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sabato 31 marzo 2007

Breve intervista a Massimiliano Parente

d- Il tuo lavoro La Macinatrice (Pequod), ha suscitato diverse polemiche vuoi per la sua ipersessualità così decisamente e magistralmente architettata lungo tutto l’intreccio, vuoi per un codice linguistico serrato, mai ridondante, puntualmente ricercato che ha dato parecchio da pensare a numerosi critici sul significato di un’opera letteraria che fa bene alla letteratura. Ed effettivamente lo fa, soprattutto in quanto critica ad un sistema turbo-mediatico in cui ci troviamo a vivere. Poi il libro su Moresco (Coniglio editore) che racconta di una figura singolare nel panorama della letteratura contemporanea, cercando di portare alla luce anche le zone d’ombra di una figura come Moresco stesso. Comunque si sente forte nella tua produzione la volontà di non rimanere tra le righe. Di cosa ha bisogno oggi la letteratura per tirar giù un po’di grigiore dalle proprie spalle già troppo ingobbite. Alla fine intravedi della letteratura nel panorama italiano circoscrivendo il tutto alla più immediata contemporaneità?

r- La letteratura non ha bisogno di niente, se non di opere d’arte, che per loro natura sono imprevedibili, nel senso che non si collocano nell’orizzonte di attesa del pubblico e ne creano di nuovi, forzando i cliché e spalancando nuove visioni sul mondo, sulla lingua, sulla letteratura stessa. Nella letteratura italiana contemporanea vedo un panorama molto asfittico, e un gioco al ribasso sia nella critica, ormai privata degli strumenti critici e dell’intelligenza o in mano a pubblicitari, sia nella complicità degli scrittori al conformismo editoriale che spesso, appunto, più che scrittori, sono narratori autoriali o giornalisti mancati o sceneggiatori mancati. Non ho, comunque, e non voglio avere, una ricetta, perché la ricetta in arte non c’è. Molti si affannano a dire cosa deve essere la letteratura, coniano etichette come fiction, faction, fictual, tendono a eliminare le gerarchie estetiche propononendo un’idea parificante e morturaria di letteratura, ma la letteratura è più forte di tutto questo. Ma è sempre stato così. C’è chi vuole durare dieci mesi, e chi almeno dieci secoli. Vita standard di un venditore provvisorio di Collant, o La Delfina Bizantina di Aldo Busi, Horcynus Horca di Stefano D’Arrigo, o Gli Esordi o Canti del Caos di Antonio Moresco, o La Macinatrice del sottoscritto, sono capolavori che devono ancora essere metabolizzati ma forse è normale che sia così, se pensi che ancora uno come De Roberto, del quale i Viceré sono un romanzo molto più importante de I Promessi Sposi, aspetta ancora di trovare la sua giusta collocazione nella storia della letteratura italiana.

d - Il ruolo della critica letteraria, soprattutto sulle principali testate nazionali, sembra aver dimenticato di essere innanzitutto responsabile di muovere copie sul mercato che vanno nelle mani degli acquirenti, spesso ignari di essere stati vittime di veri e propri raggiri. Forse la critica è morta e siamo passati alle sveltine analitiche da giornalismo culturale, anche se di buon livelllo, ma pur sempre poca cosa. Cosa ne pensi in merito?

r- Penso che, finita l’epoca delle conoscenze e dello studio, finite le grandi scuole della critica che,seppur con i loro limiti, si confrontavano sui testi come strumento di conoscenza e producendo strumenti di analisi letteraria e sociale, oggi la critica sia in mano o agli opinionisti, o ai pubblicitari. Non credo che il pubblico sia raggirato. Il pubblico è superficiale per antonomasia, e come la politica è lo specchio del paese, così i supposti critici sono lo specchio dei supposti lettori, che in genere sono non lettori.

d-Puoi dare qualche anticipazione sul tuo prossimo lavoro?

r- Non posso, me l’ha vietato l’editore. Posso solo dirti che si intitolerà Contronatura e sarà un evento nella letteratura italiana. Non so chi leggerà questa intervista né dove apparirà perché non leggo quasi mai i blog, ma se dovesse esserci qualcuno potrebbe pensare che io sia presuntuoso, narcisista, megalomane. Lo pensi pure, io me ne fotto perché ho altro da fare che fingere di essere umile per dare a qualcuno la soddisfazione di essermi sbagliato, tra cento anni, almeno su me stesso.

2 commenti:

  1. Massimiliano Parente.
    Ma dico io: ma ce la facciamo? I discorsi che gli ho sentito fare poco fa in televisione rasentavano la caricatura di se stesso che imita Vittorio Sgarbi. Ditemi che Massimiliano Parente è uno scherzo.

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  2. caro andrea, può essere che Parente come dici tu rasenti la caricatura di se stesso, ma penso che abbia molto da offrire, non importa quando, alla cultura italiana
    Grazie del tuo post ;)

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