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venerdì 19 marzo 2010

PERCHÉ QUELLE STRANE GOCCE DI SANGUE SUL CORPO DI BAFEFIT?. Intervento di Angela Leucci




















Mostruosi bianconigli ed eroine sanguinarie o sanguinolente. Si può riassumere così il suggestivo universo delle illustrazioni di Bafefit (al secolo Raffaele Iodice), che dopo alcune pregevoli mostre dei suoi “mostracci” (pupazzi ricavati con scarti di stoffa) in Italia, è giunto all'attenzione delle riviste statunitensi di settore. Abbiamo voluto utilizzare un titolo che parafrasasse un universo che si confa a quest'artista, che assomigliasse un po' alla trama splatter di un film, come “Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?”, con Edwige Fenech. Eppure lo splatter, come sappiamo, ha un ipertesto di finzione, un dizionario non scritto che segna il confine, la differenza sottile in quel contesto, tra fantasia e realtà.

Un po' quello che capita con le illustrazioni di Bafefit. Un immaginario che sembra ispirato a quello burtoniano, ma che invece è crudamente originale nei suoi chiaroscuri di sangue e lacrime, tra rovi che decapitano e carcrashing con inebetiti testimoni di laghi di sangue. Carta in cui immergersi ed emergere nuovi, pur nella vecchiezza di una cellulosa targata XIX secolo, che Bafefit recentemente utilizza per i soggetti cui tiene di più.

Tutto questo e molto altro. Perché nei mille particolari che Bafefit imprime sulla carta c'è un po' di noi stessi, delle nostre paure, quello che ci differenzia gli uni con gli altri. Tutti dettagli che non si possono esprimere, perché l'animo umano stesso prova scandalo a sentirsi nudo.

giovedì 18 marzo 2010

Il libro del giorno: Bastasse grondare di Alessandro Bergonzoni (Libri Scheiwiller)

















Un Bergonzoni così non si era mai visto. L’imprevedibile e poliedrico artista bolognese, grande affabulatore, visionario virtuoso della parola, ci fa dono di una nuova opera degna del suo eclettico talento.
Dopo Non ardo dal desiderio di diventare uomo finché posso essere anche donna bambino animale o cosa (Bompiani 2005), Bergonzoni ritorna nelle librerie con questo nuovo libro/non libro.

Un volume d’artista senza precedenti, libero dai confini di genere e dalle gabbie, anche da quelle della pagina. I testi scritti da Alessandro Bergonzoni si alternano alle immagini da lui realizzate senza esserne didascalia ma tessendone, nell'incompletezza, le pagine.
Un libro disegnato dalla scrittura e scritto dai disegni, dove immagine e parola, sguardo e lettura si rimbalzano in un originalissimo gioco onirico e straniante, da sognare e sfogliare. i lettori con questo libro avranno occasione di scoprire o riscoprire un nuovo aspetto dell'inesauribile e vulcanica creatività di Alessandro Bergonzoni.

Ma il cielo è sempre più su? Di L. Bianchi e G. Porvenzano (Castelvecchi). Intervento di Nunzio Festa



















Le ossessioni benefiche dei meridionalisti, di tanti che non vivono più e dei pochi superstiti, bevono alla fonte data Bianchi e Provenzano. Perché con l’analisi di “Ma il cielo è sempre più su?”, servita da una dotazione forte e motivata di numeri, cifre, donne e uomini, non è possibile girare la testa dall’altra parte. Noi, che siamo il frutto nato morto da una classe dirigente ben codificata dai ricercatori, dalla coppia di autori del libro che per sottotitolo ha una lunga è spigolosa questione aperta (forse anche più del titolo stesso), noi che sappiamo il significato di questo Meridione descritto e letto da Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano possiamo dirci la testimonianza portata dalle stesse argomentazioni del volume. Niente importa, comunque, che il 2009 per Napolitano eccetera sia stato l’anno – di nuovo – della riscoperta del Sud; perché meglio è, o sarebbe, tenere nella mente le segnalazioni storiche di personalità dai nomi indimenticabili: Mazzarone, Scotellaro, Levi, Ross-Doria, De Martino. La marginalità, sappiamo da tempo, non è più salvifica. Da tanto è certo pure dello spopolamento, della disoccupazione, dell’abbandono vero e proprio della vita. Della resa. Estenuanti ed estenuanti si deve abdicare oramai alla vendetta portatrice di liberazione e autonomia. Per mezzo delle fisime dei notabili, nuovi e vecchi. Come della mancanza di forza e motivazioni dei piccoli di questa grossa e amara terra. Le parole messe in fila da Bianchi e Provenzano, oltre a essere appunto un’analisti lucida e tagliente, con proposta annessa e concessa ai dibattiti veri e non a quelli da verificare, hanno oltre a una forza propositrice, il sapore lento e indimenticabile, implacabile d’una coltellata inserita nell’addome del malato. E’ non sia, ovviamente, per colpa degli autori. Che, va aggiunto, hanno veramente tentato di dare indicazioni di riscatto. Il dolore però sta nella stessa ricerca alimentata e studiata. Nella sensazione di buio che inaugura il contatto con i documenti vissuti dai due attenti esperti della Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno). Il sequestro di futuro descritto da Bianchi e Provenzano è nella stessa domanda retorica “Ma il cielo è sempre più su?”. Oggi che continuiamo a smarrire pezzi di comunità e le comunità sono fatte a pezzi. Oggi che è sempre più difficile resistere, per esempio economicamente, in tanti anfratti del Mezzogiorno. Il libro di Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano, dunque, oltre a essere ingaggiato quale testo possibile per idee d’uscita dalla valvola della morte, lo si ascolta per la sua natura tutta di quadro della situazione generale. Non a caso, tanto per citare, s’apprende che fra qualche decina d’anni al Sud solamente una persona su quattro avrà meno di trent’anni. Come che, e interviste potrebbero aggiornare questa verità al secondo esatto dentro il quale la si legge, due volte a Sud veniamo praticamente ammazzati: pagando il Nord per il mantenimento dei figli e dei figli dei figli, togliendoli dalla possibilità di riabilitazione, lenta ma da tentare, del territorio e dei territori in secca. Ovviamente non si deve pensare a una pubblicazione vista per riparare facendo i conticini con il Nord che assale, seppure così veramente per tanto tempo e per molti versetti è stato, ma d’una saggio indispensabile per ragionare del Meridione. Nelle pagine, è questo non lo si può annullare tra parentesi, lettrice e lettore riprendono in mano il filo tortuoso e di dannazione della stessa Storia del Sud. Quella che sente il Mezzogiorno azzannato dalle partenze praticamente costanti e dagli svenimenti al sole di tutte le possibili e probabili crisi, a tutte le idee di sviluppo da altri marcate. Infine, ed è doveroso rinnovare conferma agli autori, è certo che i vizi e/o le abitudini al servilismo, al clientelismo, alla svendita per un piatto vuoto sono di noi meridionali più che d’altri privilegiati.


Ma il cielo è sempre più su? L’emigrazione meridionale ai tempi di Termini Imerese. Proposte di riscatto per una generazione sotto sequestro, di Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano, Castelvecchi (Roma, 2010), pag. 208, euro 14.00.


mercoledì 17 marzo 2010

Il libro del giorno: La donna gigante di Lidia Ravera (Melampo editore)

Il 3 aprile: nel 1985, nel 1995, nel 2005. Il racconto di un giorno nella vita di una donna. Lo stesso giorno, la stessa donna: a trent'anni, a quaranta, a cinquanta. Il "bisogno di tempo" che si intreccia con i legami familiari, la carriera, l'impegno politico, i dubbi.
E poi gli altri racconti ad alta temperatura "politica": la guerra, la guerra di religione, la guerra alla comprensibile, ma non per questo perdonabile, intolleranza fra "noi" e "loro", fra i fieri oppositori dell'Italia televisiva e amorale e quelli che la adorano.
Protagoniste assolute, donne sull'orlo di una crisi d'identità: appassionate, intelligenti, contraddittorie, esigenti, pazienti, ironiche, ambiziose, a disagio, materne, leggere. Consapevoli della propria fragilità. E per questo più forti. Donne giganti?

Gli aderenti al forum del 19 marzo 2010 alle Cantelmo di Lecce "Salento 2010 - Convergenze possibili"







Prima sessione - ore 9:00-13:00 - Politica/Innovazione/Comunicazione
Moderatore: Prof. Stefano Cristante

Vander Tumiatti (consulente Unep), Antonio Corvino (Osservatorio Banche e Imprese); Andrea Morrone, Flavia Serravezza, Mario Maffei (Il Tacco d’Italia); Roberto Guido (Dirett. Resp. QuiSalento); Tommaso Dimitri (Dirett. Giornale dei Giovani); Tonio Tondo (Redattore La Gazzetta del Mezzogiorno); Francesca Angelozzi, Gabriele De Giorgi (Incima S.r.l. Salentoweb.tv); Giovanni Chiriatti, Francesco D’Autilia (Kurumuny); Andrea Ferreri, Luca Chiriatti, Simone Rollo (Bepress edizioni); Angela Calcagni, Annamaria Mangia (Cognitiva); Claudia Mangé (Centro C.B. Guglielmo Marconi - Vernole); Dott. Pasqua Flore, Dott.ssa Ilenia Colonna (OCP Università del Salento); Andrea Riezzo (La repubblica delle banane - On line Free blog); Felice Blasi (Editorialista Corriere del Mezzogiorno); Dott. Daniele Ferrocino (Vice Presidente CSV Salento); Alessandra Bianco (Redattore La Repubblica Bari); Mauro Marino (Editorialista Paese Nuovo); Luciano Pagano (Musicaos On line Free blog); Antonio Trecca (Il Salentino Editore); Dott.ssa Serenella Molendini (Consigliera Pari Opportunità Prov. Lecce); Graziella Gardini, Angela Passaseo (SME Italia S.r.l.); Sara Foti Scevaliere, Laura Longo (Ripensandoci.com); Daniele Viva (Pinfo); Dott. Antonino Di Vita (Assoc. Culturale Nuove Periferie Surbo); Pino Montinaro (Pino Montinaro Blog’s Revolution);

Seconda sessione - 15:00-17:40 Cultura/Ambiente/Turismo

Moderatore: Pierpaolo Lala

Andrea Ferreri, Luca Chiriatti, Simone Rollo (Bepress edizioni); Angela Calcagni, Annamaria Mangia (Cognitiva); Claudia Mangé (Centro C.B. Guglielmo Marconi - Vernole); Dott. Daniele Ferrocino (Vice Presidente CSV Salento); Arch. Francesco Pellegrino (Pellegrino & Associati S.r.l. Società di Ingegneria); Prof. Giuseppe Botrugno (Pres. Pro Loco Salento - Casarano); Dott.ssa Manuela Miglietta, Antonella Mangia (Soc. Coop. Meltingfood); Dott. Fernando Perrone, Vittorio Tapparini, Massimo Schito (Ass. Tracce Arte Contemporanea); Franco Ungaro, Antonio Giannuzzi (Cantieri Teatrali Koreja), Lino De Matteis (Glocal Editrice); Dott.ssa Anna Blasi (Ass. Cultura Comune di Trepuzzi); Dott. Enrico Capone (Capone Editore); Paola Scialpi, Angela Totaro Aprile, Rita Cesari, (Laboratorio di ricerca sull’arte contemporanea); Prof. Ferdinando Boero (Corso di laurea in Scienze Biologiche - Università del Salento) Dott. Antonino Di Vita (Assoc. Culturale Nuove Periferie Surbo), Dott. Livio Muci, (Casa Editrice Besa - Edizioni Controluce); Dott. Cosimo Lupo, Simone Miri, Antonio Miccoli, Raffaella De Donato (Lupo Editore); Osvaldo Piliego Antonietta Rosato (CoolClub); Massimo Rota (Asso Turismo – Puglia); Stefania Mandulino (Apt – Lecce)

Il pesce pietra di Maddalena Mongiò (Giulio Perrone Lab)




















Conosco da tempo Maddalena Mongiò e ho avuto modo di apprezzare il suo lavoro edito da Manni dal titolo “Il portone sulla piazza” ( con cui è stata finalista al premio Regium Julii come opera prima), un libro singolare a metà strada tra tradizione e innovazione scritturale, carico di coazioni e ossessioni, dove si parla di un Sud fondamentalmente lancinante. Ora la scrittrice salentina porta alla luce una nuova opera dal titolo “Il pesce pietra” per i tipi di Giulio Perrone LAB di Roma, primo volume della collana “Gli ulivi” diretta dall’infaticabile editor Teresa Romano. Il protagonista è Luca Zante, giornalista freelance, che in un giorno come tanti (di quelli in cui non puoi mai immaginare che ti crollerà il mondo addosso), riceve una telefonata dove gli viene annunciato che sua moglie Mara è stata arrestata per associazione a banda armata. Un inizio che scatenerà tutto un fitto intrecciarsi di vicende e destini che si incrociano e si perdono negli interstizi del tempo, in un turbinio di eventi tra alta moda, sesso senza limiti, affari multimiliardari condotti con spregiudicatezza, lotta armata, pesanti “inciuci” tra politica, affari, amanti e … qualcosa che ha a che fare con l’imponderabile.

Zante ricorda tutto dopo ben cinque anni da quella maledetta telefonata, e lo fa attraverso un colloquio confidenziale con i lettori. Spesso emergono dalle viscere della narrazione i tracciati esistenziali di personaggi come Taylor, Marco, Mara, Susanna, Evelina o di intere famiglie come i Saronne o i Lombardi Tanone, inconsapevoli attori di una farsa pericolosa e malevola. Il mosaico che la Mongiò intende presentare a chi avrà l’opportunità di leggere questo lavoro, incalzante e ben scritto, è un mondo fatto di intrighi, tradimenti, grandi bugie, e un omicidio frutto di una delle tante corto-circuitazioni che a ciascuno di noi possono accadere nella vita. In fondo la Mongiò consegna un romanzo dal forte impianto socio-antroplogico, dove va a descrivere le zone morte di una classe sociale alto-borghese oramai alla deriva, e soprattutto lo fa con l’intento di dimostrare come si è fondamentalmente smarrito il senso dell’amore, a maggior ragione quando a parlare è la sete di arrivismo, e la bulimia del potere. In questa seconda prova letteraria l’autrice affronta un romanzo corale in cui i personaggi si raccontano e si mostrano senza alcuna riserva e nessun pudore.

Ora per leggere questo libro non è necessario aver provato l'incandescente esperienza di vita di guidare una Porsche in estate lungo le vie di Positano mentre si assapora l'odore e il colore dei soldi nei luoghi cult dell'establishment vacanziero radical chic da V. I. P. , non è necessario vantare tra i propri avi almeno un conte, un barone o un principe, o aver fatto parte della storia della lotta armata negli anni di piombo, non è necessario insomma avere questo background ontologico, ma è necessario prepararsi a leggere un libro che vi terrà inchiodati con gusto dalla prima all’ultima pagina.

martedì 16 marzo 2010

Il libro del giorno: Romano Bianco, Manlio Castronuovo, "Via Fani ore 9,02 - I testimoni oculari raccontano l'agguato ad Aldo Moro (Nutrimenti)

In occasione della ricorrenza del sequestro di Aldo Moro, la casa editrice Nutrimenti pubblica "Via Fani ore 9.02": un modo per ricordare quel tragico giorno attraverso le voci di coloro che quella mattina, loro malgrado, si trovavano lì. Per la prima volta i testimoni dell’agguato di via Fani parlano tutti insieme: passanti occasionali, residenti della zona, inconsapevoli protagonisti che hanno potuto osservare il rapimento di Moro, l’uccisione della sua scorta, la fuga del commando brigatista. Testimonianze a ridottissimo rischio di manipolazione, rese nelle ore immediatamente successive ai fatti, prive delle distorsioni e delle ritrattazioni frutto del lungo percorso giudiziario. Parole passate al setaccio, che permettono la messa a fuoco di molti particolari, spesso inediti, raccolti in ‘presa diretta’. Le deposizioni ufficiali sono integrate da un ampio apparato di mappe della zona che ha fatto da scenario al sequestro, all’interno delle quali è stata ricostruita minuto per minuto la posizione di tutti coloro che hanno assistito all’agguato, alle sue fasi preparatorie o alla fuga, riportando rigorosamente cosa ognuno dei testimoni ha detto agli inquirenti di aver visto; il mosaico del più grave attentato della storia dell’Italia repubblicana viene così ricomposto attraverso lo sguardo di chi vi ha assistito. La voce narrante e le voci dei testimoni si integrano in un’inchiesta tra saggio e noir, eccezionalmente documentata, che offre nuovi spunti di riflessione. In primo luogo sul motivo per il quale i brigatisti, contrariamente a come hanno raccontato di aver agito, abbiano abbandonato le auto in Via Licinio Calvo in tre differenti momenti: un codice di comunicazione interno del commando, che sancisse l’esito positivo di tre singole fasi dell’azione (primo trasbordo di Moro; tutti i brigatisti al sicuro; Moro nel covo). E ancora, nuovi elementi: come la certezza che l’Alfasud beige, accorsa sulla scena pochi istanti dopo l’operazione, fosse a tutti gli effetti un’auto in borghese appartenente alla Questura; e la figura di Bruno Barbaro, testimone rimasto nell’ombra per quindici anni, e recentemente scoperto legato al colonnello Pastore Stocchi, direttore del centro di addestramento dei ‘gladiatori’ di capo Marrargiu.

GLI AUTORI - Romano Bianco, giornalista, si interessa al caso Moro da quando, bambino, un suo compaesano venne trucidato in via Fani. Dall’adolescenza legge tutto quello che viene pubblicato sull’argomento. È al suo primo libro.

Manlio Castronuovo, saggista, ha pubblicato Vuoto a perdere. Le Brigate Rosse, il rapimento, il processo e l’uccisione di Aldo Moro (Besa, 2007), giunto alla seconda edizione. Sul sito www.vuotoaperdere.org ha promosso il blog NonsoloMoro, un tentativo collettivo di chiusura degli anni di piombo.

Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società per Azioni felici). Seconda parte a cura di Daniela Cecere




















Come funziona l’Interstellare degli editori casalinghi?


L’Interstellare è una libera congrega di persone che si fanno i libri propri, serve per mantenere contatti tra colleghi, serve per scambiare libelli creativi, serve per creare libelli collettivi e libelli circolari o per dar vita a collaborazioni. Chiunque abbia realizzato almeno tre titoli con una tiratura minima di dieci esemplari per titolo è benvenuto. Chiaramente stiamo parlando di editoria creativa, quindi i libelli devono avere degli interventi manuali (anche minimi) su ogni esemplare. L'adesione è felicemente gratuita.

Quali libri o casa editrice preferite del circuito “classico”? Cosa vorreste veder pubblicato?

Che opinione avete dell’editoria in genere?

Per noi, in principio era il Libro. Amiamo i libri nel senso più vasto che riusciamo ad immaginare e a concepire. Li leggiamo, li scambiamo, li scriviamo, li facciamo, li regaliamo, li vendiamo, li recuperiamo quando vengono buttati e li utilizziamo anche per la realizzazione di installazioni come, ad esempio, la nostra Libraffa: una bestia di più di due metri con corpo di libri e faccia di giraffa.
L’editoria ordinaria è certamente una bella cosa, ha dato al mondo la possibilità di diffondere su larghissima scala un oggetto come il libro, un oggetto che può letteralmente e letterariamente cambiarti la vita.
L’editoria ordinaria, però, ha dei precisi vincoli legati al mercato del libro, alla serialità e, per esempio, non potrà mai permettersi il lusso di pubblicare libelli creativi. Gli editori,poi, soprattutto quelli di qualità, sono quasi sempre strozzati da necessità economiche ed è molto difficile che riescano a diffondere ciò che amano davvero. L’editoria ordinaria, però, ha monopolizzato il concetto stesso di libro fino al punto che nella mente di una persona il libro è solo ed esclusivamente quello che esce da una tipografia, cioè un prodotto industriale. In realtà, un libro può essere autoprodotto con tante diverse tecniche senza che, di certo, perda la sua dignità di libro. Inoltre basta pensare a Depero con il suo Libro Imbullonato o a Bruno Munari con i suoi Libri Illeggibili per comprendere che un libro è molto, molto di più. Non abbiamo editori preferiti, ci piace pensare ai libri più che alle linee editoriali. E poi quando leggi tanto, il concetto dei “preferiti” è veramente troppo largo. Noi spaziamo da Virginia Woolf a Stefano Benni, da Bruce Sterling a Henry Thoreau, da Kafka a Hakim Bey, da Luce Irigary a Carla Lonzi. E poi ci piacciono i libri per bambini, i gialli degli anni cinquanta e la fantascienza di Ursula Le Guin. Ma se proprio vuoi un favorito possiamo offrire “Il bambino dai pollici verdi” di Maurice Druon della Sellerio. Lo mettiamo scherzosamente sul podio soprattutto perché lo abbiamo letto ad alta voce più di una volta con dei bambini ed è stato un grandissimo piacere! E poi, non possiamo esimerci dal segnalare un vero poeta di strada, Silvestro Sentiero e il suo meraviglioso libro: “Nude Passeggiate” La Pannocchia Editrice. Lo metteremmo insieme al Grande Fosco Maraini con il suo “Gnòsi delle Fànfole” Baldini e Castoldi Editore.

Che rapporto avete con le arti visive? Girate per mostre? Avete un artista preferito?

Le mostre, le performance e gli eventi artistici in genere ci hanno sempre interessati, sono una forma di nutrimento molto importante. Da un po’ di anni, però, da quando abitiamo sulle colline, è abbastanza difficile riuscire a spostarsi e seguire l’arte contemporanea che, purtroppo, gira soprattutto nelle città. Per quanto riguarda le nostre preferenze, si situano decisamente in una zona dadaista, quasi patafisica con qualche spruzzo di indispensabile paroliberismo futurista. I dadaisti ci hanno sempre affascinato per il loro approccio fortemente provocatorio, per l’uso sfrenato del collage, per la loro innata predisposizione al demenziale, al dissacrante. Già dagli anni venti avevano un’invidiabile lucidità antiartistica e giocosa e si permettevano sperimentazioni che, ancora oggi, lasciano stupiti. E poi, nel mondo dada, da Picabia a Duchamp, non c’era lo spazio per il mito del Grande Artista, anzi sono stati proprio loro a farlo rotolare a terra tra le risate generali.
Spesso diciamo di amare così tanto l’arte da permetterci di prenderla in giro! È per questo che abbiamo realizzato un libello dal titolo “L’arte come merda, la merda come arte (Non adatto agli artisti troppo seri)”.

Come dovrebbe essere, nella vostra visione, l’evento culturale ideale?

L’evento culturale ideale è per noi una festa del libro che prenda in considerazione l’editoria in tutte le sue infinite e ricchissime sfaccettature. Una festa che abbia il coraggio di invitare e mostrare tutte, ma proprio tutte quelle entità che ruotano intorno al concetto di libro: piccoli editori, microeditori, autoproduzioni, fanzine, libri d’artista, libelli creativi, autoeditori, fumettari, sperimentatori, libri antiartistici, etichette indipendenti, collezionisti, poeti di strada, book-crosser, reading, collettivi di scrittrici, poesie dorsali, bloggers, installazioni libresche, libri introvabili, libri antichi, libri mai mai visti...Un festa del libro, però, che non diventi un piccolo disastro ambientale, quindi niente piatti e bicchieri di plastica e niente cibo che causi la morte degli animali. E poi, questa poliedrica e multiforme follia dovrebbe svolgersi in parte all’aperto, ma in parte al chiuso perché i libri temono molto sia la pioggia che il sole cocente. Un evento culturale del genere scatenerebbe una serie infinita di connessioni, complicità, amicizie, collaborazioni. Sarebbe il metodo migliore per dar l’avvio alla Nuova Libresca Età dell’oro.

Nuovi progetti? Cosa bolle in pentola?

Da un po’ di tempo, tutte le domeniche, andiamo al canile di Camerino, un cittadina a qualche chilometro da casa nostra, per dare una mano. La cosa più importante è portare i cani fuori per una passeggiata. Molti, purtroppo, non escono dai box per settimane. Questa esperienza ci ha dato l’ispirazione per realizzare un libello sull’argomento. Si tratta di un breve romanzo dal titolo Vita da canile. È una storia di fantasia che ha per protagonisti Logan, un cane ritenuto pericoloso perché addestrato con metodi violenti e maltrattamenti vari al combattimento, e Furio, un giovane volontario del canile che cerca di recuperarlo. Con questo libello abbiamo tentato di esternare le strane emozioni che si provano trascorrendo qualche ora in un canile, vivendo a stretto contatto con questi animali, tutti con una loro spiccata personalità, tutti con una particolare e difficile storia.

Poi stiamo ampliando le varie opzioni di assistenza per chi decide di passare all’azione e farsi il proprio libello creativo. Per chi è agli inizi, ad esempio, possiamo realizzare l’impaginazione e l’originale cartaceo. In questo modo l’autore diventa indipendente e, con qualche fotocopia e altri piccoli accorgimenti, già parte con la prima tiratura. Oppure forniamo il libello già fatto che potrà essere utilizzato come campione per proseguire in autonomia. Ma le opzioni sono tante e tutte da esplorare. Poi stiamo progettando un nuovo libello collettivo sul futuro del libro, sugli e-book che, questa volta, entreranno davvero nel nostro quotidiano. In effetti, pare che, tra i venticinque milioni di italiani che navigano in rete, uno su due cerchi informazioni sugli e-book. A noi interessa il discorso dell’ipotetica smaterializzazione dell’oggetto libro con tutte le sue conseguenze.


Scenderete a trovarci in Puglia, se ci sarà l’occasione?

Certo, se organizzate il nostro evento culturale ideale, non mancheremo!

Lasciate un messaggio pubblicitario, se volete.

Qualcuno ci sta facendo fessi. Qualcuno, da anni, sta cercando di farci credere che noi non possiamo farci i nostri libri, che non possiamo diffondere le nostre idee, le nostre visioni, le nostre storie, le nostre invenzioni, le nostre follie che, imbizzarrite, saltano lo steccato alla volta di nuove dimensioni. Vogliono farci credere che tutte queste nostre righe lanciate nella più intrigante e incontenibile libertà, se davvero aspirano al nobile rango di libro, debbano essere domate e ricondotte alla ragione, alla logica, alla coerenza. Che debbano essere rivedute e corrette per diventar presentabili agli occhi degli Specialisti in Materia. Noi dichiariamo la libertà dei libri! Noi, che da anni ci facciamo i libri nostri, dichiariamo che chiunque può fare altrettanto per partecipare alla festa dell'editoria creativa casalinga: un nuovo livello libresco che sovvertirà l'ordine editorial-globalizzato dell'universo. E dunque è a gran voce che aggiungiamo: Fatti i libri tuoi! Chiuditi nel tuo bugigattolo pieno di scartoffie, ritagli, carte, cartoni, cordine. Prendi i tuoi testi stonati che intonano inni spregiudicati e, invece di educarli al bon-ton-editorial-seriale, trasformali in magici pezzi unici, in preziosissime tirature limitate, in liberi libri che si librano come libellule belle fino alle stelle.

Tratto da “Fatti i libri tuoi (Breviario di Editoria Creativa Casalinga)” di Troglodita Tribe S.p.A.f. Libello arricchito con interventi manuali, strappi e collage. Lo trovi solo su http://trogloditatribe.wordpress.com

lunedì 15 marzo 2010

Il libro del giorno: L'acchiapparatti di Francesco Barbi (Baldini & Castoldi)

Pochi a Tilos conoscono il nome di Ghescik. Lui è soltanto il becchino, l’ometto gobbo e storpio che vive al cimitero, ai margini del paese. Pochissimi sanno che coltiva una passione insana per la feldspina e gli scritti antichi. Solo lo strambo acchiapparatti gli è amico.
Notte fonda. Al sicuro tra le mura della casa-torre diroccata, Zaccaria sta rimproverando uno dei suoi gatti quando qualcuno bussa alla porta. Il becchino si presenta con un libro rilegato in pelle scura, che sostiene di aver vinto grazie a una scommessa con lo speziale. Risale a epoche in cui la magia non era stata ancora messa al bando e sembrerebbe contenere le memorie di un defunto negromante. Ghescik non fa parola dello strano diadema rinvenuto in un sotterraneo della «torre maledetta», ma ha un solo modo per scoprire se certi suoi sospetti sono fondati: far tradurre il libro a Zaccaria che, inspiegabilmente, ha sempre avuto grandi doti come decifratore delle lingue arcane…
Inseguiti dagli sgherri dello speziale, becchino e acchiapparatti verranno catapultati nei meandri di una vicenda terribile che non coinvolgerà i soliti eroi, ma una compagine di personaggi inconsueti: un cacciatore di taglie sfigurato, una prostituta dalle molte risorse, un gigante che parla per proverbi sgrammaticati e una schiera di feroci tagliagole. Ma quale legame esiste tra il misterioso diadema e la terrificante creatura rinchiusa da secoli nelle segrete di Giloc?
Un viaggio rocambolesco, tra presagi e inganni, esecuzioni ed evasioni, attraverso atmosfere cupe e sanguinarie che rievocano gli aspetti più grotteschi dell’Alto Medioevo. Una storia avvincente, tanto insolita quanto indimenticabile, in cui convivono suspense e orrore, tenerezza e ilarità.

«Furti, razzie, stupri, omicidi. Numerosi erano i crimini commessi in quell’epoca nelle Terre di Confine. Poiché scelleratezza e barbarie imperversavano in ogni dove, le punizioni e le condanne, sommariamente assegnate, non potevano che essere molto dure…
Ogni paese aveva il suo sistema. A Brunosco l’esecuzione si attuava tramite impiccagione, una pratica piuttosto banale. A Burik il reo veniva interrato fino al petto e quindi lapidato dalla folla. Sulle mura di Tambulin i condannati erano lasciati a penzolare per giorni in gabbiotti di ferro. A Fontecheta si legava il malcapitato a un masso e lo si gettava nel Riomaggiore, mentre sulle piazze centrali di Fortevia e Valbel erano sempre pronti i patiboli per le decapitazioni. Nel fossato di Tilos, infine, il condannato correva nel vano tentativo di sfuggire a un branco di cani affamati. Ma era il signore di Giloc a vantare lo spettacolo di gran lunga più eccitante. Qui, la pena di morte si chiamava Il Buco.»

Francesco Barbi è nato a Pisa nel 1975. Laureato in Scienze Fisiche, è insegnante di matematica e fisica nelle scuole superiori. Da sempre inventore e costruttore di storie, scrive per dar voce ai suoi personaggi interni, imbrigliare e condividere le sue «visioni».

Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società per Azioni felici). Parte 1 a cura di Daniela Cecere


















Ho avuto il piacere di conoscere la Troglodita Tribe, nelle persone di Lella e Fabio, poco più di un anno fa: loro occupavano uno stand nella fiera “Cartacanta” di Civitanova Marche. Il loro spazio non passava inosservato. Era decisamente quello più colorato e conteneva il materiale più “inedito”, appunto perché “non – edito”: libri o libelli di tutte le dimensioni, realizzati con carta di tutti i tipi, compresa quella riciclata dai biglietti del tram, al confine tra fanzine e libro d’artista, tra raffinato e grezzo. Libri prodotti dall’”editoria casalinga”, della quale il sito dei nostri ci da la definizione: “L’editoria creativa casalinga è una tecnica per la realizzazione di libri fatti in casa. Prevede l’autoproduzione in tutte le sue fasi (scrittura, taglio, rilegatura, manipolazione, inserimento di oggetti, distribuzione, scambio, baratto e/o vendita). I testi e qualche immagine vengono spesso fotocopiati, ma l’oggetto libro contiene sempre e comunque tocchi manuali che ne caratterizzano l’anima casalinga. Non avremo quindi delle copie, ma dei veri e propri esemplari, ciascuno con piccoli differenti particolari.” Per farsi un’idea, consiglio a tutti di visitare il sito http://trogloditatribe.wordpress.com/ . Lascio lo spazio all’intervista con i nostri.

Come nasce l’idea di “costruire” i vostri libri?

I nostri libelli creativi nascono da un incontro, un vero e proprio incontro d’amore in cui le passioni di due bipedi si fondono nel tentativo di creare qualcosa di nuovo, qualcosa che emozioni e dia piacere. Quindi, nel nostro caso, abbiamo la passione per la scrittura e quella per la manipolazione cartacea, per il collage, per il ribaldo ribaltamento di cartoline e immagini pubblicitarie.

Come nasce l’idea? Prendi uno scrittore, prendi un’artista riciclatrice, prendi il loro incontro, il loro desiderio di abbandonare qualunque forma di lavoro che preveda sbadigli e frustrazione, ed ecco che ottieni le nostre prime cartoline truccate, i nostri primi biglietti poetici che vendevamo in strada durante i festival, i concerti, i mercatini a Milano. È stata un’esperienza forte e bella. Lella creava immagini, soprattutto con la tecnica del collage e io, Fabio, scrivevo testi provocatori, poetici, ironici che si adattassero a quell’immagine. Mi divertivo un sacco, giocavo con le parole, con le rime, con le assonanze, con i doppi e tripli sensi. La strada è una scuola straordinaria, in quel periodo abbiamo prodotto tantissimo, abbiamo affinato le tecniche, abbiamo portato alla gente quello sapevamo fare, quello che amavamo fare.

I libelli creativi sono stati la naturale evoluzione di quelle provocazioni poetiche, ma nascono in un secondo momento, dopo l’esperienza con l’editoria ordinaria.

Quale è stato il vostro primo “libello”? Qual è la scintilla che origina un singolo “libello”?

Abbiamo cominciato pubblicando libri con piccoli editori e l’esperienza è stata fondamentale, ci ha permesso di esplorare dall’interno un mondo che ci aveva sempre attratto e incuriosito. Poi, quando è venuto il momento di presentare “L’irresistibile tenerezza della spazzatura (germogli di post-ambientalismo)” è scattato qualcosa.

Devi sapere che eravamo negli anni novanta e ancora non si parlava tanto di decrescita, di riciclo, di frugalità e quindi abbiamo pensato a questo testo sulla figura dei raccoglitori urbani: gente che recupera, aggiusta, scambia e vende ciò che viene condannato al termine spazzatura. Però volevamo che il messaggio fosse un po’ più radicale e così abbiamo deciso che il libro doveva essere realizzato solo con materiale di scarto. La copertina, il filo per cucire i fogli, le immagini, tutto materiale di scarto. È così che è nato il primo libello. È così che abbiamo scoperto che non si trattava più di libri, ma di pezzi unici con manipolazioni, interventi, collage, oggetti inseriti; insomma la festa della creatività che sventolava tra le pagine di un’opera irripetibile, ma anche di un esemplare facente parte di una tiratura.

La scintilla che origina un singolo libello è sempre in equilibrio tra ciò che trovi e ciò che hai in mente di scrivere, è un gioco di chiaroscuri tra forma e contenuto, è un’armonia che deve mantenere in vita l’oggetto libro e la sua anima. Noi, seguendo la dada-strada dei primi coraggiosi sperimentatori, vogliamo dimostrare che un libello creativo può essere realizzato con qualunque cosa. Come dicevi abbiamo utilizzato i biglietti del tram, ma anche le cartoline, le lastre radiografiche, i pacchetti di fiammiferi, la tappezzeria, gli scatoloni dei supermercati, i cartamodelli, i cataloghi di moda, gli scarti tipografici, le scatole dei cioccolatini... L’elenco è veramente infinito. Quando troviamo qualcosa da recuperare pensiamo subito ad un possibile libello e quando ci viene in mente qualcosa da scrivere pensiamo subito ad un possibile recupero.

Di “libelli” si può vivere, nel senso più “materialistico” del termine? La vendita di un libro, oltre che gioia per chi lo fa e chi lo acquista (che già è tanto), produce il pagamento delle bollette?

Questa è la domanda più difficile, e naturalmente ce la pongono spessissimo. L’unica possibile risposta è: dipende! Dipende dall’entità e della quantità di bollette, dipende dallo stile di vita, dipende, soprattutto, dalle tue priorità. Per noi mantenersi significa principalmente mantenere un buon livello di libertà, di realizzazione personale e di felicità. Quindi la nostra editoria creativa ci basta. Tieni conto che da qualche anno abitiamo sulle colline, coltiviamo un orto, raccogliamo noci, nocciole, castagne, erbe selvatiche; tieni conto che uno dei nostri ultimi libelli si intitola “Facile Felice Frugale”; tieni conto che amiamo molto la filosofia Wabi-Sabi, quella che dice: riducete all’essenziale, ma senza eliminare la poesia.

Come funziona la vostra attività? Avete una rete di collegamenti?

Avete collaborazioni e/o collaboratori?

La nostra vita non ha una reale suddivisione in tempi di lavoro e tempi di divertimento. I libelli nascono in un’atmosfera casalinga tra una pastasciutta e una tisana; magari l’idea viene mentre andiamo a prendere l’acqua alla fonte o quando vediamo un magnifico cartone colorato e buttato fuori da un supermercato. L’editoria creativa è parte integrante del nostro stare su questo mondo.

Per la distribuzione non abbiamo intermediari, preferiamo un rapporto diretto con gli eventuali fruitori quindi andiamo alle fiere e alle rassegne della piccola editoria indipendente, ma anche alle fiere e alle feste del riciclo, del consumo critico, della decrescita...E poi c’è il sito dove è possibile vedere le foto di tutti i libelli, abbiamo da poco superato i cento titoli.

Quando si crea una sintonia ci piace molto lavorare con altre persone perché il libello, così, si arricchisce e mostra un livello creativo più ampio scatenando reazioni felicemente feconde. Proprio per questo realizziamo anche libelli collettivi. Seguendo lo stile della mail-art proponiamo una tematica e, chi desidera aderire, può mandarci il suo intervento scritto, disegnato, fotografato...Alla fine, mettiamo insieme il materiale e facciamo una piccola tiratura. Chi ha partecipato riceve uno degli esemplari prodotti.

Esistono figure che possono paragonarsi al collezionista per quanto riguarda le vostre produzioni?

Si certo, i collezionisti sono attratti principalmente dai pezzi unici o dalle tirature numerate. Soprattutto in Francia o in Inghilterra il concetto di libro travalica il solito volume da tipografia e quindi gli amatori sono molto interessati alle infinite e bizzarre variazioni sul tema. Qui in Italia forse è ancora presto, la gente è troppo legata al nome famoso da vetrina, o da trasmissione da salotto. Fortunatamente ci sono le persone giovani che riescono ad apprezzare la provocazione grafica, il riciclo artistico, la leggerezza di un’editoria diversa, lo straniamento generato dall’utilizzo di materiali improbabili che dissacrano e rinnovano il vecchio concetto di libro. In effetti produciamo tirature particolarmente elaborate, ma abbiamo anche libelli agili e frizzanti come i mail-book che sono assaggi di saggi sdraiati tra due cartoline. Sono molto provocatori, i titoli spaziano da La sfiga non esiste a Ozio estremo, da Mistica dello scrocco a Elogio della fuga...

Ci sono altri come voi?

Siamo convinti che la biodiversità editoriale, anche in Italia, sia ancora viva e vegeta e, di conseguenza, diamo per scontato che molte altre persone utilizzino la propria creatività per inventare, ribaltare e scomporre in mille palline colorate il concetto stesso di libro. Il punto è che queste persone, spesso, non escono allo scoperto.
Il desiderio di farsi il proprio libro è un fatto naturale, circola frizzante e vivace nel sangue di quasi tutti quelli che amano scrivere, disegnare, fotografare, cucire, tagliuzzare ed esprimersi con le tecniche più disparate. Purtroppo, però, il mito dello Scrittore Famoso che firma copie e guadagna treni di soldi, ha monopolizzato l’immaginario fino a bloccare totalmente lo spirito giocoso e avventuroso che dovrebbe caratterizzare qualunque progetto editoriale. È questo il vero guaio, il vero problema dell’editoria. Noi cerchiamo in tutti modi di risvegliare l’immaginario di chi scrive! Abbiamo anche realizzato un romanzo (Il pianeta degli scrittori e delle scrittrici) i cui personaggi sono tutti scrittori e, tutti, hanno validi motivi per uccidere lo Scrittore Famoso. I personaggi/scrittori sono tanti quante sono le lettere dell’alfabeto e, i loro nomi e cognomi, iniziano con la relativa lettera (Alonso Alani, Beba Berti, Camelia Calci...). Sono tutti scrittori estremi, particolari, ribelli che, in fondo, non riescono ad accettare un’unica definizione del concetto stesso di scrittore.
Comunque, frequentando con il nostro stand parecchie fiere del libro, ci capita spesso di parlare con persone che hanno il classico “manoscritto” nel cassetto e, a tutti, proponiamo di farsi il proprio libro, di autoprodursi la prima piccola tiratura creativa, di passare all’azione.
E poi siamo alla perenne ricerca di colleghi. Per ora ne abbiamo trovati ben tre: La Libera e Senza Impegni di Milano, la Verso Casa di Firenze, La Innesto Irreale di Bologna. Ciascuno produce i suoi libelli con stili e tecniche completamente differenti. È questo il bello dell’Editoria Creativa Casalinga! Così abbiamo deciso di metterci insieme e di dare alla luce una vera e propria Interstellare dell’Editoria Creativa Casalinga.

domenica 14 marzo 2010

Il libro del giorno: La tempesta. Il mistero di Giorgione (Morganti) di Paolo Mauresing

Uno scrittore giunge a Venezia per preparare la sceneggiatura di un film tratto dal Carteggio Aspern di Henry James. Nella città incontra l'affascinante Olimpia, che gli confida d'aver ritrovato un taccuino del romanziere americano e un racconto inedito ispirato alla figura del pittore Giorgione e al suo quadro più enigmatico, La Tempesta. Lo scrittore, attratto dal fascino della donna e desideroso di poter avere il prezioso carteggio jamesiano, avrà modo di incontrare un gruppo di studiosi, impegnati a svelare il messaggio che il pittore ha celato nel quadro che colpì anche Henry James. Attraverso un abile artifizio letterario, Maurensig fa rivivere la Venezia ottocentesca alternandola a quella odierna. Tutti i protagonisti, di ieri e di oggi, legati dall' attrazione per La Tempesta, si muovono tra calli, campielli e palazzi, cercando di svelare il messaggio esoterico celato dal Giorgione nel quadro; costui fu un personaggio unico, che visse e morì misteriosamente. Lo scrittore offre al lettore la propria personalissima, e assai convincente, interpretazione sulla simbologia del quadro e sulla personalità del pittore, scomodando teorie ermetiche, dottrine rosacrociane e massoniche.

Due creativi in libertà di Angela Leucci




Giovanni e Francesco sono due ragazzi. Sono molto giovani, ma questo non conta, perché quando si ha un sogno fin da bambini si finisce per trascurare il tempo che passa. E allora Giovanni e Francesco, dopo il liceo, vanno a Roma, alla facoltà di Arti e Scienze dello Spettacolo presso l'università La Sapienza, dove apprendono tecnica, fotografia e tutto quello che serve per trasformare il loro sogno in realtà. Ma quello del filmaker è un lavoro che si deve avere nel sangue, perché un bravo regista o un bravo sceneggiatore devono visualizzare la scena nella loro mente prima di girarla. E, in fondo, la tecnica non è tutto, e talvolta, nel senso lynchiano del termine, finiamo per temere che la tecnologia ci allontani da un sensibile sentire, dal cuore.

Giovanni (Vincenti) e Francesco (Luperto) sono in postproduzione con due nuovi cortometraggi, di cui uno in tandem, e l'altro del solo Luperto. Quest'ultimo corto, che ha visto la collaborazione storica dello studioso Salvatore Coppola, è un documentario ispirato alla figura del sindacalista salentino Pietro Refolo, in esilio in Francia durante il secondo conflitto mondiale, per sfuggire alla repressione fascista. Una figura interessante quella di Refolo, che “non si mise mai il cappello”, per così dire, non si piegò mai rinnegando i propri ideali, una figura da ammirare indipendentemente dalle nostre tendenze politiche. “Il mio desiderio non è spinto da ideali politici di parte – ha spiegato il giovane regista alla Gazzetta del Mezzogiorno – ma dalla volontà che la memoria storica su chi ha combattuto per la libertà, anche del nostro Salento, non vada perduta”.

Ma veniamo al corto che vede la regia a quattro mani di Vincenti e Luperto, dal titolo “Sua mafiesità”, una storia ambientata nel Salento, che parla del Salento attraverso i suoi luoghi e la sua “lingua”, l'idioma dialettale che fa sì che la narrazione sia più realistica. In “Sua mafiesità” non c'è nulla di reale, al di là dei possibili riferimenti a fatti a persone, che i due disseminano nel filmato, e che sono meramente casuali o forse no. Una tecnica che si ispira a quella modaiola di Quentin Tarantino, parodiato, portato all'eccesso fino quasi alla derisone, con un corollario, l'interpretazione magistrale, seriosa e seria a un tempo, di Simone de Lorenzis, attore, come si diceva al tempo del Neorealismo, “preso dalla strada”.

Questi due giovani registi hanno saputo raccogliere in pieno la parabola postmoderna e fanno sfoggio di quell'Orfeo, smembrato sì da donne tracie e da flussi di coscienza, ma ricoperto di sangue rigorosamente finto. Entrambi i corti saranno distribuiti dal prossimo aprile nei circuiti underground.

sabato 13 marzo 2010

Il libro del giorno: Banda larga di Vincenzo Pardini (Fandango)

Donata è una donna misteriosa dalla vita apparentemente irreprensibile. Eppure in casa sua nasconde un grande serpente che un cinese le ha venduto come "animale d'affezione e compagnia". Donata coltiva nel suo privato una torbida sessualità che la porta a relazioni ambigue, con uomini e con donne, finché il giro delle sue conoscenze inizia a essere scosso da morti accidentali... tutte molto sospette. Inizia con "La moglie del serpente" questa raccolta di storie criminali firmata da Vincenzo Pardini. In "Ferrovia parallela" il protagonista è in servizio sui treni e rimane prigioniero di un vagone, da cui non scenderà forse più, per un viaggio mozzafiato nelle viscere della terra. L'avventura non si conclude, resta aperta nel mezzo di una campagna innevata, forse la Siberia. La novella "Banda randagia" è la vicenda di un operaio che rinviene per caso in una cartiera una pistola. L'apparente routine di tutti i giorni verrà quindi sconvolta e il tranquillo operaio si trasformerà in un serial killer sanguinario, una spirale che si fermerà quando irromperà una banda di cani randagi. Sin dal primo racconto di questo libro fuori dal comune, si entra nel mondo di Vincenzo Pardini. Emozioni, passione, sangue, sensualità, misfatto e giustizia.

Un giorno come lei di Isabella Marchiolo (Abramo editore). Intervento di Rossella Montemurro

La famiglia rifugio, nido sicuro, àncora di salvataggio nei momenti critici. Dimenticate tutto questo: dopo la lettura di “Un giorno come lei” (Abramo, collana Le Onde) di Isabella Marchiolo, del concetto classico di famiglia rimarrà un ricordo sbiadito. C’è una madre, Catena, che ha deciso di fuggire e a causa del suo “colpo di testa” dettato dal coraggio o dall’incoscienza di inseguire quello che crede essere il “vero amore”, ferisce in modo irreparabile il marito e i due figli,Lorenza e Federico. Due giovani vite, queste ultime, che si troveranno a fare i conti con un dolore probabilmente mai affrontato del tutto, tanto da rimanere imprigionate in una condizione, essenzialmente psicologica, di perenne “sospensione”: Federico, tutto d’un pezzo sul lavoro ma incapace di sciogliere alcuni nodi nel privato (si rifiuta, ad esempio, di chiedere spiegazioni a Tiziana, la sua ex, sui motivi che l’hanno spinta a lasciarlo ad un passo dall’altare); Lorenza, donna forte solo in apparenza, capace di accettare la sfida del rischio, reinventandosi in una torbida doppia vita. Di “Un giorno come lei” colpisce la scrittura introspettiva che rende molto bene la complessità dei protagonisti e delle loro storie: è una trama che non lascia indifferenti e che non ha paura di misurarsi con alcune tematiche (il senso materno, la famiglia, il tradimento, solo per citarne alcune) completamente rivisitate, con forza, dall’autrice.

Il tuo è un romanzo “ispirato alle vite di quelli che scappano, per la fragilità. A quelli che restano, per il coraggio”. Hai affermato di aver conosciuto tanta gente che scappa e tra loro c’eri anche tu ma non sei mai riuscita ad andare fino in fondo. Quanto è stato terapeutico scrivere “Un giorno come lei”?
«E’ stato terapeutico scriverlo e soprattutto rileggerlo quando il mio personale “istinto fuggiasco” svaporava lentamente in una nuova consapevolezza di me stessa. E mentre ero al lavoro sulla revisione pensavo che il romanzo era anche un “dono di commiato”. Mi spiego: credo che la maggior parte degli esseri umani, in almeno un momento della vita, abbia desiderato scappare da qualcosa. Per alcuni (come Lorenza), la fuga è la rottura, l’evasione da un mondo che non si sente affine; per altri (come Catena), la fuga coincide con l’impossibile volontà di bloccare nel tempo un destino felice (o che si crede sia felice), per esempio un grande amore. A Lorenza ho regalato la possibilità di attraversare due vite e uscirne indenne, cambiando il corso delle cose, anche da sola e contro tutti. A Catena ho regalato l’utopia più dolce e irreale, quella di salvare l’irrimediabile declino di un amore, e per declino intendo il naturale “invecchiamento” di certi sentimenti che, al loro acme, sembrano promesse di felicità assoluta e senza ombre. Questo, se ricordi, era già il tema dell’ultimo racconto di “Comuni immortali”, ma lì i due amanti sceglievano una soluzione ancor più estrema per “conservare” l’eternità della passione».
Tra famiglie irrimediabilmente sgretolate e famiglie che non si comporranno mai (penso a Lorenza), alla fine quello che viene fuori è un ritratto molto disilluso della realtà contemporanea. La famiglia, che dovrebbe essere un nucleo protettivo, diventa invece in “Un giorno come lei” spesso causa di dolore. Per effetto di una reazione a catena, genitori, figli e amanti si ritrovano a vivere vite frammentate, per colpa di scelte dettate dall’emotività e dalla passione. C’è sempre l’assenza, volontaria, di qualcuno che provoca ferite difficilmente rimarginabili. E chi è rimasto è costretto a vivere in una sorta di “sospensione”, tra passato e presente. Pur di non rimanere soli, alcuni protagonisti sono disposti a fare scelte controcorrente. Hai ribaltato con coraggio il concetto di “famiglia”.
«Credo che oggi la famiglia stia sperimentando nuove forme di aggregazione e affettività. Ci sono le coppie di fatto, e tra queste le coppie gay. Ci sono sempre più famiglie allargate dove gli ex, anziché farsi la guerra, si aprono alla frequentazione dei nuclei nati dalle separazioni, sebbene lo facciano soprattutto per il bene dei figli. Non credo, come sostengono i “family men” cattolici, che queste novità sociali indeboliscano il concetto di famiglia. Anzi, queste forme contemporanee di stare insieme rafforzano l’idea che la famiglia sia un valore irrinunciabile, qualcosa di cui non possiamo fare a meno. Idea che mi trova d’accordo, mentre non sono affatto d’accordo sui fondamentalismi attorno al concetto di famiglia. In questo senso, le scelte spesso trasgressive dei personaggi nel mio romanzo sono una provocazione. Le storie di Catena, Lorenza o Federico, dimostrano quanto male possa fare una famiglia fondata solo sugli schemi, sul muro delle apparenze e delle convenzioni. Da madre, io non riuscirei a compiere la scelta di Catena perché nella maternità ho scoperto la mia autentica essenza, ho trovato la realizzazione di me stessa. Ma non significa che con questo io sia legittimata a giudicarla: quello di Catena è di certo un comportamento che sciocca e provoca dolori non rimarginabili, ma a nessuno spetta emettere giudizi. Essere madre non annulla l’essere persona: ci sono anche donne che non si riconoscono appieno nella maternità, e questa contraddizione porta con sé traumi personali dilanianti. E se non si è donne consapevoli non si può essere madri felici, neppure se la natura ha fecondato un altro essere umano nel proprio corpo».
Il rapporto tra Lorenza e Federico lascia presagire l’ombra dell’incesto, anche solo immaginato.
«Il sentimento che lega Lorenza e Federico è forte e doloroso. Nella loro affinità, nella loro attrazione, i due fratelli tentano di colmare un vuoto, una ferita aperta nell’infanzia e mai suturata. Fino a dove potrà spingersi la pulsione dell’uno verso l’altra è un limite “aperto”, che lascio alla delicatezza – o al coraggio – del lettore».
Nel romanzo racconti anche di due bambini scomparsi. Inevitabile pensare alla vicenda dei fratellini di Gravina. E’ una storia che ti ha colpita in modo particolare?
«Sì, mi ha colpito subito soprattutto la possibilità che, com’è ovvio, mai nessuno, nella cruda evidenza delle indagini, ha voluto dare alla storia di Ciccio e Tore: quella che fossero fuggiti di propria volontà e che, in qualche parte del mondo, fossero felici. Quando ho scritto il libro, ancora non sapevamo del tragico epilogo di questa vicenda, ma poi non ho mai pensato di cambiare la mia versione dei fatti. I “miei” fratellini si trovano in un posto molto più bello di quello che, nella realtà, gli ha assegnato la sorte».
E’ una scelta voluta quella dei vocaboli all’inizio di ogni capitolo che hanno a che fare principalmente con tematiche psicologiche (tipo insonnia, stordimento, afasia, dissimulare)?
«Non ho fatto una scelta di questo tipo. Mi interessava sottolineare il rigore del “dizionario Gallucci” in relazione al personaggio di Leandro. E poi ho pensato a un filo subliminale (quello sì, psicologico) con gli stati d'animo vissuti dai personaggi nei vari capitoli».
Quale tra i vari personaggi senti più vicino?
«Un po’ tutti, di certo soprattutto le donne. Amo molto Catena, per la sua fragilità e sincerità. E mentre
scrivevo ho imparato ad amare Anna: un personaggio a me antitetico, al quale sono riuscita a ritrovarmi affine e persino solidale».


Isabella Marchiolo ha pubblicato “Schermi dell’utopia – glossario dei calabresi nel cinema” (Ariel) e “Comuni immortali” (Palomar), vincitore del Premio Anassilaos Giovani.

venerdì 12 marzo 2010

Il libro del giorno: Il cattivo soggetto di Cavalluzzi-Rubini-Starnone (Manni editori)

Il cattivo soggetto è don Lucio, prete in crisi mistica. O forse Mimì Festa, irresistibile farabutto.
Di certo non Odette, incantevole cantante. Il cattivo soggetto è anche la vita che mescola continuamente il Bene dubbioso e fragile e il Male furbo, che assolve e si autoassolve.
È chiesa, prete, bandito, sangue: si guarda scrittura, si vedono mondi. Attraverso un campionario di personaggi, con un ritmo cinematografico, questa commedia gioca continuamente tra il grottesco e il giallo incalzando il lettore con una serie di situazioni a volte comiche, a volte commoventi, sempre avvincenti. La storia è quella di un uomo del Sud, Mimì Festa, che scappa da un passato nero e da una famiglia di malviventi che lo vogliono ammazzare.
Nella sua fuga incontrerà il prete di una piccola e tranquilla contrada, diventerà suo amico, ritroverà una donna e suo figlio e dovrà fare i conti con un’umanità che fino a poco prima sentiva estranea.

Argomento: Narrativa/Collana: Pretesti

Carlo Flamigni, Circostanze casuali (Sellerio editore)




















Come nella migliore tradizione del giallo, una persona conosciuta e rispettabile in società come il notaio Annibale Ricci Ribaldi (in realtà uomo laido e dai tanti vizi), con l’ “aggravante” di essere per giunta ricco di famiglia, viene trovato senza vita nel suo studio. Sorte analoga a distanza di poco tempo spetta all’ostetrica che ha fatto nascere i suoi figli. Un caso intricato e singolare, che viene affidato al questore Primo Casadei e la sua “progenie” di bizzarri investigatori. Quando si parla di un genere letterario come il Giallo, si deve sapere che fondamentalmente esso tende a rappresentare specularmente la vita, con tanto di intrecci di accadimenti casuali e fatti volontari, di tutta una serie di casualità che generano una serie di caoticità fastidiose che spesso però in maniera del tutto autonoma trovano il loro ordine e la loro esatta collocazione. Ovvero per dirla con la teoria del caos, un sistema dinamico si dichiara caotico quando a variazioni infinitesime delle condizioni degli ingressi, corrispondono variazioni finite in uscita. Di Carlo Flamigni, so che vive e lavora a Forlì e che è professore di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università di Bologna. Di lui ho letto “Un tranquillo paese di romagna” appartenente in tutto e per tutto a quei polizieschi lontani sia dal thriller d’azione che dal giallo enigmistico e che mi è piaciuto veramente tanto. Ora torna con “Circostanze Casuali” sempre per i tipi di Sellerio, con l’evidente intenzione da parte dell’autore che questo lavoro letterario non venga letto come un semplice giallo. Romanzo non solo ricco di sesso, ma anche di particolareggiate digressioni di natura sessuale che è meglio lasciare in mano del lettore, per non perdersi il gusto di tutta un’atmosfera fatta di questo, ma anche di malelingue, livori di provincia, e numerosi caratteri vividi, innaffiati da un retrogusto “dolcenero” di Sangiovese. Di solito molti scrittori di giallo sembrano perdere il focus dello stile per cercare di trovare soluzioni scritturali che siano attinenti solo alla suspence e ai colpi di scena, ma non è il caso di Flamigni, che nonostante quella filosofia di vita al sapore di “non ti curar di loro, ma guarda e passa” e che si insinua tra le fitte maglie di questo lavoro (cosa che tra l’altro in tempi come i nostri ricchi di tanto rumore non guasterebbe), Flamigni cura tutto l' intreccio narrativo, realizzando dunque un libro davvero ben scritto e coinvolgente, che segue un intreccio generale (l'inchiesta poliziesca) nelle cui svolte sono intrappolati tanti personaggi i cui destini si gonfiano in una specie di tumultuosa fiumana del destino.

Carlo Flamigni vive e lavora a Forlì. Professore di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università di Bologna, è stato Presidente della S.I.F.E.S. ed è membro del Comitato Nazionale per la bioetica.Presidente onorario dell'A.I.E.D., si occupa principalmente di Fisiopatologia della riproduzione e di Endocrinologia ginecologica. Con “Sellerio” ha pubblicato “Un tranquillo paese di Romagna” (2008).

giovedì 11 marzo 2010

Il libro del giorno: q.b. La cucina quanto basta di Sapo Matteucci (Laterza)

Delizioso, irresistibile, quasi un romanzo: un prontuario di cucina quotidiana per trarsi d’impaccio da ogni emergenza gastronomica. E non solo.
Vi piace mangiare, avete i vostri piatti preferiti e cucinarne degnamente alcuni è il vostro più grande desiderio ma non sapete nemmeno fare le uova strapazzate? I vostri amici sono soliti presentarsi alla porta inattesi, spesso di domenica, e preferibilmente ore pasti, mandandovi nel panico? Amate la buona cucina e provate una certa felicità di fronte a un piatto preparato con cura, specie se accompagnato dal vino giusto, ma la vostra inettitudine ai fornelli è ormai leggenda? ‘Sfamarsi’ da soli è proprio triste? Vorreste essere ricordati e non dimenticati, per un risotto? Siete ancora sotto shock per il vostro ultimo tracollo culinario? La cucina della zia è davvero irripetibile? Questo è il libro perfetto per voi. Arguto, originale, tutto da leggere, zeppo di idee inconcepibilmente semplici, q.b. di Sapo Matteucci è scritto per quelli che, a dirla tutta, non saprebbero cucinare (e forse non avrebbero nemmeno il tempo per imparare a farlo davvero) o temono se stessi in cucina, ma non per questo hanno intenzione di privarsi di un piacere tanto sociale, mondano, raffinato quanto intimo, estetico, esistenziale. Concreto e quotidiano.

Sapo (Saporoso) Matteucci, giornalista, ha lavorato per “Il Globo”, “Bell’Italia” e ha collaborato con “Traveller”. È vissuto a Firenze, Milano, Roma e Torino, dove ha lavorato nella casa editrice Einaudi. Attualmente è direttore responsabile della rivista della Società Italiana Autori ed Editori “Vivaverdi” e collaboratore di “Nuovi Argomenti”. Tra i fornelli c’è sempre stato ma finora solo gli intimi conoscevano le sue ricette.

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