Dopo aver ottenuto consensi di critica e riconoscimenti con “Mia sorella è una foca monaca”, Christian Frascella ecco che presenta al pubblico un romanzo spassosissimo e dolcemente tenero “Sette piccoli sospetti” (Fazi editore), che in maniera magistrale sa parlare delle paure inconsce e dei desideri che popolano quel mondo a parte che è l’infanzia, e che vuoi per un motivo vuoi per un altro ci portiamo dietro e dentro anche quando compaiono i primi capelli bianchi. Corre l’anno
Dalla loro il fatto che è un’assoluta novità che ci siano rapinatori della loro età, nessuno ci ha mai pensato e soprattutto nessuno l’ha mai fatto, e dunque l’effetto sorpresa è garantito … In fondo cosa ci vuole per fare una rapina: basta dare un potente sonnifero alla guardia di turno e il gioco è fatto. Ma si sa, certe cose non vanno mai per il verso giusto, e quella che doveva essere la rapina “perfetta” fatta da uno sparuto numero di teppistelli da strapazzo ( nelle cui fila troviamo cazzeggiatori di professione, talenti calcistici e mini boxeurs desiderosi di prendere a pugni il mondo), passerà per una serie di circostanze nelle mani del ben più esperto e maturo bandito soprannominato il “Messicano”, che proprio come l’ “Innominato” del Manzoni – potentissimo e sanguinario signore – accende, per i suoi obliqui trascorsi, le fantasie dei sette ragazzini e dell'intero paese.
Devo dire che la cosa più desolante, (e qui sta la bravura esorbitante di Frascella, a cui piace la scrittura a tutto tondo quella che si può leggere totalmente senza la triste consuetudine post-moderna del doverla pure interpretare di sopra) è vedere come vi sia un sub-confine morale che appartiene a questi sette nani cafoncelli, brutti, sfigati, fatto di nulla, fatto di uno zero tondo come una palla. Insomma come una Coca-Cola che non vuole esserlo e dunque diventa una Coca-Cola Zero. E questo vale, per Billo, Corda, Ranacci, Lonìca, Letizia
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