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lunedì 8 marzo 2010

"Bianca come il latte, rossa come il sangue" di Alessandro D'Avenia (Mondadori)




















Leo ha sedici anni: vuole stare con gli amici, giocare a calcetto, e non si separa mai dal suo iPod. Di scuola neanche a parlarne, e i docenti non sono altro che dinosauri destinati all’estinzione. Leo viene a sapere che sta per arrivare un supplente di storia e filosofia, e quale occasione migliore, pensa il ragazzo, di fargli capire al prof. “nuovo di zecca”, che anche lui è uno di cui non ci si deve fidare più di tanto perché sta dall’altra parte della barricata, e merita dunque una certa attenzione con tanto di “cerbottanate” preparate ad hoc . Ma la storia è diversa: questo prof. carica di passione le sue lezioni, sollecita l’attenzione e la cura per il sapere e per i propri sogni. Tutto bello certo, ma col bianco che si fa, pensa Leo, che si fa con quel vuoto che sembra ingoiare tutto. Col rosso invece tutta un’altra faccenda: il colore dell'amore, della passione, del sangue; rosso come i capelli di Beatrice, il suo sogno. Un sogno però difficile da coccolare, da tenere tra le braccia, quando scoprirà che il bianco sta per divorare Beatrice, facendola ammalare, regalandole un male duro da inghiottire. Questo splendido libro racconta un anno della vita di un adolescente che oscilla tra ingenuità, voglia di speranza e disperazione, quel tipo di disperazione che un po’ tutti abbiamo problematicamente vissuto sulla nostra pelle. Già perché è facile identificarsi con Leo, sentirlo parte di se stessi, assaporare i suoi pensieri che ci proiettano in altri tempi, e in altri odori, colori e nostalgie. Alessandro D’Avenia ha tutte le carte in regola per diventare un grande scrittore, non certo perché è stato pubblicato da Mondadori. E’ riuscito a strutturare un’opera che si fa leggere volentieri, che arricchisce interiormente il lettore (direi quasi terapeutico) e soprattutto fa pensare in maniera positiva. “Bianca come il latte, rossa come il sangue” oltre ad essere un romanzo di formazione, è un testo scanzonato e brillante, intimo e tormentato allo stesso tempo, che può piacere anche agli adulti, che ne troveranno anzi sicuramente beneficio. Un libro insomma che non può lasciare indifferenti ed anche se pieno di parolacce amalgamate sapientemente con tanto di forza evocativa e immagini poetiche, si insinua nel cuore con delicatezza insegnando che se si vuole capire il perché di molte cose nella vita bisogna assumersi il rischio di tutto anche del dolore.

domenica 7 marzo 2010

Il libro del giorno: Ad personam di Marco Travaglio (Chiarelettere)


"Che un miliardario con aereo privato, mass media privati, partito privato e cimitero privato pretenda anche una giustizia privata è perfettamente nella logica."

Michele Serra


Corrompere giudici e testimoni, falsificare bilanci, frodare il fisco. E non essere processati. Sedici anni di leggi prêt-à-porter (1994-2010) ad personam, ma anche ad personas, “ad aziendam”, “ad mafiam” e “ad castam” per pochi potenti illustri. Dai decreti Conso e Biondi dopo Tangentopoli alla Bicamerale (“Il piano di rinascita democratica? Me lo stanno copiando con la bozza Boato”, esultava Licio Gelli). Per continuare con le leggi sul falso in bilancio, le rogatorie, le intercettazioni, con le norme pro Sofri e Dell’Utri, pro Sismi e Telecom, e con i condoni fiscali ed edilizi, con l’indulto del centrosinistra, con i lodi Schifani e Alfano, gli illegittimi impedimenti e il processo breve che fulmina gli scandali Mills, Cirio, Parmalat, Fiorani, Unipol, Calciopoli e le truffe della clinica Santa Rita. Tutti salvi. Sedici anni per tornare a Tangentopoli e a Mafiopoli, cancellando Mani pulite e la Primavera di Palermo, e beatificando Craxi, corrotto e latitante.


Marco Travaglio, editorialista e cofondatore de “Il Fatto Quotidiano”, collaboratore

fisso di Annozero, ha scritto fra l’altro "Mani sporche" (con G. Barbacetto e P. Gomez), "Se li conosci li eviti" (con Gomez), "Italia Annozero" (con Vauro e B. Borromeo), "Bavaglio" e "Papi" (con P. Gomez e M. Lillo), tutti editi da Chiarelettere. Per Editori Riuniti ha pubblicato una nuova edizione de "L'odore dei soldi" (con E. Veltri). Di grande successo il suo tour teatrale con "Promemoria" (Libro e dvd, Promomusic). Da poco in libreria il dvd "Democrazya 2009" (Casaleggio Associati). Cura anche un blog, voglioscendere.it, con Gomez e Pino Corrias.


"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distionzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Art. 3 della Costituzione italiana

L'Accademia dei Vampiri di Richelle Mead (Rizzoli)

“Piegai la testa di lato e scostai i capelli, lasciando scoperto il collo. La vidi esitare, ma la vista del mio collo e di ciò che le offriva fu troppo convincente. Un’espressione affamata, le attraversò il viso, e le sue labbra si schiusero, un poco, snudando i canini…”
Se dobbiamo parlare di “politicamente corretto” dovrei essere sincero e dire che lo è solo questo primo volume della serie Vampire Academy (negli Usa già al quinto volume) della scrittrice Richelle Mead, visto che tutti le altre pubblicazioni utilizzano un linguaggio a volte nudo e crudo e descrivono scene per niente adatte al pubblico di “giovani adulti” a cui ipoteticamente è destinata l’opera. “L’accademia dei vampiri” è nel nostro paese edito da Rizzoli. L’originalità di questa scrittrice sta soprattutto nell’aver creato due tipologie di vampiri assai differenti tra loro: i primi sono i Moroi buoni, vivi e soggetti alla Morte come tutti gli altri comuni mortali, tollerano la luce del sole e si nutrono solo del sangue di “volontari”; i secondi sono gli Strigoi, non-morti e immortali, insolenti, perfidi, notturni e desiderosi di nutrirsi sangue Moroi. L’alternativa genomatica è rappresentata dai Dhampir metà vampiri e metà umani, che sono stati “programmati” per divenire i guardiani dei Moroi. Queste ultime due specie sono soliti muoversi in coppia, frequentano la stessa accademia, studiano più o meno le stesse materie. Le vicende raccontate in questo libro riguardano la bella Lissa Dragomir, principessa Moroi, “succhiasangue” mortale, vessata dalle minacce degli Strigoi, vampiri più pericolosi, agguerriti, nonchè immortali. Rose, la sua custode, è una Dhampir, “una mezzosangue”. Le due ragazze, dopo due anni a contatto con la dura realtà (viaggiando tra Portland e Chicago) vengono riportate a St. Vladimir's, l'Accademia dei Vampiri. Solo leggendo l’intero romanzo, il lettore potrà scoprire perchè le due ragazze sono fuggite, le gerarchie di casta e i rapporti che ci sono tra i vari studenti dell’accademia, quali sono poteri di cui è dotata Lissa e molto, molto di più il tutto tra una fitta serie di impegni delle protagoniste che comprendono balli, nnamoramenti, flirt con i più anziani, fascinosi coach e conflitti senza esclusione di colpi con gli insidiosi Strigoi . Senza ombra di dubbio si tratta di una bella sorpresa questo romanzo della Mead, sotto ogni punto di vista sia scritturale, che ideativo. La prima cosa che mi è venuta in mente leggendola è che si trattava di un esperimento da laboratorio meravigliosamente riuscito che lo collocava a metà strada tra Harry Potter e Twilight. Ad ogni modo dire che è per un pubblico di 12 anni mi sembra azzardato. Imperdibile per gli amanti del genere!

"Fuori i secondi" di Vito Antonio Conte (Luca Pensa editore) visto da Elisabetta Liguori

Ora lo so che leggere chi ami è più doloroso. Vito Antonio Conte ha mandato in stampa all’inizio dell’anno una nuova raccolta di scritti per Luca Pensa Editore, dal titolo evocativo “Fuori i secondi” ed io da allora mi tormento. Mi tormento perché ormai lo so bene che non potrò far finta di nulla. Non potrò restare indifferente e non rendermi conto di quanto sia cambiata la mia vita negli ultimi dieci anni. Oggi non leggo per leggere, oggi leggo per capire, per confermare, oggi leggo per sopravvivere. Quello di Vito Antonio Conte è esattamente quello che io definirei un manuale di sopravvivenza, infatti. Il manuale di chi sa. Perché diciamolo una volta per tutte: non è che la lettura fortifichi gli animi come a volte si è detto (mentre altre volte si è sostenuto che la scrittura renderebbe più inquieti). Non è vero, ché (ecco lo vedete: uso le causali come fa Vito Antonio e già divento come lui) ci sono letture che mettono in discussione ogni percorso, ogni ricerca. E dall’ultimo passo equivoco poi tocca ricominciare a costruire sovrastrutture, corazze, schermi. Ricominciare sempre, a prescindere dagli esiti.

La lettura degli scritti di Vito Antonio Conte, in particolare, riporta alle origini. Rende innocenti e come tale più fragili. E’ nudità che si espone e restituisce alla vista le radici, come acqua che cade dall’alto abbondante e, nutrendo la pianta, scopre svuota il vaso che la contiene. Non a caso il luogo principe in cui gli eventi (i pochi), i pensieri (i tanti), le suggestioni contenuti in questa raccolta, trovano corpo è il motel. Il non luogo per eccellenza. Non un “dove” fisico ma un concetto astratto. Un’entità che si oppone agli abituali luoghi antropologici, proprio per il suo non essere identitaria, relazionale in senso sociale, né storica. Un luogo nudo nel quale, meglio che altrove, si può far scrittura. Scrittura radicale. Per comprendere immaginiamo qualcosa di simile a quanto teorizzato da Marc Augè. O qualcosa di vicino allo sguardo di Hopper. Immaginiamo una sosta, un transito, un ristoro solitario. E un uomo che vi scrive dentro. Immaginiamo la scrittura generata da quella nudità, scaturita per reazione grazie alla sensibilità estrema e modernissima (la surmodernità di cui scriveva Augè appunto) che caratterizza alcuni scrittori, a volte incapaci di affidarsi a confini temporali angusti o a banalizzazioni geografiche. Immaginiamo di trovarci in luogo bianco dove tutte le diversità diventano una, semplice, sola vita. Un luogo primitivo ma attuale, colto nell’istante più precario e a quello inchiodato. Immaginiamone lo stordimento e la gioia. Il piacere assoluto e breve. Per Vito Antonio Conte è “non luogo” anche un cellulare, una bicicletta, l’Orient Express, una via come quella dei Cavamonti nella Valle della Cupa. Immaginiamo forme pure, simboliche, incorporee, del sé. Ecco, è quel non luogo a parlare: il poeta è solo un fruitore. La sua unica responsabilità resta quella nei confronti di se stesso e del proprio viaggiare. Nei viaggi di Conte, le luci sono coperte dai foulard. Le parole non hanno maiuscole. La musica canta il mondo. Tutto si muove naturalmente senza fini imposti, al ritmo del respiro e del cuore, e non ha alcun senso chiedere e chiedersi: come stai? Qui la scrittura semplicemente sta. È nelle cose. Si muove con le cose. Le strade sono note, si attraversano con il naso all’insù. E’ il camminare che conta. Non la strada, ma è il ritmo dell’andare, che fa da guida alla narrazione. Questo andare costruisce una certa idea di uomo. Passo dopo passo, l‘uomo di Vito Antonio Conte ha le sue intuizioni jazz (qualcosa che ricorda le acrobazie musicali del sommo maestro Paolo Conte). C’è il mondo in quelle intuizioni. Tondo ed enorme. Come molti di coloro che si dedicano alla scrittura per necessità vitale, Vito Antonio Conte si sforza di raggiungere quella intuizione, di toccarla con le dita nella terra nuda, ma è fatale: ogni volta che egli si avvia sulla sua bicicletta, col vento che gli dà coraggio e abbrivio, finisce sempre per scoprire che l’intuizione è dietro di lui. Irraggiungibile, inviolabile. “Un giorno ti lasciai per un interno folle miraggio e me ne andai lontano. E me ne andai per ogni suolo estraneo cercando amore. E l'amore cercai, l'estate e il verno… e sempre andai cercando amore. Corsi cercando amore, ma l'amor non scorsi, e da casa tornai malato in cuore”, sussurra il Bell’Antonio di Brancati rivelando la sua impotenza. La stessa impotenza della bellezza torna nelle pagine di Vito Antonio Conte con lo stesso struggimento. Non è ovviamente un’impotenza sessuale, ma ugualmente dolorosa, sommersa e dolce. A volte sorniona, a volte incantata. Perché, moderno Sisifo, il vero poeta può raccontare soltanto la sua illusione.

sabato 6 marzo 2010

Il libro del giorno: La morte del Papa di Luis M. Rocha (Cavallo di Ferro)

La Morte del Papa é un thriller storico che denuncia la cospirazione che portò all'assassinio di Papa Luciani. Il romanzo rivela tutte le circostanze che si verificarono nella notte della sua morte, le menzogne e i segreti tenuti nascosti per 28 anni. Sarah Monteiro, giornalista portoghese che vive a Londra, riceve per posta una strana lista di nomi che cambierà tutta la sua vita. Accusata di crimini che non ha commesso, perseguitata dalla polizia, Sarah sarà una fuggitiva inseguita da un’organizzazione segreta della P2, Ultimo Papa, che vuole recuperare quella lista insieme ad altri documenti appartenuti a Papa Luciani. In un susseguirsi di avventure, la donna, insieme a Rafael, un misterioso uomo che incontrerà sul suo cammino e che la porterà da Londra a New York passando per Lisbona e Roma, sfiderà più volte la morte alla ricerca della verità sull'assassinio di Papa Luciani. Thriller dalla suspense inarrivabile, è anche un grande romanzo storico che vuole fare giustizia. Una lettura che farà luce su molti fatti politici italiani degli ultimi trent'anni, un libro formidabile che non può perdere chi vuole conoscere la verità.

Luís Miguel Rocha è nato a Porto. Lavora per le televisioni portoghese e inglese come sceneggiatore. Il suo primo romanzo Um país encantado è stato pubblicato in Portogallo e all'estero con grande successo.

Il carezzevole di Massimo Lugli (Newton Compton)

Negli anni ’70 Roma è stata la città in cui lo scontro fra neofascisti e sinistra extraparlamentare assunse in maniera più evidente logiche e dinamiche di tipo militare. Roma è stata la città in cui si sono viste per la prima volta le dj donne (la prima è stata Marilu' Corradi’). Roma negli anni ’70 ha visto Christo, quell'artista che riuscì a impacchettare tutte le Mura Aureliane, ed è stata testimone del gigantesco sgombero della borgata di Prato Rotondo, un’autentica bidonville situata ai margini della città che era diventata ormai punto di riferimento per la prostituzione e lo spaccio.
Roma negli anni ’70, la Roma dell’omicidio di Aldo Moro, non era una città facile. Bella, dura, crudele e impossibile da liquidare in poche righe. Marco Corvino vive questa Roma, come cronista di primo pelo, neo-assunto in una redazione di un quotidiano della capitale. E la racconta in lungo e largo senza perdere un colpo, nutrendosene come linfa vitale. Poi nella sua vita, entra con una ferocia inaudita il Carezzevole, un killer seriale, che lavora di fino col cervello, architettando per le sue vittime pericolosi labirinti psicologici fatti di trappole, indizi, tranelli. E come se non bastasse seguendo la filosofia mistica cinese tradizionale dei cinque elementi: acqua, terra, fuoco, legno, metallo.
A rendere più intrigante il tutto, “Il Carezzevole” sceglie come sua personale e affidabile cassa di risonanza per amplificare le sue “gesta” proprio Corvino, il quale sarà costretto a toccare il fondo, a scandagliare senza filtri e pudori la parte più oscura di se stesso, prima del “duello” finale. Questa è solo l’inizio della storia de “Il Carezzevole” (Newton Compton) di Massimo Lugli, autore di “La legge di Lupo Solitario” e “L’istinto del Lupo” (finalista al Premio Strega). Questo suo nuovo romanzo è crudo, crudele, scioccante è dire poco, soprattutto per il fatto che nasce da tutto quell’universo della nera, che ancora molti incubi ha da rivelare. Una scrittura, scarnificante, con dialoghi incalzanti e imbottito di una suspence malevola. Bel libro senza ombra di dubbio!

venerdì 5 marzo 2010

Il libro del giorno: Contro l'ora di matematica di Paul Lockhart (Rizzoli)

Regola n°1 - L’equazione (matematica = noia + fatica) è sbagliata.

Regola n°2 - Non esiste nulla di più idealistico e poetico, nulla di più radicale, sovversivo e psichedelico della matematica.

Formule da memorizzare, procedure da seguire, definizioni da ripetere parola per parola, simboli astrusi da manipolare: è questa la matematica? No, è solo la triste caricatura cui l’ha ridotta la scuola. A dirlo è un professore che ha deciso di rivoluzionare i metodi di insegnamento ansiogeni, terroristici, frustranti che il programma gli imporrebbe. Perché la vera matematica è una sublime forma d’arte, è la creazione e l’esplorazione di un mondo immaginario abitato da creature fantastiche, è “poesia della ragione”. Questo piccolo libro ricolmo di passione è insieme una critica impietosa a un’istruzione che uccide ogni piacere della scoperta e un inno gioioso alla libera attività dello spirito.

Invisibile di Paul Auster (Einaudi)




















Sembra che Paul Auster nella sua ultima produzione sia affetto da una strana compulsione all’artificiosità. Ma può darsi che si tratti solo di una semplice suggestione superficiale e nulla più. Ad ogni modo, questo grande scrittore torna al pubblico italiano grazie ad Einaudi, con il suo ultimo lavoro dal titolo “Invisibile”. Il libro anche se ben farcito di svariate situazioni e personaggi, al limite del tecnicismo narrativo, risulta di agevole lettura. Basti solo sapere che i colpi di scena sono numerosissimi e si debbono leggere con estrema attenzione per non perdere nemmeno un passaggio. Non voglio minimamente parlare del fatto che questo grande autore ripercorre tutte quelle tematiche care alla letteratura americana e soprattutto si occupa puntualmente della famigerata rielaborazione del lutto in tutte le sue fasi, anche perché rischierei di essere noioso e pedante. Stiamo parlando di un vero e proprio capolavoro, dove cinismo e toni davvero forti sono amalgamati con grande maestria. Per non farla lunga, il lettore non riesce a staccare gli occhi dal libro fino alla fine.

Ricordo che l’ultimo libro che ho letto di quest’autore è stato "Un uomo nel buio", e devo dire che mi aveva lascito senza fiato. Poi quest’ultimo libro denso, dove l’autore fa agire i suoi personaggi in maniera immensamente lucida, anche nelle situazioni più bizzarre. E questa non può essere che definita grandezza totale. La storia vede come attore principe un poeta americano, Adam, (siamo nel 1967) che scrive le sue memorie ancor prima di morire. Auster è geniale nel far dubitare sulla veridicità delle cose scritte dal poeta in questione, sino all’ultimo. Adam è incestuosamente innamorato della sorella, Adam scopa con la francese Margot più matura di lui e che ha un amante di nome Born. Un “quadrangolare” che offre innumerevoli scenari, e che questo grande scrittore riesce a comporre e scomporre a suo totale piacimento. Che Paul Auster sia difficile da capire è fuori questione, soprattutto perché la sua è una tipologia narrativa complessa, piena di innumerevoli zone d’ombra, che paiono create per disorientare più che guidare il lettore pagina dopo pagina.

Ma per noi è più che sufficiente quanto sostenuto da Clancy Martin del New York Times sull’ultimo lavoro di questa grande, grande penna: «Appena finito di leggere Invisibile, lo si vorrebbe leggere di nuovo perché il romanzo si muove velocemente, con disinvoltura, quasi sinuosamente, e finisci per preoccuparti di avere letto alcuni buoni passi troppo in fretta. La prosa è un esempio della scrittura americana contemporanea al suo meglio: fresca, elegante, vivace. Dà quella illusione di facilità che viene solo da una ferrea disciplina. E come accade spesso quando si è nelle mani dei maestri, si legge la frase successiva quasi senza avere finito quella precedente. Se, come nel mio caso, una delle ragioni per cui leggete è il grande piacere di innamorarvi di una storia, allora leggete Invisibile. È il romanzo più bello scritto da Auster».

giovedì 4 marzo 2010

Il libro del giorno: Ho bisogno del tuo amore di Byron Katie (Edizioni Il punto d'Incontro)



















L’autrice di Amare ciò che è ha introdotto migliaia di persone al suo semplice e profondo metodo per trovare la felicità interrogando la mente. Ora, con Ho bisogno del tuo amore - è vero? Byron Katie esamina una fonte d’ansia molto diffusa: le relazioni con gli altri. Con il suo insegnamento innovativo, Katie ti aiuta a mettere in discussione tutto quello che ti è stato detto di fare per ottenere l’amore e l’approvazione degli altri. Scoprirai così come trovare vero amore e creare rapporti personali sinceri. Ho bisogno del tuo amore - è vero? ti aiuta a illuminare tutte le aree della vita in cui sembra che ti manchi ciò che desideri di più: l’amore del coniuge, il rispetto del figlio, la tenerezza dell’amante o la stima dei superiori. Attraverso la sua penetrante indagine, scoprirai rapidamente la falsità dei modi convenzionali di cercare amore e approvazione. Usando il metodo di Byron Katie, esplorerai le convinzioni che causano dolore, su cui hai basato la tua esistenza, e ti rallegrerai nel vederle evaporare. “Tutti sono d’accordo nel dire che l’amore è meraviglioso, tranne quando è terribile. La gente passa tutta la vita tormentata dall’amore, cercandolo, provando a rimanerci aggrappata o sforzandosi di lasciarselo alle spalle. Non molto distante dall’amore c’è un’altra preoccupazione, quella per l’approvazione e l’apprezzamento. Dall’infanzia in poi, molte persone usano gran parte della propria energia nella ricerca incessante di queste cose e sperimentano diversi metodi per essere notati, per piacere, per impressionare e per guadagnarsi l’amore degli altri, pensando che la vita funzioni così. Può diventare una cosa talmente persistente e indiscutibile che non la notiamo quasi più. Questo libro guarda da vicino le cose che funzionano e che non funzionano nella ricerca di amore e approvazione. Ti aiuterà a trovare un modo per essere più felice in amore e più efficace in tutte le tue relazioni. Quello che imparerai qui ti farà sentire appagato in tutti i tipi di relazioni, compresi l’amore romantico, gli appuntamenti galanti, il matrimonio, il lavoro e l’amicizia”. – Byron Katie

Lulù Delacroix di Isabella Santacroce (collana 24/7, Rizzoli)




















Ho lasciato Isabella Santacroce, a “V.M. 18” edito da Fazi. E mi ci sono voluti quasi tre anni per riprendermi dalla negatività di quel lavoro che parla delle disavventure avventurose della criminale, decadente, folle, lubrica Desdemona in oscuri ambienti collegiali dove con l’aiuto di Cassandra e Animone organizza scene in grado di superare la sfrenata fantasia del marchese Donatien-Alphonse-François de Sade. Un lavoro dai contenuti talmente forti da dover essere consigliato ad un pubblico maturo di più di venticinque anni, dove la crudeltà e il narcisismo della scrittrice, la fanno da padroni grazie anche alla grande abilità scritturale della Santacroce che utilizza la lingua come un martello pneumatico in grado però attraverso un equilibrio perfetto di ricercatezza inferica di scolpire descrizioni minuziose e sconvolgenti di rapporti carnali tra i diversi personaggi, e di collegiali ambienti perfetti nella loro nefandezza rococò. Ora la Santacroce approda a Rizzoli nella collana 24/7 forse la più adatta a contenere un uragano come lei. Il suo nuovo lavoro si chiama “Lulù Delacroix” ed è la storia di questa bambina mostruosa ( da intendersi in questo caso nell’accezione di essere che si presenta con caratteristiche estranee al consueto ordine naturale e come tale induce stupore e paura per la sua straordinarietà) nata a Perfect City una sorta di modello sociologicamente artificiale e artificioso dove ogni cosa è assolutamente perfetta. Lulù possiede due occhi singolarmente più grandi rispetto alla consuetudine, si esprime con rara eleganza, ha una pelle eccessivamente diafana, i genitori la rifiutano, le sorelle Ada e Dolores la rendono oggetto delle più feroci angherie. Lulù non ha scelta, non può averla, in un mondo che non la vuole, un mondo che rispecchia esattamente quello fuori dalle pagine di questo libro dove non c’è posto per i diversamente abili e i diversi in genere. Ciascuno di noi può facilmente trarre una specie di insegnamento da questo personaggio, già perché Isabella Santacroce fa divenire Lulù simbolo di tutto quel coraggio che ci manca nell’affrontare dai piccoli ai più grandi soprusi nella vita di ogni giorno. Lulù nella storia, in questa storia, vince su tutto, dopo l’incontro con Mimì, feticcio menomato e mutilato, vera e propria chiave di volta per tutte quelle vicende fantastiche che vivrà con lei nel “Mondo del Mistero”. Di questo libro non sarà facile innamorarsi, lo dico in anticipo,ma una volta che “l’acido viperinico” della Santacroce entrerà in circolo, resterà per sempre in voi!

mercoledì 3 marzo 2010

Brooklyn brucia per il rock. Intervento di Maria Beatrice Protino



















Al Market Hotel
(www.myspace.com/markethotelnyc),
uno dei locali più cool della scena indie-rock di Brooklyn, alle nove di sera, in un grande loft con colonne di cemento armato tipicamente newyorkesi, luci basse e vecchi divani, si suona rock’n roll dietro un organizer attento come Todd P (ovvero Todd Patrick). Todd P è un 34enne del Texas laureato in letteratura inglese trasferitosi a New York nel 2001 che ha scelto di fare proprio questo nella vita: far suonare le band. Quando arriva a Brooklyn non c’era il fermento musicale che è riuscito a creare col suo lavoro di promoter di eventi in questi anni, anzi, al contrario, ormai il rock’n roll non era più considerato coinvolgente se suonato nei locali. L’idea è stata, quindi, di spostare i concerti dai club a locations davvero underground, forse giocando un po’ sul limite della legalità, ma con l’idea di divertire facendo musica e dal “do it youself”, ovvero dell’etica del “fallo da solo”, organizzando, cioè, tutto in prima persona.

La risposta è stata senz’altro superiore alle aspettative: Todd P riceve moltissime e-mail al giorno di gruppi che mandano i loro pezzi chiedendo di potersi esibire. Probabilmente è una delle migliori cose capitate alla musica rock americana dopo gli anni ottanta-novanta: i tempi di Patti Smith, Debbie Harry e Talking Heads.

Oggi il rock ha lasciato la costosissima Manhattan per trasferirsi proprio dall’altra parte del ponte, dove suonano bands dai nomi più fantasiosi e ossessionati dall’idea di autenticità, come i Dirty Projectors, gli Animal Collective, i Liars. La critica è in estasi e le feste e i concerti di ogni sera creano un fermento creativo sistemico e tipico di Brooklyn, per cui le bands vogliono far parte della comunità e si trasferiscono qui da tutti gli Stati Uniti in cerca di posti in cui suonare. Si sta addirittura studiando un sistema in grado di fare maggiori profitti in modo da prevenire il rischio di perdere le bands accattivate dalle major: un’istituzione centrale, una fondazione sponsorizzata sia dal pubblico che dal privato che mantenga le caratteristiche e la filosofia che hanno decretato la fortuna di questa nuova scena musicale e soprattutto… in jeans stretti rigorosamente hipster.

Il libro del giorno: "Non so che viso avesse. La storia della mia vita" di Francesco Guccini (Mondadori)

Montanaro di pianura, nato a Modena, diffidente, avaro di sé, sobrio e bevitore, pigro e serissimo, ma chiacchierone instancabile, Francesco Guccini ha scelto, per la prima volta, di raccontare la sua vita. E ci è riuscito, in questo libro bello e bizzarro, nell'unico modo per lui possibile: fingendo di parlare d'altro, per dire tutto di sé. Per farlo, Guccini organizza una geografia: Pavana col mulino degli avi, i nonni, le nonne e i bisnonni, il bosco, il fiume, la montagna. Modena, odiata e amata, piccola città bastardo posto. Bologna, l'eletta, in via Paolo Fabbri, una vecchia signora dai fianchi un po' molli col seno sul piano padano e il culo sui colli. E poi gli altri luoghi e i loro aneddoti: le osterie, il giornale per sbarcare il lunario (perché cantare non è mica un mestiere), e le balere, dalla via Emilia al West, con gli orchestrali, le giacche con i lustrini, il rock and roll. E ancora: l'amore per il cinema, con gli amici Luciano Ligabue e Leonardo Pieraccioni, per le chitarre, per i fumetti e per l'ottava rima. E infine: il concerto, il luogo dell'incontro col pubblico, secondo una liturgia ritualizzata che comincia con il c'era una volta di "Lunga e diritta correva la strada" di "Canzone per un'amica" per finire con l'epos trionfale di "Non so che viso avesse" della "Locomotiva".

“Un’estate fa” di Camilla Baresani (Bompiani)

Vi ricordate le parole di Tenco: “ah...l'amore l'amore/ quante cose ti fa fare l'amore,/ ah....l'amore l'amore,/quante parole ti fa dire l'amore,/ quanta vita, quante ore/ dedicate all'amore,/ quante frasi dette al vento/ dedicate all'amore…” Ma l’amore cosa rappresenta veramente, cos’è in definitiva. L’amore dura un attimo, o è per sempre? C’è differenza tra amore e Amore Vero? L’amore va alimentato giorno dopo giorno oppure è qualcosa che c’è o non c’è? Insomma l’amore è una faccenda complicata, ma qualcuno ancora ci crede, anche in tempo di crisi. Lo ha fatto Camilla Baresani con il suo “Un’estate fa” edito da Bompiani e che sta riscuotendo consenso di pubblico e di critica. La vicenda narrata si esaurisce nell’arco di un’estate in un alternarsi godibilissimo di personaggi descritti in perenne fluttuazione tra una dirompente voglia di vita e un’altrettanta fragilità che divora qualsiasi proponimento e volontà, proprio magari nel momento di una scelta delicata. Una sorta di debolezza derivante dall’oblìo dell’abitudine. I protagonisti sono: la milanese Erica, giornalista ferrata sui serial televisivi, coniugata con un veterinario; Gerardo, vecchio amico d’infanzia di Erica, fondatore di un’associazione per la tutela dei diritti dei padri separati; Arnaldo, produttore romano, stritolato dalla relazione ripetitiva e monotona con Stella, ricco di vita sociale ma vuoto nell’anima. Una serie di piccoli siparietti quotidiani che verranno perturbati dall’esplosiva quanto inaspettata storia d’amore che scoppia tra Erica e Arnaldo. Da sottolineare che nella mondanità descritta dalla Baresani, tra località chic come Roma, Milano, Capalbio, Cortina e Venezia, dove si alternano inaugurazioni e presentazioni, aleggia magnificamente e in maniera sontuosa, l’ansia da prestazione di cui è affetta la maggior parte degli uomini e delle donne rampanti. Una buia ossessione che nel suo coattivo ripetersi conduce alla deriva. Ad ogni modo in tutto questo intreccio di intrighi e tradimenti, quel mondo non ne esce poi tanto bene. Quello che questa bravissima scrittrice è stata in grado di realizzare con questo suo ultimo lavoro, va al di là credo del semplice descrivere (narrativo) un mondo che forse oggi appartiene ad una “nicchia” di persone. La Baresani, con un suo modo singolarissimo di scrittura che si lascia gustare come un vino raro e pregiato (che è tale per i pregi che si denotano nel suo carattere e nella sua struttura), sfiora quasi l’antropologia sociale, descrivendo con ironia e sarcasmo una società vacua e desiderante solo di apparire la cui solitudine può essere destabilizzata dalla forza dei sentimenti. Qualche vicinanza con Flaiano e Arbasino per il fatto di andare giù pesante con una critica senza se e senza ma di un mondo radical/chic? Macchè … sullo sfondo solo l’imperativo categorico del non passare inosservati a qualunque costo. Lavoro narrativo elegantemente sublime, da leggere.

martedì 2 marzo 2010

Il libro del giorno: Storia dei disastri naturali di Henrik Svensen (Odoya edizioni)

Abbracciando più di duemila anni e molti continenti, questa storia dei disastri naturali prende in esame il terremoto di Lisbona del 1755, quello di San Francisco del 1906, lo tsunami nel sud dell’Asia del 2004, l’uragano Katrina che ha devastato New Orleans nel 2005 e molto altro. Henrik Svensen, non compila un mero catalogo di calamità naturali, ma seleziona gli avvenimenti che hanno mutato il corso della storia o il nostro modo di rapportarci a questo tipo di tragedie. Quando un disastro ci colpisce abbiamo una reazione differente rispetto a quella che ebbero i nostri antenati centinaia di anni fa? Svensen mette in relazione gli avvincenti racconti dei testimoni oculari con i destini individuali, le azioni di una natura indifferente con lo sbigottimento delle sue vittime e le loro domande senza risposta: perché è accaduto a noi e non a qualcun altro? Siamo stati puniti da Dio per i nostri peccati?
Storia dei disastri naturali affianca alle storie personali le risposte dei diversi campi scientifici: geologia, antropologia, sociologia, ecc. con un risultato che è istruttivo e commovente.

Henrik Svensen è Senior Researcher al Physics of Geological Processes Centre dell’Università di Oslo. I suoi studi ruotano principalmente attorno ai processi metamorfici e vulcanici. Dai suoi lavori emerge in modo particolare il legame tra processi geologici e cambiamenti climatici.

“La ragazza dai piedi di vetro” di Ali Shaw (Fazi editore)

Chi dice che la letteratura fantastica sia un genere per pochi intimi, e che addirittura le case editrici abbiano una sorta di pudore nel dire che si tratti di un libro fantasy o di fantascienza a me sembra piuttosto limitante. Infatti vi è una ricca fetta di mercato editoriale (includente i due generi letterari) che dimostra una verità incontrovertibile: non siamo dinanzi a un fenomeno da nicchia. Ho appena finito di leggere una gran bella storia fantastica, un esordio per la precisione, quello di Ali Shaw edito in Italia da Fazi con il titolo “La ragazza dai piedi di vetro”, mentre in alcuni paese del mondo come negli U.S.A., Svezia, Finlandia, Spagna, Israele, Polonia, Corea, Turchia e Indonesia ci si sta già attrezzando per editarlo. Il fatto che sia stato finalista in prestigiosi premi letterari internazionali, non vuol dire nulla ( opera segnalata dunque al Guardian First Book Award 2009 e al Costa First Novel Award 2009), dal momento che sono convinto che sarà sempre più necessario fare attenzione alla qualità delle cose, anziché alle “medagliette” di turno. La storia: fatti insoliti accadono nell’arcipelago un po’ “fuori mano” di St. Hauda Land dove il bizzarro la fa da padrone, tanto che mentre si leggono le straordinarie descrizioni di flora e fauna locali, viene subito in mente il paesaggio eco-metafisico alla “Avatar”. Una bellissima storia d’amore, magica e insolita tra due giovani: Midas Crook ha vissuto tutta la sua vita su un’isola come un vero e proprio lupo solitario; Ida una ragazza fragile e indifesa che si sta trasmutando in vetro. La loro è una storia d’amore che lotta contro il tempo, e contro una folta schiera di presagi certamente non ben auguranti che come nugoli di nubi minacciose si addensano sulla vita e il destino di Ida. Ora sono personalmente un po’ scettico quando vedo operazioni editoriali come quella di “invitare” l’ipotetico lettore del romanzo a cimentarsi in prove di studi fotografici ispirandosi vuoi esplicitamente vuoi implicitamente ai contenuti del libro, perché mi viene in mente che non valga la pena spendere quei “diciottoeuroecinquanta”, che in periodi di crisi dicono tanto. Ma mi sono sbagliato sia perché il sign. Ali Shaw, nato nel 1982 a Lancaster, Inghilterra e che ha studiato letteratura inglese a Cambridge ha stoffa da vendere, sia perché Lucia Olivieri che l’ha tradotto è stata veramente una grande. Un libro che vale la pena tenere in biblioteca e che poi sia la metafora della precarietà della vita o meno, poco importa, perché quando un libro sa emozionare significa che è grande letteratura!

lunedì 1 marzo 2010

Il libro del giorno: Il dio delle anime di Alan Campbell (Nord editrice)

Le porte dell’Inferno sono state aperte e un esercito di creature spaventose, guidate dal perfido Menoa, ha distrutto la città sospesa di Deepgate. Quando anche Coreollis cade sotto i colpi delle inarrestabili armate del Signore del Labirinto, la guerra fra gli dei di Sabbiemorte sembra ormai segnata. Eppure l’ex assassina Rachel Hael non ha nessuna intenzione di arrendersi ed è decisa a tentare tutto il possibile per rovesciare le sorti del conflitto. Per questo coinvolge la maga Mina Green e il dio Hasp in una missione disperata: raggiungere il dio degli orologi nella sua roccaforte e, col suo aiuto, convincere le forze del paradiso a combattere al loro fianco. Tuttavia Rachel si ritroverà ben presto a doversi difendere non soltanto dai dodici arconiti di Menoa  enormi automi che le stanno dando la caccia , ma anche dallo stesso Hasp. Nel corpo del dio, infatti, è stato impiantato un parassita che lo obbliga a obbedire agli ordini del nemico, perciò lui è combattuto fra la volontà di aiutare i suoi alleati e quella di distruggerli. In un clima di sospetti e diffidenze, Rachel inizia a capire che il tempo a sua disposizione sta per scadere e che è giunto il momento di prepararsi all’estremo sacrificio, nella speranza che, nel frattempo, il gigante John Anchor sia riuscito a trascinare la nave di Cospinol, il dio della nebbia, proprio dove Menoa si sente più al sicuro: nell’abisso dell’Inferno...

Alan Campbell è nato a Falkirk, in Scozia, e ha studiato all’università di Edimburgo. Dopo aver lavorato come designer informatico - è stato tra i creatori di uno dei videogame più venduti al mondo, Grand Theft Auto -, ha deciso di dedicarsi alle sue due grandi passioni: la fotografia e la scrittura. Con Il dio delle anime si conclude la trilogia di Deepgate, che comprende anche Il raccoglitore d’anime (Nord, 2007) e Il dio delle nebbie (Nord, 2008)

Un uomo, una donna. 1915-1918. Un epistolario di guerra della Val di Posina di Giorgio Havis Marchetto (Meridiano Zero). Intervento di Nunzio Festa














Il libro “Un uomo, una donna” che principalmente è l’epistolario fra Pietro ed Elisa è documento unico e insostituibile, opera davvero unica nel suo genere. Il libro di Havis Marchetto si serve delle fotografie conservate dal Museo Civico del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza, alcune decine d’illustrazioni che presentano scenari utilissimi alla storia narrata dalla scambio di missive. Una storia di corrispondenza, e corrispondenze, che conduce direttamente nel mondo della Storia. Per farci osservare il dramma e i drammi, i dolori, e i patimenti, i desideri dei soldati che sui fronti della Prima guerra mondiale dovettero mettere le loro anime. A servire il pugnale del destino. Come per non sottrarsi alla canna della pistola del potere. Dell’imposizione che li spediva a difendersi e ad aggredire. In mezzo a tormenti. Nel cuore delle malattie. E fatti di malattie al cuore; l’abbandono: della casa, delle parentele, delle amicizie. Sono le sembianze umane e disumanizzate che spingono alla diserzione. Al pacifismo. La tensione affettiva riprodotta, anzi custodita, dalle centinaia di lettere della moglie di Pietro, uno dei tanti che fecero il ‘15/’18, s’allaccia alla scia delle frasi destinate a chi sta lontano per esigenza d’altri. L’unicità del volume è nella certezza che l’archivio di scritti di chi sta a casa ad aspettare difficilmente è stato portato avanti dal tempo. Perché per esempio finiva troppe volte, la maggior parte delle vote capiamo che è successo, con la fine del soldato. Con la morte fisica dell’uomo. Il volume di Giorgio Havis Marchetto è valido strumento da conficcare nelle mani degli irriducibili ancora disposti a perorare la causa persa della guerra giusta. Havis Marchetto, con la sua documentata è attenta ricerca, scova nei cassetti dei decenni decomposti il fiato ancora intatto d’anime pronte a testimoniare cosa fu davvero la Prima guerra mondiale. Con il tatto necessario a far entrare lettrice e lettore nella questioni famigliari e più intimistiche di Elisa e Pietro, ma per rendere conto d’una certezza incontrovertibile. Che, questione mai del tutto per tanti scontata, il risultato delle guerre non è la riproduzione di numeri sul correre dei giorni nostri, non sono le politiche dei vincitori a discapito magari e le decisioni prese in faccia ai tanti vinti. Le guerre sono gli stessi uomini che hanno dovuto combatterle. Non le strategie degli stati. Degli interessi. Non i comandi dei generali che da lontano hanno guardato o guidato le battaglie assassine. Le guerre sono questi uomini, come Pietro, che potevano perdere per sempre la loro esistenza oppure tranciare da essa buona parte della loro felicità. Questa nuova pubblicazione della Meridiano zero prende di petto un vuoto al fine di riempirlo. Pensando alle esigenze di noi che se pur non possediamo fucili nelle automobili moderne siamo pieni della retorica bellica d’una pseudo-modernità mai postbellica.


Un uomo, una donna. 1915/1918. Un epistolario di guerra della Val Posina, di Giorgio Havis Marchetto, presentazione di Mauro Passarin, Meridiano Zero (Padova, 2009), pag. 168, euro 25.00


domenica 28 febbraio 2010

Il libro del giorno: La principessa di ghiaccio di Camilla Läckberg (Marsilio)

Erica Falck è tornata nella casa dei genitori a Fjällbacka, incantevole località turistica sulla costa occidentale della Svezia che, come sempre d’inverno, sembra immersa nella quiete più assoluta.
Ma il ritrovamento del corpo di Alexandra, l’amica d’infanzia, in una vasca di ghiaccio riapre una misteriosa vicenda che aveva profondamente turbato il piccolo paese dell’arcipelago molti anni prima. Erica è convinta che non si tratti di suicidio, e in coppia con il poliziotto Patrik Hedström cerca di scoprire cosa si nasconde dietro la morte di una persona che credeva di conoscere.
A trentacinque anni, con la sensazione di non sapere bene cosa volere nella vita ma stimolata da un nuovo amore, approfitta del suo status di scrittrice per smascherare menzogne e segreti di una comunità dove l’apparenza conta più di ogni cosa. Tra gli ultimi clamorosi fenomeni del poliziesco svedese, Camilla Läckberg è stata in patria l’autrice più venduta per tre anni consecutivi; grazie ai suoi personaggi così ricchi di sfumature e alle trame attente agli aspetti più oscuri della psicologia umana è stata definita dalla critica la nuova Agatha Christie del Nord.

Camilla Läckberg (1974), prima di diventare una delle più celebri e vendute autrici di polizieschi della Svezia, ha lavorato per diversi anni nel marketing. Oggi, madre di due figli, vive a Stoccolma dove continua a scrivere la sua fortunata serie tradotta in ventisette paesi, che ha venduto finora nel mondo più di sei milioni di copie. Da questo primo episodio della serie, vincitore in Francia del Grand Prix de Littérature Policière, sarà realizzato un film.

"Antigua, vita mia”, di Marcela Serrano (Feltrinelli). Intervento di Vito Antonio Conte

Non è un bel tempo. Neanche quando c'è il sole. Ché il giorno, comunque, è più buio della notte. E la notte, soltanto la notte, porta luminescenze di quiete. Ché tutto tace e ascolto meglio le voci. Sono voci colorate, senza suoni. Non c'è più musica per me. Non ci sono più canzoni. Amiche note non sento più. Nuove note non voglio sentire. Il respiro degli altri mi scivola addosso, senza lasciarmi niente. Il mio respiro è affanno di vuoto. È silenzio d'assenza. È pace di morte. Come quella che, a un certo punto, è toccata a Violeta. A Violeta Dasinski. E, prima di lei, a Cayetana e, prima ancora, a Carlota. Come quella che, a un certo punto, è toccata a Josefa. A Josefa Ferrer. E, prima di lei, a tante altre donne. E a altri uomini. Oggi tocca ogni parte di me, intanto che ancora sei nei passi miei. Tempo che attraversa i tempi. Spazio che si confonde negli spazi. Storie che si ripetono. Tutte uguali. Tutte diverse. E, poi, questa storia, fatta di storie, che incrocia l'unico amore... Sono le 17:50 del 22 febbraio di questo 2010, che, secondo gli astri, riserva (…) buone nuove e fortuna, quando leggo l'ultimo rigo del libro dove ho visto e sentito scorrere altre esistenze. L'ultimo rigo. Non la fine. Ché una fine, anche qui, non c'è. C'è l'ultimo rigo dell'ultima pagina. Poi, quella stessa pagina, è (in gran parte) bianca. Ci si può scrivere di tutto. Io c'ho scritto, con grafia minuta (con i caratteri più piccoli che potevo, ché rimanesse più spazio possibile...), “terribilmente bello”. Riferito al romanzo... L'Autrice la conoscevo già, il libro non come ora: dell'una e dell'altro avevo detto e scritto, del tutto incidentalmente, in altre occasioni. “Antigua, vita mia”, di Marcela Serrano (Universale Economica Feltrinelli, pagine 293, € 7,50, nella dodicesima edizione del 2008), è un romanzo (avevo scritto romanza e... non è un caso...) la cui trama si perde nella storia narrata e riemerge in tutte le storie che il racconto accoglie. C'è grande intensità in questo romanzo. C'è grande passione nella scrittura di queste storie. Storie di donne e di uomini. Che si incontrano. Si amano. E si distruggono, distruggendo l'amore. Alla ricerca di se stessi. Ché non si può vivere una storia d'amore per sempre se quel sempre non t'esce dalle viscere e se quelle viscere ignori. Violeta e Josefa, due donne divenute tali tenendosi per mano sin da bambine. L'una, architetto, costantemente alla ricerca dell'essenza della bellezza, praticandola. Sino all'estremo. Sino alla follia. Sino all'omicidio. Sino alla fine di una vita. Sino alla nascita di una nuova (vita). Con la forza impressa nella carne dal destino. Con il destino disvelato da una profezia. Con la profezia perseguita (inconsapevolmente...) con la serenità della consapevolezza che fare la propria parte porterà nel luogo desirato. Quello ch'era scritto nella prima riga mancante di un verso (della Rich). Quello trovato nel verso che mancava e che nessun altro può scrivere per te. Antigua, vida mia. L'altra, famosa cantante, tesa a costruire una carriera. Non tanto per sé, quanto per sua madre e per altro. Sino a esaurire ogni risorsa. Sino a perdere ogni contatto reale. Sino a perdere se stessa. Due esistenze rievocate sul doppio filo della memoria, traverso le pagine di un diario, e della ricerca della verità, nel mentre tutto d'intorno non consente pause. Antigua, vida mia. E poi ci sono uomini e uomini. Brutali e sbagliati. Dolci ma lontani. “La dolcezza... non che in giro ce ne sia molta, a dire il vero. È merce rara.” Quando è vera. E, come spesso accade, l'autenticità risiede in un luogo dove il ritmo è lento, dove il percorso è segnato dai mille verdi della natura, dove l'anima si ritrova. Antigua, vida mia. Lì, in Guatemala, le profonde identità femminili di Violeta e di Josefa si aprono a se stesse e... l'esistenza diviene piena. Ché c'è bisogno di conoscersi per credere nella migliore vita possibile. Ché c'è bisogno di credere in quel che si fa per vivere la vita che si vuole. Ché c'è bisogno di assaporare l'attesa, istante dopo istante, muovendosi con armonia (dentro e fuori...). “Una volta la bambina le chiese: . le rispose la madre in tono sicuro. ” È solo una citazione tra le tante che sarei tentato di trascrivere. È quella che mi piace di più... Mi fa pensare, traverso l'esistenza delle donne di questo romanzo, che hanno attraversato diversi lustri, a un pensiero che m'era venuto la mattina di giovedì della scorsa settimana e che avevo condiviso... via filo. Cosa c'è tra l'aver abitato una casa da bambino, averla perduta, e poi -da adulto- ritrovarla e non trovare più tutte le persone care che con te l'avevano abitata? Domanda suscitata dalla lettura di “Antigua, vita mia”, che altre ne pone al lettore. E risposte, anche, dà. Non la risposta. Ma una risposta. Credevo che per quella domanda la migliore risposta fosse: tutto il tempo tuo e degli altri e altri luoghi. Ma, poi, durante la lettura, ne ho trovata un'altra: “Non sto dicendo che una strada è migliore dell'altra. Questa è quella di cui avevo bisogno io, tu lo sai bene. Ho passato la vita a cercare un modo coerente di vivere e sento di averlo trovato. Ci sono un'infinità di soluzioni possibili.” Inserisco un altro CD nell'apparecchio... nel mentre è arrivata un'altra sera, ma non c'è più musica per me! Antigua, vida mia.


sabato 27 febbraio 2010

Cristi polverizzati di Luigi Di Ruscio (Le Lettere, collana "fuori formato" diretta da Andrea Cortellessa)

L'’individuo è la forma assoluta, vale a dire è la certezza immediata di se stesso ed è quindi, se si preferisce questa espressione, incondizionato essere.

G. W. F. Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello spirito


Parto difficilissimo, spesso si nasce venendo stritolati, lo shock dell’aria freddissima rispetto al calore del ventre materno, la luce vivissima, i rumori assordanti, la poesia retrocede verso la prima angoscia, potevano immaginare che l’elettroshock rimettesse le cose al loro posto perché era come se lo shock iniziale si ripetesse, l’angoscia di rimanere rinchiusi in un ventre per sempre, l’essere che dilegua nel nulla è il passare e morte, il nulla che dilegua nell’essere è il sorgere e la nascita, la morte è un ritornare nella condizione prenatale, quando ero il niente che viveva il niente e di questa condizione mai nessuno si è lagnato. Certi nascono da una vagina apertissima ed escono come imperatori dalla porta sacra tutto oliato e pronto per l’esposizione. Certi come ghigliottinati e fucilati morivano al centro di un festoso cerimoniale. Ero immerso nelle acque fetali, sono immerso in questa acqua sociale. Certi con rendite stupefacenti morivano torturati da costosissimi interventi chirurgici, straziati da speculate operazioni chirurgiche, certi muoiono agli angoli delle strade avvolti da una calma stupefacente. Siamo nati e poteva anche non nascere niente, una volta mia moglie mi disse che non dovevo disperarmi tanto, noi siamo nati e tanti neppure riescono a nascere. Mi è stato raccontato che prima di nascere eravamo nel pensiero d’Iddio, poteva non nascere niente, non facciamo confusioni tra il niente e il vuoto, il niente non può essere neppure riempito. Il niente può solo trapassare nell’essere più spettacoloso. Oppure come nelle bellissime svalutazioni quando milioni si tramutano in milioni di niente. Mia moglie rimaneva continuamente incisa, incinta, nonostante che non facevo che adoperare gomme di tutti i tipi conosciuti e pensavo di chiamare la mia ultima raccolta dentro il ventre del mostro, chiuso per sempre nella società dello sfruttamento e dei mangiatori di uomini. Gli eletti, i migliori si divertivano in bellissimi massacri, se non appartieni al popolo d’Iddio sarai prima o poi un assassino, se appartieni ad un popolo separato sarai prima o poi assassinato, così vedevo le cose ed invece era tutto più complicato e terrificante, non è detto che la vittima sia una persona per bene, tante volte prima d’ammazzarli li abbrutiscono e perdevo tempo con poesie che sembravano macchinette verbali produttrici di niente. Tentare di cambiare il mondo con una forsennata scrittura, anche questa cazzata ho immaginato, a Milano perfino l’aria è diventata pericolosa e pensano alle poesie, per la mancanza di aria respirabile non ci saranno proteste, potremo agitarci solo per i mali immaginari. Nonostante che mai ho avuto un’auto e spengo a sproposito i radiatori e non consumo neppure l’energia della dinamo della mia bicicletta. Siamo tutti peccatori e il miracolo della vita in questo pianeta non è cosa eterna e un miracolo sarà necessario per la sopravvivenza degli insetti più corazzati e il sottoscritto inabile in tutto può permettersi il lusso di scrivere le poesie.

ricevo dell'autore e pubblico volentieri la prima pagina, e la copertina con l'opera di
Osvaldo Licini.

Il libro del giorno: Il tempo che vorrei di Fabio Volo (Mondadori)

"I'll trade all my tomorrows for a single yesterday: cambierei tutti i miei domani per un solo ieri, come canta Janis Joplin." È forse proprio questo il tempo che vorrei. Lorenzo non sa amare, o semplicemente non sa dimostrarlo. Per questo motivo si trova di fronte a due amori difficili da riconquistare, da ricostruire: con un padre che forse non c'è mai stato e con una lei che se n'è andata. Forse diventare grandi significa imparare ad amare e a perdonare, fare un lungo viaggio alla ricerca del tempo che abbiamo perso e che non abbiamo più. È il percorso che compie Lorenzo, un viaggio alla ricerca di se stesso e dei suoi sentimenti, quelli più autentici, quelli più profondi. Il nuovo libro di Fabio Volo è anche il più sentito, il più vero, e la forza di questa sincerità viene fuori in ogni pagina. Ci si ritrova spesso a ridere in momenti di travolgente ironia. Ma soprattutto ci si ritrova emozionati, magari commossi, e stupiti di quanto la vita di Lorenzo assomigli a quella di ciascuno di noi.

299+1 di Leo Ortolani (Panini Comics)













Nel periodo che va da maggio ad ottobre 2007 l'mp3 della "LEZIONE SU 300" tenuta da Wu Ming 1 è stato scaricato più o meno da 8000 volte e fin dai primi giorni ha suscitato un notevole interesse. Una vera e propria lectio magistralis, su un film che definire epico e adrenalinico sarebbe più che riduttivo. 300 di Zack Snyder (e l’ombra del grande “maestro burattinaio” Frank Miller) con Gerard Butler, Vincent Regan, Lena Headey, e David Wenham è divenuto nel giro di poco un film cult. Si parla dell’epica battaglia delle Termopili e dell’ostinato coraggio e virile impeto del re Leonida e e dei suoi 300 soldati che affrontarono la morte pur di ritardare l'avanzata di Serse con il suo terribile e immenso esercito. Un gesto che spinse tutte le città greche a unirsi contro l'invasore, in nome della loro indipendenza, della loro democrazia, della loro civiltà. Panini Comics ora ristampa a colori 299+1. Attenzione però, devo dirlo: questo albo è pericoloso, così come sono pericolosi tutte quelle pubblicazioni che in qualche modo eccitano in maniera dirompente, attraverso parole e immagini, la fantasia dei lettori. Nello specifico perché si tratta di Leo e Lorenzo Ortolani che sono in grado di integrare elementi di un certo spessore vuoi per contenuti che per maturità di stile, e nello stesso tempo a far convivere la battuta all’acido solforico con i più alti slanci lirici e da “volontà di potenza” propri degli eroi. In questo 299+1 il lettore viene letteralmente stordito dalla forza di questo lavoro, dal suo pathos, dalla sua drammaticità, dove i colori sono in grado di far respirare e rievocare gli abissi dell’universo mitico e abbacinante creato da Frank Miller. Il distillato finale è un mix di boutade, non/sense, degni di una parodia di altissima qualità che solo un grande rat-volume come questo può dare! E allora non c’è altro da fare che godersi questo meschino, basso, sfigato fanfarone che è Rat Man, nei panni però di un grande della storia come Leonida. Il confronto non regge? Leggete prima l’album e poi se ne potrà riparlare

venerdì 26 febbraio 2010

Il libro del giorno: Io chi sono? (dialoghi sulla musica e lo spirito) edito da Mondadori a cura di Daniele Bossari

Le parole di Franco Battiato, nelle sue canzoni come in questo libro, hanno il raro pregio di trasportare la mente lontano dai luoghi ordinari, trascinarla in voli imprevedibili e ascese velocissime attraverso mondi esotici ed esoterici. "Battiato - Io chi sono?" è un distillato del suo pensiero, un'immersione nell'universo filosofico e spirituale che fa da matrice alle sue canzoni (e ogni volta scoprire l'origine di un verso amato è una vertigine, una piccola illuminazione). Pagina dopo pagina, si incontrano storie e geografie straordinarie, lama tibetani e maestri sufi, passi dei Veda e del Mahabharata, insegnamenti del buddismo e della teosofia. Si discute di musica e di meditazione, di morte e di rinascita, di estasi mistiche e viaggi psichedelici, dei modi per resistere alla "cloaca" del mondo contemporaneo. Daniele Bossari, appassionato come un fan e competente come un esperto, interroga Battiato nello stesso modo in cui un allievo farebbe col suo guru, spinto da quel proverbio giapponese per cui "chiedere è vergogna di un momento, non chiedere è vergogna di una vita".

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