in fondo al cuore; si cerca libertà di dire, di amare, di donare carezze e sorrisi prima che sia troppo tardi.

Penso che sia fondamentalmente questo il senso dell’ultimo lavoro di Arnaldo Colasanti (La prima notte solo con te, Mondadori), autore che ho sempre seguito e apprezzato sin dai tempi di “A giorno chiaro. Ritratti di poesia italiana” per poi amare definitivamente nel suo penultimo lavoro dal titolo “Gatti e scimmie”. Il primo che ho citato di saggistica il secondo un romanzo. Una bambina, nella sua stanza, viene vegliata dal padre scrittore, che in preda ad una strana e singolare ansia, le dedica tutta la sua vita, raccontandola con l’amore e la delicatezza che solo un genitore può avere, in una lunga lettera dove si respirano i giorni vissuti tra le pagine di un libro (quello magari che ti ha fatto finalmente capire come va il mondo), le cicatrici lasciate sulla pelle dalle illusioni più brucianti, le delusioni, le disillusioni, le bugie, i rancori, i pudori, ma con una fiducia estrema nella Vita, sì quella con la V maiuscola, che in un modo o nell’altro ti ripagherà semplicemente dell’averLa vissuta. Colasanti è un grande scrittore oltre che un serio e preparato professore universitario, di quelli che non sai mai se amarli o odiarli, vuoi perché troppo bravo, vuoi perché troppo troppo!

Ad ogni modo parliamo di un modo di pensare e del fare scrittura come un profondo gesto spirituale in cui i propri tracciati autobiografici si intrecciano vuoi con la finzione vuoi con la riflessione. Un processo inscindibile che Colasanti sente come missione, come imperativo categorico affinchè le parole e quello che descrivono e raccontano non cadano nel vuoto, ed anzi si affermino con sempre più forza con la consapevolezza che tutto è sempre un grande inizio. Perché consigliare questo libro? Perché si tratta di un libro intriso di delicatezza e poesia che ci fa riflettere in maniera lieve ma puntuale, sulle paure, i sogni, le memorie e quello che c’è di più vero in ogni vita. Un racconto in cui le storie testimoniano la forza dell’amore paterno e la necessità di tramandare ai figli un’eredità di sentimenti.

Claudio Comandini, Basso Impero (Sovera edizioni). Un estratto

CRONACHE DAL BASSO IMPERO (p. 35-36). Credi davvero che siamo in un’epoca peggiore delle altre, oppure che esista un progresso? Stavo interessandomi alla tarda antichità: alla vita quotidiana durante il basso impero. Ti sembra di sentire le grida di una folla perduta, concentrata in una piazza ricavata dal prosciugamento di una palude, dove la fogna passa a cielo aperto. Nell’ordinarietà del malaffare, la normalità del ladrocinio, in un’epoca di principi del foro bugiardi, di corti piene di puttane. Dove la popolazione è falciata dalle epidemie e dall’ordinaria violenza urbana, il fiume straborda, i rifiuti marciscono per strada, la speculazione edilizia riempie ogni vuoto. Incontrollata l’immigrazione di schiavi delle province, agricoltori senza più terra, che vendono e comprano mogli e figlie alla prostituzione nella suburra perché altro lavoro non c’è. E questi “extracomunitari” sono intrusi pericolosi per gli scaricatori del porto fluviale e i figli di buona famiglia, con cui condividono le stesse sbronze, le stesse chiacchiere, le stesse puttane. Insomma, ritrovo la storia dei nostri giorni. Come se già dai tempi di Roma vivessimo una lunga decadenza. Come se il basso impero non fosse mai finito.
GIOIA (p. 22). Gioia vuole bene a tutti, e gli sta bene così. Lei è così, rossa così, pienotta cosi. Il suo pomeriggio trascorre fra le immagini della tv i cosmetici e le telefonate. Lei adora Fiorello come una muta che attende da lui la voce, e tutte le canzono le ha imparate da lui. E’ amica di Ambra, certo, gli batte le mani quando si muove così ben telecomandata, ma non ha il suo stile, non fa la saccente con quella forzata disinvoltura che piace tanto ai frustrati. Questo lo sa. Ma non si cura di capire. Cambia ad ogni notiziario, poi figurati oggi che c’è sta manifestazione, cheppalle. La guarda un po’, ma poi si rompe, e canta le sigle pubblicitarie. E prega che i Take That non si scioglino mai, lei prega che i Take That non si sciogliano mai. Esce un giorno con me e un giorno con te, e dà a tutti quel che gli và. Lei adesso ha quindici anni, e non gliene importa un granché. Si sente grande, sa di essere piccola. Guarda la borgata fuori, non pensa che sia brutta. Fra un po’ esce con Mario, stasera forse farà pace con Lele, magari stasera andrà a ballare. Fuori la pioggia ha smesso, ma può ricominciare, ma non gli importa.

giovedì 25 marzo 2010

Il libro del giorno: Cattive abitudini di Jim Nisbet (Fanucci)

Banerjhee Rolf è un brillante ed equilibrato scienziato americano, la cui vita oscilla tra i binari ordinari della relazione coniugale e le occupazioni del tempo libero: il giardinaggio e le meditazioni intorno all’astronomia.
C’è solo uno steccato di legno a separare la sua casa da quella dei vicini – Toby Pride, un tizio poco raccomandabile dedito al traffico di droga, e la sua fidanzata Esme, un’avvenente bionda costantemente persa tra i fumi di alcol e droghe –, ma le distanze fra i tre sembrano incolmabili.
Poi, un giorno, dopo quattordici anni di fedele servizio, Banerjhee perde il lavoro che svolgeva nel laboratorio di un’industria farmaceutica e, in preda al senso di inadeguatezza e agli interrogativi sul suo futuro, finisce per rendersi complice delle losche attività del suo vicino di casa e prendere parte a una feroce sparatoria in cui sono coinvolti narcotrafficanti e agenti federali. L’accelerazione degli eventi non lascia a Banerjhee altra alternativa che mettersi in fuga e andare incontro al destino, imprevedibile come una roulette che gira in silenzio rischiando di fargli perdere tutto.

Marco Inguscio, Storie minime, Poet/Bar 15.11 (Besa editrice)

"Sono queste le notti che preferisco, quando non si guarda la strada e le palpebre sono stanche della corsa, quando la luna è lattigine sulle nuvole. E' come quando mia madre si alza presto all'alba a lavare le stelle prima del giorno, come quando si trucca davanti lo specchio magica come l'uomo al primo disegno."

Marco Inguscio è nato nel mese di maggio del 1986 e risiede a Galatone (LE). Nel 2005 è stato premiato al concorso di poesia Internazionale “Arnaldo da Brescia”. Collabora con riviste locali e con associazioni studentesche preposte a favorire la mobilità internazionale tra gli studenti. Questa è la sua prima raccolta di versi e prose.

Alieni. Un mistero tra noi di Enrico Ruggeri e Candido Francica (Rizzoli)

Ce lo siamo sempre posti come interrogativo: il genere umano è l’unica specie vivente nell’universo? Se non lo è, come faremo a entrare in contatto con altre intelligenze e civiltà? La nostra vita sarebbe sconvolta da un ipotetico incontro e una possibile interazione con razze aliene? Si tratta di quesiti che l’uomo si chiede sin dagli inizi della sua Storia, e che sono sovente generati non solo dallo stupore che si può provare nell’osservare l’immensità di un cielo notturno stellato, quanto dalle innumerevoli circostanze anomale che cortocircuitano la realtà, generando anomalie in tutti i campi dall’archeologia, all’arte alla scienza. In più di qualche rappresentazione Maya, ad esempio si notano incisioni e sculture murarie che rappresentano veri e propri velivoli interplanetari. Come spiegarlo? Popolazioni arretrate a Tahiti e in Oceania, disponevano di tecnologie avanzatissime per il trasporto di tonnellate e tonnellate di metalli. Come spiegarlo? I cerchi nel grano, il più recente dei quali, a Chibolton in Inghilterra, comunicano informazioni lanciate nello spazio più di vent'anni prima da un radiotelescopio americano. Come spiegarlo? Ma gli eventi inspiegabili non si fermano solo qui, i segni inesplicabili ancora una volta, non si fermano qui. Con la trasmissione tv “Mistero”, andata in onda per più di una stagione su Mediaset, Enrico Ruggeri ha toccato tutti questi argomenti raccogliendo anche drammatiche testimonianze come quella della sarda Giovanna, che ha riferito di essere stata violentata ripetutamente dagli alieni e di aver partorito un ibrido alieno, poi morto poco dopo averlo dato alla luce. Ma già queste poche righe di scandaglio del lavoro di Enrico Ruggeri, ci spingono a ipotizzare una soluzione, che pur se non definitiva, ci può mettere nelle condizioni di intreprendere una ricerca seria e rigorosa. Intanto possiamo dire che non siamo soli nell'universo e i nostri "vicini di casa" si manifestano sulla Terra attraverso incontri quasi furtivi. E così che ne troviamo tracce dalla Bibbia alle pagine antico-romane dello storico Giulio Ossequente, dalle osservazioni astronomiche condotte nel Seicento sino alle relazioni top secret del Pentagono e del Kgb, ai bollenti articoli del fin troppo scomodo Mino Pecorelli. E ancora, sarebbe sostenibile, l’idea di una "rete" di famiglie, tutte imparentate fra loro, che manipolano e strumentalizzano gli eventi attraverso politici-fantoccio e personaggi di rappresentanza, prodigandosi per instaurare una tirannia a lungo preparata, con l’aiuto e la cooperazione di razze aliene? Certo il libro di Enrico Ruggeri, non ha lo stesso rigore delle ricerche portate avanti da un Roberto Pinotti, nè il sensazionalismo di un David Icke, ma rappresenta una solida guida per tutti quelli che desiderano avere una mappatura coerente e imparziale dei principali temi trattati dall’ufologia negli ultimi cinquant’anni. Naturalmente poi spetta al lettore, se interessato, ad approfondire e discernere cialtronerie e verità accettabili in materia

mercoledì 24 marzo 2010

Il libro del giorno: Altre stanze, altre meraviglie di Daniyal Mueenuddin (Mondadori)

Nella campagna che circonda Lahore, in una vasta tenuta di proprietà di K.K. Harouni, si intrecciano le vicende di una quantità di personaggi. Oltre al vecchio signore di stampo feudale, gli abitanti dei villaggi vicini che dipendono dai suoi favori, i domestici, e una serie di parenti, prossimi o lontani, che hanno cercato fortuna in città o all'estero: gli sfacciatamente ricchi e i disperatamente poveri, tutti alle prese con i vantaggi e i limiti della posizione sociale, con la sparizione delle vecchie usanze, e con lo choc del cambiamento.
A farci capire che quello descritto da Daniyal Mueenuddin è il Pakistan contemporaneo sono soltanto la comparsa di una motocicletta, per quanto datata, l'evocazione del fantasma di una Rolls Royce, la visita di una figlia occidentalizzata, l'incontro a Parigi tra i genitori di un giovane pachistano e la sua fidanzata americana... Per il resto l'atmosfera del racconto è quella di una terra senza tempo, dove non hanno posto l'Occidente, o il fondamentalismo, e che brilla invece dell'intelligenza e dell'astuzia affinate dalle avversità dei personaggi più sfortunati.
Mueenuddin mette a nudo - a volte in commedia, più spesso in tragedia -, la complessità della cultura pachistana nel momento in cui l'ordine feudale sopravvissuto viene scardinato e trasformato in modernità: il risultato è una comédie humaine in miniatura dove spiccano personaggi femminili molto diversi da quelli che la cronaca propone quotidianamente alla nostra facile indignazione.

Prove di felicità a Roma Est di Roan Johnson (Einaudi Stile Libero)

«È che lo sfigato è sfigato per natura. Magari perché è grasso, timido, balbuziente. Io ero sfigato per convinzione. Era accaduto per eccesso di sensibilità, avrebbe detto mia mamma. Ero stato fregato, avrei detto io» Dopo Mario Desiati con il suo “Vita precaria e amore eterno” edito da Mondadori o antologie precarie come “Tu, quando scadi?” edita da Manni dove a più voci si racconta di un futuro incerto a rischio di povertà ed esclusione sociale, il medesimo orizzonte precario di una generazione, fatto di ricattabilità e sottomissione, ecco che Einaudi pubblica l’esordio di Rohan Johnson dal titolo “Prove di felicità a Roma Est”.

Si racconta la vita e gli amori del giovane Lorenzo Baldacci di anni 21, che da un piccolo paese di provincia si trasferisce con la sua vespa a Roma, per tentare di prendere in una scuola privata il desiderato diploma. Per tirare a campare fa il pony pizza boy ( ogni giorno per le consegne rischia di spaccarsi la schiena a causa del terribile dissesto stradale in cui vive l’eterna capitale d’Italia) , e vive con un professore in pensione, in attesa di trapianto, in attesa della morte nella sua sepolcrale solitudine.

A Lorenzo piace osservare, fotografare, memorizzare sfumature degli altrui tracciati biografici, per deglutire stili di vita, tic metropolitani, esistenze quasi in preda ad una compulsione voyeuristica. La Roma che emerge dai racconti del giovane, è una città che rivela i suoi volti molteplici, contraddittoria, cinica, minacciosa, una città di grandi ricchezze e grande povertà, fatta di badanti, truffe, subaffitti, e campi rom, una città osservata in una sorta di zona antropologicamente autonoma che va dal Quadraro alla Tuscolana piena di forte e grezza umanità. Una città che Lorenzo amerà di un amore singolare e viscerale, tanto da volerla osservare da una prospettiva veramente infima: si trasferirà nei pressi di un campo nomadi, raccontando fallimenti e sconfitte fino ad un suo personale e radicale cambio di punto di vista, su ogni cosa, che corrisponderà alla sua piena maturità. Splendida la figura di Samia, la ragazza di origine marocchina, bella anzi bellissima, quasi un inaccessibile mistero, forse anche per i lettori stessi. Un libro che consiglio caldamente!

Roan Johnson, è italiano al 100%. Nato da madre materana e padre londinese, è cresciuto a Pisa. Ha 35 anni e da 10 vive a Roma. Prove di felicità a Roma Est (Stile libero, 2010) è il suo primo romanzo.

martedì 23 marzo 2010

Il libro del giorno: Azzeccare i cavalli vincenti di Charles Bukowski (Feltrinelli)

Charles Bukowski "ritorna". Ritorna con una raccolta di scritti già pubblicati in vita ma che qui postulano una continuità, un'unità di tono, un preciso e vario dispiegarsi di temi. Che si tratti di arte, di musica, di politica, dei colleghi scrittori o di ripercorrere la propria vita, la penna del vecchio Buk non sorprende, ma illumina, lascia senza fiato. Che cosa doveva essere letteratura, era chiaro: "La maggior parte degli scrittori scriveva delle esperienze delle classi medio-alte. Avevo bisogno di leggere qualcosa che mi facesse sopravvivere alle mie giornate, alla strada, qualcosa a cui appigliarmi. Avevo bisogno di ubriacarmi di parole...".
"Azzeccare i cavalli vincenti" va oltre il testamento letterario. In questa raccolta di riflessioni Bukowski innesca una personalissima, vitale ed esplosiva battaglia contro la fiacca mentalità borghese, con uno humour disincantato, dark e cinico che non può lasciare indifferenti.
Ecco allora le prese di posizione contro la cultura "alta" delle università, i poco convenzionali pamphlet sul piacere di defecare e sul diritto di guidare ubriachi, e le dichiarazioni programmatiche sulla superiorità di una vita spogliata dagli agi materiali e magari arricchita da una bottiglia di vino e da un disco di Mozart.
Tristezza, follia, humour. L'universo bukowskiano concentrato in una raccolta di saggi e scritti apparsi su riviste e taccuini tra il 1944 e il 1990.

Il dolce cammino di Fabrizio Buratta e Faraòn Meteoses (Aracne edizioni)

Ho avuto l’opportunità di conoscere Faraòn Meteosès con la sua silloge “Psicofantaossessioni” portato alle stampe dall’editore Lietocolle e subito ho riconosciuto una forte peculiarità nel modo di scrivere versi: la capacità di incantare con una pienezza di cromaticità affioranti da una vasta varietà di grammatiche, articolate attraverso una metrica personalissima. Con piacere seguo i passi di questo poeta, vedendolo impegnato in numerosissime uscite pubbliche per l’Italia, a testimonianza di un’indomita passione per la performatività. Ora per i tipi di Aracne, esce “Il dolce cammino…” un libro a due voci fondamentalmente, con il fotografo Buratta, compagno di viaggio in quest’avventura che attraverso due tipologie espressive tenta di seguire un comune approccio semantico ed estetico. I due protagonisti di questa esperienza editoriale vogliono farsi sentire con il loro grido di protesta che apre gli occhi della gente che avrà la fortuna di leggere questo libro su alcuni aspetti della vita di oggi come l’artificialità dei nostri tempi, le morti sul lavoro accanto alla categoria dello Sfruttamento a qualsiasi latitudine lo si voglia intendere. Ora che sia un libro di poesia che raccontano delle foto, o viceversa poco importa, dal momento che le 32 sequenze fotografiche di Fabrizio Buratta e le 32 “Fermate a richiesta” di Faraòn Meteosès sono il risultato di un’esplosione di energia incredibile la cui utilizzazione è prettamente di azione ermeneutica sul reale, sul circostante, sull’interiore, sull’utopico. Faraòn Meteosès ovvero Stefano Amorese si presenta al suo pubblico in maniera più matura arrivando a sfruttare la potenza delle parole sino al midollo, arrotandole, ritmandole per descrivere frammenti di mondo che debbono essere lacerati perché non sussistano più né inutili ipocrisie o superficiali fraintendimenti. Così si presenta Fabrizio Buratta al suo ipotetico pubblico a pag. 88: “Ho fatto politica, letto libri, visto film, mostre, teatro, eppure cado dalle nuvole! (…) L’affresco che si vede è per forza di “cose” doloroso, ma dal disagio nasce sempre la consapevolezza”. Amorese invece controbatte in questo modo: “ora sì che posso lasciarmi andare/ più liberamente e al mio diletto/ sorvolando tutti gli ammassi informi delle nuvolaglie/ e i bassipiani depressi sulle superfici/ frattanto che dabbasso la terra trema/ qui mi trastullo/ lontano dal mio dolore e dal mio travaglio/ dissolvo ogni inquietudine del mondo fisico/ che mi attanaglia/ sono felice nell’egoismo sano della pura morte”. Il volume presenta i contributi di Fabrizio Buratta, Faraòn Meteosès (Stefano Amorese), Plinio Perilli, Eugenio Maria Costantini, Ugo di Toro, Luca Cremonesi, Giacomo Cerrai. That’s all folk!

Scassata dentro di Enzo Mansueto (D'If edizioni) vista da Nunzio Festa



















La crosta dei componimenti di Mansueto è spaccata dal rumoreggiare del linguaggio. Tanto è vero che con “Scassata dentro”, in contemporanea, si devono accogliere i tormenti musicali de la Zona Braile; quelle, specifichiamo, vibrazioni di sottofondo che fanno da acqua che non scorre alle stesse poesie di Enzo Mansueto. Dunque, a me che ripudio Cccp e Csi, non fa forse piacere (se piacere davvero dovrebbe provocare). Però già in quella imitazione conosciamo mezzo timbro dell’autore. Ma sono le pagine, per fortuna – e non lo si legga da parziale stroncatura di quello che precede - , a presentare il vero volto del Mansueto. Che stiamo dando favori, in verità, all’autore. Il piccolo volume, curato attentamente dall’attenta e mobilissima Caridei, è appunto una delle pubblicazioni di Vico Lungo Gelso alla napoletana Toledo. Un miosotis. E’ già da qui si capisce che esiste una buona presentazione. Che la selezione è tanta, e ottima. La pelle dei versi di Enzo Mansueto è anticipata da una presentazione, baroccheggiante, che sa quasi d’altri tempi. Ma che nel contempo esprime parte delle belle capacità dell’autore pugliese. L’esteriorità dei versi, si diceva, è tutta sconquassata, d’uno sconquasso praticamente solitario, dalla volontà di dare forza e spiriti a un’attualità fatta e rifatta, strafatta. A leggere o ascoltare i moti della società nostrana. La lingua del poeta assume la forma del contrasto con la musicalità. Assurdo quanto vero. Perché deve reggere il primo scambio con l’interiorità dei versi stessi. E’ dalla posizione successiva, appunto, parte il reale senso involontariamente sinfonico ma volutamente in-fonetica dei testi. “Torniamo a casa stinti dall’inedia. / Nel cavo di una sedia. / Attorno al cavo cranio / un fascio di particole compone / un tronco senza nome. Il corpo estraneo”. Il filo da apprendere, per cominciare, dalle parole riportate è steso fino alla fine della raccolta. Sino a urtare il limite d’un esaurimento. Mansueto fa poesia estenuante. D’una efficacia tale da gridare all’autore provocatorio: che provoca applausi. Giusto, dunque, legge i versi del Mansueto in reading, performance varie. Ma magari senza rincorrere una sciocca emulazione dello scandire i versi eseguendo ritualità d’altri personaggi. Meglio far esprimere le stesse poesie senza imporre loro accenti parrocchiali.


lunedì 22 marzo 2010

Il libro del giorno: Assalto a un tempo devastato e vile. Versione 3.0 di Giuseppe Genna (Minimum Fax)

«Genna è in grado di dare dipendenza».
The Guardian

«Genna scrive con un’energia prodigiosa e agghiaccia il lettore».
The New Yorker

«Genna dimostra di essere lo scrittore italiano che tenta davvero la via di una letteratura civile, che non scompaia a libro finito».
Il Giornale

Assalto a un tempo devastato e vile è il libro cult di Giuseppe Genna, l'opera che al momento della sua prima pubblicazione fece gridare alla nascita di una voce potente e originalissima della letteratura italiana.
Oggi questo piccolo classico della letteratura italiana torna in una nuova edizione riveduta e ampliata.
Utilizzando le forme del racconto, del saggio, del reportage, Genna esplora il cuore delle città in cui viviamo e di un paese intero, componendo un vertiginoso mosaico del nostro tempo. Le storie, le parabole, le analisi, gli ammonimenti che Genna mise su carta sul finire degli anni Novanta oggi suonano paurosamente profetici. La degradazione delle periferie, l'impoverimento economico, il crollo della solidarietà e delle regole di convivenza, e soprattutto la desertificazione etica e spirituale di un intero popolo visti dalla lente deformante di una Milano fredda e inumana sono pugni nello stomaco difficilmente dimenticabili. Ma anche i racconti autobiografici, le riflessioni sulla letteratura, sulla religione, sui più scottanti temi politici e sociali, fanno di Assalto una bussola e un compagno di viaggio per tempi sempre più incerti.

“LEONARDO DA VINCI’S MUSICAL GIFTS AND JEWISH CONNECTIONS di Giovanni Pala e Loredana Mazzarella. Intervento di Luciano Pagano




















L’autore di questo libro, Giovanni Pala, è un musicista che suona ogni tipo di strumento e insegna, in particolare, percussioni. Nel 1999 è stato insignito del Golden Lion Prize al Festival di Venezia. Vive tra gli Stati Uniti e l’Italia. Il titolo originale di quest’opera a dir poco sconvolgente è “LEONARDO DA VINCI’S MUSICAL GIFTS AND JEWISH CONNECTIONS“ (The Americas Group). Perché sconvolgente? Semplice, da una lettura del famoso Cenacolo di Leonardo, visto con gli occhi e le conoscenze del musicista/musicologo, Giovanni Pala ha letteralmente decriptato un filone interpretativo che ci consente di ‘leggere’ un particolare del tutto inedito e che fino a questo momento non era mai stato preso in considerazione dagli studiosi dell’Artista. L’autore rivela così al lettore l’esistenza di uno spartito musicale celato tra le mani, i pani e i frutti raffigurati nell’Ultima Cena, nonché di una preghiera in ebraico nascosta negli spazi e fra le note nel celebre affresco. Come e perché Leonardo ha occultato le note sotto gli occhi di tutti, in un’icona universale come l’Ultima Cena? Questo è forse uno dei quesiti più interessanti mai sorti attorno a questo affresco. Il libro contiene inoltre approfondimenti su dettagli poco conosciuti della vita di Leonardo. L’aspetto più interessante è certamente costituito dal fatto che un’opera per noi così riconoscibile e consueta venga sottoposta a un vaglio critico totalmente inedito, che farà impallidire per protervia critica Dan Brown e affini, dato che la lettura oltre che plausibile è condotta con metodo scientifico e resa in modo divulgativo, quindi accessibile a un vasto pubblico di non specialisti. “Leonardo’s Da Vinci musical gifts and jewish connections“, scritto da un autore italiano e pubblicato per la prima volta negli Usa, è un esempio di divulgazione scientifica di altissimo livello che fa chiarezza su un tema, solo in apparenza, oscuro.

il Cenacolo di Leonardo sul sito di Haltadefinizione

informazioni ulteriori qui: www.davinciexperience.info

Per acquistare il libro su Amazon http://www.amazon.com/Leonardo-Vincis-Musical-Jewish-Connections/dp/0935047719/ref=sr_1_1?ie=UTF8&s=books&qid=1264480993&sr=8-1

Ash di Malinda Lo, collana Scatti (Elliot edizioni)




















Risale al 20 gennaio l’uscita del romanzo d'esordio della scrittrice americana di origine cinese Malinda Lo che è stato pubblicato in Italia da Elliot edizioni. Meglio tardi che mai!

Libro sorprendente, originale, atipico, una vera e propria provocazione, che se non fosse per il fatto che si tratta di un libro veramente eccezionale, penserei ad una delle tante trovate da marketing editoriale per vendere un prodotto in realtà scadente. A metterci poi “la carica da 100” il fatto che il libro era stato pubblicato negli U.S.A dagli stessi editori di Twilight. Ora in periodi di rivisitazioni cinematografiche e penso al film Wolfman di Joe Johnston con il grande Benicio Del Toro oppure a ibridazioni meticcianti come il lavoro di Seth Grahame-Smith “Orgoglio pregiudizio e zombie” edito dalla Nord, ecco che non mi stupisce più di tanto la storia di questa Cenerentola singolarissima, nuova, che affronta temi molto delicati e lo fa in maniera eccelsa come la questione della crescita interiore e la ricerca dell’identità tipica dell’universo adolescenziale, e che va al di là dei generi sessuali stessi. E così dopo anche la rivisitazione di Cenerentola “splatter” in riviste specializzate del settore di fine anni 80, ecco Ash, che secondo la critica born in U.S.A. assurge a divenire il simbolo della forza che l’amore scatena in ognuno di noi al di là di qualsiasi languore romantico. Per chi non l’avesse capito stiamo parlano del classico dei classici in fatto di fiabe, ovvero Cenerentola, ma questa volta lesbo. La piccola serva oggetto delle atroci angherie di matrigna e sorellastre come da copione va al ballo di corte con l’aiuto questa volta di un mago anziché della fatina, e incontra il principe azzurro, che perde la testa per lei. Ma lei non ha occhi che per un’altra, e allora …Per farla breve la storia è questa: in un reame fuori dal tempo, Ash vive sola con il padre in una grande casa vicino al bosco. La sua adorata madre è morta da poco e tutto quello che le rimane di lei sono solo le favole meravigliose con cui l’ha cresciuta. Ma per Ash esse non sono soltanto favole, sono il luogo dove la sua mamma continua a vivere, circondata da incantesimi e creature fatate. Un giorno però il padre della piccola decide di risposarsi e a breve sia lui che Ash si trasferiscono in città, lasciando così la foresta in cui lei è cresciuta. Quando, poco dopo, l’uomo muore improvvisamente, la ragazzina viene degradata a una servetta dalla matrigna e dalle due figlie di questa. Ash in varie occasioni riesce ad allontanarsi e a tornare nel “suo” bosco, alla tomba della madre: qui fa due incontri che le cambieranno la vita, il misterioso Sidhean, ambiguo e dotato di poteri magici, e Kaisa, una giovane donna a capo delle Cacciatrici del Re. Desiderosa di incontrare di nuovo la bella Cacciatrice reale, Ash stringe un patto con Sidhean: lei apparterrà a lui, ma questi prima userà le sue arti magiche per trasformarla in una principessa in modo tale che Ash possa partecipare al ballo del Principe e incontrare di nuovo Kaisa. Al ballo, il Principe non ha occhi che per Ash, ma lei preferisce ballare con Kaisa. Almeno fino a mezzanotte, quando dovrà essere di ritorno nel bosco perché lì l’aspetta Sidhean per prenderla… Magico e romantico, Ash è un debutto straordinario che racconta in modo incantato e indimenticabile cosa significhi crescere, scoprire se stessi e innamorarsi.

Malinda Lo è una giornalista americana di origine cinese. Ash, suo primo romanzo, è stato subito salutato da critica e lettori con entusiasmo e ammirazione ed è in corso di pubblicazione in numerosi paesi.

domenica 21 marzo 2010

Manifesto della poesia fenicea di Massimiliano Antonucci


















“Certi poeti rappresentano la realtà
/ ma questo lo sanno fare tutti./ L’unica lirica in grado di saziare lo stomaco/ zampilla acqua e sangue/ come una gallina azzannata da una volpe./ Uno scrittore vero s’infila tra le gambe un pugnale/ per segnare un suono ignoto”.

Capita che guardi e veda acqua. Le ombre dell’Arno si muovono dentro di me dove si trova sempre presente una dimensione parallela a quella del vivere giorno per giorno. L’acqua è una forza che mi perseguita e mi spezza la schiena, si nasconde ma alle volte fa di tutto per emergere in maniera prepotente sotto forma artistica: una sorta di ribellione e riscatto, una potenza vitale che mi rende elettrico come una gatta prima di mangiare. Nella sua voce si nasconde rabbiosa una disperazione fatta arte. Altri poeti hanno preferito scorciatoie, mezzucci per allietarsi l’esistenza, ma hanno finito per produrre una falsa forma di bellezza. Se sei poeta non sei facchino o imprenditore, non sei avvocato, impiegato o macellaio. Sei ladro. Un ladro che ruba dissonanze dentro le perfette costruzioni della mente. E mentre la notte mi invade con una continua richiesta di morte e di rinascita, lo spirito mi viene addosso in una vestaglia di raso rosso e il suo calore è più appagante di mille vittorie. Non abbiamo bisogno di una vita cauta ed infelice. Non abbiamo bisogno di una felicità vuota alla quale tutti possiamo ambire. Abbiamo bisogno di sentire. Di emergere. Per le strade noi vaghiamo oltre l’istinto in situazioni ai limiti della percezione, in luoghi apparentemente sconosciuti dove bruciamo, bruciamo sempre insieme a moschee piene d’odio e a cattedrali dorate che inneggiano falsi dogmi. Adesso che stiamo per scrivere l’anima della notte giunge e si mostra subito irrequieta. La notte ci invidia.

1) Nessuno è in grado di accedere alla propria realtà interiore senza avviare un processo di conoscenza profonda che inizia quando lo spirito s’impone sulla rozzezza della materia.

2) La poesia fenicea scaturisce dalla tensione prodotta dall’uomo-poeta che urta la materia e si oppone alla mediocrità che non vede prigioni.

3) Lo sforzo creativo dell'uomo supera tutte le prigioni della mente costruite sotto il comando impietoso della paura attraverso una differenziazione dell’individuo dallo status quo.

4) Il feniceismo rappresenta un movimento artistico di rottura verso quei comportamenti istintivi che preservano la propria natura dal distruggere le certezze mai discusse, sviluppando nel poeta una ricerca intuitiva che affonda oltre l’assetto consolidato dell’ordine sociale.

5) Gradino dopo gradino il poeta si inoltra al di sotto della soglia del logico per superare gli argini dell’essere statico e le allucinazioni indotte dalla falsità del vivere: egli è nella oscurità, oltre i simboli del giorno, dove è il baratro in cui si trova originario ed intatto un personale senso di verità.

6) La sensibilità di questi scrittori della vertigine si muove verso la scaturigine del bene e del male che compare dentro di sé.

7) Il potere di penetrare tra le ombre dell’esperienza li rende abili a trascendere il visibile; essi stracciano le vesti alla bellezza per imbattersi in quella verità che solamente il corpo ha il potere di raccogliere, nascondendola.

8) Sudore bile lacrime seme sangue plasmano il suono di un nuovo lirismo che non indietreggia al buio, anzi lo attraversa nel segno

di un linguaggio ruvido e non uniforme.

9) I poeti fenicei sono deliranti uccelli senza respiro che trapassano le vette del meraviglioso e profanano le profondità del fantastico

per rivelare l’oscenità di una forma di coscienza primordiale.

10) Tutti quelli che creano senza sapere il motivo, tutti gli invisibili, gli emarginati e gli inconsapevoli che vivono l’arte come una possibilità di redenzione, che rimuovono l’illusorietà dalla finzione poetica e non sanno ancora a cosa appartengono, fanno parte di questo movimento e sono detti poeti della fenice.

11) Il mondo ama l’arte ma odia l’artista che afferma la sua unicità su ogni metodo e tecnica.

12) Chi non vive la condizione di diversità non può capire la dimensione eroica dell’esistenza che traduce la frantumazione della regola

nella formazione di uno stile che aderisce alla più autentica individualità.

13) L’artista si denuda senza compiacersi. Mettere il trucco sopra i volti non è suo affare. Se sapesse farlo non riuscirebbe ad abbracciare l’Osceno. L’esercito della scimmia è contro di lui, l’umanità lo ripudia.

Il libro del giorno: La mamma del sole di Andrea Vitali (Garzanti libri)

La motonave Nibbio, vecchia gloria della Navigazione Lariana, sta effettuando il suo ultimo viaggio. A Bellano sbarca un'anziana donna: sta cercando il vecchio parroco, don Carlo Gheratti. Attraversa a fatica il paese arso dalla canicola estiva, prima di scomparire nel nulla.
Quando arriva la notizia che manca una delle ospiti del Pio Ospizio San Generoso di Gravedona, sulle due rive del lago i carabinieri iniziano a indagare. Un secondo enigma segna l'estate del 1933. Dietro pressante richiesta del Partito e della Prefettura, i carabinieri devono raccogliere informazioni su una "celebre" concittadina, Velia Berilli, madre di quattordici figli, tra legittimi e illegittimi. Perché mai Velia Berilli è diventata così importante? Due misteri, insomma, cui si aggiunge un altro problema: in caserma si è rotto il vetro del bagno, e aggiustarlo non sarà semplice.
Ancora una volta, le pagine di Vitali si animano di una piccola folla di protagonisti e comprimari: dall'equipaggio della Nibbio alle autorità locali, e poi don Gheratti, il sacrestano Bigé e la perpetua Scudiscia. Non possono mancare i carabinieri della locale stazione, vere star dei suoi romanzi: il maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, l'appuntato Misfatti, il brigadiere Mannu e il carabiniere Milagra, che segue giorno dopo giorno, con indomita passione, i gloriosi trasvolatori della Seconda Crociera Atlantica.

Una storia coinvolgente, che vede per protagonista ancora una volta l’intera comunità bellanese e il coro delle sue voci. Un romanzo infarcito da una serie di digressioni poetiche e comiche come caroselli e che ricorda le atmosfere dei classici del neorealismo italiano.

Il valore dei giorni di Sebastiano Nata (Feltrinelli)

Sebastiano Nata che con “Il Dipendente” ci ha teorematicamente aperto gli occhi su come gli effetti dell’economia arrivino ad influenzare sesso e società, in materia di denaro, di come ce lo rappresentiamo, di come si auto/rappresenta, delle sue modalità fenomenologiche di creare ricchezza e povertà in un gioco perverso di instabili equilibri, ne sa una più del diavolo.
Quello che questo autore è in grado di fare, è più di una semplice leva di archimede che “solleva il mondo”: egli aiuta a capire meglio il nostro esserci nell’ “universo”, ci fa riflettere sul declino immenso e la scomparsa definitiva della classe borghese con una solidità scritturale che non si vedeva da Moravia e Pasolini. Faccio riferimento all’ultimo lavoro per i tipi di Feltrinelli di Nata dal titolo “Il valore dei giorni”.
Il rumore bianco di sottofondo che aleggia tra le pagine di questo lavoro nasce dal meccanismo perverso della “crisi”, quella iniziata più o meno verso la fine del 2006. Crisi che diventa organismo con tanto di fauci nel febbraio-marzo 2007 e che comincia a divorare le banche d’affari più note nel settembre-ottobre 2008. Lehman Brothers dichiara la bancarotta, Goldman Sachs e Morgan Stanley sub classate a banche normali. Parliamo sottovoce però di crisi dei “B-papers”, una corto circuitazione nata direttamente dal famelico appetito dei banchieri e dalla volontà (effimera) di potenza di ciascuno di noi. In questo romanzo, vademecum forse di sopravvivenza per chi lavora in aziende private (dove una parola è poco e due sono troppe direbbe qualcuno), il protagonista è Marco, manager di successo, possessore di un BlackBerry da cui non si separa mai, sempre tirato a lucido, che da tempo ha perso i contatti con se stesso, a causa dei suoi innumerevoli impegni professionali. Ha un fratello di nome Domenico che vive a Porto San Giorgio, dove gestisce un negozio di infissi, ed è teneramente innamorato di una giovane donna. Tra di loro, quando si incontrano, si accende un fuoco violento e terribile, non riuscendo a vedersi reciprocamente nel verso giusto, e dunque sembra che le due tipologie di esistenze non possano trovare un punto d’incontro. Ma la Morte, come al solito, interverrà tra i due personaggi a riequilibrare sorti e destini, a dare insomma a Marco una luce più chiara, forse una possibilità di redenzione, magari proprio da un piccolo centro di provincia. Ora quello che Nata sembra voler comunicare è che esiste tutto un universo interiore che ci portiamo dentro ogni giorno, che costruisce azioni ed emozioni tendenti ad un unico obiettivo: evitare il fallimento (sotto qualsiasi punto di vista), quella terribile sensazione che irrompe nella vita dell’uomo come un fulmine, sconvolge, annienta e svalorizza ogni esperienza. Ma Nata sa e ce lo racconta attraverso Marco, che la forza si misura sempre nel sapersi rialzare.

sabato 20 marzo 2010

Il libro del giorno: Il Partito dell'Amore di Mario Portanova, Collana Reverse (Chiarelettere edizioni)

“Io sono del parere che se toccano un mio familiare applico la legge delle SS, uno a dieci.”
Giorgio Bettio, Lega Nord, Consiglio comunale di Treviso con riferimento agli immigrati, 2007

"Noi vogliamo che il Bene prevalga sul Male", ha proclamato in diverse occasioni Silvio Berlusconi. Il Bene sarebbe la sua parte politica, il Male gli avversari. Una contrapposizione frontale: "I comunisti controllano tutto... sono da eliminare, se non fisicamente, politicamente".
Chi non è con lui un "nemico", "terrorista", "coglione", "miserabile", "illiberale", "mentecatto"... Seminando odio, il Partito dell'Amore ha screditato le istituzioni, la magistratura, qualsiasi forma di opposizione. Questo libro ricostruisce il clima che sta funestando il Paese e ci sbatte in faccia la volgarità, il razzismo, la violenza verbale, il disprezzo che fa da sfondo alla politica del Pdl e della Lega, amplificata dagli organi d'informazione vicini al centrodestra: Libero, Il Giornale, La Padania, Tg4, Studio Aperto e Tg1. Ecco smascherato chi sta buttando via il patrimonio democratico e civile dell'Italia.

Mario Portanova scrive per Il Fatto Quotidiano, L’espresso, Wired e Altraeconomia. Tra i suoi libri: "Inferno Bolzaneto" (Melampo 2008), "Chi ha paura dei cinesi?" (con Lidia Casti, Bur 2008), "Dichiarazia" (Bur 2009). Con Beppe Cremagnani e Enrico Deaglio ha realizzato il documentario "Governare con la paura" (Melampo 2009).

Il Partito dell'Amore di Mario Portanova, Collana Reverse (Chiarelettere edizioni)

Il Buddha bianco di Hitonari Tsuji (Marco Tropea editore)


Hitonari Tsuji nasce a Tokyo. Tutti nell’ “impero del sole” lo conoscono sia come poeta e romanziere che come voce rock. E’ considerato il nuovo guru della letteratura giapponese. Questo libro dal titolo “Il Buddha Bianco” edito in Italia per i tipi di Marco Tropea editore, che gli ha fruttato in Francia il Prix Femina Étranger, accanto ad autori del calibro di Erri de Luca, Javier Marías, Ian McEwan, Sandro Veronesi e Rose Tremain, ha come base ispirativa la vita del nonno. Si tratta di una recente uscita editoriale che arricchirà senza dubbio l’universo bibliografico italiano con un autore che vale la pensa di conoscere. La storia: siamo ad Ono, isoletta nell’estremo sud del Giappone. La famiglia Eguchi ha alle spalle una grande tradizione artigianale come forgiatori di spade, una vera e propria missione che si nutre del coraggio dei primi samurai che occuparono la regione. Minoru, il giovane di casa (siamo nei primi del Novecento) decide volontariamente di divenir prigioniero di tutto quel mondo rurale, colmo di ancestrali tradizioni che si perdono nella notte dei tempi, riuscendo con grande ingegnosità e un incrollabile forza di volontà, a superare gli alti e bassi della sorte e ben due conflitti mondiali. Ma questo sarà solo l’inizio di un percorso iniziatico che lo porterà dinanzi a quelle domande esistenziali ineludibili come il significato della vita e della morte, e il valore del ricordo. A vegliare su Minoru, un maestoso Buddha bianco che fin dall'infanzia lo sorregge nei momenti bui. "Un Buddha immacolato, alto fino al soffitto, stava ritto, immobile, al centro di raggi di luce abbaglianti. Minoru si rendeva conto che si trattava di un Buddha, anche se i lineamenti dell'apparizione rimanevano vaghi, non si distinguevano né gli occhi né la bocca, i particolari si perdevano nella nobiltà complessiva del suo aspetto. L'espressione del volto, tuttavia, si scorgeva chiaramente: serena e di una dolcezza infinita". Questo giovane autore, anche se appartenente al mondo iper-pop giapponese, ha una forza scritturale che lo rende unico, soprattutto perchè tra le righe si legge una vera e propria teoria del silenzio, quella voce interiore che permette ad ogni uomo lungo il corso della sua vita, quell’osservazione consapevole che è luce, e che permette di diradare definitivamente le nubi delle incertezze e dei dubbi. Il “Buddha bianco” è un libro unico, unico e prezioso aggiungerei, uno di quei libri che zippano l’esistenza nelle loro pagine: gioie, dolori, morte, quiete, e ritorno al nulla. Avete presente una Matrioška, quella bambola di origine russa che si compone di pezzi di diverse dimensioni realizzati in legno, ognuno dei quali è inseribile in uno di formato più grande? Beh, l’immagine corrisponde esattamente alla fitta e articolata trama del romanzo: la bambola più piccola rappresenta la storia dei quattro ragazzini nel loro percorso di crescita, la bambola più grande quella della famiglia Eguchi, la bambola ancora più grande che include le altre due la storia dell’isola e, infine, la bambola che le racchiude tutte e tre lo spaccato meraviglioso sulla storia del Giappone nella prima metà del XX secolo. Un’opera di grandiosa profondità, che vi terrà incollati alle sue pagine.

venerdì 19 marzo 2010

Il libro del giorno: Veleno per Michelangelo di Massimo Boccuzzi (D'If edizioni)












Firenze 1494. I francesi di Carlo VIII sono alle porte, i Medici in fuga, Savonarola vuole istaurare una repubblica teocratica. Michelangelo inizia a scolpire una statua di… neve. Una setta di incappucciati, che semina il terrore in città, vuole avvelenarlo. Ma Nencia degli Uberti, la sua piccola amica di tredici anni, lo salverà. Nella storia non mancano dame, magnati e armigeri; intrighi, amori e lussurie; e… le prediche di fra Girolamo Savonarola.

PERCHÉ QUELLE STRANE GOCCE DI SANGUE SUL CORPO DI BAFEFIT?. Intervento di Angela Leucci




















Mostruosi bianconigli ed eroine sanguinarie o sanguinolente. Si può riassumere così il suggestivo universo delle illustrazioni di Bafefit (al secolo Raffaele Iodice), che dopo alcune pregevoli mostre dei suoi “mostracci” (pupazzi ricavati con scarti di stoffa) in Italia, è giunto all'attenzione delle riviste statunitensi di settore. Abbiamo voluto utilizzare un titolo che parafrasasse un universo che si confa a quest'artista, che assomigliasse un po' alla trama splatter di un film, come “Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?”, con Edwige Fenech. Eppure lo splatter, come sappiamo, ha un ipertesto di finzione, un dizionario non scritto che segna il confine, la differenza sottile in quel contesto, tra fantasia e realtà.

Un po' quello che capita con le illustrazioni di Bafefit. Un immaginario che sembra ispirato a quello burtoniano, ma che invece è crudamente originale nei suoi chiaroscuri di sangue e lacrime, tra rovi che decapitano e carcrashing con inebetiti testimoni di laghi di sangue. Carta in cui immergersi ed emergere nuovi, pur nella vecchiezza di una cellulosa targata XIX secolo, che Bafefit recentemente utilizza per i soggetti cui tiene di più.

Tutto questo e molto altro. Perché nei mille particolari che Bafefit imprime sulla carta c'è un po' di noi stessi, delle nostre paure, quello che ci differenzia gli uni con gli altri. Tutti dettagli che non si possono esprimere, perché l'animo umano stesso prova scandalo a sentirsi nudo.

giovedì 18 marzo 2010

Il libro del giorno: Bastasse grondare di Alessandro Bergonzoni (Libri Scheiwiller)

















Un Bergonzoni così non si era mai visto. L’imprevedibile e poliedrico artista bolognese, grande affabulatore, visionario virtuoso della parola, ci fa dono di una nuova opera degna del suo eclettico talento.
Dopo Non ardo dal desiderio di diventare uomo finché posso essere anche donna bambino animale o cosa (Bompiani 2005), Bergonzoni ritorna nelle librerie con questo nuovo libro/non libro.

Un volume d’artista senza precedenti, libero dai confini di genere e dalle gabbie, anche da quelle della pagina. I testi scritti da Alessandro Bergonzoni si alternano alle immagini da lui realizzate senza esserne didascalia ma tessendone, nell'incompletezza, le pagine.
Un libro disegnato dalla scrittura e scritto dai disegni, dove immagine e parola, sguardo e lettura si rimbalzano in un originalissimo gioco onirico e straniante, da sognare e sfogliare. i lettori con questo libro avranno occasione di scoprire o riscoprire un nuovo aspetto dell'inesauribile e vulcanica creatività di Alessandro Bergonzoni.

Ma il cielo è sempre più su? Di L. Bianchi e G. Porvenzano (Castelvecchi). Intervento di Nunzio Festa



















Le ossessioni benefiche dei meridionalisti, di tanti che non vivono più e dei pochi superstiti, bevono alla fonte data Bianchi e Provenzano. Perché con l’analisi di “Ma il cielo è sempre più su?”, servita da una dotazione forte e motivata di numeri, cifre, donne e uomini, non è possibile girare la testa dall’altra parte. Noi, che siamo il frutto nato morto da una classe dirigente ben codificata dai ricercatori, dalla coppia di autori del libro che per sottotitolo ha una lunga è spigolosa questione aperta (forse anche più del titolo stesso), noi che sappiamo il significato di questo Meridione descritto e letto da Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano possiamo dirci la testimonianza portata dalle stesse argomentazioni del volume. Niente importa, comunque, che il 2009 per Napolitano eccetera sia stato l’anno – di nuovo – della riscoperta del Sud; perché meglio è, o sarebbe, tenere nella mente le segnalazioni storiche di personalità dai nomi indimenticabili: Mazzarone, Scotellaro, Levi, Ross-Doria, De Martino. La marginalità, sappiamo da tempo, non è più salvifica. Da tanto è certo pure dello spopolamento, della disoccupazione, dell’abbandono vero e proprio della vita. Della resa. Estenuanti ed estenuanti si deve abdicare oramai alla vendetta portatrice di liberazione e autonomia. Per mezzo delle fisime dei notabili, nuovi e vecchi. Come della mancanza di forza e motivazioni dei piccoli di questa grossa e amara terra. Le parole messe in fila da Bianchi e Provenzano, oltre a essere appunto un’analisti lucida e tagliente, con proposta annessa e concessa ai dibattiti veri e non a quelli da verificare, hanno oltre a una forza propositrice, il sapore lento e indimenticabile, implacabile d’una coltellata inserita nell’addome del malato. E’ non sia, ovviamente, per colpa degli autori. Che, va aggiunto, hanno veramente tentato di dare indicazioni di riscatto. Il dolore però sta nella stessa ricerca alimentata e studiata. Nella sensazione di buio che inaugura il contatto con i documenti vissuti dai due attenti esperti della Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno). Il sequestro di futuro descritto da Bianchi e Provenzano è nella stessa domanda retorica “Ma il cielo è sempre più su?”. Oggi che continuiamo a smarrire pezzi di comunità e le comunità sono fatte a pezzi. Oggi che è sempre più difficile resistere, per esempio economicamente, in tanti anfratti del Mezzogiorno. Il libro di Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano, dunque, oltre a essere ingaggiato quale testo possibile per idee d’uscita dalla valvola della morte, lo si ascolta per la sua natura tutta di quadro della situazione generale. Non a caso, tanto per citare, s’apprende che fra qualche decina d’anni al Sud solamente una persona su quattro avrà meno di trent’anni. Come che, e interviste potrebbero aggiornare questa verità al secondo esatto dentro il quale la si legge, due volte a Sud veniamo praticamente ammazzati: pagando il Nord per il mantenimento dei figli e dei figli dei figli, togliendoli dalla possibilità di riabilitazione, lenta ma da tentare, del territorio e dei territori in secca. Ovviamente non si deve pensare a una pubblicazione vista per riparare facendo i conticini con il Nord che assale, seppure così veramente per tanto tempo e per molti versetti è stato, ma d’una saggio indispensabile per ragionare del Meridione. Nelle pagine, è questo non lo si può annullare tra parentesi, lettrice e lettore riprendono in mano il filo tortuoso e di dannazione della stessa Storia del Sud. Quella che sente il Mezzogiorno azzannato dalle partenze praticamente costanti e dagli svenimenti al sole di tutte le possibili e probabili crisi, a tutte le idee di sviluppo da altri marcate. Infine, ed è doveroso rinnovare conferma agli autori, è certo che i vizi e/o le abitudini al servilismo, al clientelismo, alla svendita per un piatto vuoto sono di noi meridionali più che d’altri privilegiati.


Ma il cielo è sempre più su? L’emigrazione meridionale ai tempi di Termini Imerese. Proposte di riscatto per una generazione sotto sequestro, di Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano, Castelvecchi (Roma, 2010), pag. 208, euro 14.00.


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