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mercoledì 11 aprile 2007
Martirio e Jihad
LA PAURA E IL CORAGGIO - INCONTRI
a cura di CSS TEATRO STABILE DI INNOVAZIONE DEL FVG
ASSOCIAZIONE CULTURALE VICINO/LONTANO
coordinamento incontri MARCO PACINI
17 aprile 2007, ore 21 > Udine, Teatro S. Giorgio
ingresso libero
MARTIRIO E JIHAD
incontro con FARHAD KHOSROKHAVAR
moderatore Marco Pacini
Negli ultimi anni, l’islamismo radicale si manifesta attraverso il martirio che vede morire per la causa un elevato numero di persone. Cosa spinge questi candidati volontari alla morte sacra? E chi sono questi nuovi martiri? Giovani diseredati esclusi dai benefici della modernità, che vivono una condizione di alienazione, o una minoranza di immigrati che si trovano nel cuore stesso dell’Occidente e fanno parte di nuove classi medie sospese tra Oriente e Occidente? A quale delle due categorie appartengono i piloti suicidi del World Trade Center?
L’islamista che più ha riflettuto sul “nuovo martirio” come forma di attivismo politico-religioso non più circoscritto al Medioriente ma ormai ampiamente deterritorializzato, ci aiuta a entrare nell’orizzonte di un “coraggio” estremo e distruttivo, quello delle pratiche suicide portate a compimento con assurda abnegazione.
Farhad Khosrokhavar _ sociologo, nato a Teheran ma residente in Francia, è direttore di ricerca all’École des Hautes en Sciences Sociales di Parigi. Studioso dell’Iran e dell’Islam, di recente ha pubblicato L’Islam des jeunes (Flammarion, Parigi 1997), una ricerca sul ritorno all’islam dei giovani maghrebini residenti in Francia; L’Instance du sacré (Cerf, Parigi 2001). In Italia è noto per il suo saggio I nuovi martiri di Allah (Bruno Mondadori, 2003). In Francia ha appena pubblicato Quand Al-Qaïda parle : témoignages derrière les barreaux, (B. Grasset, Paris, 2006).
sabato 7 aprile 2007
300 - esperimento 01
Torna col tuo scudo. O sopra di esso"
( dal film di Zack Snyder)
mercoledì 4 aprile 2007
La Paura e il Coraggio
14 aprile 2007, ore 21
Udine, Teatro Palamostre
URLO
ideazione e regia PIPPO DELBONO
con Fadel Abeid, Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Raffaella Banchelli, Bobò, Margherita Clemente, Pietro Corso, Pippo Delbono, Lucia Della Ferrera, Ilaria Distante, Claudio Gasparotto, Gustavo Giacosa, Simone Goggiano, Elena Guerrini, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Germana Mastropasqua, Julia Morawietz, Gianni Parenti, Mr. Puma, Pepe Robledo e con il Maestro Giuliano Bracci
scene Philippe Marioge, luci Manuel Bernard
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Maison de La Culture de Bourges, Festival d'Avignon, Teatro di Roma, Le Volcan - Scène National du Havre, Théatre de la Cité - Théatre National de Toulouse Midi - Pyrénées, Scène Nationale de Sète, Spielzeiteuropa Berliner Festispiele in collaborazione con Fondazione Orestiadi di Gibellina
URLO, TRA SAGGEZZA E FOLLIA _ Al suo debutto, al Festival di Avignone, dove due estati fa è stato accolto trionfalmente, Le Monde ha parlato di Urlo come “un evento indimenticabile, uno spettacolo pieno di saggezza e follia, di musica e poesia, popolato di creature fiabesche”. Come ogni spettacolo di Pippo Delbono, Urlo è infatti un viaggio che va dritto al centro delle emozioni, un’opera rituale dove collidono la danza, il canto, la musica, la pittura, le parole. Una miscela esplosiva che squarcia l’inesprimibile.
PIPPO DELBONO _ Autore e interprete di un teatro poetico sempre molto vicino alla vita, fatto di vissuti individuali, di vicende e memorie che da sole riempiono la scena, Pippo Delbono lavora in questi anni con una compagnia dal vissuto molto differente. Anche in Urlo ritroveremo i compagni di strada “non attori” Nelson, Gianluca, Gustavo, il piccolo Bobò, ma anche danzatori come Pepe Robledo e attori professionisti – sul palco assieme ai musicisti di una banda di paese e allo stesso Delbono che con la sua voce e la sua presenza maieutica ed energica orchestra le azioni di questo popolo multiforme e libero. La sua voce appesa all’immancabile microfono si congiunge alle parole sul potere di Oscar Wilde, Allen Ginsberg, mentre come un leit motiv echeggia la frase talismano del Che: “una grande rivoluzione non può che nascere da un grande sentimento d’amore”…
Urlo è un grido. Quello del neonato, ma anche lo strazio del torturato, la furia dell’arrabbiato che chiede la fine del tempo iniquo, proclama l’urgenza di un mondo più umano (...) Ma grido anche il bisogno del bambino, grido la voglia di libertà. Perché il potere è anche quello che ognuno di noi ha di cambiare il proprio destino. Pippo Delbono
lunedì 2 aprile 2007
Annamaria Ferramosca. La poetica del Destino
D. 2 - Le tre sezioni del libro costruiscono una singolare geografia del Destino. Ma in fondo a mio avviso è il Silenzio a farla da padrone nel tuo libro. Sei abituata a costruirlo il Silenzio, ad addomesticarlo, o è per te una lotta impari?
D. 3 - Quale direzione sta prendendo oggi, secondo te, in Italia la Poesia. Si vende poco, se ne parla sui giornali sempre meno, eppure resiste. Ma basta?
R. 1 - In poesia la parte “cosciente”di chi scrive passa quasi sempre in seconda linea , nel senso che non vi è quasi mai, almeno per me, intenzionalità nella scrittura. Così solo dopo, dopo aver scritto un cospicuo numero di testi, scopro che il pensiero si era mosso su un territorio contiguo, quasi oscillando su temi che via via appaiono avere vicinanza e necessità . E accade quando, a raccolta ultimata, mi metto carponi sul pavimento cosparso dei fogli per trovare il filo che mi suggerirà l’ordine e il raggruppamento dei testi in sezioni, si illumina tutto il percorso.(E’ il metodo suggeritomi dalla scrittrice Tess Gallagher, e funziona sempre!) Questo libro ha così rivelato che il tempo della mia scrittura era, e forse ancora continua ad essere, il tempo dell’incontro planetario, da ricercare ad ogni livello. Se vuoi, in quello che tu chiami nuovo Tempo Poetico puoi vedere la presenza, oggi imprescindibile, dello scambio multietnico, che sento apportatore di grande ricchezza, e della necessità di ripensare un nuovo modo per sopravvivere insieme. Ascoltando anche il richiamo del passato, i suoni benevoli provenienti da quella dimensione arcaica in cui eravamo uniti, sia pure in tribù, ma solidali e proiettati a costruire insieme, mai come individuo. Certamente in questa scrittura vi è anche una parte della mia consapevolezza, delle mie convinzioni, che in poesia si trasfigurano. La poesia cerca di essere mitopoietica, inconsapevolmente.
R. 2 - Mi piace che tu abbia parlato di silenzio, del silenzio che hai sentito risuonare tra le pagine di questo libro. Silenzio che paradossalmente nella lettura orale dei testi passa con più evidenza. In quest’epoca invasa dal frastuono massmediatico abbiamo un bisogno spasmodico di silenzio, dobbiamo coltivarlo; non si tratta dell’assenza di suoni, il silenzio di cui parliamo non è vuoto, ma densissimo delle eco dalla nostra storia quotidiana, dai piccoli eventi che lasciamo allontanarsi senza fermarci a sentirne le vibrazioni, sia felici sia dolenti. Abbiamo bisogno di silenzio-pausa di elaborazione, anche di contemplazione- senza scomodare lo zen- per assaporare il senso della vita che sfugge. Personalmente mi concedo molte pause di ascolto, soprattutto notturne. E’ una mia dimensione necessaria, dove inoltrarsi apre a volte sorprendenti visioni . Non è una lotta, è lasciarsi andare, semplicemente, a connessioni spontanee.
R. 3 - Contrariamente a quanto si pensa, la poesia oggi sta esplodendo, e non solo in Italia. Si scrive moltissimo dovunque, con notevole freschezza in America Latina, dovunque si esplora con felicità questa modalità libera di scrittura, indipendentemente dal desiderio di notorietà, almeno per molti, soprattutto giovani, malgrado la scuola (sono autodidatti i giovani, a questo proposito, e ti assicuro che molti scrivono cose memorabili, di enorme incisività). Scrivono in tantissimi, me lo confidano in molti, nel mio condominio sono già in tre, nello studio medico che frequento per lavoro anche il direttore medico scrive aforismi, in rete vi è un pullulare smisurato di aspiranti poeti, come si fa a dire che la poesia muore? E questo accade non solo per il maggiore livello di alfabetizzazione, ma perché va sempre più consolidandosi la convinzione che frequentare poesia - chi legge poesia dopo un po’ inevitabilmente finisce per scrivere - è percorrere il solo territorio dove l’invasione omologante, il sistema economicista/consumista/tecnologico non può arrivare, dove la ricerca della bellezza rimarrà sempre il mezzo per salvare dalla barbarie. I reading poetici, come quello che si sta tenendo a Roma al Teatro Argentina sono super affollati, si legge poesia sempre più, nei festival, nei bar etc., anche se si vende poco, è vero. Forse perché il libro di poesia costa troppo. E si pubblica anche molto ciarpame. E non si invitano i poeti a leggere nelle scuole, dove la conoscenza della poesia è ancora legata a moduli stantii, dove non si parla mai di poesia contemporanea e straniera.
Perché allora non invitare tutte le case editrici a pubblicare magari insieme, magari solo un solo libro l’anno, in formato piccolo, con molte voci, a costo minimo? Un’iniziativa-fiore all’occhiello da pubblicizzare in rete a costo zero, da inviare gratis alle scuole. Magari – è il mio sogno – selezionando testi in anonimo, quindi senza nessuna autoreferenzialità e spinte personalistiche-editoriali che alla lunga non reggono. Sarebbe il modo perché si affermi solo la poesia valida, quella veramente capace di lasciare traccia e che vien voglia di imparare a memoria…
Come succedeva per i poemi multipli omerici: è rimasto il canto, non si sa nulla – e menomale – degli autori. Vale la pena lanciare l’idea, copiatela pure, dappertutto!
ANNAMARIA FERRAMOSCA , di origine salentina, vive dal 1970 a Roma. Suoi testi e interventi critici sono apparsi su varie riviste letterarie e siti web come La Mosca di Milano, Hebenon, Eupolis, Hebenon, La Clessidra, vicoacitillo.it, literary.it, poiein.it.
Ha pubblicato in poesia: IL VERSANTE VERO, Fermenti, Roma, 1999, Premio Opera Prima A.Contini Bonacossi ; PORTE DI TERRA DORMO, plaquette, Dialogolibri, 2001; PORTE /DOORS, pref.ne di Paolo Ruffilli, Edizioni del Leone, 2002 con traduzione inglese, Premio Internazionale Forum 2002 ; PASO DOBLE, Empiria, 2006, coautrice Anamaría Crowe Serrano, raccolta di “dual poems”, in strofe alterne in italiano e inglese, traduzione di Riccardo Duranti; CURVE DI LIVELLO, Marsilio, 2006, finalista al Premio Pascoli, Premio Città di Castrovillari- Pollino, Premio Violetta di Soragna, Premio Astrolabio 2007. Interventi critici sulla sua scrittura sono apparsi in rete e su varie riviste e antologie tra cui: Poesia, Poiesis, Translation Ireland, Gradiva, vicoacitillo.it, sinestesie.it , geraldengland.uk ; La parola convocata,1998; L’altro Novecento,1999; Donna e Poesia, 2000; Poiesis, 2001 e 2003; Hebenon, La mosca di Milano, Leggere Donna, Poeti italiani verso il nuovomillennio, 2002, Folia sine nomine secunda, 2005.
sabato 31 marzo 2007
Breve intervista a Massimiliano Parente
d- Il tuo lavoro
r- La letteratura non ha bisogno di niente, se non di opere d’arte, che per loro natura sono imprevedibili, nel senso che non si collocano nell’orizzonte di attesa del pubblico e ne creano di nuovi, forzando i cliché e spalancando nuove visioni sul mondo, sulla lingua, sulla letteratura stessa. Nella letteratura italiana contemporanea vedo un panorama molto asfittico, e un gioco al ribasso sia nella critica, ormai privata degli strumenti critici e dell’intelligenza o in mano a pubblicitari, sia nella complicità degli scrittori al conformismo editoriale che spesso, appunto, più che scrittori, sono narratori autoriali o giornalisti mancati o sceneggiatori mancati. Non ho, comunque, e non voglio avere, una ricetta, perché la ricetta in arte non c’è. Molti si affannano a dire cosa deve essere la letteratura, coniano etichette come fiction, faction, fictual, tendono a eliminare le gerarchie estetiche propononendo un’idea parificante e morturaria di letteratura, ma la letteratura è più forte di tutto questo. Ma è sempre stato così. C’è chi vuole durare dieci mesi, e chi almeno dieci secoli. Vita standard di un venditore provvisorio di Collant, o La Delfina Bizantina di Aldo Busi, Horcynus Horca di Stefano D’Arrigo, o Gli Esordi o Canti del Caos di Antonio Moresco, o La Macinatrice del sottoscritto, sono capolavori che devono ancora essere metabolizzati ma forse è normale che sia così, se pensi che ancora uno come De Roberto, del quale i Viceré sono un romanzo molto più importante de I Promessi Sposi, aspetta ancora di trovare la sua giusta collocazione nella storia della letteratura italiana.
d - Il ruolo della critica letteraria, soprattutto sulle principali testate nazionali, sembra aver dimenticato di essere innanzitutto responsabile di muovere copie sul mercato che vanno nelle mani degli acquirenti, spesso ignari di essere stati vittime di veri e propri raggiri. Forse la critica è morta e siamo passati alle sveltine analitiche da giornalismo culturale, anche se di buon livelllo, ma pur sempre poca cosa. Cosa ne pensi in merito?
d-Puoi dare qualche anticipazione sul tuo prossimo lavoro?
venerdì 30 marzo 2007
L’Aprile
Rassegna di libri e di autori a cura di Mauro Marino
Dopo i semi di marzo, l’aprile.
Aprile, un mese che amiamo, di resistenze e di passioni che dedichiamo alle cose della terra e della natura con un omaggio in apertura a San Francesco con suoni di versi ispirati al suo cantico dei cantici, giovedì 5 aprile con l’attore Marco Grazioso e il pianista Gianluigi Antonaci.
Il 13, dalle h.20.30, al Fondo Verri è la volta del crudo salentino con Omar di Monopoli che presenta il suo nuovo romanzo “Uomini e cani” (Isbn edizioni) e il 15, dalle ore 20.00 al Fondo Verri, Giuliano Capani il 20 con il suo film sul tarantismo “Un ritmo per l’anima”.
Mercoledì 18, dalle h.20.00, al Fondo Verri è di scena la poesia con “Utero di luna” (poet/bar –Besa) di Marthia Carrozzo che sarà presentato dalla voce dei radiodervish Nabil Salameh.
Venerdì 20, dalle h. 19.00, andiamo in trasferta per il progetto di promozione della lettura che curiamo per il Comune di Trepuzzi e nell’ Aula Consiliare presentiamo “Il sole e il sale” (Icaro)
con Rocco Aprile, autore del romanzo griko-salentino, Luigino Sergio e Raffaella Aprile.
Mercoledì 25, dalle h.20.00, al Fondo Verri, udite, udite: Mauro Marino e Piero Rapanà presentano: “Nuvole”, per una educazione sentimentale al mondo. Lo spettacolo che ha inaugurato il sodalizio artistico da cui nasce il Fondo Verri.
Sabato 28, dalle h. 18.30, ai Cantieri Teatrali Koreja, nel foyer del teatro incontro con la poesia di Vittorino Curci.
- Giovedì 5 aprile, h.20.30, Fondo Verri
Marco Graziuso e Gianluigi Antonaci
Cum tucte le tue creature
Suoni di versi ispirati al cantico di San Francesco
- Venerdì 13 aprile, h.20.00, Fondo Verri
Omar Di Monopoli
Presenta il suo romanzo: Uomini e cani
Una furibonda cavalcata nel cuore nero del Salento.
ISBN edizioni (Il Saggiatore)
- Domenica 15 aprile, h.20.00, Fondo Verri
Un ritmo per l'anima
un film sul tarantismo di Giuliano Capani
- Mercoledì 18 aprile, h.20.00, Fondo Verri
presentazione di Utero di Luna (poet/bar –Besa)
di Marthia Carrozzo interviene Nabil Salameh
- Venerdì 20 aprile, h. 19.00, Aula Consiliare del Comune di Trepuzzi
progetto di promozione della lettura
incontro con Rocco Aprile
- Mercoledì 25 aprile, h.20.00, Fondo Verri
Mauro Marino e Piero Rapanà
presentano: Nuvole, per una educazione sentimentale al mondo.
- Sabato 28 aprile, h. 18.30, Cantieri Teatrali Koreja
Incontro con la poesia di Vittorino Curci
giovedì 29 marzo 2007
Rossano Astremo: per una nuova vertigine del senso
Notizia di qualche giorno fa: la rivista americana “Life” chiude i battenti, per risorgere in versione on-line. Tra qualche anno anche il quotidiano“New York Times” smetterà di stampare la versione cartacea. Questo significa che l’informazione ha oggi nella Rete un suo centro propulsore innegabile. E ciò riguarda anche l’informazione che concerne le vicende editoriali e culturali. Ad esempio, molti dei libri che leggo li scopre grazie a segnalazioni su siti, riviste on-line, lit-blog e quant’altro. Da questo punto di vista credo che le potenzialità di Internet siano grandiose. O, ancora, un altro aspetto grandioso è il fatto che molti scrittori abbiano trovato nella Rete un modo per eludere le classiche logiche editoriali. Non più montagne di manoscritti spediti a dozzine di editori, ma post che poi diventono libri. Lo scouting oggi si fa in Rete. Vedi Pulsatilla, ma anche la Cutolo che esce a giorni con “Pornoromantica”, edito da Fazi. E, perché no, Roberto Saviano ha cominciato a pubblicare i suoi reportage su Nazione Indiana. Io non vedo ostacoli. Mi chiedi cosa fare per migliorare l’azione culturale on-line? Uscire dalla Rete, forse.
Un modello esemplare di quello che può essere un modello culturale da seguire è AbsolutePoetry, che oltre ad essere un blog interamente dedicato alla poesia è anche un Festival di grande spessore, che ogni anno cresce e s’arricchisce di contenuti.
Cosa è cambiato nella tua ricerca da quando hai associato al tuo blog Vertigine, anche il cartaceo, trasformandolo in un periodico?
La rivista Vertigine nasce perché “la carta non è tutto ma aiuta”. Io credo ancora nella lentezza della lettura, nel piacere erotico del libro, del peso della carta che impasta le dita. Quindi penso che la Rete abbia un’immensa funzione informativa, ma la creatività, a mio parere, ha ancora bisogno della carta. L’esperienza di Vibrisselibri, di cui faccio parte, è significativa in questo senso. Potete scaricare i libri, ma il nostro obiettivo è quello di allettare gli “editori cartacei”.
So che stai lavorando molto sul piano poetico. Potresti parlare della tua ultima raccolta?
La mia nuova raccolta si chiama “L’incanto delle macerie”, pubblicato dall’editore Icaro di Lecce. Raccoglie una settantina di testi composti negli ultimi tre anni e nonostante l’apparente forma frammentaria può considerarsi, a tutti gli effetti, un poema. Il libro racconta una storia d’amore tra un uomo e una donna, consumata all’interno di uno spazio domestico claustrofobico, dove uno schermo sprigiona immagini di dolore (le continue immagini di guerre che siamo abituati a vedere senza sconvolgerci minimamente). L’idea era quella di creare una sorta di immensa struttura simbolica: l’amore trionfa sopra ogni cosa. So che può sembrare una definizione mocciana. Ma vi assicuro che di Moccia c’è ben poco…
Nato nel 1979, è di Grottaglie (Ta). È giornalista pubblicista. Scrive per “Il Nuovo Quotidiano di Puglia”. È il curatore del periodico di scrittura e critica letteraria “Vertigine” (blog: vertigine.wordpress.com). Collabora con l’Università degli Studi di Lecce al progetto “Il lettore di libri nella regione Puglia". Ha pubblicato “Corpo poetico irrisolto”, edito dalla Besa nel 2003 e “Jack Keroauc. Il violentatore della prosa” (Icaro Editore, 2006). Fresco di stampa la raccolta di versi “L’incanto delle macerie” (Icaro Editore, 2007). Suoi testi critici e creativi sono sparsi su riviste cartacee, webzine e antologie.
mercoledì 28 marzo 2007
Capitan America's Theme
Tutti coloro che vogliono opporvisi devono arrendersi
Se viene costretto a battersi e inizia il duello
Allorail bianco, il rosso e il blu trionferanno
(da Ultimates 27)
martedì 27 marzo 2007
Muore Capitan America
Orso contro squalo
Dato un terreno di scontro relativamente equilibrato - per es. uno specchio d'acqua abbastanza profondo perchè uno Squalo possa muoversi con perizia, ma anche abbastanza basso perchè un Orso possa starvi in piedi e agire con la destrezza che gli è propria - chi vincerebbe in un combattimento fra un Orso e uno Squalo?Di cosa stiamo parlando? Perchè a questo punto non cambiare i soggetti dello scontro in questo periodo, con altri animali come un opossum, uno scoiattolo, una volpe, un lupo, un gorilla e chi più ne ha più ne metta. Di cosa stiamo parlando? Di un indovinello da quiz show televisivo, di un mantra zen, di un videogame per PlayStation 2, X-Box, o Nintendo Ds? Perchè poi proprio un Orso contro uno Squalo! Ci stiamo occupando in realtà dell'ultimo lavoro di Chris Bachelder, Orso contro Squalo, edito per i tipi della Minimum Fax di Roma. Il romanzo ambientato in un'America del futuro (?!) racconta le vicissitudini della famiglia Norman, il capofamiglia, due figli maschi, e una splendida moglie ossessionata dalla postura perfetta da tenere in ogni occasione, che ha vinto dei biglietti gratis per lo scontro del secolo tra Orso contro Squalo che si terrà nello Stato di Las Vegas. Una battaglia all'ultimo sangue che vedrà in campo due forze della natura, con le loro genetiche potenzialità distruttive, nate però dall'artificiale competenza, in materia di intrattenimento interattivo, di una grossa corporation di software la HardCorp. Cris, ha regalato alla sua famiglia, grazie al suo tema vincitore sul significato che ha per l'America il match Orso contro Squalo, la possibilità di godersi uno spettacolo avveneristico, con soggiorno e pasti pagati al nucleo familiare in questione, dalla società che ha sponsorizzato il concorso. Il singor Norman é uno che lavora per un 'equipe che progetta elettrodomestici finti per prototipi di appartamenti e villete a schera. Ha un discreto stipendio, una moglie adorabile, forse dei figli un pò problematici (chi non li ha oggi!), ma tutto sembra perfettamente renderlo un innoquo cittadino della middleclass americana, uno da manuale per intenderci. Eppure qualcosa che non quadra c'è, si impossessa in maniera subdola di piccoli frame di pensiero del signor Norman, quando cerca di pensare ai tanti perchè e le tante risposte che non hanno trovato modo di soddisfarlo nella sua esistenza, magari facendogli fare le scelte meno adatte, gettandolo nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Questioni assolutamente fondamentali, per chiunque cerchi ogni tanto di fare dei bilanci approssimativi di ciò cha ha costruito o meno nella propria vita! Chris Bachelder lascia vivere i sui lettori letteralmente attaccatti alle pagine, non tanto per dei colpi di scena veri e propri, del tipo che il viaggio dei Norman a Las Vegas viene ripreso 24 ore su ventiquattro proprio come in un reality show che si rispetti, quanto per le implicazioni del messaggio che l'autore lancia lungo l'intera struttura del romanzo. Un'indagine soiologica e antropologica sul valore dell'informazione nella società del domani. Un mondo dominato da una mole così grande d'informazioni che risulta impossibile gestire i flussi input/output di senso per qualsiasi cittadino di questa gigantesca matrice! Canali televisivi che danno approfondimenti in pochissimi minuti, oppure si sintonizzano quasi mesmericamente sui gusti del telespettatore. La pubblicità non vende più prodotti ad un virtuale acquirente, non vuole soltanto assopire le coscienze e dirigerle verso questo e quell'altro marchio, non tenta di essere semplicemente lusinghera nei confronti della massa acefala delle carte di credito e del denaro contante, vuole trasformare la collettività in automi che non riescono a formulare una frase di senso compiuto, non gestiscono saperi, oppure li coordinano male, creano miti attraverso lo stravolgimento dell'intera struttura delle informazioni storiche, culturali, disintegrandole completamente. La pubblicità trasforma la propaganda commerciale in un contenitore senza fondo in cui é bene lasciarsi precipitare, perchè l'altra faccia della medaglia sarebbe il tentativo di acquisire lucidità, e la conseguenza più immediata la follia fulminante! I media, i new-media, e i post-media, poi incrementano questo processo, producendo una coscienza artificiale fatta di grettezza e imbecillità, spacciandola per approfondimenti, cultura, intrattenimento, generando zombi che spacciano la metabolizzazione di questo nulla come argomenti di cui parlare in famiglia, magari, seguendo Paranormal Channel o giocando a qualche new game con i JoyPads dell'ultima generazione. Un esempio: "In Spartacus si vedono dei tizi con l'orologio digitale al polso, ma mica c'erano gli orologi digitali all'epoca degli antichi romani". Un mondo descritto da Chris Bachelder dove grazie a internet, chiunque abbia una sua opinione può esprimerla e farsi sentire. Il più povero mangiascoiattoli sperduto in mezzo ai campi, posto che abbia un provider decente, può costruirsi una pagina internet proprio accanto a quella di un figlio di papà dei quartieri alti. La tecnologia e lo spettacolo hanno livellato le differenze di classe e creato una forma pura di democrazia. L'autore però sembra strizzarci l'occhietto, a non credere a questa demenza nata dai sogni di un sistema dell'informazione che crea apparentemente democrazie mediatiche gestite in realtà tirannicamente dai centri finanziari del potere economico. Anzi ci dice di prendere questo libro come antidoto per l'uomo di oggi, a non costruire o rendere ancora più potenti nel futuro gli stessi mostri mediatici che così splendidamente egli descrive in queste pagine, con uno stile assolutamente poderoso. Un libro che se fosse letto da Noam Chomsky, verrebbe da lui consigliato per le stesse ragioni e senza se e senza ma!
(da www.musicaos.it)
mercoledì 21 marzo 2007
A presto!
martedì 20 marzo 2007
Fucked Up
Al di là delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto dal 2005 Christopher Wilson , residente a Eagle Lake in Florida, e “signore assoluto” del sito www.nowthatsfuckedup.com che ha costretto addirittura la Cia a scendere in campo non tanto per le immagini (video e altro) di porno amatoriale ivi contenute (pretesto superficiale per la chiusura del sito) quanto per alcune foto terribili provenienti dai campi di guerra in Iraq e Afghanistan mandate dalle stesse truppe americane (301 capi d’accusa e una cauzione di 151.000 dollari per il povero Chris), e al di là delle battaglie legali portate avanti dal suo avvocato Lawrence Walters (specializzato nella difesa di pornoshop e librerie per adulti), il libro Fucked Up a cura di Gianluigi Ricuperati edito per i tipi di Bur nella collana FuturoPassato, è un libro che non solo va letto con la massima cautela, ma si presta ad una valutazione interessante, che va oltre il mero aspetto cronachistico e che incontra i gusti più svariati di potenziali acquirenti. Un libro che ha l’intento, come sostiene a pag. 23, Maurizio Donati editor della saggistica Bur “di ricavare da questa trovata paradossale di un giovanotto americano l’occasione conoscitiva che è in grado di offrire. Una rappresentazione della guerra, certamente feroce, certamente unilaterale, ma, per una volta, dalla prospettiva di chi la guerra la sta combattendo”. Fucked up, se ci si lascia intrappolare dalla sequenza d’immagini, soprattutto nelle sezioni Due e Tre, risulterebbe un volume inguardabile, e sconsigliabile per l’acquisto, in quanto alcuni di quei contenuti iconografici vanno oltre la semplice rivelazione della brutalità della guerra, delle guerre. A questo si aggiunge uno scandaglio psico-foto-iconico acutissimo dell’imbestiamento incarnatosi nei componenti degli eserciti all’interno degli accampamenti, dove si assiste ad un ricco ventaglio di degradazioni dell’essere che vanno dagli omicidi con mutilazione, al sesso di gruppo tra commilitoni, alla logica dell’umiliazione e della sopraffazione stupida e cieca., al compiacimento animalesco per deliziosi ritratti di pezzi di corpi umani smembrati, accanto a soldatesse con tette al vento (l’accoppiata tra le donne nude e le armi è un vero e proprio top of the tops, e di fatto alle fiere dell’industria militare sembra che esistano soltanto come standard pubblicitario, modelle in bikini che mostrano ai maschi, magari, come funziona una Desert eagle ndc- ) oppure pisciate di gruppo post-sbronza. Non di rado accanto a foto come quelle sopracitate, si possono leggere nel sito post del tipo “Cazzo non l’avevo mai vista da questa prospettiva. Questi stronzi che si fanno esplodere non sono altro che degli arrapati. Mandiamogli settantaduemila delle nostre fighette e vedrai che ci andranno giù pesante con loro invece di finire in quel modo. Ehi, grandi capi, laggiù, al Pentagono, mi sentite? Settantaduemila fighette e la pace arriverà di sicuro”(post anonimo, pag.119). Se dovessimo invece non accontentarci della semplice carrellata di orrori, potremmo vedere ben altro, ovvero la deriva esistenziale di una società come quella americana che non gode certo di buona salute. Di certo Fucked Up non è un saggio che tra le righe, opera una vera e propria critica al sistema della politica interna ed estera americana, affetto magari da una vera e propria sindrome di Magneto, signore del magnetismo (vedi X-Men - ndc), nel voler imporre la vittoria dell’homo superior (americani) sul resto del mondo (homo sapiens sapiens), né può essere un’esposizione delle paranoie del governo americano complottistiche interplanetarie e non solo ( il caso Roswell, gli X-Files, i Men in Black, le torture ad Abu Ghraib), e figuriamoci poi se può considerarsi un libro, dove vengono analizzati, dissezionati e smascherati misfatti e menzogne con cui i centri di potere finanziari e le multinazionali americane cercano di paralizzare le istituzioni democratiche per assumerne il controllo (come è successo ad esempio nell’America Latina). Fucked Up mette in campo esplicitamente una volontà di rendere qualcosa di morboso sia in una poetica sub-umana dove il corpo è assolutamente genitalizzato, proprio perché svuotato del suo essere corpo come sistema plurimo di comunicazione e condivisione con e per l’Altro , sia in una impudicizia infinita, orientata al by-passamento di qualsivoglia codice normativo sociale, morale, fondata sull’assoluta mancanza di senso di colpa, dove l’intimità della sofferenza, dell’isolamento, della lontananza dalla propria terra in luoghi dove vige la legge del portare il culo a casa, non c’è più. Quasi fosse un reality show, come lo è stata, guardando con maggiore obiettività, la missione Desert Storm nel 1991, la prima guerra mediatica come aveva giustamente rilevato qualche tempo fa Stefano Cristante, nel suo saggio Azzardo e Conflitto edito per i tipi di Manni. Ed è proprio vero quello che sostiene Marco Belpoliti nella bellissima post-fazione al volume ( che tra l’altro risulta essere un vero e proprio saggio di alta teoresi estetica del repertorio fotografico contenuto nel volume) a pag. 146: “ Fatte le dovute proporzioni, gli anonimi fotografi della seconda guerra irachena sono i nipotini di Eichmann, appartengono a quella banalità del male che Hannah Arendt aveva individuato nel criminale nazista, l’uomo della porta accanto, il vicino di casa consisteva nel gesto meccanico e nel tono burocratico delle risposte davanti ai giudici di Gerusalemme che lo interrogavano”. Ma cosa significa, alla fine fucked up … fa parte del gergo, dello slang americano per indicare qualcosa di strano, inusuale, pazzesco … per farvi un esempio … i film di Rob Zombie sono fucked up, le immagini del sito Rotten sono fucked up, i film hard-core dove delle attrici porno si accoppiano con gli animali sono fucked up … questo libro è fucked up!
(da www.musicaos.it)
Fucked Up, a cura di Gianluigi Ricuperati, Bur, collana FuturoPassato, pp.156
lunedì 19 marzo 2007
La società dello spettacolo
23-24-25 marzo 2007, doppio spettacolo ore 19.30 e ore 22.00
Baldasseria (Udine), Spazio Teatro Capannone, via Baldasseria Bassa 371
LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO
da Guy Debord
un progetto di Michelangelo Bellani, C.L. Grugher, Marianna Masciolini, Silvia Panico
regia C.L. Grugher
con Marianna Masciolini, Michelangelo Bellani, Anna Laura Vinti, Giovanna Vedovati, Marco Rufinelli
l’uomo della voce: Tonino De Bernardi / l’uomo della videocamera: Matteo Duranti / l’uomo della tecnia: Francesco Servettini
una produzione M.M. macchinamodulare officine teatrali
spettacolo per 50 spettatori a replica
Biglietti: intero 12 euro, ridotto 9 euro, studenti 6 euro. Ulteriori agevolazioni con ContattoCard: intero 9 euro, ridotto 7 euro, studenti 5 euro!
MACCHINA MODULARE _ Seguendo i passaggi più illuminanti dell’opera di Guy Debord, padre del situazionismo e primo teorizzatore della società mediatica, Macchinamodulare ci fa entrare in un evento che scommette sulla fuga del tempo, abbatte la relazione mediatica di spettatore-spettacolo e coinvolge in un percorso di “partecipazione immediata ad un’abbondanza di passioni della vita”.
LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO è un luogo da attraversare come esperienza, fra schermi, voci off, musica e performance. Attraversato un primo grande schermo semicircolare il pubblico si ritrova all’interno di un parallelepipedo tutto nero in cui sono state ricavate sei stanze. Indossate le cuffie in dotazione, si ascolta, si assiste ad azioni, performance, si catturano immagini proiettate su grandi schermi che riflettono quanto accade in tutte le altre stanze.
GUY DEBORD _ Nel 1967 Guy Debord pubblica La società dello spettacolo, libro cult del Maggio francese. Per la prima volta circola una definizione di spettacolo come irrealismo prodotto da una pratica sociale. Vent’anni dopo il suo autore sarà fra i primi a parlare, nei libri e nei suoi film, di “spettacolare integrato”, dimensione che vede un’intera generazione “allevata” e dunque perfettamente “integrata” dal dominio dello spettacolo, una “massa” assogettata agli idoli spazzatura creati ad uso e consumo dell’ideologia della merce.
BIGLIETTERIA DI TEATRO CONTATTO Udine, Teatro S. Giorgio via Quintino Sella - borgo Grazzano tel. 0432 511861 - 510510 fax 0432 504448 biglietteria@cssudine.it www.cssudine.it
Per una soluzione di continuità sul Nulla
provateci se vi riesce
a rastrellare i rantoli
del mio respiro che trascina
ruggine rovinosa
tra le rupi desolate dei ricordi.
Non ho più nulla
CREDETEMI
neanche gli occhi mi appartengono più
nemmeno le mani rispondono
o le ginocchia
ormai solo pronte a
GENUFLETTERSI
e chiedere per sempre perdono
come piccola nota al margine
di tutti i margini e di ogni scommessa
che ho perso
domenica 18 marzo 2007
Salvatore Toma: una poesia selvaggia e pura
Salvatore Toma nasce a Maglie, nel Salento, l'undici maggio del 1951. Prende il diploma di maturità classica, ma rinuncia ad intraprendere carriere e a costruirsi una vita cosiddetta borghese, e prosegue la sua esistenza in una vita appartata, tanto più libera e consona al suo carattere quanto più distante dai suoi concittadini e dal mondo moderno, ed è qui che ha la possibilità di dispiegare la sua poetica. Il giovane Toma visse per lo più nell'appezzamento di terra della famiglia, nei dintorni di Maglie, dove allevava cani di razza inglese, e in un querceto, detto "delle Ciàncole", dove trascorreva ore su un certo albero. Il suo vivere stravagante e solitario era un riflesso del suo carattere votato a una naturalità selvaggia e pura. Cominciò precocemente l'uso dell'alcol che lo accompagnò per tutto l'arco della sua breve vita, e che esasperò in lui la sua carica di passionalità e di desolazione. Morì nel marzo 1987, a trentacinque anni.
di Mauro Marino (Fondo Verri - Lecce)
sabato 17 marzo 2007
Giulia Carcasi: miracolo pop?
giovedì 15 marzo 2007
Quando il Diavolo veste Prada
Andy Sachs, ragazza tutta acqua e sapone, di quelle che ti lasciano sui vestiti l’odore di talco, nonchè originaria di una piccola cittadina di provincia, si è trasferita a New York dove ha trovato lavoro come assistente di Miranda Priestly, celebre direttrice della rivista di moda 'Runaway', il colosso editoriale che decide il come, il dove, il quando delle tendenze in fatto di sbrilluccichii e affini made in Sisley, Benetton, Gucci, Versace, Valentino, Chanel. Per intenderci. Una posizione invidiabile, di quelle che ammazzerebbero per ottenerlo, se non fosse che il suo nuovo capo è una donna dispotica che le rende la vita impossibile perseguitandola con telefonate anche nel cuore della notte. L'amabile Andy si ritrova improvvisamente catapultata in un universo a lei sconosciuto, fatto di abiti firmati, feste stracolme di vip e regali super-trendy e, come se non bastasse, incancrenito da Emily, la prima assistente di Miranda, che cerca in ogni modo di farla fuori rendendosi sempre più simile al loro capo. Grazie ai preziosi consigli di Nigel, l'editore della rivista, la vita di Andy sembra migliorare giorno dopo giorno ma i suoi vecchi amici e il suo fidanzato non sembrano della stessa opinione. Quando ho visto questo film ho pensato che potrebbe benissimo essere considerato un lavoro cinematografico tutt’altro che pop … un vero e proprio studio di sociologia aziendale, un corso di sopravvivenza per quanti lavorano nell’editoria, dalla media alla grande, alla s.p.a., dove c’è sempre qualcuno che ti rende la vita impossibile, che smorza le frasi a metà non finendo mai nessun discorso, che ti trasforma in un centometrista … va visto assolutamente … almeno come corso di sopravvivenza !
Cast davvero superbo: Anne Hathaway, Meryl Streep, Adrian Grenier, Simon Baker, Stanley Tucci, Tracie Thoms, Emily Blunt, Eric Seltzer, Rich Sommer, Stephanie Szostak
Gezim Hajdari: la poesia come forza e sublimazione
1.D. Gezim Hajdari, possiede una forza poetica che ha dell’incredibile, sia per ciò che concerne la costruzione del registro e del timbro nei suoi versi, sia per l’aspetto strettamente legato al messaggio poetico. Prendiamo ad esempio la raccolta Stigmate / Vragë, un luogo dove vengono individuate da Cristina Benussi nella prefazione a volume edito da Besa, delle categorie come l’Esilio, l’Addio, l’Identità persa proprie della sua poesia. A nostro avviso c’è molto ancora, e in più profondità, e specificamente un lavoro sull’elaborazione della separazione e del lutto. Sono questi i Suoi punti di riferimento nella scrittura poetica?
R. La mia scrittura poetica non è solo un lavoro sull’elaborazione della separazione e del lutto. Sarebbe molto limitato. Anche se lutto e separazione appartengono al sentimento dell’uomo e, come tali, sono cose profondamente umane. Del resto il lutto non è segno lugubre perché in ogni cosa che amiamo si preannuncia la perdita, lo svanire, la distruzione della stessa. Lutto e separazione sono segni d’amore e significano nostalgia nei confronti delle cose che non permangano, ma ci lasciano, che si separano dolorosamente da noi. Non si può accompagnare un caro defunto al cimitero del mio villaggio, senza che se ne enumerino prima le virtù nei compianti funebri. Forse è questo lo scopo della poesia stessa. La nostra separazione è trascendentale, è iniziata con Adamo ed Eva. Tutto questo rapporto: tra vita e transitorietà delle cose, amore e separazione, si trasforma in forza e sublimazione che solo una vera poesia può trasmettere. Separazione per un poeta migrante non vuol dire semplicemente: incurvarsi sotto la nostalgia per le radici, per i confini, per la lingua. Aiuta l’uomo a diventare più umano, si conosce meglio se stessi e ognuno riesce a comprendere meglio il mondo, stabilizzando un colloquio nuovo con l’Alto e con gli uomini, quindi la separazione - nello stesso tempo - diventa salvezza per il poeta e la sua arte.Separazione, lutto, nostalgia e dolore hanno alimentato la grande poesia di tutti i tempi, sia quella lirica che epica. D’altronde tutta la grande poesia del passato non è stata altro che “separazione” e “lutto”: da Omero a Virgilio, da Dante a Foscolo a Hikmet a Neruda, da Yosuf a Darwish… Un esempio straordinario sono i canti epici albanesi: Giorgio Elez Alìa (Gjergj Elez Alisa) oppure Costantino (Kostandini) e Doruntina (Doruntina). Tutte le grandi religioni sono formate sull’esperienza della separazione e del dolore.Quando torno in Albania sento la nostalgia non solo della mia Darsìa, ma anche quella dell’Italia, dell’Africa, dell’Asia, dell’Oriente, di tutti i luoghi e le persone che ho conosciuto per il mondo. La grande arte non è altro che cognizione della separazione. L’unico tassello che riempie le distanze della mia separazione dai luoghi diventa il mio corpo tremante appeso che suona. E’ proprio questo dolore che manca alla poesia e all’arte di oggi.La geografia dei miei temi poetici è più ampia, va oltre l’Esilio, l’Addio e l’Identità, Parte dai Balcani per attraversare l’Europa, l’America, l’Oriente e l’Asia., ma anche il Paradiso e l’Inferno, il passato e il futuro, se lo avremo.. Quindi abbraccia vari aspetti antropologici, letterari, sociali, politici ed etici, insomma, un percorso che tenta- con il passare del tempo - di diventare una enciclopedia umana.
2.D. Nel suo libro Spine nere / Gjëmba të zinj, elemento riscontrabile a tratti anche in Maldiluna / Dhimbjehene, sembra incentrare il canto del suo corpo poetico, in un dialogo fitto, intenso, portato avanti dal poeta con alcune entità che oserei definire fantasmatiche, provenienti da un passato che ha lasciato tuttora delle cicatrici profonde sulla Sua pelle. Interlocutori che sembrano non darLe tregua. La lotta con il Suo passato sussiste ancora?R. Non sussiste nessuna lotta in me con il passato. A volte sembra che tutto sia stato inutile, un inganno, un’illusione. L’unica cosa che resta della vita sono proprio i ricordi di un passato, di quel passato che non torna più. Ma quel passato abita in me, sono io stesso insieme alle mie cicatrici e alle mie stigmate che hanno segnato per sempre il mio presente, in cui si genera il mio verbo poetico. L’unico gesto possibile è quello di morire per vivere diversamente.
3.D. In Muzungu – Diario in nero, pare ci sia stata invece una vera e propria scelta radicale, attribuibile ad un desiderio di cronaca poetica dall’ “Inferno” del Continente Nero. Un narrare che diviene giornalismo, poesia di lotta civile. Esiste secondo Lei, a tutt’oggi, la necessità di una poesia, di una narrativa d’impegno civile? Potrebbe darci una definizione d’impegno civile nella poesia e in letteratura?
R. In Muzungu: Diario in nero (un libro reportage sull’Uganda) ho cercato di recuperare la tradizione orale del passato. Gli antichi – pur essendo analfabeti – raccontavano storie in una maniera straordinaria. In Occidente questa tradizione si è persa, non si racconta più. Oggi un’opera letteraria si costruisce dentro le stanze dell’industria culturale dagli impiegati. La prosa di oggi è saggistica, psicologia, editing, marketing, denaro.Per quanto riguarda l’impegno della poesia e della letteratura nelle vita quotidiana, è un tema che ha suscitato - e suscita tuttora - una grande discussione tra gli addetti ai lavori. Per me – questa questione - non è mai stata un problema. Sono i poeti e gli scrittori bestseller della grande industria culturale, i balbuzienti che cantano alle piccole fobie quotidiane a mettere in dubbio un tale ruolo fondamentale per la letteratura. Se facciamo riferimento alla storia, notiamo che tutti i capolavori della letteratura sono stati delle opere “impegnate”. Basti pensare all’ Iliade e all’Odissea di Omero, alla Divina commedia di Dante, a Guerra e pace di Tolstoj, all’Uomo che ride e ai Miserabili di Hugo, all’Aarcipelago gulag di Solzenicyn, ai drammi di Brecht, ai romanzi di Pasolini…. I più grandi poemi epici e romantici albanesi e quelli balcanici (nei secoli più spaventosi) sono riusciti a mantenere vivo il sentimento dell’identità nazionale, tramandando di generazione in generazione la lingua, la memoria e i valori orali dei loro popoli.La poesia e la narrativa del passato hanno salvato l’uomo dalle catene della schiavitù, guidandolo verso la libertà, perché hanno cantato ai grandi sentimenti umani, alle sconfitte, alle vittorie, ai dolori e alle speranze, alla bellezza dell’anima umana.Tutto è impegno, anche amare una donna è già un impegno morale e civile.Gandhi sconfisse gli inglesi con la non violenza, con la parola, quindi con la poesia. Abbiamo più che mai bisogno di una letteratura “impegnata”. Se in Occidente esiste un benessere sociale, nel resto del mondo più di un miliardo di persone muoiono per un bicchiere d’acqua oppure per un’aspirina. E’ in bilico il destino del pianeta terra. Ovunque, distruzione, guerre sporche, guerre dimenticate, fame, malattie, sfruttamento dell’uomo, inquinamento, sconvolgimenti genetici, la crisi del pensiero filosofico, scontri di civiltà (inventati in nome degli interessi geo-politici), fenomeni di razzismo e di antisemitismo, mutilazioni, corruzione, traffici loschi, gare di armamenti nucleari, armi di distruzione di massa… un nord sempre più ricco e un sud sempre più povero.Come può stare tranquillo, un poeta chiuso nel suo studio a cantare alle mosche sul vetro della finestra? Essere poeta oggi vuol dire cantare anche a tutto questo lutto e a questo dolore provocato dall’uomo stesso, in nome della brama di denaro e della “volontà di potenza”. Fare il poeta oggi non è un hobby, ma una missione. Vivere il “mestiere” della scrittura profondamente, come il missionario dedica la propria vita totalmente al suo credo e alla sua missione. Il mio impegno di poeta migrante ha mille significati: scrivere sia in albanese che in italiano per far avvicinare le sponde, le culture e i popoli della costa adriatica. Insisto, non attraverso l’integrazione, che è una parola pericolosa che devasta le differenze, distrugge le usanze, le lingue e impoverisce le culture e le società odierne, ma attraverso l’interazione, come scambio e arricchimento reciproco. Dobbiamo cominciare proprio dalle parole che sono fondamentali, perché attraverso la parola si materializza il pensiero e si nasconde il carattere di un popolo. E’ per questo che attraverso la mia opera letteraria insegno a tutti ad essere migranti e stranieri, l’arte del dialogo per una nuova convivenza planetaria, creando una nuova poesia che porta il segno e il timbro del tempo in cui viviamo e resistiamo ogni giorno per esistere.
4.D. Gezim Hajdari, sappiamo che Lei viene costantemente invitato non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, a tenere conferenze, dibattiti su temi riguardanti la Sua poesia, ma anche sulla letteratura e poesia albanese. In che condizioni versa oggi, a parer Suo, lo stato di “salute” della Poesia Italiana?
R. Esiste un fenomeno strano quando si parla della poesia contemporanea italiana. Alcuni studiosi – e giustamente - si lamentano della grave crisi che sta attraversando la poesia oggi, ma quando loro stessi prendono la penna per scrivere, propongono come esempi da seguire per i lettori gli stessi poetucoli!Penso che il male abita all’interno delle case editrici, che se ne fregano della poesia. Non a caso redattori per la poesia, presso le grandi case editrici sono certi impiegati, che non hanno nulla a che fare con la poesia, in alcuni casi sono gli stessi che si occupano sia per la prosa che per la poesia. Ma c’è di peggio, nella maggior parte, quelli che giudicano i manoscritti poetici sono dei ragazzotti che si spacciano per poeti. Da qui nasce la penalizzazione, il ricatto, lo scambio di favori, la manipolazione dei premi letterari. Spesso i redattori-poeti, che lavorano presso i grandi editori, scambiano favori con i membri o i presidenti delle giurie in cambio di un premio letterario. E’ un cerchio vizioso e squallido. E’ per questo che non si legge più poesia oggi, è per questo che si allontanano gli appassionati dalla poesia, è per questo che i grandi editori spesso non pubblicano la vera poesia italiana che abita fuori dai salotti ufficiali, ma riempiono gli scaffali delle librerie con una poesia patologica, malata, depressa, sterile che non dice nulla, che è solo un gioco di parole assurde e fa venire il mal di testa.La mafia italiana non esiste solo nella finanza, nell’imprenditoria, nel calcio, nella politica, ma anche nella cultura italiana, anzi, direi che è la mafia più pericolosa e più dannosa. Essa distrugge giorno per giorno la poesia italiana e non solo. La cultura italiana si trova da tempo nelle mani della mafia. Spesso concorsi di vari tipi e premi letterari si trovano nelle mani di alcune signore o di signori che li gestiscono come se fossero proprietà privata. Con i soldi pubblici – stanziati per promuovere la letteratura - questi signori hanno fatto fortuna, acquistando case, appartamenti, investendo nelle banche, ricevendo in cambio gloria e fama, mandando avanti la mediocrità. Tutto questo con la benedizione del potere politico. Non c’è nulla da fare, chi osa denunciare per cambiare le cose, viene schiacciato, boicottato, condannato al silenzio. Sono gli stessi che fecero impazzire impietosamente Dino Campana.Ormai è cambiata anche la figura classica e tradizionale del poeta e dello scrittore. Oggi s’improvvisano poeti: gli avvocati, i giudici, i notai, i presidenti dei tribunali, i giornalisti della Rai, i comici, i giornalisti dei quotidiani, i segretari della presidenza dei comuni, i commercialisti, gli onorevoli, i senatori, per non parlare dei membri della Pd 2… Il terreno dove l’industria culturale stimola e pesca la letteratura di oggi si estende tra i mafiosi, i pentiti, gli indagati, i scomparsi, i latitanti, i malati depressi, i criminali, gli stressati, gli scomunicati, i drogati… Intanto i “letterati” giudici, psicologi, psichiatri, criminologi.… stanno facendo affari d’oro sulle disgrazie degli altri.
5.D. Progetti per il futuro?R. Tornare sulla mia collina, in Darsìa, nel mio paese natale per dedicarmi all’agricoltura. Ogni domenica, con il mio asinello, scendere al mercato della città di Lushnje per vendere i prodotti del mio terreno quali olive, fichi, melagrane, meloni, angurie, formaggio, come ai tempi della mia infanzia, quando facevo il pastore di capre. Mentre la sera colloquiare con i miei contadini all’aperto sulle faccende quotidiane del villaggio.
SCUOLA POPOLARE DI TEATRO A UDINE
SCUOLA POPOLARE DI TEATRO - UDINE
mercoledì 14 marzo 2007
Claudia Ruggeri: ancora una volta!
Un’ultima precisazione prima di andare oltre. Pietro Berra, nell’articolo citato, riporta un’espressione apparsa sull’editoriale di S/Pulp, circa il modo di recitare della Ruggeri: "da bambina in un bordello". Un’espressione che i redattori della rivista underground hanno mutuato da Isabella Santacroce, come la più efficace per descrivere certe sfumature vocali della poetessa salentina. Questi contributi e queste iniziative editoriali marcano a fuoco l’esigenza di approfondire il caso Ruggeri (perché di caso si tratta, finchè qualcuno non si accingerà a una sistemazione organica e critica della poetica dell’autrice), e aggiungono altro materiale, accanto a quanti precedentemente hanno parlato e scritto di lei: Walter Wergallo, Arrigo Colombo, Carlo Alberto Augieri, Michelangelo Zizzi, Donato Valli, Rossano Astremo, Luciano Pagano, Giuliana Coppola, Antonio Errico, Sergio Rotino, Franco Fortini, Mario Desiati. Nelle coordinate di lettura rese della parola e della musica della Ruggeri c’è una certa omogeneità, come pure il riferimento a modelli… Dante Alighieri, Gabriele D’Annunzio, Umberto Saba, Andrea Zanzotto, per arrivare al teatro di Carmelo Bene. E moltissimi altri nomi si potrebbero fare, in un unico flumen citazionistico… Jacopone da Todi, Guido Cavalcanti, eccetera. In realtà occorrerebbe partire da alcuni spunti di riflessione più utili, rispetto all’individuazione di "modelli", che hanno fatto il brutto e cattivo tempo nell’elaborazione di un discorso critico sulla Ruggeri. Se parliamo di "modelli", parliamo di una sclerotizzazione della "poesia" stessa, di una sua museificazione che esclude a priori possibilità di creazione ad altre latitudini. E comunque… Il linguaggio a partire dagli albori della letteratura ha riprodotto e riproduce se stesso. Non c’è bisogno di scomodare Wittgenstein e Chomsky. In un modo o nell’altro dal 1200 ad oggi, stili, modelli, poetiche, grammatiche si sono contaminate tra di loro, ibridandosi, fondendosi in un continuo autocominciamento. Non ci sono limiti del dicibile, tutto è stato già detto, scritto, e tutto ciò che di nuovo si presenterà tra le pagine di un libro sarà solo una questione di copyleft, e dell’abilità dell’autore nel riproporre dopo accurata metabolizazione, ciò che più lo ha nutrito come patrimonio genetico letterario personale. Provocazione o mero dogmatismo teorico? Che questo possa valere anche per Claudia Ruggeri? Poco importa ai fini di quest’intervento. Per parlare della Ruggeri, per de-condensare il sistema dei modelli che "in memoria le sono stati affibbiati", occorre pesare ogni parola, forse spingersi a una prima considerazione di base. Partiamo dall’assunto che se un autore cerca di sovrastare la "poesia", la "poesia" viene a essere compressa, stritolata. Se l’autore invece si colloca al di sotto di essa, allora i versi voleranno alti. Una vecchia, semplice lezione di un poeta comasco come Vito Trombetta. Claudia Ruggeri è stata vittima di uno strano processo centripeto-poetico, da leggere su due livelli. Il primo di carattere simbolico. La poetessa salentina sembra che abbia posseduto una capacità propria di rendere in negativo qualsiasi slancio interiore, di amplificare continuamente se stessa in un regressus ad infinitum, dalla luce alle tenebre più oscure, abissali. La seconda di carattere stilistico, legata in qualche modo alla prima. Dal primo spunto di riflessione possiamo già tracciare, certo in maniera ancora non organica, il perimetro intorno al quale la Ruggeri si è mossa. Per ciò che concerne una sezione del suo "Infermo minore", ovvero "Il matto", potrebbe essere interessante domandarsi se la Ruggeri si sia mai staccata, come "sentire", dalla lirica pre-dantesca d’alto stile e dai generi letterari provenzali. Alcuni suoi versi, sembrano infatti provenire da echi vicinissimi al genere letterario del plazer, di origine provenzale, dove il poeta canta il vivere isolato dal mondo, inseguendo sogni irrealizzabili. "Guido i vorrei che tu Lapo ed io…": a questo bisogna insomma aggiungere decisamente un segno negativo, dove la parola per la Ruggeri deve divenire strumento di distruzione per la distruzione, i sogni non sono messi in condizione di trovare basi su cui poggiare, e la realtà poetica non esce da una fantomatica visione alla Carroll, da un imbuto rovesciato senza centro né principio. Distruzione per la distruzione, che si ritrova nell’asfittica e incessante presenza di un discorso poetico pausativo. Forse, addirittura, la Ruggeri non si è nemmeno mossa dall’imponenza drammatica del teatro di un Euripide o di un Sofocle. Ecco alcuni esempi tratti da S/Pulp dell’ottobre 2000. Del buco in figura, da "Il matto I": Come se avesse un male/ a disperdersi/ a volte torna/ a tratti ridiscende a mostra/ dalla caverna risorge/ dal settentrione/ e scaccia per la capienza d’ogni nome/ che sempre più semplice/ si segna/ ai teatri/ che tace/ per rima/ certe parole." Oppure Morte in allegoria, da "Il matto II": Ormai la carta si fa tutta parlare/ ora che è senza meta/ e pare un caso la sacca/ così premuta/ e fra i colori così per forza desta/ bianca e bianca da respirare/ profondo/ in tanta fissazione di contorni/ Oh spensierato … […] amo la festa che porti lontano/ amo la tua continua consegna mondana/ amo l’eden perduto/ la tua destinazione umana/ amo le tue/ cadute/ benché siano finte/ passeggere." E ancora, Capovolto, da "Il matto": Questa che ora interroga t’arruescia l’inizio/ t’avviva a questo inverso cui un dio non corrispose/ Tu sei l’oggetto in ritardo/ l’infanzia persa/ su tutte le piste/ l’incrocio rinviato." Se proprio dovessimo fare riferimento a modelli, sarebbe insomma opportuno tracciare un’unica linea che va da Dante e da Cavalcanti a Carmelo Bene, scavalcando quindi Zanzotto, Saba e D’Annunzio.
Recitare i versi di Claudia Ruggeri, anche in una piazza deserta, grazie alla loro incredibile densità, determinerebbe la creazione spontanea di maestose scenografie immaginative, che lascerebbero spaesati gli ascoltatori più esigenti. Un piccolo aneddoto prima di concludere. Quando, nel febbraio 2001, si è organizzata presso il Fondo Verri di Lecce una serata in ricordo di Claudia Ruggeri, ci si impegnò a rintracciare e a invitare chiunque l’avesse direttamente o indirettamente conosciuta. Più di cento persone avevano assicurato la loro presenza; ma quella sera se ne contarono pochissime, le ricordo tutte: Antimo Margiotta, Mauro Marino, Maurizio Nocera, Piero Fumarola. A Lecce, dice qualcuno di loro, vivono persone che hanno avuto grosse responsabilità circa la morte della Ruggeri, ma che non l’ammetteranno mai. Per il momento ci possiamo solo augurare che, come per Salvatore Toma, ci sia una seconda Maria Corti per la nostra Claudia Ruggeri.
(da L'Ulisse n. 2 di LietoColle edizioni)
martedì 13 marzo 2007
ULTRACORPI/ANTICORPI
lunedì 12 marzo 2007
Ba ... ba ... baciami piccina ... sulla bo...bo... bocca piccolina
I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno
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