Ma come dopo una serie di esperimenti nel campo della bio-ingegneria letteraria, nella maggior parte riusciti male, ecco che sempre a partire dal 1996, dopo il mediocre Fluo, fa capo sul panorama dell’intellighenzia italiana, una scrittrice che darà tanto filo spinato da torcere: Isabella Santacroce. Nella prima edizione de “I Canguri” Feltrinelli, esce il suo Destroy, con tanto di manifesto programmatico-teorico sbattuto come un mostro in prima pagina, attraverso le parole di Ian Curtis, Billy Corgan, Friedrich Nietzsche: 1) Non so che cosa è giusto o sbagliato (l’anarchia vitalistica nel relativismo etico);2) The World is a Vampire ( consapevolezza dell’esistenza triadica capitalistica produzione, consumazione, morte del soggetto all’interno della circolazione dei beni di consumo di massa); 3) Io sono il primo immoralista: con ciò sono il distruttore par excellence ( il nichilismo passivo come machine de guerre). E Destroy rappresenta la sintesi in vitro di una cronaca di una morte annunciata: quella del linguaggio che soggiace dolente o nolente all’assuefazione iperconsumistica (dai musicali Massive Attack, agli Smashing Pumpkins a Nick Cave, alle cartacee Tank Girl e Vampirella, alla schizofrenia allucinata semantica, alle immagini dei manga e dei comics americani, dei vestiti post-atomici in latex, alla trance indotta tramite superalcolici: in altre parole la storia di Misty, venticinquenne che lascia l’Adriatico per Londra, dove si guadagna da vivere seguendo la sua discesa agli inferi tra voyeurismo, fetish esibizionismo hard-core e assistenza domiciliare a masochisti schizzati e solitari. Un'opera questa della Santacroce che vede l’autrice impegnata a giocare disinvoltamente coi fili dell’alta tensione, quella di una paranoia autodistruttiva, di chi si lascia scarnificare dal vortice della devastazione per la devastazione, usando spezzare i periodi in maniera sincopata, slangando l’inslangabile, e trasformando i dialoghi in monologhi da casa di cura manicomiale: “Amore, amore non sei in casa? Sono io amore, rispondi, lo so che ci sei farfallina mia! Cazzo Mary rispondi, porca troia non fare storie! Mary se non rispondi giuro che quando torno a casa ti ammazzo di botte … brutta stronza … cazzo ma che vuoi? Cosa vuoi dimostrare? Schifosa puttana, me la pagherai! Giuro che ti riempio di calci e ti ficco la testa nel water e ti sfiguro quella faccia di merda e ti sbatto giù dalla finestra troia di una troia … cazzo, rispondi …cazzoooooooo!”. (pag. 18). Isabella Santacroce poi continua con la sua operazione chirurgica senza alcuna anestesia, sul corpo della letteratura partorendo Luminal per i tipi di Feltrinelli nella collana “I Canguri”. Non basta aver mandato in tilt il sistema nervoso centrale dei suoi lettori con le sue due precedenti produzioni, deve procurare (in primis attraverso l’insulto reiterato del tipo “Leccatemi bastardi non talentuosi lecatemi”) una frattura esposta lobo-parietale, facendo friggere i neuroni con un desiderio ostentato di ripetizione mantrica delle esperienze ontologiche dei protagonisti, attraverso questo REW (Rewind ) quasi su ogni pagina, perché il dolore si sublimi in autocompiacimento da eterno ritorno. Luminal è la storia di due amiche diciottenni, Demon e Davi, tossicomani del sesso off-limits, che usano vaginalmente la loro energia come un abissale Si’ alla vita., lungo irradiazioni esistenziali che attraversano come in un sogno città come Zurigo, Berlino, Amburgo. “Esposte al suo furore piano piano si accende. In diverso modo vedo. Il mattino dominare. Capovolte nuovamente d’isterico possedute noi siamo. Pesci rossi volteggianti fuori dell’acqua. Guardami con rabbia. Non riesco a respirare. Battendo palpebra mi incendio di solare abbaglio. Lascio fare mentre si alza in ore che da tempo addormentata ho conosciuto. Rallentando consapevolezze di un esserci a metà. Ho cercato il sonno. Affascinata dalla magia dell’assenza nelle costellazioni sono entrata come una stella. Con Davi accanto. Ho annusato odori di luna sopra. Il nostro brillare nel buio allontanava l’impotenza. Guardaci con rabbia. Capovolte nuovamente non riusciamo a respirare da raggi trafitte. Baciamo saliva. Mangiando Luminal eccediamo attenuando il violento eccediamo”. (pag.100). Sia in Destroy che in Luminal pare che la Santacroce non riesca a rimarginare uno iato consistente tra la sua etero e introdiegesi narrativa. Il Dasein della o nella realtà tra le pagine di questa scrittrice, sembra trovare collocazione come un corpo estraneo in sé, non metabolizzabile, da espellere o attraverso la defecazione o la minzione. La realtà per la Santacroce va vissuta come in uno stato di ipnosi autoindotta, non perché ne venga percepita la bestialità, la crudezza, l’atrocità, ma più che altro perché non è controllabile il flusso degli eventi. Le scelte sono arbitrarie, non si può dare nessuna lezione di vita, è inutile, tutto accade perché deve accadere, anche la distruzione di se stessi. Nel 2004 la Santacroce, pare spingersi un pò più oltre i confini dell’abbandonico autocompiacimento nichilistico, quasi a sentire come un obbligo il desiderio di osservare quello che accade intorno a sé, a volerci vedere chiaro, a diradare la cortina di fumo nero che avvelena i polmoni nella vita di ogni giorno. Non è una rivolta prometeica. La Santacroce non è in grado di proporre alternative perché sa che non ci sono rivoluzioni da fare, che forse le rivoluzioni non sono mai esistite, se non nell’accettazione della sconfitta e del lutto. Revolver per la collana Strade Blu di Mondadori è un capolavoro. Abbandonate talune farneticazioni meta-pop da mercato spettacolare, lo stile della Santacroce si fa meno paranoico, più fluido, di un’intensità delirante che non conosce più confini. Revolver è la storia di Angelica, ventottenne, che nel mezzo del cammin della sua vita, comincia un viaggio attraverso i gironi della solitudine (eccola che incolla occhi di plastica sulle bambole) mentre accudisce una zia affetta da paralisi e lavora in una fabbrica, che conosce il volto possessivo dell’amicizia nella sua relazione con Angelica, una che è pronta a darla al primo che capita, pronta a farsi sbattere come un ovetto dentro la ciotola. Due solitudini che tentano il salto di paradigma nella stabilizzazione di una vita normale, ma che risulta insostenibile, ulcerante come l’acqua santa sul corpo di un indemoniato. Non c’è dolcezza che tenga, neanche l’anestetico della quotidianità di una vita a due, quella da pubblicità del Tegolino Mulino Bianco, perché il meccanismo perverso del male, dell’imprecazione, della richiesta d’ascolto puntualmente ignorata la fanno da padroni, in una vita veramente infernale: “Sei strana. Non lo sono. Sì lo sei. Perché dovrei esserlo. Perché lo sento. Da quando senti. Tu non senti. Sono stanca. Stanca di cosa. Di noi. Non mi avevi mai detto di esserlo. Non me l’avevi mai chiesto. Non mi chiedi mai niente. Perchè me lo hai chiesto oggi. Perchè stai male. Tu non stai bene. Io sto benissimo.No. Non è vero. Sei malata Angelica. Non sono malata. Siamo andati dal medico ricordi. Certo ricordo. Devo essere paziente. Chi lo ha detto. Lo psichiatra l'ha detto”.(pag.66). Senza alcun timore di possibili fraintendimenti, occorrerà dire che per tutti coloro che hanno seguito la Santacroce, sicuramente non ci sarà stata alcuna eventulità di sottrarsi al fascino della capacità di quest'autrice di architettare nei suoi intrecci, universi dall'alta consistenza nichilistica, quella passiva, della distruzione per la distruzione, come sopra abbiamo più o meno accennato. Ed è un modo abbastanza collaudato questo di sfruttare i malumori della gente, i lettori in fondo pagano tutti indistintamente le bollette del telefono, della luce, del gas, vanno al lavoro, si godono le ferie meritate, hanno i loro alti e bassi, tentando quindi di far vivere loro situazioni estreme che distraggono o perversamente inducono un senso di sollievo rispetto alle situazioni descritte nelle pagine di questa scrittrice, facendo sentire tutti un pò più fortunati, per non parlare del solletichìo indotto tra tutti gli adolescenti, ai quali viene indicata una via alternativa (o meno poco importa) alla normalizzazione, alla stabilizzazione emotiva, alle sollecitazioni ospedalizzanti che la società attorno utilizzerebbe per il Controllo di Massa ( pensando a Foucault). Il che talvolta potrebbe anche risultare positivo. Il vecchio gioco del frutto proibito! Ma al di là di queste cialtronesche delucidazioni pseudo-psicanalitiche da salotto, la Santacroce è riuscita a mantenere nel corso della sua esistenza editoriale uno stile che si è mantenuto nel tempo, una capacità di rendere, con spessore forse un pò pop o metapop, a tinte ben marcate, i profili dei protagonisti delle sue opere, studiando la modalità espressiva delle patologie perfino nella strutturazione dei dialoghi, a trattenere nel bene e nel male saldo il rapporto con gli oggetti del mercato, non solo procedendo ad una loro semplice elencazione, ma addirittura sfociando nella mistica del consumo, e nella bioingegneria capitalistica. Di una cosa però siamo certi ... Potrete non provare simpatia per un'autrice di questo tipo, odiare quello che scrive o come lo scrive, potrete cercare di mettere all'indice i suoi libri, ma non dovrete fare a meno di acquistare e leggere le sue opere, dal momento che uno spazio nella vostra biblioteca, per Lei, occorrerà per forza trovarlo!
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giovedì 7 giugno 2007
La verità vi prego su Isabella Santacroce!
Ma come dopo una serie di esperimenti nel campo della bio-ingegneria letteraria, nella maggior parte riusciti male, ecco che sempre a partire dal 1996, dopo il mediocre Fluo, fa capo sul panorama dell’intellighenzia italiana, una scrittrice che darà tanto filo spinato da torcere: Isabella Santacroce. Nella prima edizione de “I Canguri” Feltrinelli, esce il suo Destroy, con tanto di manifesto programmatico-teorico sbattuto come un mostro in prima pagina, attraverso le parole di Ian Curtis, Billy Corgan, Friedrich Nietzsche: 1) Non so che cosa è giusto o sbagliato (l’anarchia vitalistica nel relativismo etico);2) The World is a Vampire ( consapevolezza dell’esistenza triadica capitalistica produzione, consumazione, morte del soggetto all’interno della circolazione dei beni di consumo di massa); 3) Io sono il primo immoralista: con ciò sono il distruttore par excellence ( il nichilismo passivo come machine de guerre). E Destroy rappresenta la sintesi in vitro di una cronaca di una morte annunciata: quella del linguaggio che soggiace dolente o nolente all’assuefazione iperconsumistica (dai musicali Massive Attack, agli Smashing Pumpkins a Nick Cave, alle cartacee Tank Girl e Vampirella, alla schizofrenia allucinata semantica, alle immagini dei manga e dei comics americani, dei vestiti post-atomici in latex, alla trance indotta tramite superalcolici: in altre parole la storia di Misty, venticinquenne che lascia l’Adriatico per Londra, dove si guadagna da vivere seguendo la sua discesa agli inferi tra voyeurismo, fetish esibizionismo hard-core e assistenza domiciliare a masochisti schizzati e solitari. Un'opera questa della Santacroce che vede l’autrice impegnata a giocare disinvoltamente coi fili dell’alta tensione, quella di una paranoia autodistruttiva, di chi si lascia scarnificare dal vortice della devastazione per la devastazione, usando spezzare i periodi in maniera sincopata, slangando l’inslangabile, e trasformando i dialoghi in monologhi da casa di cura manicomiale: “Amore, amore non sei in casa? Sono io amore, rispondi, lo so che ci sei farfallina mia! Cazzo Mary rispondi, porca troia non fare storie! Mary se non rispondi giuro che quando torno a casa ti ammazzo di botte … brutta stronza … cazzo ma che vuoi? Cosa vuoi dimostrare? Schifosa puttana, me la pagherai! Giuro che ti riempio di calci e ti ficco la testa nel water e ti sfiguro quella faccia di merda e ti sbatto giù dalla finestra troia di una troia … cazzo, rispondi …cazzoooooooo!”. (pag. 18). Isabella Santacroce poi continua con la sua operazione chirurgica senza alcuna anestesia, sul corpo della letteratura partorendo Luminal per i tipi di Feltrinelli nella collana “I Canguri”. Non basta aver mandato in tilt il sistema nervoso centrale dei suoi lettori con le sue due precedenti produzioni, deve procurare (in primis attraverso l’insulto reiterato del tipo “Leccatemi bastardi non talentuosi lecatemi”) una frattura esposta lobo-parietale, facendo friggere i neuroni con un desiderio ostentato di ripetizione mantrica delle esperienze ontologiche dei protagonisti, attraverso questo REW (Rewind ) quasi su ogni pagina, perché il dolore si sublimi in autocompiacimento da eterno ritorno. Luminal è la storia di due amiche diciottenni, Demon e Davi, tossicomani del sesso off-limits, che usano vaginalmente la loro energia come un abissale Si’ alla vita., lungo irradiazioni esistenziali che attraversano come in un sogno città come Zurigo, Berlino, Amburgo. “Esposte al suo furore piano piano si accende. In diverso modo vedo. Il mattino dominare. Capovolte nuovamente d’isterico possedute noi siamo. Pesci rossi volteggianti fuori dell’acqua. Guardami con rabbia. Non riesco a respirare. Battendo palpebra mi incendio di solare abbaglio. Lascio fare mentre si alza in ore che da tempo addormentata ho conosciuto. Rallentando consapevolezze di un esserci a metà. Ho cercato il sonno. Affascinata dalla magia dell’assenza nelle costellazioni sono entrata come una stella. Con Davi accanto. Ho annusato odori di luna sopra. Il nostro brillare nel buio allontanava l’impotenza. Guardaci con rabbia. Capovolte nuovamente non riusciamo a respirare da raggi trafitte. Baciamo saliva. Mangiando Luminal eccediamo attenuando il violento eccediamo”. (pag.100). Sia in Destroy che in Luminal pare che la Santacroce non riesca a rimarginare uno iato consistente tra la sua etero e introdiegesi narrativa. Il Dasein della o nella realtà tra le pagine di questa scrittrice, sembra trovare collocazione come un corpo estraneo in sé, non metabolizzabile, da espellere o attraverso la defecazione o la minzione. La realtà per la Santacroce va vissuta come in uno stato di ipnosi autoindotta, non perché ne venga percepita la bestialità, la crudezza, l’atrocità, ma più che altro perché non è controllabile il flusso degli eventi. Le scelte sono arbitrarie, non si può dare nessuna lezione di vita, è inutile, tutto accade perché deve accadere, anche la distruzione di se stessi. Nel 2004 la Santacroce, pare spingersi un pò più oltre i confini dell’abbandonico autocompiacimento nichilistico, quasi a sentire come un obbligo il desiderio di osservare quello che accade intorno a sé, a volerci vedere chiaro, a diradare la cortina di fumo nero che avvelena i polmoni nella vita di ogni giorno. Non è una rivolta prometeica. La Santacroce non è in grado di proporre alternative perché sa che non ci sono rivoluzioni da fare, che forse le rivoluzioni non sono mai esistite, se non nell’accettazione della sconfitta e del lutto. Revolver per la collana Strade Blu di Mondadori è un capolavoro. Abbandonate talune farneticazioni meta-pop da mercato spettacolare, lo stile della Santacroce si fa meno paranoico, più fluido, di un’intensità delirante che non conosce più confini. Revolver è la storia di Angelica, ventottenne, che nel mezzo del cammin della sua vita, comincia un viaggio attraverso i gironi della solitudine (eccola che incolla occhi di plastica sulle bambole) mentre accudisce una zia affetta da paralisi e lavora in una fabbrica, che conosce il volto possessivo dell’amicizia nella sua relazione con Angelica, una che è pronta a darla al primo che capita, pronta a farsi sbattere come un ovetto dentro la ciotola. Due solitudini che tentano il salto di paradigma nella stabilizzazione di una vita normale, ma che risulta insostenibile, ulcerante come l’acqua santa sul corpo di un indemoniato. Non c’è dolcezza che tenga, neanche l’anestetico della quotidianità di una vita a due, quella da pubblicità del Tegolino Mulino Bianco, perché il meccanismo perverso del male, dell’imprecazione, della richiesta d’ascolto puntualmente ignorata la fanno da padroni, in una vita veramente infernale: “Sei strana. Non lo sono. Sì lo sei. Perché dovrei esserlo. Perché lo sento. Da quando senti. Tu non senti. Sono stanca. Stanca di cosa. Di noi. Non mi avevi mai detto di esserlo. Non me l’avevi mai chiesto. Non mi chiedi mai niente. Perchè me lo hai chiesto oggi. Perchè stai male. Tu non stai bene. Io sto benissimo.No. Non è vero. Sei malata Angelica. Non sono malata. Siamo andati dal medico ricordi. Certo ricordo. Devo essere paziente. Chi lo ha detto. Lo psichiatra l'ha detto”.(pag.66). Senza alcun timore di possibili fraintendimenti, occorrerà dire che per tutti coloro che hanno seguito la Santacroce, sicuramente non ci sarà stata alcuna eventulità di sottrarsi al fascino della capacità di quest'autrice di architettare nei suoi intrecci, universi dall'alta consistenza nichilistica, quella passiva, della distruzione per la distruzione, come sopra abbiamo più o meno accennato. Ed è un modo abbastanza collaudato questo di sfruttare i malumori della gente, i lettori in fondo pagano tutti indistintamente le bollette del telefono, della luce, del gas, vanno al lavoro, si godono le ferie meritate, hanno i loro alti e bassi, tentando quindi di far vivere loro situazioni estreme che distraggono o perversamente inducono un senso di sollievo rispetto alle situazioni descritte nelle pagine di questa scrittrice, facendo sentire tutti un pò più fortunati, per non parlare del solletichìo indotto tra tutti gli adolescenti, ai quali viene indicata una via alternativa (o meno poco importa) alla normalizzazione, alla stabilizzazione emotiva, alle sollecitazioni ospedalizzanti che la società attorno utilizzerebbe per il Controllo di Massa ( pensando a Foucault). Il che talvolta potrebbe anche risultare positivo. Il vecchio gioco del frutto proibito! Ma al di là di queste cialtronesche delucidazioni pseudo-psicanalitiche da salotto, la Santacroce è riuscita a mantenere nel corso della sua esistenza editoriale uno stile che si è mantenuto nel tempo, una capacità di rendere, con spessore forse un pò pop o metapop, a tinte ben marcate, i profili dei protagonisti delle sue opere, studiando la modalità espressiva delle patologie perfino nella strutturazione dei dialoghi, a trattenere nel bene e nel male saldo il rapporto con gli oggetti del mercato, non solo procedendo ad una loro semplice elencazione, ma addirittura sfociando nella mistica del consumo, e nella bioingegneria capitalistica. Di una cosa però siamo certi ... Potrete non provare simpatia per un'autrice di questo tipo, odiare quello che scrive o come lo scrive, potrete cercare di mettere all'indice i suoi libri, ma non dovrete fare a meno di acquistare e leggere le sue opere, dal momento che uno spazio nella vostra biblioteca, per Lei, occorrerà per forza trovarlo!
mercoledì 6 giugno 2007
La mostra del fuoriluogo
"Avete pagato per partecipare ad un esperimento, appartenete a questoluogo per tutta la durata dell'esperimento, al termine del qualetornerete a professare una o più idee morali credendole universali... Buona visita"
Inizia così il secondo lavoro video-teatrale di Lorenzo Pietrosanti "Lamostra del fuoriluogo". In uno pseudo-laboratorio di sperimentazione sociale, due inservienti (Alessia d'Errigo e Stella Novari) partecipano alla messa in scena di un vero e proprio esperimento psico-sociale: unaspietata e sconvolgente messa in discussione del concetto di morale. La morale nel "fuoriluogo" non esiste, ed ogni fatto di cronaca, ogni immagine, oggi certezza mediatica, viene rimescolata e riformulataattraverso un nuovo significante.
www.lamostradelfuoriluogo.it.L.P.
sabato 2 giugno 2007
Slow
slow art
slow emotion
slow money
slow kiss
slow truth
slow emotion
slow black
slow pink
slow travel
slow play
slow orgasm
slow
slow
slow in the word
slow in the world
slow in peace
slow in love ....
dedied to Carl Honorè (www.inpraiseofslow.com)
mercoledì 30 maggio 2007
Giulio Andreotti e Leonard Guaci
I GRANDI OCCHI DEL MARE
BESA EDITRICE
30 maggio 2007
h.19,00
Libreria Arion
Piazza Montecitorio n.59
Roma
Interverranno il Senatore Giulio Andreotti
Oliviero La Stella, giornalista de Il Messaggero
Modera Aldo Papa, giornalista Rai
Il poeta Visar Zhiti
Mezzo secolo di storia dell’Occidente visto attraverso la televisione con gli occhi di un gruppo di ragazzi di Valona. Costretti dalla dittatura a un lungo isolamento fisico e morale, Mao, Stalin, Lenin Gramshi, Partizan (i loro nomi) si attaccano ogni giorno al piccolo schermo. È così che conoscono Adriano, Gianni, Corrado, La Tigre di Cremona, Pippo, Lucio, Eros e altri miti, i nomi dei quali danno il titolo a ogni capitolo, ma anche le Brigate Rosse, il commissario Calabresi, i Beatles, la Juventus, il Vietnam, Kissinger, Coppi, la Thatcher, Aldo Moro, Ustica, la P2, Paolo Rossi, Chernobyl, il muro di Berlino e tanti altri personaggi ed eventi che hanno fatto la storia del secolo scorso. La televisione italiana diventa una grande finestra da dove poter guardare il mondo e cercare di capirlo.
Parallelamente a tutto ciò scorre la loro vita quotidiana che si svolge fra mille difficoltà e divieti, arresti, scontri generazionali. Ma c’è anche la loro voglia di non soffocare dentro quel grande bunker nel quale è stata trasformata la loro patria. Imparano a parlare italiano, a suonare la chitarra, organizzano concerti clandestini, leggono libri proibiti, combattono a modo loro la dittatura. Sognano di scavalcare un giorno la linea dell’orizzonte che li separa dalla libertà. E dopo il crollo del regime qualcuno riesce ad andar via.
Tensione, colpi di scena, ironia, poesia accompagnano costantemente il romanzo, che si legge tutto d’un fiato.
LEONARD GUACI è nato a Valona (Albania) nel 1967. Ha iniziato la sua attività letteraria con numerosi scritti sui giornali albanesi. Nel 1990 si trasferisce a Roma dove vive e lavora. Da allora ha collaborato con i periodici «Lo Stato» e «Il Borghese» e con il TG1. Con Panciera Rossa nel 1999 ha vinto il premio internazionale di letteratura «Antonio Sebastiani».
I grandi occhi del mare è il suo secondo romanzo.
domenica 27 maggio 2007
Le voci della città
meeting delle scritture e dei giovani scrittori
(laboratori di scrittura/poetry slam/reading/tavola rotonda)
LE VOCI LA CITTÀ
La scrittura per ripensare spazi e accessi
Il Comune di Fiesole, nell’ambito del progetto “GiovaniLibri” promosso da ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), Ministero delle Politiche Giovanili e Ministero per i Beni e le Attività Culturali, organizza per il prossimo mese di giugno un meeting dedicato alla scrittura e ai giovani scrittori.
L’iniziativa è dedicata ai giovani scrittori e alla scrittura come occasione per ripensare e reimmaginare i luoghi e gli spazi di vita, di incontro, di interazione. È gratuita e aperta a tutti gli aspiranti giovani narratori e poeti. Si articola in appuntamenti formativi e performativi: due laboratori di scrittura - uno di narrativa (racconto breve), uno di poesia (per l’oralità); un poetry slam; un reading di racconti; una tavola rotonda sul tema “le voci la città”, un modo per riflettere sul mondo a partire dagli immaginari che sa modellare la scrittura.
Il meeting si svolgerà dal 7 al 10 di giugno presso la Basilica di Sant’Alessandro. I racconti e i testi poetici che saranno letti e performati durante i quattro giorni del meeting, insieme agli atti della tavola rotonda, saranno pubblicati da Cadmo in un libro più CD.
***
Programma
(tutti gli eventi si svolgono presso la Basilica di Sant’Alessandro):
• Giovedì 7 giugno 15.30-19.30 e venerdì 8 giugno 15.30-19.30:
laboratorio di scrittura narrativa - racconto breve (docenti Gabriele Frasca e Gianmaria Nerli).
• Sabato 9 giugno 10-13 e 14.30-19.30:
laboratorio di scrittura in versi – poesia orale (docenti Lello Voce e Luigi Nacci).
• Sabato 9 giugno 21.30:
poetry slam.
EmCee della serata: Lello Voce.
Partecipano: Vincenzo Bagnoli, Dome Bulfaro, Luigi Nacci, Adriano Padua, Furio Pillan, Marco Simonelli, Sara Ventroni e i migliori allievi del laboratorio.
• Domenica 10 giugno 17.00:
reading di racconti – tavola rotonda.
Partecipano: David Bargiacchi, Marco Candida, Gianmaria Nerli, Luciano Pagano, Laura Pugno, Alessandro Scotti, Catalina Villa e i migliori allievi del laboratorio.
Alla tavola rotonda saranno presenti l’architetto Lorenzo Romito, il critico letterario Andrea Cortellessa, il Sindaco di Fiesole Fabio Incatasciato, l’urbanista Gianni Pettena, l’antropologo Marcello Archetti.
***
Progetto a cura di Gianmaria Nerli e Luigi Nacci.
Per le iscrizioni - gratuite e aperte fino al 6 giugno
si può chiamare al numero 055/5961227-25
oppure scrivere a segreteria.sindaco@comune.fiesole.fi.it
www.comune.fiesole.fi.it
sabato 26 maggio 2007
L'invito del poeta Pietro Berra per ricordare Salvatore Toma
Cari amici,
lunedì 4 giugno alle 20.45, nell’ambito degli “incontri primaverili di poesia” ospitati dalla nuova (e splendida, per chi non avesse ancora avuto occasione di visitarla) biblioteca di Brunate, farò una serata su Salvatore Toma, poeta salentino che visse su una quercia, che morì a 36 anni di cirrosi epatica, che nei suoi testi ha lasciato prove notevoli di vitalità e di ironia, che amò molto gli animali e anche la moglie e i figli (un po’ meno l’umanità in genere), che una filologa rigorosa come Maria Corti dovette far passare per suicida per riuscire a pubblicarlo postumo da Einaudi. Il suo libro, Canzoniere della morte, è tornato a circolare “a furor di popolo”, in seguito a una petizione che ha unito due estremi di Italia, il Lario e il Salento, e che ha spinto la casa editrice torinese a ristamparlo. L’incontro del 4 giugno sarà anche un’occasione per effettuare un viaggio culturale e fotografico nella terra cui la vita e la produzione poetica di Toma sono legate a doppio filo: la penisola salentina.
Siete tutti invitati!
Pietro Berra
giovedì 24 maggio 2007
Donato Valli e la Storia e letteratura nel Salento
martedì 22 maggio 2007
Luisella Carretta
IN UNA VALIGIA
Atelier nomade 2
Campanotto Editore
con
Luisella Carretta
artista scrittrice
Venerdì 25 maggio’07, ore 21.00
INGRESSO LIBERO
Per informazioni:
CENTRO CULTURALE ARCI
DISCIPLINE ORIENTALI ED OCCIDENTALI
SCUOLA INTERNAZIONALE DI SHIATSU - ITALIA
Mantova – Via Daino 1
(zona anconetta)
lunedì 21 maggio 2007
Luciano Pagano e il suo Re Kappa
Se di esordio dobbiamo parlare, in questo caso occorre andarci con i piedi di piombo, perché Luciano Pagano, l’autore di “Re Kappa” edito dalla Besa editrice, con la scrittura ha un rapporto di osmosi pulsionale portato avanti da anni con metodo e rigore. Non solo ha prodotto interventi di carattere poetico, ma anche sul piano della saggistica ( facciamo riferimento al suo intervento nel libro “La transe dell'artista”a cura di Vincenzo Ampolo e Luisella Carretta con la prefazione di Georges Lapassade per i tipi di Campanotto Editore) e della critica letteraria sia come redattore della rivista “Tabula Rasa” sia come direttore del sito www.musicaos.it. E “Re Kappa” rappresenta un’operazione editoriale coraggiosa sia dal punto di vista linguistico, con un procedere periodale fortemente pausativo, secco e incalzante, sia per ciò che concerne strettamente l’intera architettura della trama. “Re Kappa”, romanzo di Luciano Pagano, di cui si parlerà molto, non analizza tanto la realtà editoriale salentina, che è pur presente nella storia ma si capisce che è solo un pre-testo, quanto il vivere una determinata realtà ( non importa se centro o periferia) sincopata, quasi claustrofobica, ricca di personaggi grotteschi, carichi di un’umanità velenosa, attraverso le relazioni esistenti tra tre personaggi chiave: l’io narrante, un giovane scrittore alle prese febbrili con il suo percorso di ricerca, Gastone Gallo, editore inquieto, sempre con nuove idee da condividere con maniacale dovizia di particolari ai suoi collaboratori, e Michel Benoit, un critico di origini francesi, un imbroglione, un – per utilizzare un’espressione di Pagano – batonga di una dimensione culturale d’avanspettacolo. E Benoit viene descritto dal nostro autore in maniera brillante, con grande stile, mettendo in luce le zone d’ombra di un personaggio degno di essere chiamato “losco figuro”, un critico che non ha mai fatto pubblicazioni degne di portare questo nome. Il suo unico merito, forse, è quello di avere nelle sue grinfie, il manoscritto del leggendario “Volonté du roi Krugold” di Louis-Ferdinand Céline, testo di oltre novecento pagine sul quale l’autore di “Viaggio al termine della notte” lavorò per molti anni, senza che lo stesso potesse mai veder la luce, in quanto trafugato da mani maialesche strumento di una volontà carica di livore nei confronti di un genio come Celine in grado di produrre un’opera d’arte come “La volontà del Re Krugold”.
Ad ogni modo Pagano rende in punta di penna, un mondo cancrenoso e canceroso, in cui Benoit, rimandando continuamente la consegna dell’edizione critica del manoscritto in questione, tiene in paranoico stand-by l'editore Gallo, facendosi elargire gustose somme di denaro per organizzare i suoi Festival di Poesia da cartolina nel Salento. L’odio profondo del protagonista nonché il desiderio di poter avere un rapporto onesto, sano e collaborativo con il suo editore, lo spingono a compiere l’impensabile. Un gesto che sa di grande valore prometeico. E sarà proprio la ricerca del manoscritto misterioso a far compiere alla narrazione la sua fuga verso un insolito ma affascinante finale.
Pagano utilizza il romanzo per descrivere le meccaniche sociali, quelle della realtà di ogni giorno, con occhi che sanno guardare al buio, che sanno vedere spettrograficamente quello che sta prima di tutto questo.
Ne viene fuori una narrazione metaletteraria, un monologo che ha una voce senza filtri, e che possiede la forza del desiderio, anzi di un unico desiderio … quello metaletterario, meta-etico, meta-pop, della verità a ogni costo.
Re Kappa – dice Elisabetta Liguori in suo intervento critico al volume di Pagano – è un lavoro che comincia proprio quando la letteratura contemporanea italiana sembrerebbe fermarsi. “Pagano in via preliminare tratteggia il suo ambiente: l’inquietante mondo pop delle lettere salentine. Ambiente del quale intravede strani bagliori alla fine del canale attraverso il quale è costretto a strisciare per arrivare a vedere alla luce.
Ma Re Kappa è questo e molto di più!
(da coolclub)
domenica 20 maggio 2007
Mozart di Atlantide di Simone Navarra
(da www.musicaos.it)
giovedì 17 maggio 2007
Danza Lenta
mercoledì 16 maggio 2007
Un particolare augurio allo scrittore Luigi Caricato
Lo scrittore Luigi Caricato, autore per Besa Editrice del romanzo L'olio della conversione, è stato insignito lunedi 14 maggio a Spoleto del titolo di accademico dell’olivo e dell’olio, in virtù di quanto ha dedicato, con i suoi libri e articoli, e ora anche con il romanzo sulla vita di Giuseppe da Copertino, alla formazione e alla diffusione di una cultura dell’olio in Italia e all’estero.
La prestigiosa Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio, fondata nel 1960 a Spoleto, ha avuto come presidenti il sen. Giuseppe Salari (1960 – 1979) e il prof. Nestore Jacoboni (1979 – 1998), mentre, a presiedere attualmente il sodalizio dei saggi, vi è, dal 1998, il prof. Gianfrancesco Montedoro.
lunedì 14 maggio 2007
Parole Invadenti
Elena Cantarone, Parole Invadenti, collana Poet/bar, Besa 2006 (da www.musicaos.it)
domenica 6 maggio 2007
La Besa editrice alla Fiera del libro diTorino 2007
giovedì 3 maggio 2007
Il libro di Egon
Stefano Zangrando, Il Libro di Egon, Greco e Greco editori, pp.244, 2005 (da www.musicaos.it)
domenica 29 aprile 2007
Paola Scialpi e l'universo donna
Di Paola Scialpi
Spazio Espositivo
Via Molino Delle Armi, n. 5 - Milano
Dal 26 aprile al 13 maggio 2007
giovedì 26 aprile 2007
Misterioso Concerto
Udine, Teatro S. Giorgio
MISTERIOSO CONCERTO
direzione Cesare Ronconi
versi Mariangela Gualtieri
con Mariangela Gualtieri e Dario Giovannini
scena e luci Cesare Ronconi / fonica Luca Fusconi
ricerca del suono Luca Fusconi, Dario Giovannini, Cesare Ronconi
una co-produzione Teatro Valdoca / Assalti al Cuore Festival di Musica e Letteratura / l’arboreto mondaino / Teatro A. Bonci di Cesena
MISTERIOSO CONCERTO entra negli abissi di una voce, di una presenza, di un’intesa: quella fra la poetessa Mariangela Gualtieri e un musicista al pianoforte che svela le singolarità di una voce, ne sostiene il respiro, ne alleggerisce gli ingombri di senso. Mariangela Gualtieri è per eccellenza “la poetessa del teatro”: da vent’anni Mariangela forgia parole ritmiche, volatili o consistenti, scritte per uscire dal corpo dei suoi attori, gli attori della compagnia Valdoca, da lei fondata assieme al regista Cesare Ronconi. Per una volta, però, la poetessa entra da sola nella musica dei suoi versi, per “tenere le parole nel loro stato di nascita”.
IL REGISTA _ Qui Cesare Ronconi, spiega Mariangela Gualtieri “è molto più un maestro e un direttore d’orchestra che un regista: col suo orecchio sismografico mi guida nei segreti del suono, ci richiama spessissimo all’attenzione piena, alla dedizione, alla libertà, lega ogni elemento visibile e invisibile, udibile e inaudibile. Tutto per ‘fare cuore’ con chi ascolta, farsi suo talismano”.
MARIANGELA GUALTIERI è nata a Cesena nel 1951. Nel
lunedì 23 aprile 2007
Gabriele Dadati : quando la letteratura fa le ... ore piccole!
Nel tuo Sorvegliato dai fantasmi per peQuod racconti ombre e contraddizioni di una contemporaneità sempre più annichilente e oppressiva nel suo fagocitare la quotidianità. Oggi si parla molto di precariato e letteratura, letteratura e precariato (penso a Vita precaria e amore eterno di Mario Desiati) quasi come se fossero non dicotomie ma un unico corpo testuale e mitopoietico. Che strada ha deciso di prendere oggi, secondo te, la letteratura italiana?
Ci sono un mucchio di faccende che oggi premono l’essere umano occidentale (poi nel nostro caso italiano, che è quello che siamo tu e io): l’utilizzazione delle scoperte scientifiche che esige un surplus di etica (e come deve essere fatta questa etica? come facciamo a farla crescere? da dove deve venire?), l’integrazione o il contrasto con le popolazioni di religione diversa, via via fino ad arrivare al precariato. Ora: siccome uno scrittore è prima di tutto un “essere umano di sangue caldo e nervi”, può anche darsi che quando scrive si occupi di alcune di queste faccende perché lo toccano, lo interessano, lo investono nella sua quotidianità.
A questo punto possono succedere due cose: o si ratifica la realtà, cioè ci si fa prendere dall’esistente descrivendolo, raccontandolo, testimoniandolo ecc., oppure si cerca di trascenderla la realtà, e mentre si descrive, racconta, testimonia ecc. si va oltre, si cercano soluzioni, si cerca di vedere i fantasmi che si agitando nel domani o addirittura già nell’oggi. La letteratura dei nostri anni, come la letteratura di sempre, tiene vive queste due strade. È mainstream quella della ratificazione della realtà (quanti libri sul precariato hai visto negli ultimi anni?) e sottotraccia l’altra, ma ci sono entrambe e sono importanti entrambe dandosi nutrimento l’un l’altra.
“Ore piccole” è il tuo blog, ma anche una rivista. Puoi provare a ricucire le trame di questa tua doppia esperienza redazionale?
“Ore piccole” è il trimestrale di letteratura e arte fondato e diretto da un anno e rotti a questa parte da Stefano Fugazza e da me. Il blog, che sta al centro del sito della rivista, serve a creare un dialogo tutt’intorno alla pubblicazione cartacea, a incontrarsi, a scambiarsi idee e proposte. Insomma c’è una gerarchia: quello su cui puntiamo come “prodotto finito” è la rivista mentre quello su cui puntiamo come “humus” è il web, che con un po’ di distinguo e navigazione fa incontrare esperienze di qualche interesse, anche se in piccola percentuale.
Quello che mi rende perplesso è il web che si autoalimenta e poi salta fuori. Ti spiego partendo dalla televisione: prima viene il teatro, il circo ecc. e quando la televisione nasce li trasmette e allo stesso tempo chiama gli attori, i cantanti, le ballerine ecc. a fare programmi direttamente negli studi televisivi. Insomma: la televisione nasce nutrendosi d’altro e va avanti così per un po’ finché inizia a farsi forte di professionisti che nascono e si preparano proprio per fare televisione. Questo fino a pochi anni fa, quando arriva “l’era degli incapaci”, ovvero del Grande Fratello. Persone che non vengono né dallo spettacolo (come nella prima fase) né da una preparazione specifica si trovano a farsi deridere con l’esibizione di ignoranza, animalità ecc. finché riescono a passare da persone a personaggi. Tali personaggi li crea la televisione stessa, poi li sposta in altri programmi (i salotti della domenica pomeriggio, ad esempio, o i talk-show) e fa finta che siano capaci di fare qualcosa. Alla fine viene il momento in cui questi personaggi escono fuori: vanno in discoteca, fanno i padrini alle manifestazioni, fanno il cinema ecc.
Ecco: secondo me col web sta succedendo così. All’inizio era il mezzo di comunicazione e scambio di realtà diverse ben solide nel mondo (non so: ditte, quotidiani, produttori, società ecc.), poi poco a poco è diventato un posto in cui provare a diventare personaggi laddove non si riesce a esserlo nella vita reale. Esistono così blogger di successo, webmaster di successo, giornalisti on-line ecc. che la rete conosce bene, impazzano, girano tra i siti, vengono intervistati. Poi, come succede ai personaggi creati dal Grande Fratello, anche quelli creatisti nella Rete a volte saltano fuori e pubblicano libri, vanno in radio, pubblicano articoli ecc. A volte ci sono persone molto in gamba, più spesso sono fenomeni del momento. C’è democrazia culturale? Mah,
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Tanti: dare continuità a “Ore piccole”, pubblicare due libri di studi a cui sto lavorando, pubblicare il romanzo che ho finito di scrivere, cominciarne uno nuovo ecc. Insomma, un po’ di cose.
venerdì 20 aprile 2007
Da una Poesia del Dissenso ad una Poesia dell'Impegno
Hanno aderito : Elio Andriuoli - Antonella Anedda - Amedeo Anelli - Giovanni Bandi - Antonella Barina - Emmanuel Berland - Mario Benedetti - Manila Benedetto - Pietro Berra - Mariella Bettarini - Lucia Bigarello - Tomaso Binga - Donatella Bisutti - Sandro Boccardi - Elena Bono - Alessio Brandolini - Piera Bruno - Martha Canfield - Maddalena Capalbi - Cesare Capuano - Michele Capuano - Silvia Caratti - Roberto Carifi - Alberto Casiraghy - Cristina Castello - Nadia Cavalera - Hector Celano - Fatema Chahid - Nero Chinaz - Viviane Ciampi - Florio Cocchi - Giancarlo Consonni - Vito Antonio Conte - Franco Costanzi - Michel X Coté - Carlos Alvarez Cruz - Valerio Cuccaroni - Camillo Cuneo - Liliana Martino Cusin - Michela Dazzi - Andrea De Alberti - Miguel Angel De Boer - Gianni D'Elia - Silvano De Marchi - Giustino Di Celmo - Donato Di Poce - Stefania Dolcemascolo - Stefano Donno - Roberto Dossi - Ermanno Eandi - Bertha Elvira Viqueira Martinez - Josefina Ezpeleta - Vico Faggi - Gabriela Fantato - Lìber Falco - Agneta Falk - Anna Maria Farabbi - Margherita Faustini - Renzo Favaron - Gio Ferri - Umberto Fiori - Mirella Floris - Aldo Forbice - Giovanna Frene - Lucia Gazzino - Massimo Gezzi - Anna Maria Giancarli - Rosa Elisa Giangoia - Antonio Guerrero - Marilia Guimaraes - Jack Hirschman - Vincenzo Incenzo - Gilberto Isella - Federico Italiano - Antonino Iuorio - Tomaso Kemeny - Vivian Lamarque - Anna Lauria - Elias Letelier - Oronzo Liuzzi - Franco Loi - Rosaria Lo Russo - Claudio Lolli - Anna Lombardo - Mario Lunetta - Mario Luzi - Monica Maggi - Valerio Magrelli - Ivano Malcotti - Claudio Mancini - Theophilo Marcia - Daniela Marcheschi - Mano Melo - Menene - Alda Merini - Luciano Morandini - Lorenzo Morandotti - Alvaro Mutis - Francesco Muzzioli - Guido Oldani - Jesus Orta Ruiz - Serenella Ottaviano - Luciano Pagano - Gaetano G. Perlongo - Luisa Pianzola - Marina Pizzi - Fabio Pusterla - Stefano Raimondi - Franco Romanò - Luca Rosi - Edoardo Sanguineti - Stefano Salmi - Flavio Santi - Davide Sapienza - Katia Sassoni - Tiziano Serra - Nadia Simonetta - Oscar Sosa Rios - Sandro Sproccati - Giulio Stocchi -Andrea Temporelli - Graziella Tonon - Mary Barbara Tolusso - Anna Toscano - Gianni Toti - Vito Trombetta - Frank Venaille - Nichi Vendola - Fabbrizio Viglino - Tino Villanueva - Mauro Zanchi - Guido Zavanone - Maria Zimotti - Graciela Zolezzi - Andrea Zuccolo.
L'antologia è inoltre corredata da un interessante apparato artistico-iconografico a cura di Aube Butte, Marco Capuano, Stefano Guidoni, Andrea Sostero, Antonino Iuorio, Laura Nazzaro, Alessandro Ambrosin.Un'operazione editoriale che rivela l'impegno di militanti operatori culturali che credono nella forza della poesia che combatte verso dopo verso per La Pace e La Libertà. (da www.musicaos.it)
martedì 17 aprile 2007
Marthia Carrozzo. Utero di Luna
Fondo Verri a.c.
Presidio del Libro di Lecce
(stagione culturale primavera 2007)
in collaborazione con la Libreria Icaro
L’Aprile
rassegna di libri e di autori a cura di Mauro Marino
mercoledì 18 aprile 2007, ore 21.00
presentazione di Utero di Luna (poet/bar –Besa)
di Marthia Carrozzo
L’esordio di una giovane poetessa, il cui verso si spinge a connotare ogni gesto e movimento del corpo e dell’anima. Alda Merini scrive che Marthia Carrozzo, scrive bene, ma che soprattutto sa piangere che è cosa che la grande poetessa cerca nei nuovi poeti, nel loro stare nella difficoltà del Tempo. Utero di Luna è titolo misterico, che mischia all’ancestralità del sentire naturale, matrice delle forme universe, alla condizione d’un femminile che cerca e chiede ascolto, attraversato dalla luce, dal kaos e capace di ri-fare versi, nuove forme.
Questa poesia è scritta per essere recitata, è una drammaturgia che trova nell’autrice la voce ed è il teatro la sponda ispirativa, lo stare in scena che scalda e motiva il venire delle parole.
Utero di Luna è un canto sottile, ammaliante, dove il vissuto si sublima in un’estasi per versi e la Poesia trova la sua dimora più consona, ideale per far fiorire anche una prosa poetica delicatissima, dove oggetti, eventi, il narrare stesso non sono solo narcisismo della parola, ma ricerca di verità, continui resoconti del proprio vissuto, per poi gettarsi nel mondo, viverlo, gustarlo. Scrive Vanni Schiavoni nella post-fazione: “ C’è un gusto dell’assonanza, all’interno dei versi come all’interno dell’intero testo. Aiuta il continuo ritornare delle cose: i lati del corpo, la bocca, il sapore caramellato, quello inebriante e poi stucchevole (che è poi quello di ogni paradiso) ne viene quasi un mantra, una litania pagana, un verso ancestrale, un suono primigenio”.
domenica 15 aprile 2007
Dnevnoj dozor. Seryoga Absolute Power of mind
una sola parola che scava la pelle
sui visi di migliaia di persone
come ombre sonore
in Ucraina o in Crimea
sui visi di migliaia di persone
come spettri tra macerie
dall’Azerbaigian al Kazakistan
dall’Ucraina alla Bielorussia
sui visi di migliaia di persone
come breve incanto …
DICHIARAZIONE DI PARTITO
“Rispetto Putin, Zhirinovskjy e i russi ricchi, tutta gente che ha raggiunto tutto quello che voleva. Forse però ci voleva un Fidel”.
(Seryoga, da D,
sabato 14 aprile 2007
Giuse Alemmano e la sua Terra Nera, romanzo perfido e paradossale di cafoni e d'anarchia
Ma una rivoluzione per farla, non necessita solo di ideali, e parole, leggere come un soffio di vento, incomprensibili per chi è abituato ad avere le ossa rotte di stanchezza, a non godere di giorni di festa, di domeniche, di una risata allegra. E se non c’è allegria, se il desiderio di vivere viene ad essere soffocato dall’indolenza dolce e melense delle immagini da mercato spettacolare, nei centri commerciali oggi, o dalla difesa strenua della roba, ieri, con la legge biblica del perché un domani non si sa mai, come allora parlare di rivoluzione, a chi si può parlare di rivoluzione, come far passare un concetto così emancipativo, e soprattutto chi lo può accogliere, quando la cultura, si scava una fossa con le sue mani, diventando intrattenimento da salotto televisivo, e alcuni libri di narrativa oggi, si misurano con il saper raccontare la merda di questo o di quel periodo storico. Come parlare di una rivoluzione, che forse sarebbe necessaria ripensarla nei termini di un sollevare la gente dalle barbarie della sopravvivenza, dandogli più controllo sulla gestione dei tempi di produzione creativi e sulle dinamiche di accesso libero al proprio corpo, quando l’idiozia della pubblica istruzione ad esempio, scimmiotta la preparazione tecnicistica d’oltreoceano (necessaria senza ombra di dubbio ma qualcosa la trascurerà sicuramente) del vero/falso, dimenticandosi tutte le meravigliose sfumature di un sapere dialettico, critico, discussivo, aperto. E soprattutto, come accennare ad un concetto dai mille barbagli come quello di rivoluzione, per ritornare al romanzo in questione, quando l’orizzonte dell’esistenza viene ad essere così spietatamente percepito da un popolo di cafoni (per utilizzare lo stesso lessico di Alemanno), a cui questa parola sembra contenere la stessa virulenza della peste: “ (…) Il nostro sole è un martello che spezza l’osso frontale del cranio. Il nostro sole è fatto d’acciaio. Lavorare in campagna sotto il sole è una forma consentita di suicidio. I padroni per questo pagano pure. Quattro soldi. Quei quattro soldi che ingannano, sembra facciano vivere, invece lastricano la strada per l’inferno dei cafoni. E le donne dei cafoni sono la riserva di caccia dei padroni. E tutto è così. Tutto è sempre è così.” (pag. 104). Questa immobilità, questo universo cavo delineato in poche righe, dove l’energia sembra scomparire definitivamente e oblio e oscurità la fanno da sovrani, non può che far vagamente ritornare alla mente, solo per un flash istantaneo, il Vuoto Primigeno abitato da divinità cieche e idiote, che Lovecraft ha narrato nei suoi cicli di Cthulhu. Un paragone forse non tanto azzardato, perché la cecità e l’idiozia, si insinuano subdolamente quando le strade sono senza uscita, quando occorre ingoiare troppi rospi pur di continuare a campare e di andare avanti, quando fai appello a tutte le tue forze per non farti schiacciare da quel pensare alle cose serie della vita, che sempre dev’essere sacrificio e solo sacrificio, e figuriamoci poi se qualcuno parla di rivoluzione … sarebbe solo da guardare in cagnesco. E già! Chi lo porta poi il pane a tavola …: “ I cafoni vogliono sempre uno che comanda. Ne hanno bisogno. Senza si sentono persi. Non sanno che fare. Quando un cafone è confuso emerge la sua vera natura di cafone. Il cafone vuole solo essere pagato per il lavoro che fa. Il cafone non è in grado di assumersi responsabilità. Non ne vuole. Vuole solo essere irreggimentato, pagato e lasciato al suo eterno, inevitabile destino di cafone. I cafoni quando non faticano si accoppiano spesso, come gli animali. Ecco perché i cafoni mi fanno schifo. I cafoni non fanno parte del genere umano. I cafoni sono delle bestie.” (pag.130).
Ogni singolo personaggio del romanzo sembra venir travolto da uno spasmodico desiderio di liberarsi istericamente dei propri appetiti sessuali, senza minimamente curarsi delle convenzioni proto-civili di un gruppo comunitario rurale. Zio Peppe, a metà strada tra santone e guru tantrico agreste, dotato del buon senso di un infame, si fa ripagare delle sue consulenze scegliendo gli orifizi delle malcapitate in cui svuotarsi, giusto quando il denaro non attuasse quelle debite condizioni per poter saldare decorosamente i debiti. E quale migliore dimostrazione di bestialità da parte di un uomo di cultura e di scienza, come il dottor Buccolieri quando sottopone a visita ginecologica la giovane Annina. Il medico verificando le condizioni di integrità anale della fanciulla, dopo quelle vaginali ovviamente, asseconda con il dito infilato nell’orifizio della fanciulla, i ritmici movimenti del bacino della stessa, perdendo ogni dignità professionale per quell’inaspettata manna di cedevolezza lubrica. Di spunti di riflessione questo lavoro di Alemanno ne potrebbe dare a bizzeffe, e di sicuro non è sufficiente fermarsi ad una lettura che computi i riferimenti di genere letterario come, per citarne uno, il Verismo verghiano, né tanto meno quell’altro aspetto del sapere, l’antropologia, che farebbe calzare ad hoc il linkaggio ad una Terra del Rimorso di De Martino. Terra Nera, si mostra come un lavoro ben fatto, organicamente strutturato sul piano dell’intreccio, e bilanciato circa la gestione simmetrica dei dialoghi. Da questo momento in poi da Alemanno ci si potrà aspettare qualcosa di veramente buono! (da www.musicaos.it)
I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno
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