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martedì 6 aprile 2010

Le volpi vengono di notte di Cees Nooteboom (Iperborea)













Partire da una fotografia per raccontare i tracciati biografici di persone che sono a noi vicine o perfetti sconosciuti, significa andare oltre una semplice riflessione ad alta voce sui destini che spesso ci sfiorano nella vita di ogni giorno, e che per la maggior parte delle volte rimangono pure entità fantasmatiche di cui non conosceremo mai nulla. Si parte dai simboli e dai gesti quotidiani anche piccoli e insignificanti, per arrivare a costruire un quadro quanto più chiaro possibile di ciò che circonda, vive, respira in una dimensione narrativa che attinge fortemente la sua linfa creazionale dal reale. E’ questo ciò che fa Cees Nooteboom, uno dei più interessanti scrittori olandesi contemporanei, che dopo il successo di "Rituali" e de "Il Canto dell’essere e dell’apparire", torna sugli scaffali delle librerie italiane, e gli auguriamo di trovarsi presto nella top ten dei libri più venduti, con "Le volpi vengono di notte" (Iperborea), opera vibrante e intensa. Si tratta di otto racconti in cui la fotografia è la protagonista a tutto tondo delle vicende narrate in queste pagine, una specie di promemoria iconografico attraverso il quale l’innesco della finzione narrativa sblocca frammenti di vite perdute, vetrificate nel ricordo, nel dettaglio di un particolare. La geografia delle voci presenti si slarga dalla Liguria alla Spagna a Venezia, e l’atto magico che infonde concretezza e vigore a tutto l’impianto è una profonda riflessione dell’autore sul Nulla, qualcosa di cui – sembra suggerirci Nooteboom – tutti conosciamo l’esistenza, ma a cui difficilmente rivolgiamo più di qualche minuto delle nostre riflessioni. Per il grande Borges non si trattava di altro che un effetto dell’attitudine alla perplessità.

Passiamo un po’ in rassegna i ritratti che ci appaiono negli otto racconti brevi popolati da tanta irrequietezza e nostalgia: abbiamo Heinz, console in un piccolo paese della Liguria a strapiombo sul mare che continuamente “smarrisce la strada” in preda ad un eccesso di vitalismo tra litri di gin “anti-depressivi” e il sogno di trasferirsi sull’isola di Tonga; oppure un critico d’arte che torna a Venezia dopo molti anni inseguendo un suo capriccio tra le stelle. A mio avviso però la più bella creatura partorita dall’autore, è Paula, figura sensuale e sfrontata, un tempo iperbolica copertina del patinatissimo Vogue, poi insuperabile giocatrice d’azzardo e femmina fatale che fa perdere la testa a tutti. Una storia dove “l’al di là” perseguita “l’al di quà” senza posa e tregua, quasi a voler dimostrare come in fondo il gesto del dilatare il tempo della morte sia una modalità alternativa e diversa di scrittura della vita stessa. In fondo Roland Barthes diceva che una fotografia rappresenta l’impotenza di dire ciò che è evidente, e la letteratura nasce proprio intorno a un’immagine mancante, a un ricordo ancora vivo. Come non dargli ragione, anzi una sacrosanta ragione!

Cees Nooteboom è nato all’Aja nel 1933. Autore di romanzi, poesie, saggi, opere teatrali e resoconti di viaggi, è anche traduttore di poesia spagnola, catalana, francese, tedesca e di teatro americano. Dopo il brillante esordio a soli 22 anni con Philip e gli altri, ha raggiunto il successo internazionale con Rituali e Il canto dell’essere e dell’apparire. Iperborea ha pubblicato altri sei romanzi, tra cui La storia seguente (che gli è valso il Premio Aristeion della Comunità Europa e il Premio Grinzane Cavour 1994), Il Giorno dei Morti, Perduto il Paradiso. Nooteboom è inoltre vincitore del Premio Europeo di Poesia 2004.

lunedì 5 aprile 2010

Il libro del giorno: Autobiografia spirituale di Tenzin Gyatso (Dalai Lama) edito da Mondadori



















Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai Lama, ha settantaquattro anni, "ma la sua coscienza si estende per sette secoli di storia". Collocandosi in una linea di reincarnazione che risale al 1391, la sua esistenza costituisce un ponte tra passato e futuro, e assume una dimensione universale che ha valore per l'intera umanità. Ecco perché questa "autobiografia spirituale" rappresenta un evento che consente a ognuno di noi non solo di conoscere una personalità d'eccezione nella sua ricchezza e complessità, ma anche di diventare più consapevoli della nostra condizione attuale, per migliorarla e preservare così l'avvenire delle generazioni più giovani. Trasformarsi per trasformare il mondo, questo è l'insegnamento che il Dalai Lama intende trasmetterci attraverso la propria esperienza di uomo, di religioso, di capo spirituale. Il Dalai Lama parla di se stesso, rievoca i ricordi d'infanzia, gli aneddoti, le gesta delle sue vite anteriori, ricorda le figure dei predecessori, si sofferma sulle difficoltà della condizione di esiliato, sul suo ruolo pubblico e sull'impatto che ha in ambito internazionale. Senza mai dimenticare i tre principali impegni della sua missione: come essere umano riafferma l'importanza di sviluppare le qualità del cuore per il bene di tutti; come monaco buddhista esorta al dialogo con le altre religioni, con i non credenti e con gli scienziati; come Dalai Lama, in prima linea per la causa tibetana, promuove una politica tesa all'altruismo e alla solidarietà.

"Come polvere o vento" di Alda Merini (Manni editore)

Era una calda serata d’agosto di qualche anno fa ed io con mia madre (che aveva una personale allo studio D’Ars di Milano) andammo a trovare Alda Merini a casa. I suoi occhi erano di una dolcezza e profondità che lasciavano senza parole. Le parole uscivano dalla sua bocca come brezza lieve, quasi avessero dovuto accarezzare il nostro viso. Ci aprì il suo medico mentre lei ci attendeva in una stanza fatta di tutto, di tanto caldo, di tanta vita e di una miriade di piccoli oggetti sparsi un po’ in giro senza ordine. Mi vennero in mente brani di Gozzano, chissà perchè. Sfogliò il catalogo delle opere di mia madre definendo i suoi rossi pieni di forza .L’ incontro era stato preceduto da alcune telefonate e come sempre ogni giorno erano diverse. Un giorno era come se ci avesse conosciuto da una vita, altre volte ci trattava come dei perfetti estranei. In quell’occasione scambiammo poche parole perché non stava bene ma furono attimi molto intensi. Ora da qualche mese Alda Merini non c’è più, la grande poetessa già grande nel suo esordio a quindici anni, la generosa e immensa donna della poesia italiana, che ha conosciuto e frequentato personaggi del calibro di Salvatore Quasimodo, l’editore Giovanni Scheiwiller, Luciano Erba e tanti altri ancora, ha lasciato un vuoto profondo nella cultura di questo paese. Il mio non vuole essere uno dei tanti “coccodrilli”, ma una mia personalissima dedica al profumo e alla bellezza di questa donna meravigliosa. La Merini è stata inserita in importanti antologie, ha ottenuto innumerevoli riconoscimenti e apprezzamenti di pubblico e critica, e si è ritagliata uno spazio più che consono nella poesia italiana del secondo novecento. E’ inutile ricordare che una malattia mentale la costrinse ad essere per molte volte ospite di istituti manicomiali. La sua poesia, nella sua compulsiva produzione poetica, è stata sempre un modo di chiedere alla vita un adeguato “risarcimento danni”, e dunque dalle sue voglie di discesa agli inferi sino alle estasi misticheggianti (che principia da Frassinelli nel 2000 con " L'anima innamorata ") la sua testimonianza in versi rimane sempre un’eterno sì alla vita. La casa editrice Manni sostiene di aver ritrovato ben 60 poesie che la Merini aveva mandato alla casa editrice salentina negli anni ’80, su suggerimento di Maria Corti, amica di Anna grazia D’Oria e Piero Manni. Poesie mai pubblicate, trovate magari sotto pile di polvere negli archivi dei manoscritti della casa editrice, e magari all’epoca qualche scheda di lettura la qualificava come non sufficientemente corposa per la pubblicazione. Ad ogni modo “Come polvere o vento”, è un testo gustosissimo che raccoglie poesie scritte tra il 1984 e il 1987, tra il soggiorno a Taranto e il ritorno a Milano, e si compone di cinque parti. Si tratta di liriche meravigliose, tre le più intense e passionali, che toccano tutti i suoi universi interiori dall'amore al disagio mentale, alla solitudine. Un libro tra i più significativi di Alda Merini, curato e introdotto dal critico letterario Giulio Ferroni.

domenica 4 aprile 2010

Il libro del giorno: AA.VV., I prepotenti (Lupo editore)



















Una storia lieve, immagini colorate e un ritornello che entra in testa per non uscirne più. Ecco I Prepotenti, primo titolo della collana di albi illustrati TrentatréperTrentatré, pubblicata con UnduetreStella in collaborazione con l’IED di Milano e il patrocinio di Unicef e Amref. Un progetto editoriale di ampio respiro nato per raccontare ai bambini le grandi questioni del tempo in cui viviamo. I Prepotenti affronta il tema dell’Acqua come risorsa preziosa. Una fiaba scritta, illustrata e musicata a più mani, quelle di Massimo Baroni, autore della storia, di Maddalena Gerli (illustratrice), di Gianluca de Rubertis e Lucia Manca autori di Non Ruberò le Nuvole, brano musicale ispirato al racconto e allegato all’albo.

Contiene cd audio con il brano inedito Non Ruberò le Nuvole e la fiaba recitata da Lea Barletti e Cecilia Maffei.

Amy e Isabelle di Elizabeth Strouth (Fazi editore)

Questo libro può utilizzare tre carte sul tavolo da gioco per essere un “best winner”: l’ha pubblicato Fazi, è dell’immensa Elizabeth Strouth (una delle più illustri esponenti dell’America Wasp), e la traduzione è a cura della bravissima Martina Testa. L’autrice è vincitrice del Premio Pulitzer 2009 con il romanzo Olive Kitteridge, ma Amy e Isabelle ora pubblicato in Italia, è stato il suo esordio nel 1998. Siamo nel Maine, in una cittadina anonima di un’anonima provincia americana, mentre fa caldo, molto caldo, un caldo torrido e soffocante, che ti fa appiccicare gli abiti come carta moschicida e ti debilita sino alla parte più recondita di te. Sullo sfondo un piccolo universo fatto di donne, impiegate negli uffici di una fabbrica locale: una di queste Isabelle, bella giovane e aitante, vive giorno per giorno dietro una facciata di falso decoro e perbenismo, immersa in una grande palude d’ipocrisia, pur di nascondere il suo terribile passato.
Tipico insomma di tutta un’antropologia del periferico, ricchissima di segreti, ma dove le rimozioni e le menzogne la fanno da padrone. Poi c’è Amy, la figlia, una “timida” adolescente che nasconde dentro se stessa un abisso che sta per esplodere. Tra le due donne i rapporti non sono dei migliori, molti non-detti infestano la loro esistenza, e ad aggravare le cose si mette anche una pesante incomprensione dovuta a rimpianti e rimorsi della madre, che scopre oramai di non poter irrimediabilmente tornare indietro.
In una notte poi i loro destini saranno totalmente sconvolti. Una sola maledetta notte dopo la quale niente sarà più come prima. La Strouth in questo vero e proprio capolavoro della letteratura internazionale, ci insegna che non esiste arena di combattimento più atroce e sanguinaria che quella che si cela tra le quattro mura domestiche. Poi ci lascia scoprire, con levità, pagina dopo pagina, come il sesso sia al centro del romanzo: il lettore scopre una Isabelle che da tempo non è stata a letto con un uomo, frustrata e gelosa di una figlia sessualmente già attiva. Un libro dove il punto di vista e' senza ombra di dubbio al femminile, perche' racconta di una madre e di una figlia, delle donne che lavorano negli uffici, delle loro chiacchiere, dei loro litigi. Un libro che anche se mette in secondo piano gli uomini, tuttavia si fa amare anche da questi, perché realmente ne descrive la loro intimità più profonda, e inconfessabile, ovvero quella caratterizzata da una certa mancanza di coraggio nell'affrontare le situazioni. Si pensi a Robertson, l'insegnante di cui Amy si invaghisce perdutamente, ad Avery Clark, idolatrato da Isabelle, al marito di Dottie Brown che la abbandona dopo un'isterectomia. Un’America quella descritta dalla Strouth, fatta di piccole citta' in cui gli incubi peggiori sono quelli della porta accanto.

sabato 3 aprile 2010

Il libro del giorno: Nessuno si muova di Denis Johnson (Mondadori)

Jimmy Luntz, spiantato cantante in un coro e scommettitore accanito, è in fuga inseguito da minacciosi creditori. Juarez, un usuraio arabo che si finge messicano, presta soldi che Gambol, "un uomo alto e triste, con una testa molto grossa", è incaricato di riscuotere: insieme hanno divorato i testicoli di un debitore che si rifiutava di pagare.
Anita Desilvera, incarnazione della femme fatale, nello spazio di un mattino si scopre "vagabonda, criminale e futura divorziata", incastrata dal marito e da un giudice corrotto per "appropriazione indebita di due virgola tre milioni di dollari". I quattro si incontreranno sulle strade periferiche della California, e la ricerca frenetica dei soldi innescherà una reazione a catena di tradimenti, vendette e omicidi.

Sai dove impiccano la notte? di Dino De Mitri (Palomar)


















16.
i tg dicevano "stanotte in America alle
quattro sarà giustiziato un uomo di colore
che si dichiara innocente" non riuscivo
a dormire adolescente aspettavo
le quattro m'immaginavo la radiocronaca
attimo per attimo dell'esecuzione
con gli applausi alla fine - al boia

La casa editrice Palomar pubblica il primo lavoro di Dino De Mitri, dal titolo "Sai dove impiccano la notte?" (pp. 96, euro 9), un Romanzo in 146 stanze con un sottotitolo che è tutto un programma: Videoclips, sbronze mistico-pulp, black bloc e tremodia rock. Non saprei se definirlo un romanzo o meno, ma quello che colpisce è senza ombra di dubbio una scrittura post-cyberpunk, dove scompare il senso di un qualsivoglia Io narrante, e prevale la massificazione mediatica della coscienza. Libro "arrabbiato" sotto ogni punto di vista, visionario, psico-cosmico, scrigno radioattivo di una lingua abitata da una desolazione pervasiva e onnipresente. È un romanzo irriverente, quello di De Mitri, con l'entusiasmo dell'ibridazione umano-cyborg più visionario e poetico. La trama è semplice: la cattura e la detenzione in una terra dismessa, Kolyma-City - un atroce lager-gulag-guantanamo - dove la vita ondeggia di memorie inutili e mostri di un futuro impronunciabile; l'esodo da un luogo che non sogna più nessuno. Dino De Mitri ha partecipato nel 2008 allla ventiduesima edizione del Premio di Poesia Lorenzo Montano e ha ottenuto una menzione di merito per la raccolta L'odore del mattino.

FINCHE’ AVRO’ VOCE di MALALAI JOYA (PIEMME)

Malalai Joya è una giovane donna di 34 annni afghana, che aveva solo quattro anni quando i russi invasero il suo paese, per la libertà del quale lotta ogni giorno con tutte le sue forze. Cresciuta in diversi campi profughi ha dichiarato di recente alla stampa italiana, come proprio in quei luoghi carichi di rabbia e paura, abbia avuto modo di imparare a leggere e scrivere, e abbia incitato allo studio quelle donne che ritenevano oramai finito il tempo dell’apprendimento, facendolo proprio attraverso i versi del grande Bertold Brecht. Malalai con grande sacrificio e col passare degli anni, riesce a fondare un orfanotrofio, divenendo molto popolare. Riesce, alle prime elezioni “libere”, ad ottenere un posto in parlamento, ma è solo simbolico, come simbolico è il ruolo dei 68 seggi tenuti da altrettante donne. Certo l’istruzione nelle città alle donne non è negata, ma non appena ci si sposta in provincia, la situazione è a dir poco tragica, tanto che spesso il suicidio diventa l’ultima via di fuga da un sistema socio-politico arretrato e a tratti disumano. Il libro parte dal momento in cui la sua famiglia si è rifugiata in Pakistan. Racconta la guerra civile negli anni Novanta, l’ascesa al potere dei talebani, la "guerra al terrore" degli americani, il crollo del regime talebano, dopo il quale Malalai, ha la possibilità di far parte dei delegati della Loya Jirga, il gran consiglio dell’Afghanistan che in teoria dovrebbe dirigere la nuova storia di quel paese. Dovrebbe, perché in realtà si ritrova accanto gli aguzzini di sempre. Un solo suo intervento dinanzi agli altri parlamentari ha trasformato la sua vita in un inferno. Ancora oggi Malalai è oggetto di continue minacce di morte e di continui tentativi di attentati, fino poi all’espulsione dal governo stesso avvenuta non molto tempo fa. Ormai vive una vita blindata, cambia dimora ogni giorno, gira con il burqa, proprio lei che lo combatte da sempre. “Finché avrò voce” è una cronaca di non facile lettura, che racconta i coni d’ombra di un paese ancora oggi ignoto a noi occidentali. Malalai usa le pagine del suo libro per fare i nomi dei talebani “riciclati” macchiatisi nel passato di delitti terribili, punta il dito sul Governo di Karzai, arrivato al potere con elezioni altro che libere, racconta le sofferenze delle donne afgane, parla della coltivazione dell’oppio favorita anche dagli Stati Uniti. Ed è proprio verso gli Stati Uniti che il grido di protesta di Malalai si fa più forte e contro la loro guerra al terrore, condotta contro quelle persone che in passato erano loro “alleati”. Il libro di Malalai è la fortissima protesta di un popolo calpestato, umiliato, messo in ginocchio, forse il tentativo di creare un ponte verso il futuro senza dimenticare o negare la storia e le tradizioni dell’Islam.


venerdì 2 aprile 2010

Il libro del giorno: Santo padre. La santità del papa da San Pietro a Giovanni Paolo II di Roberto Rusconi (Viella)

"Santo subito" è il grido che si è levato da piazza San Pietro a Roma mentre si celebravano le onoranze funebri di Giovanni Paolo II. Questo libro ricostruisce in maniera esaustiva il modo in cui nella Chiesa si è rappresentata la santità del papa, dalle origini a oggi, facendo ricorso alle fonti disponibili per le diverse epoche storiche: dalle scritture agiografiche ai processi di canonizzazione, dall'arte alla fotografia. Il volume getta così nuova luce sulla storia della Chiesa e sul rapporto tra sentire religioso, fama e riconoscimento della santità nel corso dei secoli. Se i papi dell'antichità cristiana godettero di un ininterrotto culto liturgico in quanto martiri, ben più rari furono in seguito i casi di pontefici canonizzati: nel corso del medioevo soltanto Celestino V, il papa del "gran rifiuto" dantesco, e per l'età moderna Pio V, il papa della vittoria di Lepanto contro i Turchi. Sarà il processo di secolarizzazione della società innescato dalla Rivoluzione francese a conferire ai pontefici un'aura di santità, in quanto nuovi martiri, così come la dissoluzione del potere temporale dei papi favorì la devozione per Pio IX, "prigioniero del Vaticano" dopo la breccia di Porta Pia. La crescente centralità attribuita dalla Chiesa alla figura del pontefice ha portato al riconoscimento di una sua personale santità, al punto che per quasi tutti i papi del secolo appena trascorso è stata avviata la beatificazione o la canonizzazione.

Sette piccoli sospetti di Christian Frascella (Fazi editore, collana le vele)



















Dopo aver ottenuto consensi di critica e riconoscimenti con “Mia sorella è una foca monaca”, Christian Frascella ecco che presenta al pubblico un romanzo spassosissimo e dolcemente tenero “Sette piccoli sospetti” (Fazi editore), che in maniera magistrale sa parlare delle paure inconsce e dei desideri che popolano quel mondo a parte che è l’infanzia, e che vuoi per un motivo vuoi per un altro ci portiamo dietro e dentro anche quando compaiono i primi capelli bianchi.
Corre l’anno 1985. In estate. Siamo nel sud italia. Sette ragazzotti, nella piccola piazza del paese, discutono di qualcosa animatamente. Motivo di tanta concitazione, la rapina del secolo che cambierà radicalmente i loro destini.

Dalla loro il fatto che è un’assoluta novità che ci siano rapinatori della loro età, nessuno ci ha mai pensato e soprattutto nessuno l’ha mai fatto, e dunque l’effetto sorpresa è garantito … In fondo cosa ci vuole per fare una rapina: basta dare un potente sonnifero alla guardia di turno e il gioco è fatto. Ma si sa, certe cose non vanno mai per il verso giusto, e quella che doveva essere la rapina “perfetta” fatta da uno sparuto numero di teppistelli da strapazzo ( nelle cui fila troviamo cazzeggiatori di professione, talenti calcistici e mini boxeurs desiderosi di prendere a pugni il mondo), passerà per una serie di circostanze nelle mani del ben più esperto e maturo bandito soprannominato il “Messicano”, che proprio come l’ “Innominato” del Manzoni – potentissimo e sanguinario signore – accende, per i suoi obliqui trascorsi, le fantasie dei sette ragazzini e dell'intero paese.

Devo dire che la cosa più desolante, (e qui sta la bravura esorbitante di Frascella, a cui piace la scrittura a tutto tondo quella che si può leggere totalmente senza la triste consuetudine post-moderna del doverla pure interpretare di sopra) è vedere come vi sia un sub-confine morale che appartiene a questi sette nani cafoncelli, brutti, sfigati, fatto di nulla, fatto di uno zero tondo come una palla. Insomma come una Coca-Cola che non vuole esserlo e dunque diventa una Coca-Cola Zero. E questo vale, per Billo, Corda, Ranacci, Lonìca, Letizia la Chiattona e tutti gli altri personaggi senza distinzione o preferenza alcuna. Non più finzione, lo fosse almeno. No, questa è la realtà, la nostra e di certa parte di ragazzini di oggi. Sono ben 348 pagine che si leggono d’un fiato, pullulanti di dialoghi sincopati e incalzanti. Un libro poco spavaldo, poco ruvido, anzi bellissimo dove pulsa una grande capacità letteraria che va oltre il mestiere puro e semplice.

giovedì 1 aprile 2010

Il libro del giorno: La Bibbia dei villani di Dario Fo (Guanda edizioni)

Esiste una Bibbia degli imperatori, splendidamente miniata, ed esiste, meno appariscente e meno nota, anche se non meno preziosa, una Bibbia dei villani. È la Bibbia dei contadini, degli straccioni, dei poveracci, che la tradizione orale e scritta di ogni regione d'Italia ci ha tramandato, e che Dario Fo e Franca Rame hanno scoperto in anni di ricerche sulle tradizioni popolari e ricreato sulla scena e, in una versione inedita e arricchita, in questo libro. Sono tabulazioni tragiche, miste al grottesco e alla sempre presente autoironia, inventate nei secoli dai siciliani, dai calabresi, dai napoletani e dai contadini di tutta la valle del Po. In questa Bibbia dei villani Dio è nella brocca del vino, nell'agnello che nasce o che stanno ammazzando.
Da sempre i villani mangiano Dio, lo amano e discutono con lui, perché sono certi che Dio sia il bene ma in parte anche il male, la vita ma anche la morte. Dio per loro è gioia ma anche sofferenza, godimento e pianto, sorriso e sghignazzo. Ecco perché la Bibbia dell'imperatore è solenne e spesso ridicola, mentre quella dei villani è commossa e piena di risate.

Aaa! di Aldo Busi (Bompiani)

















Aldo Busi ha una produzione editoriale degnissima e ricchissima, ed in ogni suo lavoro ha avuto il potere di conservare una freschezza e magia nella scrittura tali da entusiasmare i lettori. E di questo non gli si può non dare merito. Certo a qualcuno, a qualche militante severo, a qualche penna austera e impietosa, potrebbero sembrare piccole cose, un guizzo, un’immagine, un modo di porsi elegante nell’esprimere un concetto, un pensiero, uno stupore, un’invenzione, che lo scrittore di Montichiari mette nelle sue pagine. Ma, che cosa possiamo volere di più da una firma bella ed intrigante della nostra italica narrativa. Dopo ben tre anni, Aldo Busi ritorna per Bompiani con “Aaa!”, tre racconti mai piatti, spumeggianti, in una veste editoriale ridotta per formato ma che per il suo essere graficamente un bel ricordo di elementari d’antan, subito magari riporta la mente, e solletica la memoria, a deliziosi momenti delle nostre vite, quando si pensava a far volare gli aquiloni, e si faceva i girotondi con la nostra maestra. In queste 162 pagine, mi sembra che Aldo Busi sia ritornato ad essere se stesso, solo se stesso, e dunque a farsi nuovamente amare. Uno dei racconti presenti nel volume, lo splendido "Il Casto, sua moglie e l'Innominabile" era già apparso nell'edizione 2008 di "Sentire le donne", ma al genio di Aldo Busi, che non ci si stanca mai di leggere e rileggere, glielo si può perdonare. Devo dire che ho molto gradito, il secondo racconto, dove troviamo un’Italia dura e spietata con gli immigrati. Vengono raccontate le “mirabolanti” avventure alla deriva di un misero marchettaro di origini rumene, vera e propria apologia della bestiale stupidità razzista nel nostro stivale; più fashion, anzi radical-chic, il terzo racconto dove Busi si propone come badante alla Carla Bruni Sarkozy. Ora è pacifico che non ci troviamo dinanzi a opere immense come “Seminario sulla gioventù”, o “Vita standard di un venditore provvisorio di collant”, e mi sembra chiaro che per quest’opera non si possano utilizzare gli stessi criteri ermeneutici, o gridare allo scandalo dell’autore che ha ormai smarrito se stesso o che, come ha scritto l’immenso Massimiliano Parente qualche tempo fa, sulle pagine de Il Giornale, ci troviamo dinanzi ad uno scrittore “impantanato in un solipsismo moralistico e macchiettistico e politico e sociale”. “Aaa!” è un libro bello, che ne vorresti di più, dopo tanto silenzio da parte di Busi, e che alla fine nonj ti fa pentire di aver speso anche quegli 11 euro che in tempo di crisi magari fanno tanto! Meglio di così...

mercoledì 31 marzo 2010

Il libro del giorno: Dante's Inferno di Christos Gage e Diego Latorre (Panini Comics- Wildstorm)

Il videogame: nei panni di Dante il giocatore dovrà scendere nelle viscere dell'Inferno per salvare l'amata Beatrice, trascinata negli inferi da Lucifero. Durante il suo viaggio Dante capirà di trovarsi all'Inferno anche per affrontare i suoi stessi demoni e riscattarsi dai peccati che ha commesso, affrontando enormi creature mostruose (con la possibilità di prenderne il controllo) e tutti gli incubi del suo passato). Quello che troverete invece in DANTE’S INFERNO, nuovo fumetto della Wildstorm creato sulla scia del videogioco di Visceral Games e pubblicato da Electronic Arts, è invece una storia molto diversa dalla classica Divina Commedia di Dante Alighieri. Il Dante che incontrerete qui è un guerriero nato, disposto a tutto pur di salvare la sua amata Beatrice che, a causa sua, è caduta tra le braccia del diavolo. Per questo non esita a entrare nell’Inferno e qui inizierà la sua avventura tra la perduta gente. Di Christos Gage e Diego Latorre.

Mondo meraviglioso, di Javier Calvo, traduzione di R. Schenardi (Fanucci). Intervento di Nunzio Festa




















Un romanzo senza madre né padre. Come Lucas Giraut e Valentina Parini, principali attori in scena nell’ultimo romanzo dello spagnolo Javier Calvo. Proprio l'istrionico e indomabile animatore del “dio riflettente”, tradotto qualche anno fa in Italia dall'altra furbacchiona, Isbn. Un padre morto e quasi mai esistito, e uno fuggito via. Una madre snaturata fredda e calcolatrice e una sorda alle grida d’una figlia sola piuttosto che pazza. Dentro una Barcellona sempre in bilico tra sogno e realtà. Una foto pinkfloydiana di tempi andati. Tre tele apocalittiche di valore al centro della matassa tutta da sbrogliare. Una villa Ummagamma e un libro del King (passione, e ossessione, della quasi adolescente Valentina). Ecco cosa ruota attorno agli strani personaggi di “Mondo meraviglioso”. Un cocktail di descrizioni vivide, scenari psichedelici e intrecci a mestiere. Che stordiscono piacevolmente il lettore lasciandolo sorseggiare cicchetti di storie interrotte e poi riprese. Senza che si perda mai il filo, né la curiosità di sapere cosa c’è oltre il Lato Oscuro della Luna, quel luogo non luogo che affonda le sue radici nell’amicizia tra Lorenzo Giraut, appassionato d’antiquariato ormai morto, padre di Lucas, Bocanegra - strano personaggio molto temuto persino dal grande e grosso Manta - e Koldo Cruz l’uomo con la tempia metallica esageratamente elegante tanto da far pensare alla solitudine di chi ha avuto tutto. Piacevole lasciarsi trascinare nei luoghi più assurdi d’un mondo fantastico. Un tarantiniano “Alice nel paese delle meraviglie” senza Alice, ma con una gamma di personaggi con pellicciotti al collo, abiti firmati e tute sudice abituati a gallerie d’arte come a sotterranei loschi. Tutti fottutamente con morte e vita insieme dietro l’angolo. Un inno al passato, al presente e al futuro: intesi come crisi e opportunità. Di e per un’umanità costantemente alla ricerca di madri e padri. “Mondo meraviglioso” è un libro per chi osa stupirsi ancora davanti all’ironia e all’assurdità della realtà. Un modo per riflettere con i piedi per aria su quello che è il nostro Stare al mondo.


martedì 30 marzo 2010

Il libro del giorno: I cari estinti. Faccia a faccia con quarant'anni di politica italiana di Giampaolo Pansa (Rizzoli)

"Il primo comunista che ho conosciuto era una comunista. Si chiamava Elvira, aveva curve maliziose e ballava divinamente il samba all'italiana. Per di più s'era invaghita di Walter Audisio perché lo riteneva il killer di Mussolini. Andavo per i tredici anni e la sbirciavo nel dancing del Pci, vicino al mio caseggiato di ringhiera. Dopo l'odalisca rossa, ho fatto molti altri incontri per raccontare da cronista le avventure dei padroni politici della Prima Repubblica. Li ho conosciuti talmente bene che, con l'andar del tempo, sono diventati i miei vicini di scrivania. Più li osservavo, più me li vedevo accanto. Così oggi mi domando: stavamo meglio quando c'erano la Dc, il Pci e il Psi, oppure adesso, con i carrozzoni personali di questo fosco 2010? Lascio la risposta ai lettori dei .Cari estinti., un titolo beffardo e un tantino nostalgico. Gli estinti sono i potenti che dal 1948 al 1989 hanno guidato l'Italia. Nel rievocarli, mi sono sentito un viaggiatore che narri la fine di un mondo esplorato per anni. Dominato da leader come il pio Rumor, l'irriducibile Fanfani, l'eterno Andreotti, l'enigmatico Moro, l'aggressivo De Mita, il monacale Berlinguer, l'ardimentoso Craxi, il tenace Almirante, l'ambizioso Spadolini. Li ho rimessi sulla scena ripercorrendo il loro tempo. Il caos delle correnti. L'alterigia dei ras locali. Il cancro della mafia. Le bombe del terrorismo. Il sequestro di Aldo Moro. Il ciclone della Loggia P2. La guerra fra comunisti e socialisti."

Ereva Curaggio di Valerio Cascini (Altrimedia edizioni)

















Pazzo


Non è stato il fatto di un momento.
Ci siamo preparati piano piano, per tempo.
Quando è arrivata l'ora del combattimento,
gente di carne e ossa non ha contato niente.
Sangue con sangue, pazzo, se n'è andato,
e chi è rimasto, la testa l'ha perduta.

Paccio

Nu è stato u fatto i nu mumendo.
Ni simo preparate a tembo a tembo.
Arrivata l'ora ru combattimendo,
gende i carne e ossa nun simo valute nende.
Sango cu sango, paccio, si nn'è gghiuto,
e chi è rumasto, a capo s'ha pirduta

Questa è la nuova raccolta del poeta di Castelsaraceno, sradicato dalla sua terra per vivere e lavorare a Torino. Ma radicato nel fiore del ricordo e nel ricorso al ricordo quale tentativo d'abilitare la memoria all'abolizione del rimpianto. Dialoga e interagisce con paesaggi e personaggi del tempo stato. Valerio Cascini destina versi che paiono venire dal centro gravitazionale dell'omaggio al sentimento, senza per questo cadere nella trappola del vagheggiamento. L'utilizzo del dialetto, in tutto ciò e in tanto altro ancora, ha il ruolo e il destino di dare testimonianze a queste volontà dell'autore.

Troppo piombo di Enrico Pandiani (Instar Libri)

“Aveva cominciato a picchiarla non appena aperta la porta. Calci e pugni di una violenza inaudita. Era crollata. Poi l’aveva rimessa in piedi e l’aveva avvertita: se fosse caduta l’avrebbe colpita ancora. E lei non voleva che lo facesse. Ma era successo. Due, tre volte, non riusciva a ricordare. Per questo, nonostante la nausea che arrivava a ondate successive, si sforzava di rimanere dritta. L’unica funzione che il suo cervello riuscisse a fare. Le aveva strappato di dosso la camicia da notte e le aveva legato le mani dietro la schiena. L’acciaio delle manette che le mordeva a sangue i polsi non era che un dolore lontano, come spilli spinti in profondità nella carne. Il calcio in mezzo alle gambe è arrivato improvviso, il dolore un’esplosione di luce che le ha inondato il cervello. È caduta in ginocchio e ha vomitato sul pavimento, conati lunghi e nervosi che non riusciva a fermare. L’ha lasciata finire, poi l’ha afferrata per i capelli, lei ha dovuto strisciare sulle ginocchia per tenergli dietro. Altri colpi in testa e nel basso ventre. Il labbro è scoppiato e il sapore del sangue le ha riempito la bocca. Ha notato i guanti di lattice che fasciavano le mani del suo aggressore. Poi un calcio sul seno l’ha gettata a terra. Ha respirato sangue e aria, il liquido denso le è scivolato in gola. Ha tossito rischiando di soffocare e si è lasciata cadere sulla schiena. Adesso tutto era ovattato attorno a lei, tutto era tranquillo. C’era solo questo ronzio incessante che le attraversava la testa, avanti e indietro, avanti e indietro. Il suo corpo stava diventando leggero. Il soffitto era una macchia scura che continuava a dilatarsi, il dolore una sensazione lontana, come una sinusoide che si ampliava e restringeva senza fermarsi mai. Non sentiva più nulla.” Così inizia “Troppo Piombo” di Enrico Pandiani edito da Instar libri. Tutto si svolge in una Parigi avvolta da una neve malata e grigia. Il protagonista è il commissario Jean Pierre Mordenti, professionista in pestaggi, ma fine lettore di Camus e Proust. Uno insomma in bilico tra l’essere un picchiatore di strada e un intellettuale. E non lo si può biasimare purtroppo vista che la madre l’ha voluto iscritto a Filologia Moderna. Un serial killer si è messo in testa di fare fuori la redazione femminile di "Paris24h", Indizi quasi all’osso, sospetti pochi, ma in compenso una selva di pettegolezzi. Mordenti dovrà capire quale è il nesso criminale tra una sfilata di moda, le banlieues in fiamme, e la redazione del giornale parigino. Tutto sarebbe più facile se non alegiasse la figura obliqua e oscura di Nadège, pulcherrima giornalista di colore che forse ha più di qualche scheletro nell’armadio.

Si tratta di uno splendido noir, con tanto di incipit ad alta definizione, e dotato di una fluida struttura narrativa. “Troppo Piombo” risulta essere un’alchimia perfetta tra desiderio di ritornare ai classici di questo genere e un sottile ammiccamento al post-moderno. Nulla da eccepire sulle atmosfere plumbee che angosciano e fanno tremare i polsi dalla tensione, e incredibile la cura ossessiva degli aspetti militari e balistici. Questo lavoro convince, avvince, e proclama Enrico Pandiani, grafico di professione e scrittore più che dotato, “magister elegantiae” del noir italiano in grado di convincere anche i lettori più smaliziati.

lunedì 29 marzo 2010

Il libro del giorno: La tv che non c'è. Come e perché riformare la Rai di Gilberto Squizzato (Minimum Fax)

Di chi è la Rai? • Audience, canone e pubblicità • In concorrenza con le tv private? • Cos’è la qualità? • Un CdA senza partiti • Format, appalti e libertà creativa • Quanti canali per il servizio pubblico? • Vera azienda culturale o semplice finanziaria? • Giovani, web e tv • La green tv del futuro.

Con una nota di Roberto Natale (Presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana).

Ripercorrendo con lucidità affilata e rigorosa gli ultimi decisivi 15 anni della storia del servizio pubblico e prima di proporre soluzioni radicali e perfino sovversive, Squizzato analizza le cause di una malattia mortale che ha portato oggi la Rai, come ha ammesso lo stesso presidente Garimberti, «ad una lenta agonia» da cui non ci sarà ritorno: «o si cambia o il nostro destino è segnato».
È tempo di mettere in discussione antiche certezze, luoghi comuni e sommari pregiudizi che impediscono di affrontare con lucidità le questioni fondamentali del servizio pubblico.
«Se fossimo in un paese normale o almeno seminormale, i dirigenti della Rai dopo aver letto queste pagine dovrebbero alzare il telefono e ringraziare Gilberto Squizzato, che nonostante lo spirito dei tempi ha deciso di scrivere un libro che rappresenta un vero e proprio atto d'amore per il ruolo e la funzione di quello che una volta veniva chiamato il servizio pubblico radiotelevisivo.
Se e quando la lunga notte della politica e dell'informazione finirà, sarà il caso di ringraziare i giornalisti come lui, che non hanno mai rinunciato a esercitare la loro funzione civile, anche quando amici, e magari compagni, li invitano a lasciar perdere e adeguarsi».

Dalla prefazione di Beppe Giulietti, Portavoce dell'Associazione Articolo 21

Nonna Carla di Alain Elkann (Bompiani)

“Da 10 giorni mia madre è ricoverata all’Ospedale S. Giovanni (…) da 3 giorni è nel reparto di rianimazione. È sospesa tra la vita e la morte…“. E’ la prima volta, non so se devo chiedere venia o meno, che leggo un libro di Elkann. E devo dire che le emozioni che mi ha regalato sono tante, e dunque significa che la sua scrittura funziona e merita tutto il mio rispetto. Si tratta di un romanzo diviso in tre parti tutte legate da un desiderio irrefrenabile di capire il senso di vuoto che lascia una persona a noi cara quando non c’è più. In "Nonna Carla" lo scrittore colleziona le pagine a matita scritte nei mesi della malattia della madre, Carla Ovazza, colpita da un ictus nell'aprile del 2000 e venuta a mancare nel giugno dello stesso anno. “Nonna Carla" è sicuramente il libro più intimo di Alain Elkann. Prende infatti le mosse dall'esperienza dolorosa della morte della madre. Le pagine hanno il sapore del diario, forse lo strumento più diretto per coinvolgere il lettore nella storia e nelle vicende narrate giorno per giorno. Pudore e Amore accompagnano ogni rigo di quest’opera. Tutto viene affidato al cuore di chi legge, dalla scoperta della malattia, all'inesorabile baratro del male, dall'esperienza terribile del reparto di rianimazione sino al funerale, con i rituali e le preghiere ebraiche. “Nonna Carla” comunque resterà riposando per sempre a pochi passi dalla tomba di Primo Levi suo compagno di giochi nell’infanzia. Questo è il nucleo centrale di tutta l’opera di Elkann. Poi invece si rimane piacevolmente sorpresi di come la forza della parola, mai paga, voglia ancora dire ed ecco che piccoli frammenti di memoria costruiscono episodi di vita quotidiana, il rapporto dell'autore con sua madre, mater familias nel senso più alto del termine, solida, e generosa in ogni suo gesto. Ad ogni modo queste pagine ci impongono di non dimenticare mai quanto la morte ci coglie impreparati, soprattutto quando porta con sé i nostri affetti, lasciando alle sue spalle un vuoto che il tempo non riuscirà mai a colmare. Le qualità di questo volume risiedono tutte in una onestà fortissima dell’autore nel voler far capire il valore dell’esistenza, il senso dell’esperienza traumatica della morte, attraverso uno stile sempre puntuale, semplice, adamantino. E ancora e non per ultimo uno dei pregi presenti in queste pagine, è il profondo senso di spiritualità e religiosità, come valore che ti tiene sempre legato alla concretezza e al vero valore della vita anche quando problemi all’orizzonte non ce ne sono.


Alain Elkann è nato il 23 Marzo1950 da padre francese e da madre italiana, entrambi di religione ebraica. Giornalista e scrittore, collabora a La Stampa, Shalom, Eco Mese, Nuovi Argomenti, Panta. Bompiani ha pubblicato tra gli altri Vita di Moravia (1990), tradotto in 15 lingue e ripubblicato sempre da Bompiani nel 2007. Delitto a Capri (1992), Vendita all’asta (1993), Cambiare il cuore con Carlo Maria Martini (1993, nuova edizione accresciuta 1997), Essere ebreo con Elio Toaff (1994) che ha vinto il Premio Internazionale Fregene 1995, I soldi devono restare in famiglia (1996), Il padre francese (1999), Essere musulmano, con Sua Altezza Reale Principe di Giordania El Hassan bin Talal (2001), John Star (2001), Premio Cesare Pavese 2002, Una lunga estate (2003), L’invidia (2006), L’equivoco (2008), Premio Acqui Terme 2009. Attualmente è conduttore di rubriche d’approfondimento culturale per la rete televisiva La7

domenica 28 marzo 2010

Il libro del giorno: Cotto e mangiato di Benedetta Parodi (Vallardi A.)

Nella rubrica televisiva di Italia 1, "Cotto e mangiato", Benedetta Parodi, moglie e mamma superimpegnata ma attenta alla gioia che può procurare un pasto appetitoso consumato tutti insieme, svela ogni giorno, direttamente dalla propria cucina, la ricetta di un piatto facile e di sicuro successo.
Accogliendo le richieste dei suoi numerosissimi fan, Benedetta ha ora raccolto in un libro il meglio del suo tesoro culinario e lo ha dedicato a tutte quelle donne (ma anche agli uomini!) che, pur indaffarate, prive di tempo e di fantasia, non vogliono rinunciare ai piaceri della tavola e a condividerli con gli altri.
La sua formula di successo è semplice e più che mai attuale: ricette per tutti, facili, veloci, sane e economiche, con un occhio di riguardo ai tempi di realizzazione e al portafogli.

Il mistero della bara di Lorenzo Bosi (Freaks edizioni)




















TREDOZIO – Cosa succede quando un piccolo paese resta isolato nel bel mezzo di una tormenta, una bara arriva dalla Russia e, come se non bastasse, una serie di delitti fanno tremare i cittadini? Di questo parla il nuovo romanzo di Lorenzo Bosi, autore che in Emilia Romagna ha letteralmente spopolato con la sua saga fantasy dei “Sei amici”. Ora Lorenzo ha voluto cimentarsi con un giallo, di sicuro interesse: è infatti il primo giallo ambientato a Tredozio, un piccolo paesino tra Forlì e Faenza.
Il risultato è un libro di 150 pagine, edito dalla neonata casa editrice faentina Freaks Edizioni, che si può ordinare sul sito www.freaksedizioni.it o trovare in vari punti vendita del faentino.

In viaggio per la memoria - diario fotografico di Massimiliano Spedicato (Lupo editore)
















“Un viaggio ad Auschwitz è una storia a prima vista già scritta, letta e interpretata, una storia del passato. se non fosse che la meta, quel nome, conserva ancora, per fortuna dell’umana memoria, il senso dell’orribile. Un viaggio ad Auschwitz è allora tornare sul luogo del delitto e scoprirne gli indizi nei luoghi comuni delle nostre esistenze”. Un viaggio fotografico che riprende l’esperienza del Treno della Memoria che, dal 2005, ha coinvolto più di 700 ragazzi. Una vicenda che attraverso i loro occhi e le loro sensazioni rivive tra le pagine di questo importante documento che porta con sè indistintamente l’animo e la sensibilità di questo territorio. Si tratta di fotografie che riescono a porre il lettore in ascolto, a predisporre l’animo a osservare il vuoto che narrano quei muri ora privi di filo spinato, che raccontano l’orrore e l’angoscia dei forni, e i suoni sinistri delle rotaie portatrici di morte e angoscia terribile. Di questo tratta il volume edito da Lupo editore dal titolo “In viaggio per la memoria”, diario fotografico di Massimiliano Spedicato, fotoreporter salentino, collaboratore de “La Gazzetta del Mezzogiorno” e di altre testate giornalistiche di calibro nazionale, eclettico obiettivo della cultura e puntuale testimone di nera. Le immagini presenti nel volume risalgono al 2006/2007 anno in cui il “Il treno della Memoria”, ha viaggiato sino ad Auschwitz, in occasione dell’anniversario dell’abbattimento dei cancelli del campo di concentramento, il 27 gennaio 1945. Un viaggio durato non più di 24 ore, che coinvolge 600 persone per convoglio, e che costituisce una significativa esperienza, andando a costruire un profondo legame tra destini, storie di oggi e di ieri. Massimiliano Spedicato è riuscito a cogliere i più variegati momenti del viaggio con il linguaggio proprio della fotografia, lanciando il suo contributo personale a che nessuno possa dimenticare quel passato. Il volume “In viaggio per la memoria. Diario fotografico di Massimiliano Spedicato”, edito da Lupo Editore e redatto da Mauro Marino, contiene alcuni scritti di Paolo Paticchio, Oliviero Alotto, Giovanni Sciola e Renato Grilli. Editing e grafica sono stati curati da Francesca Speranza.

sabato 27 marzo 2010

Il libro del giorno: La parola contro la camorra di Roberto Saviano (Einaudi Stile Libero)

"Attraverso il racconto della cronaca quotidiana ho cercato di far emergere la realtà di una guerra sconosciuta a gran parte del Paese. Migliaia di morti negli ultimi dieci anni, tra cui decine di vittime innocenti: ecco la verità del Sud Italia. Una verità sempre più ignorata dai media nazionali. Questo libro e questo Dvd raccontano storie sconosciute, a volte dimenticate o spesso colpevolmente rimosse. Storie che mappano la mia terra e ne tracciano una geografia diversa da quella ufficiale, e a parlare sono le testate locali: titoli e articoli scritti col sangue, che gridano vendetta".
Roberto Saviano

In questo cofanetto, che riunisce un libro e un DVD, lo scrittore e giornalista napoletano, autore di Gomorra e La bellezza e l’inferno, torna ad affrontare uno dei temi a lui più cari: il ruolo che la parola può avere nello sconfiggere le organizzazioni criminali.
Il volume, un agile testo di poco più di 60 pagine, propone due testi inediti di Roberto Saviano. Il primo, intitolato Una luce costante, è una riflessione sul potere della parola, uno strumento di cui la camorra si è sempre servita per diffamare e isolare i suoi avversari perché «Le organizzazioni criminali hanno necessità di portare avanti un assioma: chi è contro di noi lo fa per interesse personale. Chi è contro di noi sta diffamando il territorio, perché noi non esistiamo come loro ci raccontano». In Così parla la mia terra, invece, l’autore ripercorre la puntata speciale di Che tempo che fa del 25 marzo 2009 a lui dedicata, una serata seguita da oltre 4 milioni e mezzo di telespettatori, e approfondisce i temi toccati in quell'occasione: dal modo in cui i giornali locali parlano del crimine organizzato al rapporto tra linguaggio dei media e organizzazioni criminali.
Arricchisce il volume Il racconto delle immagini, una ricca serie di fotografie, tra cui spiccano le pagine dei quotidiani napoletani con gli articoli dedicati ai fatti di cronaca criminale, istantanee di delitti e foto di funerali. Lo completano, infine, gli scritti di Walter Siti, Aldo Grasso, Paolo Fabbri e Benedetta Tobagi, approfondimenti personali e illuminanti, omaggi al coraggio civile di Saviano, al suo impegno nella ricerca della verità e nella denuncia sociale. Nel Dvd, della durata di 120 minuti, sono contenuti due video. Il primo, un'«orazione civile» di quasi un'ora, assolutamente inedita, è stato registrato lo scorso 30 ottobre appositamente per il questo cofanetto. Il secondo è la puntata speciale di Che tempo che fa, uno degli eventi televisivi dello scorso anno, di cui Benedetta Tobagi, nel suo contributo, parla così: «Saviano porta nelle case in prima serata quello che una gran parte del Paese non vuole vedere. A partire dai titoli dei quotidiani locali, spiega come decodificare i meccanismi di intimità complice tra la stampa e le organizzazioni criminali in Campania. …Saviano rompe il silenzio, insegna a vedere, svela infine il volto osceno della realtà. Mentre racconta, guardiamo lo scheletro nudo e spietato del mondo di tutti i giorni attraverso la lente dei suoi occhi, come chi uscisse dalla caverna e scorgesse per la prima volta, con stupore e spavento, i veri contorni delle cose. Resta come un sasso nella scarpa, sotto il materasso, fastidioso, la verità».

La parola contro la Camorra di Roberto Saviano (Einaudi Stile Libero, isbn 8806202189)

Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino (Feltrinelli)

Paolo Sorrentino, classe 1970. Napoletano. Il suo primo lavoro come lungometraggio dal titolo “L’uomo in più” con Toni Servillo e Andrea Renzi viene presentato alla mostra internazionale del cinema di Venezia. A Cannes ci va due volte, nel 2004 con “Le conseguenze dell’amore”, e nel 2006 con “L’amico di famiglia”. Il fatto che oggi come oggi molti artisti scelgano di proiettare i propri percorsi estetico-crativi anche in ambiti che non sono proprio di loro competenza, non è cosa rara, anzi. Non per ultimo a percorrere questa strada è stato proprio Paolo Sorrentino, che adesso veste gli abiti dello scrittore e si prepara ad affrontare il pubblico. Ed ecco che esce per i tipi di Feltrinelli, il suo primo romanzo dal titolo “Hanno tutti ragione”. Sorrentino, che è veramente il migliore dei giovani registi della nostra Italia, come con la macchina da presa è in grado i far sognare, così a mio avviso lo è stato, anzi lo è, con la penna. La storia è quella di Tony Pagoda, cantante melodico nel pieno di una carriera scoppiettante fatta di successo, bravura, belle fanciulle e soprattutto incontri con grandi, piccoli, buoni e cattivi maestri, in un’Italia ancora florida e picarescamente felice. Tony Pagoda ha letteralmente assorbito da qualsiasi avvenimento che gli è capitato nella vita, solo il succo, tanto che come in una sorta di illuminazione psico-cosmica, decide (dopo una breve tournèè in Brasile) di sparire, di essere solo lontananza e silenzio. Sceglie di stabilirsi nel sud america , vivendo prima a Rio, e poi a Manaus. In una parola sceglie l’auto/esilio, e lo fa per un ventennio. Ma qualcuno è disposto a pagare una bella somma per riaverlo in Italia, dandogli ancora lo spiraglio di nuovi orizzonti e di un nuovo futuro. Quel qualcuno è Fabietto, uno dei tanti attori “non protagonisti” nel nostro paese vacuo, falso, ipocrita, e corrotto. Una figura più che trasversale, a metà tra l’imprenditore e il politico, non essendo in realtà né l’uno né l’altra, che offre a Pagoda l’opportunità di ritornare a cantare, nella sua casa, in madrepatria, per il capodanno del 2000. Una situazione che entra a gamba tesa nella vita del protagonista, riportandolo ad un grado zero di malessere e insensatezza. Il campionario linguistico messo in campo da Sorrentino, è sudicio, spavaldo sino al grottesco, caustico, ma soprattutto urlato, quasi in simbiotica mimesi con le grammatiche della camorra napoletana. Sono circa 320 pagine di un libro che raccontano con la voce di Sorrentino, quanto il nostro paese faccia schifo, dove la gente vuole solo fregarti, dove non ci può essere pietà né speranza, né qualcuno che alla fine raddrizzi la spina dorsale e dica finalmente No, a tutto quello che non va. In fondo non si va al di là della descrizione di un eroe che alla fine partecipa con il suo “vissuto” a stereotipati clichè narratologici come la partecipazione alla colpa, il successivo pentimento, e il ritorno nel ventre della colpa stessa. Ancora tutto molto novecentesco … non ci meritiamo forse di andare avanti ed aprire nuovi camminamenti? Perlomeno “Tutti hanno ragione” è un romanzo fuori dal comune, anche se il termine “comune” andrebbe rivisto forse un pochino!

venerdì 26 marzo 2010

Il libro del giorno: Come funzionano i romanzi di James Wood (Mondadori)

Uno dei primi a indagare i meccanismi del processo creativo fu, nel 1857, il critico d'arte John Ruskin con un saggio dal titolo .Gli elementi del disegno., una sorta di vademecum che voleva essere d'aiuto al pittore, al comune amatore d'arte, all'osservatore curioso. Dopo aver invitato il lettore a guardare la natura, per esempio una semplice foglia, e a riprodurla in un disegno a matita, Ruskin esamina un'opera del Tintoretto, e di qui si addentra pazientemente nei segreti della creazione artistica. Non esistono saggi analoghi sulla narrativa. Importanti scrittori e critici letterari si sono cimentati nell'analisi del romanzo, ma non hanno davvero esplorato l'istinto creativo, limitandosi nella maggior parte dei casi alla forma e allo stile o rivolgendosi a un pubblico di soli specialisti.
James Wood si pone questo arduo obiettivo e tenta un approccio diverso, meno teorico. Forse più di ogni altra forma letteraria, la finzione narrativa vive in osmosi con il reale: nei romanzi e nei racconti, letteratura e vita creano un circolo virtuoso, arricchendosi vicendevolmente. Sul piano dell'esperienza individuale, chi legge, o scrive, affina il proprio sguardo sulla realtà, e vivendo impara a penetrare con maggior acume la pagina scritta, in una continua evoluzione. In tale prospettiva, analizzare gli elementi costitutivi della narrazione l'intreccio, i personaggi, il dialogo, lo stile - e approfondire le tecniche dell'artificio può rivelarsi un prezioso strumento di conoscenza.

La prima notte solo con te di Arnaldo Colasanti (Mondadori)

Cosa può accadere quando nel bel mezzo di una giornata qualunque, dove ogni cosa si trova al suo giusto posto e il tempo si incasella in maniera ordinata nei quadranti regolari dell’esistenza, un cortocircuito manda in pezzi una vita intera. O meglio ci si sente in bilico sull’abisso, e si ha paura, timore e tremore, orrore forse, di precipitare nel nulla senza aver portato a termine magari qualcosa di fondamentale importanza. Si avverte la necessità allora di ricucire in fretta e furia in un unico grande mosaico tutti i nostri ricordi, fosse anche in una sola notte, perché il fiato comincia a mancare e ogni attimo diventa prezioso. E allora si comincia a cercare le giuste parole, quelle che forse ti possono salvare in extremis, capovolgendo la sorte in men che non si dica; si comincia disperatamente una fonte di luce sicura e continua perché si ha paura del buio, dell’immemorialità, del non essere un pensiero felice degno di ricevere un cantuccio in fondo al cuore; si cerca libertà di dire, di amare, di donare carezze e sorrisi prima che sia troppo tardi.

Penso che sia fondamentalmente questo il senso dell’ultimo lavoro di Arnaldo Colasanti (La prima notte solo con te, Mondadori), autore che ho sempre seguito e apprezzato sin dai tempi di “A giorno chiaro. Ritratti di poesia italiana” per poi amare definitivamente nel suo penultimo lavoro dal titolo “Gatti e scimmie”. Il primo che ho citato di saggistica il secondo un romanzo. Una bambina, nella sua stanza, viene vegliata dal padre scrittore, che in preda ad una strana e singolare ansia, le dedica tutta la sua vita, raccontandola con l’amore e la delicatezza che solo un genitore può avere, in una lunga lettera dove si respirano i giorni vissuti tra le pagine di un libro (quello magari che ti ha fatto finalmente capire come va il mondo), le cicatrici lasciate sulla pelle dalle illusioni più brucianti, le delusioni, le disillusioni, le bugie, i rancori, i pudori, ma con una fiducia estrema nella Vita, sì quella con la V maiuscola, che in un modo o nell’altro ti ripagherà semplicemente dell’averLa vissuta. Colasanti è un grande scrittore oltre che un serio e preparato professore universitario, di quelli che non sai mai se amarli o odiarli, vuoi perché troppo bravo, vuoi perché troppo troppo!

Ad ogni modo parliamo di un modo di pensare e del fare scrittura come un profondo gesto spirituale in cui i propri tracciati autobiografici si intrecciano vuoi con la finzione vuoi con la riflessione. Un processo inscindibile che Colasanti sente come missione, come imperativo categorico affinchè le parole e quello che descrivono e raccontano non cadano nel vuoto, ed anzi si affermino con sempre più forza con la consapevolezza che tutto è sempre un grande inizio. Perché consigliare questo libro? Perché si tratta di un libro intriso di delicatezza e poesia che ci fa riflettere in maniera lieve ma puntuale, sulle paure, i sogni, le memorie e quello che c’è di più vero in ogni vita. Un racconto in cui le storie testimoniano la forza dell’amore paterno e la necessità di tramandare ai figli un’eredità di sentimenti.

Claudio Comandini, Basso Impero (Sovera edizioni). Un estratto

CRONACHE DAL BASSO IMPERO (p. 35-36). Credi davvero che siamo in un’epoca peggiore delle altre, oppure che esista un progresso? Stavo interessandomi alla tarda antichità: alla vita quotidiana durante il basso impero. Ti sembra di sentire le grida di una folla perduta, concentrata in una piazza ricavata dal prosciugamento di una palude, dove la fogna passa a cielo aperto. Nell’ordinarietà del malaffare, la normalità del ladrocinio, in un’epoca di principi del foro bugiardi, di corti piene di puttane. Dove la popolazione è falciata dalle epidemie e dall’ordinaria violenza urbana, il fiume straborda, i rifiuti marciscono per strada, la speculazione edilizia riempie ogni vuoto. Incontrollata l’immigrazione di schiavi delle province, agricoltori senza più terra, che vendono e comprano mogli e figlie alla prostituzione nella suburra perché altro lavoro non c’è. E questi “extracomunitari” sono intrusi pericolosi per gli scaricatori del porto fluviale e i figli di buona famiglia, con cui condividono le stesse sbronze, le stesse chiacchiere, le stesse puttane. Insomma, ritrovo la storia dei nostri giorni. Come se già dai tempi di Roma vivessimo una lunga decadenza. Come se il basso impero non fosse mai finito.
GIOIA (p. 22). Gioia vuole bene a tutti, e gli sta bene così. Lei è così, rossa così, pienotta cosi. Il suo pomeriggio trascorre fra le immagini della tv i cosmetici e le telefonate. Lei adora Fiorello come una muta che attende da lui la voce, e tutte le canzono le ha imparate da lui. E’ amica di Ambra, certo, gli batte le mani quando si muove così ben telecomandata, ma non ha il suo stile, non fa la saccente con quella forzata disinvoltura che piace tanto ai frustrati. Questo lo sa. Ma non si cura di capire. Cambia ad ogni notiziario, poi figurati oggi che c’è sta manifestazione, cheppalle. La guarda un po’, ma poi si rompe, e canta le sigle pubblicitarie. E prega che i Take That non si scioglino mai, lei prega che i Take That non si sciogliano mai. Esce un giorno con me e un giorno con te, e dà a tutti quel che gli và. Lei adesso ha quindici anni, e non gliene importa un granché. Si sente grande, sa di essere piccola. Guarda la borgata fuori, non pensa che sia brutta. Fra un po’ esce con Mario, stasera forse farà pace con Lele, magari stasera andrà a ballare. Fuori la pioggia ha smesso, ma può ricominciare, ma non gli importa.

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