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venerdì 5 marzo 2010

Invisibile di Paul Auster (Einaudi)




















Sembra che Paul Auster nella sua ultima produzione sia affetto da una strana compulsione all’artificiosità. Ma può darsi che si tratti solo di una semplice suggestione superficiale e nulla più. Ad ogni modo, questo grande scrittore torna al pubblico italiano grazie ad Einaudi, con il suo ultimo lavoro dal titolo “Invisibile”. Il libro anche se ben farcito di svariate situazioni e personaggi, al limite del tecnicismo narrativo, risulta di agevole lettura. Basti solo sapere che i colpi di scena sono numerosissimi e si debbono leggere con estrema attenzione per non perdere nemmeno un passaggio. Non voglio minimamente parlare del fatto che questo grande autore ripercorre tutte quelle tematiche care alla letteratura americana e soprattutto si occupa puntualmente della famigerata rielaborazione del lutto in tutte le sue fasi, anche perché rischierei di essere noioso e pedante. Stiamo parlando di un vero e proprio capolavoro, dove cinismo e toni davvero forti sono amalgamati con grande maestria. Per non farla lunga, il lettore non riesce a staccare gli occhi dal libro fino alla fine.

Ricordo che l’ultimo libro che ho letto di quest’autore è stato "Un uomo nel buio", e devo dire che mi aveva lascito senza fiato. Poi quest’ultimo libro denso, dove l’autore fa agire i suoi personaggi in maniera immensamente lucida, anche nelle situazioni più bizzarre. E questa non può essere che definita grandezza totale. La storia vede come attore principe un poeta americano, Adam, (siamo nel 1967) che scrive le sue memorie ancor prima di morire. Auster è geniale nel far dubitare sulla veridicità delle cose scritte dal poeta in questione, sino all’ultimo. Adam è incestuosamente innamorato della sorella, Adam scopa con la francese Margot più matura di lui e che ha un amante di nome Born. Un “quadrangolare” che offre innumerevoli scenari, e che questo grande scrittore riesce a comporre e scomporre a suo totale piacimento. Che Paul Auster sia difficile da capire è fuori questione, soprattutto perché la sua è una tipologia narrativa complessa, piena di innumerevoli zone d’ombra, che paiono create per disorientare più che guidare il lettore pagina dopo pagina.

Ma per noi è più che sufficiente quanto sostenuto da Clancy Martin del New York Times sull’ultimo lavoro di questa grande, grande penna: «Appena finito di leggere Invisibile, lo si vorrebbe leggere di nuovo perché il romanzo si muove velocemente, con disinvoltura, quasi sinuosamente, e finisci per preoccuparti di avere letto alcuni buoni passi troppo in fretta. La prosa è un esempio della scrittura americana contemporanea al suo meglio: fresca, elegante, vivace. Dà quella illusione di facilità che viene solo da una ferrea disciplina. E come accade spesso quando si è nelle mani dei maestri, si legge la frase successiva quasi senza avere finito quella precedente. Se, come nel mio caso, una delle ragioni per cui leggete è il grande piacere di innamorarvi di una storia, allora leggete Invisibile. È il romanzo più bello scritto da Auster».

giovedì 4 marzo 2010

Il libro del giorno: Ho bisogno del tuo amore di Byron Katie (Edizioni Il punto d'Incontro)



















L’autrice di Amare ciò che è ha introdotto migliaia di persone al suo semplice e profondo metodo per trovare la felicità interrogando la mente. Ora, con Ho bisogno del tuo amore - è vero? Byron Katie esamina una fonte d’ansia molto diffusa: le relazioni con gli altri. Con il suo insegnamento innovativo, Katie ti aiuta a mettere in discussione tutto quello che ti è stato detto di fare per ottenere l’amore e l’approvazione degli altri. Scoprirai così come trovare vero amore e creare rapporti personali sinceri. Ho bisogno del tuo amore - è vero? ti aiuta a illuminare tutte le aree della vita in cui sembra che ti manchi ciò che desideri di più: l’amore del coniuge, il rispetto del figlio, la tenerezza dell’amante o la stima dei superiori. Attraverso la sua penetrante indagine, scoprirai rapidamente la falsità dei modi convenzionali di cercare amore e approvazione. Usando il metodo di Byron Katie, esplorerai le convinzioni che causano dolore, su cui hai basato la tua esistenza, e ti rallegrerai nel vederle evaporare. “Tutti sono d’accordo nel dire che l’amore è meraviglioso, tranne quando è terribile. La gente passa tutta la vita tormentata dall’amore, cercandolo, provando a rimanerci aggrappata o sforzandosi di lasciarselo alle spalle. Non molto distante dall’amore c’è un’altra preoccupazione, quella per l’approvazione e l’apprezzamento. Dall’infanzia in poi, molte persone usano gran parte della propria energia nella ricerca incessante di queste cose e sperimentano diversi metodi per essere notati, per piacere, per impressionare e per guadagnarsi l’amore degli altri, pensando che la vita funzioni così. Può diventare una cosa talmente persistente e indiscutibile che non la notiamo quasi più. Questo libro guarda da vicino le cose che funzionano e che non funzionano nella ricerca di amore e approvazione. Ti aiuterà a trovare un modo per essere più felice in amore e più efficace in tutte le tue relazioni. Quello che imparerai qui ti farà sentire appagato in tutti i tipi di relazioni, compresi l’amore romantico, gli appuntamenti galanti, il matrimonio, il lavoro e l’amicizia”. – Byron Katie

Lulù Delacroix di Isabella Santacroce (collana 24/7, Rizzoli)




















Ho lasciato Isabella Santacroce, a “V.M. 18” edito da Fazi. E mi ci sono voluti quasi tre anni per riprendermi dalla negatività di quel lavoro che parla delle disavventure avventurose della criminale, decadente, folle, lubrica Desdemona in oscuri ambienti collegiali dove con l’aiuto di Cassandra e Animone organizza scene in grado di superare la sfrenata fantasia del marchese Donatien-Alphonse-François de Sade. Un lavoro dai contenuti talmente forti da dover essere consigliato ad un pubblico maturo di più di venticinque anni, dove la crudeltà e il narcisismo della scrittrice, la fanno da padroni grazie anche alla grande abilità scritturale della Santacroce che utilizza la lingua come un martello pneumatico in grado però attraverso un equilibrio perfetto di ricercatezza inferica di scolpire descrizioni minuziose e sconvolgenti di rapporti carnali tra i diversi personaggi, e di collegiali ambienti perfetti nella loro nefandezza rococò. Ora la Santacroce approda a Rizzoli nella collana 24/7 forse la più adatta a contenere un uragano come lei. Il suo nuovo lavoro si chiama “Lulù Delacroix” ed è la storia di questa bambina mostruosa ( da intendersi in questo caso nell’accezione di essere che si presenta con caratteristiche estranee al consueto ordine naturale e come tale induce stupore e paura per la sua straordinarietà) nata a Perfect City una sorta di modello sociologicamente artificiale e artificioso dove ogni cosa è assolutamente perfetta. Lulù possiede due occhi singolarmente più grandi rispetto alla consuetudine, si esprime con rara eleganza, ha una pelle eccessivamente diafana, i genitori la rifiutano, le sorelle Ada e Dolores la rendono oggetto delle più feroci angherie. Lulù non ha scelta, non può averla, in un mondo che non la vuole, un mondo che rispecchia esattamente quello fuori dalle pagine di questo libro dove non c’è posto per i diversamente abili e i diversi in genere. Ciascuno di noi può facilmente trarre una specie di insegnamento da questo personaggio, già perché Isabella Santacroce fa divenire Lulù simbolo di tutto quel coraggio che ci manca nell’affrontare dai piccoli ai più grandi soprusi nella vita di ogni giorno. Lulù nella storia, in questa storia, vince su tutto, dopo l’incontro con Mimì, feticcio menomato e mutilato, vera e propria chiave di volta per tutte quelle vicende fantastiche che vivrà con lei nel “Mondo del Mistero”. Di questo libro non sarà facile innamorarsi, lo dico in anticipo,ma una volta che “l’acido viperinico” della Santacroce entrerà in circolo, resterà per sempre in voi!

mercoledì 3 marzo 2010

Brooklyn brucia per il rock. Intervento di Maria Beatrice Protino



















Al Market Hotel
(www.myspace.com/markethotelnyc),
uno dei locali più cool della scena indie-rock di Brooklyn, alle nove di sera, in un grande loft con colonne di cemento armato tipicamente newyorkesi, luci basse e vecchi divani, si suona rock’n roll dietro un organizer attento come Todd P (ovvero Todd Patrick). Todd P è un 34enne del Texas laureato in letteratura inglese trasferitosi a New York nel 2001 che ha scelto di fare proprio questo nella vita: far suonare le band. Quando arriva a Brooklyn non c’era il fermento musicale che è riuscito a creare col suo lavoro di promoter di eventi in questi anni, anzi, al contrario, ormai il rock’n roll non era più considerato coinvolgente se suonato nei locali. L’idea è stata, quindi, di spostare i concerti dai club a locations davvero underground, forse giocando un po’ sul limite della legalità, ma con l’idea di divertire facendo musica e dal “do it youself”, ovvero dell’etica del “fallo da solo”, organizzando, cioè, tutto in prima persona.

La risposta è stata senz’altro superiore alle aspettative: Todd P riceve moltissime e-mail al giorno di gruppi che mandano i loro pezzi chiedendo di potersi esibire. Probabilmente è una delle migliori cose capitate alla musica rock americana dopo gli anni ottanta-novanta: i tempi di Patti Smith, Debbie Harry e Talking Heads.

Oggi il rock ha lasciato la costosissima Manhattan per trasferirsi proprio dall’altra parte del ponte, dove suonano bands dai nomi più fantasiosi e ossessionati dall’idea di autenticità, come i Dirty Projectors, gli Animal Collective, i Liars. La critica è in estasi e le feste e i concerti di ogni sera creano un fermento creativo sistemico e tipico di Brooklyn, per cui le bands vogliono far parte della comunità e si trasferiscono qui da tutti gli Stati Uniti in cerca di posti in cui suonare. Si sta addirittura studiando un sistema in grado di fare maggiori profitti in modo da prevenire il rischio di perdere le bands accattivate dalle major: un’istituzione centrale, una fondazione sponsorizzata sia dal pubblico che dal privato che mantenga le caratteristiche e la filosofia che hanno decretato la fortuna di questa nuova scena musicale e soprattutto… in jeans stretti rigorosamente hipster.

Il libro del giorno: "Non so che viso avesse. La storia della mia vita" di Francesco Guccini (Mondadori)

Montanaro di pianura, nato a Modena, diffidente, avaro di sé, sobrio e bevitore, pigro e serissimo, ma chiacchierone instancabile, Francesco Guccini ha scelto, per la prima volta, di raccontare la sua vita. E ci è riuscito, in questo libro bello e bizzarro, nell'unico modo per lui possibile: fingendo di parlare d'altro, per dire tutto di sé. Per farlo, Guccini organizza una geografia: Pavana col mulino degli avi, i nonni, le nonne e i bisnonni, il bosco, il fiume, la montagna. Modena, odiata e amata, piccola città bastardo posto. Bologna, l'eletta, in via Paolo Fabbri, una vecchia signora dai fianchi un po' molli col seno sul piano padano e il culo sui colli. E poi gli altri luoghi e i loro aneddoti: le osterie, il giornale per sbarcare il lunario (perché cantare non è mica un mestiere), e le balere, dalla via Emilia al West, con gli orchestrali, le giacche con i lustrini, il rock and roll. E ancora: l'amore per il cinema, con gli amici Luciano Ligabue e Leonardo Pieraccioni, per le chitarre, per i fumetti e per l'ottava rima. E infine: il concerto, il luogo dell'incontro col pubblico, secondo una liturgia ritualizzata che comincia con il c'era una volta di "Lunga e diritta correva la strada" di "Canzone per un'amica" per finire con l'epos trionfale di "Non so che viso avesse" della "Locomotiva".

“Un’estate fa” di Camilla Baresani (Bompiani)

Vi ricordate le parole di Tenco: “ah...l'amore l'amore/ quante cose ti fa fare l'amore,/ ah....l'amore l'amore,/quante parole ti fa dire l'amore,/ quanta vita, quante ore/ dedicate all'amore,/ quante frasi dette al vento/ dedicate all'amore…” Ma l’amore cosa rappresenta veramente, cos’è in definitiva. L’amore dura un attimo, o è per sempre? C’è differenza tra amore e Amore Vero? L’amore va alimentato giorno dopo giorno oppure è qualcosa che c’è o non c’è? Insomma l’amore è una faccenda complicata, ma qualcuno ancora ci crede, anche in tempo di crisi. Lo ha fatto Camilla Baresani con il suo “Un’estate fa” edito da Bompiani e che sta riscuotendo consenso di pubblico e di critica. La vicenda narrata si esaurisce nell’arco di un’estate in un alternarsi godibilissimo di personaggi descritti in perenne fluttuazione tra una dirompente voglia di vita e un’altrettanta fragilità che divora qualsiasi proponimento e volontà, proprio magari nel momento di una scelta delicata. Una sorta di debolezza derivante dall’oblìo dell’abitudine. I protagonisti sono: la milanese Erica, giornalista ferrata sui serial televisivi, coniugata con un veterinario; Gerardo, vecchio amico d’infanzia di Erica, fondatore di un’associazione per la tutela dei diritti dei padri separati; Arnaldo, produttore romano, stritolato dalla relazione ripetitiva e monotona con Stella, ricco di vita sociale ma vuoto nell’anima. Una serie di piccoli siparietti quotidiani che verranno perturbati dall’esplosiva quanto inaspettata storia d’amore che scoppia tra Erica e Arnaldo. Da sottolineare che nella mondanità descritta dalla Baresani, tra località chic come Roma, Milano, Capalbio, Cortina e Venezia, dove si alternano inaugurazioni e presentazioni, aleggia magnificamente e in maniera sontuosa, l’ansia da prestazione di cui è affetta la maggior parte degli uomini e delle donne rampanti. Una buia ossessione che nel suo coattivo ripetersi conduce alla deriva. Ad ogni modo in tutto questo intreccio di intrighi e tradimenti, quel mondo non ne esce poi tanto bene. Quello che questa bravissima scrittrice è stata in grado di realizzare con questo suo ultimo lavoro, va al di là credo del semplice descrivere (narrativo) un mondo che forse oggi appartiene ad una “nicchia” di persone. La Baresani, con un suo modo singolarissimo di scrittura che si lascia gustare come un vino raro e pregiato (che è tale per i pregi che si denotano nel suo carattere e nella sua struttura), sfiora quasi l’antropologia sociale, descrivendo con ironia e sarcasmo una società vacua e desiderante solo di apparire la cui solitudine può essere destabilizzata dalla forza dei sentimenti. Qualche vicinanza con Flaiano e Arbasino per il fatto di andare giù pesante con una critica senza se e senza ma di un mondo radical/chic? Macchè … sullo sfondo solo l’imperativo categorico del non passare inosservati a qualunque costo. Lavoro narrativo elegantemente sublime, da leggere.

martedì 2 marzo 2010

Il libro del giorno: Storia dei disastri naturali di Henrik Svensen (Odoya edizioni)

Abbracciando più di duemila anni e molti continenti, questa storia dei disastri naturali prende in esame il terremoto di Lisbona del 1755, quello di San Francisco del 1906, lo tsunami nel sud dell’Asia del 2004, l’uragano Katrina che ha devastato New Orleans nel 2005 e molto altro. Henrik Svensen, non compila un mero catalogo di calamità naturali, ma seleziona gli avvenimenti che hanno mutato il corso della storia o il nostro modo di rapportarci a questo tipo di tragedie. Quando un disastro ci colpisce abbiamo una reazione differente rispetto a quella che ebbero i nostri antenati centinaia di anni fa? Svensen mette in relazione gli avvincenti racconti dei testimoni oculari con i destini individuali, le azioni di una natura indifferente con lo sbigottimento delle sue vittime e le loro domande senza risposta: perché è accaduto a noi e non a qualcun altro? Siamo stati puniti da Dio per i nostri peccati?
Storia dei disastri naturali affianca alle storie personali le risposte dei diversi campi scientifici: geologia, antropologia, sociologia, ecc. con un risultato che è istruttivo e commovente.

Henrik Svensen è Senior Researcher al Physics of Geological Processes Centre dell’Università di Oslo. I suoi studi ruotano principalmente attorno ai processi metamorfici e vulcanici. Dai suoi lavori emerge in modo particolare il legame tra processi geologici e cambiamenti climatici.

“La ragazza dai piedi di vetro” di Ali Shaw (Fazi editore)

Chi dice che la letteratura fantastica sia un genere per pochi intimi, e che addirittura le case editrici abbiano una sorta di pudore nel dire che si tratti di un libro fantasy o di fantascienza a me sembra piuttosto limitante. Infatti vi è una ricca fetta di mercato editoriale (includente i due generi letterari) che dimostra una verità incontrovertibile: non siamo dinanzi a un fenomeno da nicchia. Ho appena finito di leggere una gran bella storia fantastica, un esordio per la precisione, quello di Ali Shaw edito in Italia da Fazi con il titolo “La ragazza dai piedi di vetro”, mentre in alcuni paese del mondo come negli U.S.A., Svezia, Finlandia, Spagna, Israele, Polonia, Corea, Turchia e Indonesia ci si sta già attrezzando per editarlo. Il fatto che sia stato finalista in prestigiosi premi letterari internazionali, non vuol dire nulla ( opera segnalata dunque al Guardian First Book Award 2009 e al Costa First Novel Award 2009), dal momento che sono convinto che sarà sempre più necessario fare attenzione alla qualità delle cose, anziché alle “medagliette” di turno. La storia: fatti insoliti accadono nell’arcipelago un po’ “fuori mano” di St. Hauda Land dove il bizzarro la fa da padrone, tanto che mentre si leggono le straordinarie descrizioni di flora e fauna locali, viene subito in mente il paesaggio eco-metafisico alla “Avatar”. Una bellissima storia d’amore, magica e insolita tra due giovani: Midas Crook ha vissuto tutta la sua vita su un’isola come un vero e proprio lupo solitario; Ida una ragazza fragile e indifesa che si sta trasmutando in vetro. La loro è una storia d’amore che lotta contro il tempo, e contro una folta schiera di presagi certamente non ben auguranti che come nugoli di nubi minacciose si addensano sulla vita e il destino di Ida. Ora sono personalmente un po’ scettico quando vedo operazioni editoriali come quella di “invitare” l’ipotetico lettore del romanzo a cimentarsi in prove di studi fotografici ispirandosi vuoi esplicitamente vuoi implicitamente ai contenuti del libro, perché mi viene in mente che non valga la pena spendere quei “diciottoeuroecinquanta”, che in periodi di crisi dicono tanto. Ma mi sono sbagliato sia perché il sign. Ali Shaw, nato nel 1982 a Lancaster, Inghilterra e che ha studiato letteratura inglese a Cambridge ha stoffa da vendere, sia perché Lucia Olivieri che l’ha tradotto è stata veramente una grande. Un libro che vale la pena tenere in biblioteca e che poi sia la metafora della precarietà della vita o meno, poco importa, perché quando un libro sa emozionare significa che è grande letteratura!

lunedì 1 marzo 2010

Il libro del giorno: Il dio delle anime di Alan Campbell (Nord editrice)

Le porte dell’Inferno sono state aperte e un esercito di creature spaventose, guidate dal perfido Menoa, ha distrutto la città sospesa di Deepgate. Quando anche Coreollis cade sotto i colpi delle inarrestabili armate del Signore del Labirinto, la guerra fra gli dei di Sabbiemorte sembra ormai segnata. Eppure l’ex assassina Rachel Hael non ha nessuna intenzione di arrendersi ed è decisa a tentare tutto il possibile per rovesciare le sorti del conflitto. Per questo coinvolge la maga Mina Green e il dio Hasp in una missione disperata: raggiungere il dio degli orologi nella sua roccaforte e, col suo aiuto, convincere le forze del paradiso a combattere al loro fianco. Tuttavia Rachel si ritroverà ben presto a doversi difendere non soltanto dai dodici arconiti di Menoa  enormi automi che le stanno dando la caccia , ma anche dallo stesso Hasp. Nel corpo del dio, infatti, è stato impiantato un parassita che lo obbliga a obbedire agli ordini del nemico, perciò lui è combattuto fra la volontà di aiutare i suoi alleati e quella di distruggerli. In un clima di sospetti e diffidenze, Rachel inizia a capire che il tempo a sua disposizione sta per scadere e che è giunto il momento di prepararsi all’estremo sacrificio, nella speranza che, nel frattempo, il gigante John Anchor sia riuscito a trascinare la nave di Cospinol, il dio della nebbia, proprio dove Menoa si sente più al sicuro: nell’abisso dell’Inferno...

Alan Campbell è nato a Falkirk, in Scozia, e ha studiato all’università di Edimburgo. Dopo aver lavorato come designer informatico - è stato tra i creatori di uno dei videogame più venduti al mondo, Grand Theft Auto -, ha deciso di dedicarsi alle sue due grandi passioni: la fotografia e la scrittura. Con Il dio delle anime si conclude la trilogia di Deepgate, che comprende anche Il raccoglitore d’anime (Nord, 2007) e Il dio delle nebbie (Nord, 2008)

Un uomo, una donna. 1915-1918. Un epistolario di guerra della Val di Posina di Giorgio Havis Marchetto (Meridiano Zero). Intervento di Nunzio Festa














Il libro “Un uomo, una donna” che principalmente è l’epistolario fra Pietro ed Elisa è documento unico e insostituibile, opera davvero unica nel suo genere. Il libro di Havis Marchetto si serve delle fotografie conservate dal Museo Civico del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza, alcune decine d’illustrazioni che presentano scenari utilissimi alla storia narrata dalla scambio di missive. Una storia di corrispondenza, e corrispondenze, che conduce direttamente nel mondo della Storia. Per farci osservare il dramma e i drammi, i dolori, e i patimenti, i desideri dei soldati che sui fronti della Prima guerra mondiale dovettero mettere le loro anime. A servire il pugnale del destino. Come per non sottrarsi alla canna della pistola del potere. Dell’imposizione che li spediva a difendersi e ad aggredire. In mezzo a tormenti. Nel cuore delle malattie. E fatti di malattie al cuore; l’abbandono: della casa, delle parentele, delle amicizie. Sono le sembianze umane e disumanizzate che spingono alla diserzione. Al pacifismo. La tensione affettiva riprodotta, anzi custodita, dalle centinaia di lettere della moglie di Pietro, uno dei tanti che fecero il ‘15/’18, s’allaccia alla scia delle frasi destinate a chi sta lontano per esigenza d’altri. L’unicità del volume è nella certezza che l’archivio di scritti di chi sta a casa ad aspettare difficilmente è stato portato avanti dal tempo. Perché per esempio finiva troppe volte, la maggior parte delle vote capiamo che è successo, con la fine del soldato. Con la morte fisica dell’uomo. Il volume di Giorgio Havis Marchetto è valido strumento da conficcare nelle mani degli irriducibili ancora disposti a perorare la causa persa della guerra giusta. Havis Marchetto, con la sua documentata è attenta ricerca, scova nei cassetti dei decenni decomposti il fiato ancora intatto d’anime pronte a testimoniare cosa fu davvero la Prima guerra mondiale. Con il tatto necessario a far entrare lettrice e lettore nella questioni famigliari e più intimistiche di Elisa e Pietro, ma per rendere conto d’una certezza incontrovertibile. Che, questione mai del tutto per tanti scontata, il risultato delle guerre non è la riproduzione di numeri sul correre dei giorni nostri, non sono le politiche dei vincitori a discapito magari e le decisioni prese in faccia ai tanti vinti. Le guerre sono gli stessi uomini che hanno dovuto combatterle. Non le strategie degli stati. Degli interessi. Non i comandi dei generali che da lontano hanno guardato o guidato le battaglie assassine. Le guerre sono questi uomini, come Pietro, che potevano perdere per sempre la loro esistenza oppure tranciare da essa buona parte della loro felicità. Questa nuova pubblicazione della Meridiano zero prende di petto un vuoto al fine di riempirlo. Pensando alle esigenze di noi che se pur non possediamo fucili nelle automobili moderne siamo pieni della retorica bellica d’una pseudo-modernità mai postbellica.


Un uomo, una donna. 1915/1918. Un epistolario di guerra della Val Posina, di Giorgio Havis Marchetto, presentazione di Mauro Passarin, Meridiano Zero (Padova, 2009), pag. 168, euro 25.00


domenica 28 febbraio 2010

Il libro del giorno: La principessa di ghiaccio di Camilla Läckberg (Marsilio)

Erica Falck è tornata nella casa dei genitori a Fjällbacka, incantevole località turistica sulla costa occidentale della Svezia che, come sempre d’inverno, sembra immersa nella quiete più assoluta.
Ma il ritrovamento del corpo di Alexandra, l’amica d’infanzia, in una vasca di ghiaccio riapre una misteriosa vicenda che aveva profondamente turbato il piccolo paese dell’arcipelago molti anni prima. Erica è convinta che non si tratti di suicidio, e in coppia con il poliziotto Patrik Hedström cerca di scoprire cosa si nasconde dietro la morte di una persona che credeva di conoscere.
A trentacinque anni, con la sensazione di non sapere bene cosa volere nella vita ma stimolata da un nuovo amore, approfitta del suo status di scrittrice per smascherare menzogne e segreti di una comunità dove l’apparenza conta più di ogni cosa. Tra gli ultimi clamorosi fenomeni del poliziesco svedese, Camilla Läckberg è stata in patria l’autrice più venduta per tre anni consecutivi; grazie ai suoi personaggi così ricchi di sfumature e alle trame attente agli aspetti più oscuri della psicologia umana è stata definita dalla critica la nuova Agatha Christie del Nord.

Camilla Läckberg (1974), prima di diventare una delle più celebri e vendute autrici di polizieschi della Svezia, ha lavorato per diversi anni nel marketing. Oggi, madre di due figli, vive a Stoccolma dove continua a scrivere la sua fortunata serie tradotta in ventisette paesi, che ha venduto finora nel mondo più di sei milioni di copie. Da questo primo episodio della serie, vincitore in Francia del Grand Prix de Littérature Policière, sarà realizzato un film.

"Antigua, vita mia”, di Marcela Serrano (Feltrinelli). Intervento di Vito Antonio Conte

Non è un bel tempo. Neanche quando c'è il sole. Ché il giorno, comunque, è più buio della notte. E la notte, soltanto la notte, porta luminescenze di quiete. Ché tutto tace e ascolto meglio le voci. Sono voci colorate, senza suoni. Non c'è più musica per me. Non ci sono più canzoni. Amiche note non sento più. Nuove note non voglio sentire. Il respiro degli altri mi scivola addosso, senza lasciarmi niente. Il mio respiro è affanno di vuoto. È silenzio d'assenza. È pace di morte. Come quella che, a un certo punto, è toccata a Violeta. A Violeta Dasinski. E, prima di lei, a Cayetana e, prima ancora, a Carlota. Come quella che, a un certo punto, è toccata a Josefa. A Josefa Ferrer. E, prima di lei, a tante altre donne. E a altri uomini. Oggi tocca ogni parte di me, intanto che ancora sei nei passi miei. Tempo che attraversa i tempi. Spazio che si confonde negli spazi. Storie che si ripetono. Tutte uguali. Tutte diverse. E, poi, questa storia, fatta di storie, che incrocia l'unico amore... Sono le 17:50 del 22 febbraio di questo 2010, che, secondo gli astri, riserva (…) buone nuove e fortuna, quando leggo l'ultimo rigo del libro dove ho visto e sentito scorrere altre esistenze. L'ultimo rigo. Non la fine. Ché una fine, anche qui, non c'è. C'è l'ultimo rigo dell'ultima pagina. Poi, quella stessa pagina, è (in gran parte) bianca. Ci si può scrivere di tutto. Io c'ho scritto, con grafia minuta (con i caratteri più piccoli che potevo, ché rimanesse più spazio possibile...), “terribilmente bello”. Riferito al romanzo... L'Autrice la conoscevo già, il libro non come ora: dell'una e dell'altro avevo detto e scritto, del tutto incidentalmente, in altre occasioni. “Antigua, vita mia”, di Marcela Serrano (Universale Economica Feltrinelli, pagine 293, € 7,50, nella dodicesima edizione del 2008), è un romanzo (avevo scritto romanza e... non è un caso...) la cui trama si perde nella storia narrata e riemerge in tutte le storie che il racconto accoglie. C'è grande intensità in questo romanzo. C'è grande passione nella scrittura di queste storie. Storie di donne e di uomini. Che si incontrano. Si amano. E si distruggono, distruggendo l'amore. Alla ricerca di se stessi. Ché non si può vivere una storia d'amore per sempre se quel sempre non t'esce dalle viscere e se quelle viscere ignori. Violeta e Josefa, due donne divenute tali tenendosi per mano sin da bambine. L'una, architetto, costantemente alla ricerca dell'essenza della bellezza, praticandola. Sino all'estremo. Sino alla follia. Sino all'omicidio. Sino alla fine di una vita. Sino alla nascita di una nuova (vita). Con la forza impressa nella carne dal destino. Con il destino disvelato da una profezia. Con la profezia perseguita (inconsapevolmente...) con la serenità della consapevolezza che fare la propria parte porterà nel luogo desirato. Quello ch'era scritto nella prima riga mancante di un verso (della Rich). Quello trovato nel verso che mancava e che nessun altro può scrivere per te. Antigua, vida mia. L'altra, famosa cantante, tesa a costruire una carriera. Non tanto per sé, quanto per sua madre e per altro. Sino a esaurire ogni risorsa. Sino a perdere ogni contatto reale. Sino a perdere se stessa. Due esistenze rievocate sul doppio filo della memoria, traverso le pagine di un diario, e della ricerca della verità, nel mentre tutto d'intorno non consente pause. Antigua, vida mia. E poi ci sono uomini e uomini. Brutali e sbagliati. Dolci ma lontani. “La dolcezza... non che in giro ce ne sia molta, a dire il vero. È merce rara.” Quando è vera. E, come spesso accade, l'autenticità risiede in un luogo dove il ritmo è lento, dove il percorso è segnato dai mille verdi della natura, dove l'anima si ritrova. Antigua, vida mia. Lì, in Guatemala, le profonde identità femminili di Violeta e di Josefa si aprono a se stesse e... l'esistenza diviene piena. Ché c'è bisogno di conoscersi per credere nella migliore vita possibile. Ché c'è bisogno di credere in quel che si fa per vivere la vita che si vuole. Ché c'è bisogno di assaporare l'attesa, istante dopo istante, muovendosi con armonia (dentro e fuori...). “Una volta la bambina le chiese: . le rispose la madre in tono sicuro. ” È solo una citazione tra le tante che sarei tentato di trascrivere. È quella che mi piace di più... Mi fa pensare, traverso l'esistenza delle donne di questo romanzo, che hanno attraversato diversi lustri, a un pensiero che m'era venuto la mattina di giovedì della scorsa settimana e che avevo condiviso... via filo. Cosa c'è tra l'aver abitato una casa da bambino, averla perduta, e poi -da adulto- ritrovarla e non trovare più tutte le persone care che con te l'avevano abitata? Domanda suscitata dalla lettura di “Antigua, vita mia”, che altre ne pone al lettore. E risposte, anche, dà. Non la risposta. Ma una risposta. Credevo che per quella domanda la migliore risposta fosse: tutto il tempo tuo e degli altri e altri luoghi. Ma, poi, durante la lettura, ne ho trovata un'altra: “Non sto dicendo che una strada è migliore dell'altra. Questa è quella di cui avevo bisogno io, tu lo sai bene. Ho passato la vita a cercare un modo coerente di vivere e sento di averlo trovato. Ci sono un'infinità di soluzioni possibili.” Inserisco un altro CD nell'apparecchio... nel mentre è arrivata un'altra sera, ma non c'è più musica per me! Antigua, vida mia.


sabato 27 febbraio 2010

Cristi polverizzati di Luigi Di Ruscio (Le Lettere, collana "fuori formato" diretta da Andrea Cortellessa)

L'’individuo è la forma assoluta, vale a dire è la certezza immediata di se stesso ed è quindi, se si preferisce questa espressione, incondizionato essere.

G. W. F. Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello spirito


Parto difficilissimo, spesso si nasce venendo stritolati, lo shock dell’aria freddissima rispetto al calore del ventre materno, la luce vivissima, i rumori assordanti, la poesia retrocede verso la prima angoscia, potevano immaginare che l’elettroshock rimettesse le cose al loro posto perché era come se lo shock iniziale si ripetesse, l’angoscia di rimanere rinchiusi in un ventre per sempre, l’essere che dilegua nel nulla è il passare e morte, il nulla che dilegua nell’essere è il sorgere e la nascita, la morte è un ritornare nella condizione prenatale, quando ero il niente che viveva il niente e di questa condizione mai nessuno si è lagnato. Certi nascono da una vagina apertissima ed escono come imperatori dalla porta sacra tutto oliato e pronto per l’esposizione. Certi come ghigliottinati e fucilati morivano al centro di un festoso cerimoniale. Ero immerso nelle acque fetali, sono immerso in questa acqua sociale. Certi con rendite stupefacenti morivano torturati da costosissimi interventi chirurgici, straziati da speculate operazioni chirurgiche, certi muoiono agli angoli delle strade avvolti da una calma stupefacente. Siamo nati e poteva anche non nascere niente, una volta mia moglie mi disse che non dovevo disperarmi tanto, noi siamo nati e tanti neppure riescono a nascere. Mi è stato raccontato che prima di nascere eravamo nel pensiero d’Iddio, poteva non nascere niente, non facciamo confusioni tra il niente e il vuoto, il niente non può essere neppure riempito. Il niente può solo trapassare nell’essere più spettacoloso. Oppure come nelle bellissime svalutazioni quando milioni si tramutano in milioni di niente. Mia moglie rimaneva continuamente incisa, incinta, nonostante che non facevo che adoperare gomme di tutti i tipi conosciuti e pensavo di chiamare la mia ultima raccolta dentro il ventre del mostro, chiuso per sempre nella società dello sfruttamento e dei mangiatori di uomini. Gli eletti, i migliori si divertivano in bellissimi massacri, se non appartieni al popolo d’Iddio sarai prima o poi un assassino, se appartieni ad un popolo separato sarai prima o poi assassinato, così vedevo le cose ed invece era tutto più complicato e terrificante, non è detto che la vittima sia una persona per bene, tante volte prima d’ammazzarli li abbrutiscono e perdevo tempo con poesie che sembravano macchinette verbali produttrici di niente. Tentare di cambiare il mondo con una forsennata scrittura, anche questa cazzata ho immaginato, a Milano perfino l’aria è diventata pericolosa e pensano alle poesie, per la mancanza di aria respirabile non ci saranno proteste, potremo agitarci solo per i mali immaginari. Nonostante che mai ho avuto un’auto e spengo a sproposito i radiatori e non consumo neppure l’energia della dinamo della mia bicicletta. Siamo tutti peccatori e il miracolo della vita in questo pianeta non è cosa eterna e un miracolo sarà necessario per la sopravvivenza degli insetti più corazzati e il sottoscritto inabile in tutto può permettersi il lusso di scrivere le poesie.

ricevo dell'autore e pubblico volentieri la prima pagina, e la copertina con l'opera di
Osvaldo Licini.

Il libro del giorno: Il tempo che vorrei di Fabio Volo (Mondadori)

"I'll trade all my tomorrows for a single yesterday: cambierei tutti i miei domani per un solo ieri, come canta Janis Joplin." È forse proprio questo il tempo che vorrei. Lorenzo non sa amare, o semplicemente non sa dimostrarlo. Per questo motivo si trova di fronte a due amori difficili da riconquistare, da ricostruire: con un padre che forse non c'è mai stato e con una lei che se n'è andata. Forse diventare grandi significa imparare ad amare e a perdonare, fare un lungo viaggio alla ricerca del tempo che abbiamo perso e che non abbiamo più. È il percorso che compie Lorenzo, un viaggio alla ricerca di se stesso e dei suoi sentimenti, quelli più autentici, quelli più profondi. Il nuovo libro di Fabio Volo è anche il più sentito, il più vero, e la forza di questa sincerità viene fuori in ogni pagina. Ci si ritrova spesso a ridere in momenti di travolgente ironia. Ma soprattutto ci si ritrova emozionati, magari commossi, e stupiti di quanto la vita di Lorenzo assomigli a quella di ciascuno di noi.

299+1 di Leo Ortolani (Panini Comics)













Nel periodo che va da maggio ad ottobre 2007 l'mp3 della "LEZIONE SU 300" tenuta da Wu Ming 1 è stato scaricato più o meno da 8000 volte e fin dai primi giorni ha suscitato un notevole interesse. Una vera e propria lectio magistralis, su un film che definire epico e adrenalinico sarebbe più che riduttivo. 300 di Zack Snyder (e l’ombra del grande “maestro burattinaio” Frank Miller) con Gerard Butler, Vincent Regan, Lena Headey, e David Wenham è divenuto nel giro di poco un film cult. Si parla dell’epica battaglia delle Termopili e dell’ostinato coraggio e virile impeto del re Leonida e e dei suoi 300 soldati che affrontarono la morte pur di ritardare l'avanzata di Serse con il suo terribile e immenso esercito. Un gesto che spinse tutte le città greche a unirsi contro l'invasore, in nome della loro indipendenza, della loro democrazia, della loro civiltà. Panini Comics ora ristampa a colori 299+1. Attenzione però, devo dirlo: questo albo è pericoloso, così come sono pericolosi tutte quelle pubblicazioni che in qualche modo eccitano in maniera dirompente, attraverso parole e immagini, la fantasia dei lettori. Nello specifico perché si tratta di Leo e Lorenzo Ortolani che sono in grado di integrare elementi di un certo spessore vuoi per contenuti che per maturità di stile, e nello stesso tempo a far convivere la battuta all’acido solforico con i più alti slanci lirici e da “volontà di potenza” propri degli eroi. In questo 299+1 il lettore viene letteralmente stordito dalla forza di questo lavoro, dal suo pathos, dalla sua drammaticità, dove i colori sono in grado di far respirare e rievocare gli abissi dell’universo mitico e abbacinante creato da Frank Miller. Il distillato finale è un mix di boutade, non/sense, degni di una parodia di altissima qualità che solo un grande rat-volume come questo può dare! E allora non c’è altro da fare che godersi questo meschino, basso, sfigato fanfarone che è Rat Man, nei panni però di un grande della storia come Leonida. Il confronto non regge? Leggete prima l’album e poi se ne potrà riparlare

venerdì 26 febbraio 2010

Il libro del giorno: Io chi sono? (dialoghi sulla musica e lo spirito) edito da Mondadori a cura di Daniele Bossari

Le parole di Franco Battiato, nelle sue canzoni come in questo libro, hanno il raro pregio di trasportare la mente lontano dai luoghi ordinari, trascinarla in voli imprevedibili e ascese velocissime attraverso mondi esotici ed esoterici. "Battiato - Io chi sono?" è un distillato del suo pensiero, un'immersione nell'universo filosofico e spirituale che fa da matrice alle sue canzoni (e ogni volta scoprire l'origine di un verso amato è una vertigine, una piccola illuminazione). Pagina dopo pagina, si incontrano storie e geografie straordinarie, lama tibetani e maestri sufi, passi dei Veda e del Mahabharata, insegnamenti del buddismo e della teosofia. Si discute di musica e di meditazione, di morte e di rinascita, di estasi mistiche e viaggi psichedelici, dei modi per resistere alla "cloaca" del mondo contemporaneo. Daniele Bossari, appassionato come un fan e competente come un esperto, interroga Battiato nello stesso modo in cui un allievo farebbe col suo guru, spinto da quel proverbio giapponese per cui "chiedere è vergogna di un momento, non chiedere è vergogna di una vita".

Azazel di Youssef Ziedan (Neri Pozza)


Si sente in giro nell’aria e non solo tra gli accademici, ma anche in ambienti e circoli letterari, un rinascente interesse verso le eresie del primo cristianesimo, come punto di partenza forse per capire alcunie istanze che sono alla base della nostra religiosità. Alain Le Boulluec considerò Giustino di Nablus (100-162) il primo apologeta ad utilizzare sistematicamente il termine "eresia" per combattere le correnti cristiane considerate devianti. Quando parliamo di eresia, sfogliando nel nostro vocabolario mentale, facciamo riferimento subito a quel termine che sta ad indicare una dottrina contraria ai dogmi riccorenti e ai principi di una determinata religione, nel nostro caso associamo subito questa parola a tutto ciò che devia in qualche modo dalla Chiesa Cattolica. Poi quasi a parità di impulso rimembrante ecco che spunta dal buio della memoria il termine eretico ovvero colui che "sceglie" solo una parte della dottrina "ortodossa", ma non accetta alcun compromesso su altre questioni. Per chi ricorda invece gli insegnamenti di qualche vecchio professore di filosofia che magari ha fatto bene il suo lavoro, ecco che non risultano in questi ambiti come perfettamente sconosciuti nomi come Nestorio, Ipazia, Ireneo, Ario, Donato e chi più ne ha più ne metta. Mi è capitato di leggere un libro straordinario che mi ha ricordato un po’ di questi argomenti. Parlo del volume edito da Neri Pozza dal titolo Azazel di Youssef Ziedan, vincitore del premio internazionale per il miglior romanzo in lingua araba del 2008, ovvero il primo best-seller che ritrae con grande maestria l'intera cultura mediterranea, tra Alessandria e Gerusalemme, Efeso e Aleppo. A Ipa, un monaco egiziano, non serve altro per vivere nel suo monastero sulla strada tra Aleppo e Antiochia, che una cella di due metri per lato, una malridotta porta di legno, un tavolino con un calamaio, una logora lampada con lo stoppino. Siamo nel V secolo, un momento della storia della Cristianità carico di fanatismo, di lotte fratricide, dove vivere in Cristo e per Cristo significa essere di questa o quella fazione. Nestorio, l'abba che vigila paternamente su Ipa, è nell’occhio di un ciclone. Nel 428 d.C. è stato nominato Vescovo di Costantinopoli e ora pesa su di lui l’accusa di apostasia, che gli ha “fruttato” ben 12 anatemi da parte del Patriarca Cirillo, l'Arcivescovo di Alessandria. Il V secolo è un momento della storia della cristianità che si macchia già del primo errore, quello di scomunica di un “illuminato” (non sarà il solo se si pensa a Giordano Bruno) dal volto e dalle mani sante, reo di aver pensato che Dio sia stato generato da una donna. Un tempo infausto per Ipa, costretto a subire gli attacchi della passione, della lussuria e del cuore da quando ha conosciuto Marta ad Aleppo. Un tempo infausto anche per la sua anima, trascinata nell’abisso dell’angoscia tanto che gli sembra a volte di parlare con Azazel, il diavolo in persona., simbolo della scepsi senza posa e metafora del dubbio. Un tempo infausto dunque per Ipa, che vive la grandezza di Alessandria d’Egitto come caos e turpitudini. Si tratta di un’opera immensa che non mancherà di suscitare critiche, un grande evento letterario, che ha già causato forti polemiche religiose, letterarie e politiche.

giovedì 25 febbraio 2010

Il libro del giorno: Milano non esiste di Dante Maffìa (Hacca edizioni)

Questo nuovo romanzo di Dante Maffìa è un altro importante tassello di quel grande mosaico che è la narrativa calabrese moderna (Alvaro, La Cava, Répaci, Strati, Seminara, Abate, ecc.), ma è soprattutto un inaspettato “ritorno” della gloriosa “letteratura industriale” italiana, declinata in anni recenti alla sola precarietà lavorativa. Milano non esiste è un ribaltamento delle nostre certezze sociologiche, perché ci racconta un’Italia ancora furiosamente arrabbiata con “i padroni”, ancora tormentata dall’alienazione, dal disadattamento urbano e dalla nostalgia per la propria terra di origine. Vengono in mente almeno quattro illustri antecedenti: Memoriale di Paolo Volponi, Vogliamo tutto di Nanni Balestrini, Tuta blu di Tommaso Di Ciaula e Nord e Sud uniti nella lotta di Vincenzo Guerrazzi. Il protagonista di questo romanzo è un operaio calabrese che vive a Milano da quarant’anni. È sposato con una donna milanese e ha sei figli.
Mancano pochi anni al pensionamento, e finalmente il suo sogno può realizzarsi: tornare nel paese calabrese dov’è nato, godere della luce del Sud, passare le giornate a guardare il mare. Nel frattempo, però, nella sua fabbrica si muore, Milano appare sempre più incomprensibile nel suo orrore sociale e urbanistico e “la peste” della modernità sembra aver tramortito ogni forma di fraternità. Lentamente si avvicina il giorno del ritorno, ma l’operaio calabrese non ha fatto i conti con i figli, che di andare a vivere in Calabria non ne vogliono sapere. Da quel momento in poi da “romanzo di fabbrica” il libro di Maffìa diventa romanzo psichiatrico, perché l’operaio è ogni giorno di più afflitto da una cocciuta mania ossessiva (il paese del Sud come paradiso, la città del Nord come inferno), tanto da rischiare la psicosi paranoide. Chiunque tra i famigliari prova a fargli capire che tornare in Calabria con sei figli grandi è impossibile diviene ai suoi occhi un nemico. Ma il suo progetto non subisce ripensamenti, e infatti alla fine riuscirà a tornare nel suo Eden calabrese, dove riabbraccerà la Casa, il mare, gli odori, la lingua, la pace, a costo, però, di una estrema e autistica solitudine. Milano non esiste è un romanzo scritto con la furia orale di un operaio non acculturato; è un lungo e barbarico monologo viscerale; ma è, soprattutto, un romanzo su quell’umile Italia popolare che ancora odora di pelle, di lavoro, di rabbia, di vino, di sudore e di carne. Un’Italia vera, senza maquillage. Hanno letto il testo ancora inedito Giorgio Barberi Squarotti, Claudio Magris, Alberto Bevilacqua, Luigi Reina e Sebastiano Martelli.
Barberi: “Prima del guaio e di nuovo ora ho letto il tuo romanzo. Secondo me è uno dei pochissimi romanzi davvero degni e grandi degli ultimi decenni e uno dei fondamentali in genere del nostro novecento. Hai mirabilmente reinventato un tema decisivo del nostro tempo diviso e contraddittorio: l’angoscia, l’ansia, l’incertezza, il dubbio fra il nuovo (così confuso e senza valori) e le radici che dovrebbero essere davvero per tutti il riferimento… Pubblicherai il romanzo? Aggiungo che la scrittura è perfetta, elegante, rigorosa, efficacissima”.
Magris: ''Si tratta di un libro scomodo, che arriva nel profondo, che mette dinanzi alla realtà del dolore e della perdita dei valori in maniera violenta. Mi viene da dirti, ma lo faccio con molta cautela perché troppo si è abusato della parola, che hai scritto un capolavoro”.
Bevilacqua: “Lo sapevo che eri bravo, che sei uno dei nostri grandi poeti… con questo romanzo così sincopato, così privo di veli, così rutilante... subito occuperai un posto notevole, alto, anche tra i narratori”.
Reina: “Ho cominciato a leggere come legge un amico, con la disponibilità che sempre ho nei tuoi riguardi e a un certo punto ho sentito i brividi, ho sentito la “cattiveria” dello scavo. La materia trattata è incandescente, viva, e mostra la tragedia del nostro tempo attuale con una efficacia rara oggi tra i narratori non soltanto italiani”.
Martelli: “Io sono un sociologo della letteratura, uno che guarda, oltre che allo stile e alla struttura di un romanzo, anche agli aspetti che toccano il sociale. Ebbene, questo tuo libro è la sintesi perfetta di ciò che oggi sta avvenendo nel Mediterraneo e altrove. Il protagonista è il simbolo di milioni di emigranti che non trovano pace e non sanno inserirsi nei nuovi approdi; è come se il suo essere spaccato in due non potesse, non può mai trovare senso. Credo che tu abbia fatto centro e che ''Milano non esiste'' si imporrà perentoriamente all’attenzione dei critici e dei lettori, diventerà un best seller”.

Tutta mio padre, di Rosa Matteucci, Bompiani (Milano, 2010). Intervento di Nunzio Festa


Roro è ormai donna. Ha superato tanto. Troppo. Difficoltà nate soprattutto con la decadenza economica della famiglia. Ma è comprensibile quanto la protagonista di “Tutta mio padre” sia stata comunque perseguitata, in molti sensi, dalle stessi origini patrizie. La protagonista del nuovo romanzo della talentuosa Matteucci, Rosa, appunto, narra di lei e dei Suoi. Ma adesso che la famiglia è finita. Tutta. In una specie di dialogo con un'altra persona. E questo è testimoniato più esattamente nel finale. L’ambientazione principale dell’opera è la terra umbra, in particolare un pezzettino d’Orvieto. Dove s’insegue ancora il sogno sonoro della nobiltà. Con strascichi che invadono il futuro della più giovane di casa; quella che si deve sbrigare a crescere: sacrificarsi. Nonostante sia in pratica il soggetto più amato. Se pur per il tramite d’una forma d’amore non sempre dimostrata e alquanto ‘originale’. La scrittrice cesella scene e spiega tormenti ricorrendo a una cadenza che aggiunga a tratti somatici del passato il viaggio d’una lingua moderna cosparsa da termini ultra moderni, francesismi e altri delicati accorgimenti. Nonostante una normalità molto gradevole del tono. Rosa Matteucci inventa una trama a metà fra le pazzie di Gaetano Cappelli e il ricorso alla narrazione di Andrea Vitali. Matteucci, dunque, si conferma narratrice di razza, come direbbero quindi i puro sangue della critica e della lettura. Indubbiamente, nella maggior parte degli spazi la Matteucci fa scoprire a lettrice e lettore i segni del pensiero, ovvero (puntatina che farebbe l’autrice stessa) s’interessa di quella che abbiamo imparato con la dizione corrente di ‘psicologia dei personaggi’. L’unico nota negativa, se così è lecito puntualizzare, risiede nell’accanimento a tenere troppo lontani dalle angolazioni varie il temperamento dell’agone politico e del verbo sociale. Perché nei pezzi dove anche questo aspetto non è snobbato, si ricevono una serie di fratture utili allo stesso tempo a inquadrare le movimentazioni dei settori civili. Indubbiamente, le fasi di maggior valore sono rintracciabili nel rapporto fra i membri del ‘clan’ famigliare con il resto del mondo. Oltre alla bella invenzione del quanto. Rosa Matteucci con “Tutta mio padre” scrive pagine narrative che giocano con il pensiero dello svago agganciato ai fervori di tempi che cambiano per tutti, o quasi.


mercoledì 24 febbraio 2010

Il libro del giorno: La baracca dei tristi piaceri di Helga Schneider (Salani)

"Stava lì, l'aguzzina delle SS, capelli biondi e curati, il rossetto sulla bocca dura, l'uniforme impeccabile... Stava lì e pronunciò con sordida cattiveria: "Ho letto sulla tua scheda che eri la puttana di un ebreo. È meglio che ti rassegni: d'ora in poi farai la puttana per cani e porci". Così racconta l'anziana Frau Kiesel all'ambiziosa scrittrice Sveva, dando voce a un dramma lungamente taciuto: quello delle prigioniere dei lager nazisti selezionate per i bordelli costruiti all'interno stesso dei campi di concentramento, con l'ipocrita e falsa giustificazione di voler limitare l'omosessualità tra i deportati. Donne i cui corpi venivano esposti ai sadici abusi delle SS e dei prigionieri maschi - spesso veri e propri relitti umani che malgrado tutto preferivano rinunciare a un pezzo di pane per scambiarlo con pochi minuti di sesso. Donne che alla fine della guerra, schiacciate dall'umiliazione e dalla solitudine, invece di denunciare quella tragedia fecero di tutto per nasconderla e seppellirla dentro di sé. In questo capitolo della memoria storica personale e collettiva, Helga Schneider continua, con lucidità e compassione, ma anche con implacabile giudizio, a dare testimonianza di ciò che è accaduto perché non si ripeta mai più.

L’oscurità e la luce di Mayumi Hattori (Controluce edizioni). Intervento di Luisa Ruggio


Ci sono romanzi bellissimi che restano a lungo - involontariamente - segreti, vivono una vita propria, invisibile, scavano un percorso parallelo a quello dei titoli urlati, sovraesposti.
E’ difficile per questi libri uscire dal buio dell’anonimato, trovare il pubblico che meritano, avere fortuna.

E’ il caso del romanzo di Mayumi Hattori, la scrittrice giapponese scomparsa nel 2007 e praticamente sconosciuta in Italia, “salvata” dalla casa editrice Controluce che ha pubblicato“L’oscurità e la luce“, (Pagine 216, ISBN:978-88-6280-010-5 euro 15,00) un romanzo la cui potenza è resa perfettamente grazie alla traduzione di Daniela Guarino. Mayumi Hattori ha regalato ai lettori che sapranno cercare “L’oscurità e la luce“, un romanzo magnetico, polare, che costruisce con semplicità - pagina dopo pagina - il gioioso piacere di leggerlo vivendo nella propria mente una straordinaria rivoluzione percettiva, man mano che la storia si impone attraverso la dimensione del narrare. Il romanzo è il flashback di una bambina cieca, Reia, confinata in un mondo minimo - come la torre inaccessibile di Rapunzel - con il padre, un re spodestato che insieme all’inquietante guardiana Dafne e al cane Dark costituisce il suo unico contatto con il mondo. Un mondo trasfigurato dalla letteratura, dalla musica, gli odori e l’arte che scandiscono le stagioni dell’infanzia e l’adolescenza di Reia fino a restituirle un altro tipo di sguardo, delicato e profondo, che sposta anche il punto di vista del lettore trascinandolo, quasi eroticamente e senza i soliti trucchi, nella sfera del sogno e della proiezione, attualizzando il mito di Tiresia di cui scrisse anche Ovidio nelle Metamorfosi ( l’indovino reso cieco dalla dea Era per aver svelato - dopo essere stato tramutato in femmina per sette anni - che la donna prova un piacere sessuale maggiore a quello dell’uomo) e tenendo testa al carismatico “Demian” di Hermann Hesse, il capolavoro dal quale fa capolino Abraxas, il Dio demone della Gnosis. La quarta di copertina, cautamente, non svela i colpi di scena e i tanti livelli di lettura di questo romanzo-pozzo, “Konc yami to hikari” il titolo originale dell’opera che rimarca la transessualità del linguaggio senza mai abusarne e, anzi, con la leggerezza tipica dei film d’animazione di Hayao Miyazaki e i thriller psicologici di Hitchcock, David Lynch e, per la qualità ambigua delle atmosfere emotive fa pensare a “La moglie del soldato” di Neil Jordan.

In un mercato editoriale saturo di adolescenti che raccontano la perdita dell’innocenza, “L’oscurità e la luce” di Mayumi Hattori traccia il percorso inverso, la conquista dell’innocenza e la tensione sessuale, magistralmente sospesa, tra Reia e il suo mentore padre-sovrano che ricordano un’altra strana coppia magica, raccontata da Luc Besson nel film “Léon“, la ragazzina Mathilda e il sicario che la adotta dopo aver assistito all’assassinio dei suoi genitori. Non si può parlare fino in fondo di questo libro senza rivelare troppo della sua trama mozzafiato, bisogna dire che non è una storia staccata dal quotidiano. Leggendola viene in mente il romanzesco e la psicanalisi che si annidano in tanta cronaca contemporanea, un’osmosi che sembra la conseguenza naturale di un’eredità gotica, basti pensare al caso in dubbio di Sindrome di Stoccolma di Natascha Kampusch, la ragazza austriaca che nel 2006 diventò popolare dopo essere fuggita dal rapitore che l’aveva fatta letteralmente sparire nel 1998, la Kampusch dichiarò che se lo avesse voluto si sarebbe liberata prima. Mayumi Hattori trae in inganno, con una sincerità totale, anche il lettore più lungimirante, seducendolo con la poesia involontaria dei colori, un prisma dal quale i bambini si lasciano attraversare fino in fondo per stupore. Il libro sa anche tacere, la scrittura si ferma in tempo e lascia spazio alla musica di Glenn Gould quando si tratta di raccontare come funziona l’educazione sentimentale di un sognatore o di un idiota nel senso caro a Dostojevski che la Hattori doveva amare molto insieme a Botticelli, William Byrd e favole-chiave come Barbablù e Raperonzolo sottratte all’alluvione dei generi e portate con nochalance a bordo di questo romanzo-Arca che segue alle numerose raccolte di racconti mistery firmate da Hattori. Il piacere che si prova leggendo questo libro che si compone di due parti, proprio come l’oscurità e la luce, il bene e il male, il femminile e il maschile, è una promessa mantenuta fino all’ultima parola. Non è un piacere casuale, deriva dal sentire la facilità di una scrittura che scorre come sale l’ebbrezza alcolica, senza resistenze, senza strappi, con ritmo costante. Un ritmo che ricorda il tipo di esperienza che vorresti vivere quando scegli un libro, diventando il lettore che legge un libro dal quale viene a sua volta letto. Condizione che, col libro giusto in mano, implica molte sfumature intermedie. Qualche volta le sfumature di un libro sono felicità senza motivo. Le sfumature de “L’oscurità e la luce” lo sono.

martedì 23 febbraio 2010

Il libro del giorno: L'ipnotista di Lars Kepler (Longanesi)

Si chiama Erik Maria Bark ed era l’ipnotista più famoso di Svezia. Poi qualcosa è andato terribilmente storto e la sua vita è stata a un passo dal crollo. Ha promesso pubblicamente di non praticare mai più l’ipnosi e per dieci anni ha mantenuto quella promessa. Fino a oggi.
Oggi è l’8 dicembre e a chiamarlo è Joona Linna, un commissario della polizia criminale con l’accento finlandese. C’è un paziente che ha bisogno di lui. È un ragazzo di nome Josef Ek che ha appena assistito al massacro della sua famiglia: la mamma e la sorellina sono state accoltellate davanti ai suoi occhi, e lui stesso è stato ritrovato in un lago di sangue, vivo per miracolo. Josef è ricoverato in grave stato di shock, non comunica con il mondo esterno. Ma è il solo testimone dell’accaduto e bisogna interrogarlo ora. Perché l’assassino vuole terminare l’opera uccidendo la sorella maggiore di Josef, scomparsa misteriosamente. C’è solo un modo per ottenere qualche indizio: ipnotizzare Josef subito.
Mentre attraversa in auto una Stoccolma che non è mai stata così buia e gelida, Erik sa già che infrangerà la sua promessa. Accetterà di ipnotizzare Josef. Perché, dentro di sé, sa di averne bisogno. Sa quanto gli è mancato il suo lavoro. Sa che l’ipnosi funziona. Quello che l’ipnotista non sa è che la verità rivelata dal ragazzo sotto ipnosi cambierà per sempre la sua vita. Quello che non sa è che suo figlio sta per essere rapito. Quello che non sa è che il conto alla rovescia, in realtà, è iniziato per lui.

“Le ho mai raccontato del vento del Nord" di Daniel Glattauer (Feltrinelli)


Un tempo si diceva “due cuori e una capanna”, si mandavano rose rosse di passione alla propria amata, cose assolutamente normali e consuetudinarie nel mondo della fisica, ma non in quello dei bit. Oggi tutto si trasforma in pura virtualità (si possono addirittura mandare via mail omaggi floreali con tanto di scelta della tipologia di fiore, colore, bigliettino e musica di sottofondo). Non ci si può augurare di meglio che l’inautenticità della serialità telematica, da facebook alle chat. Ma sarà poi vero? Ora ecco che a dare una parziale smentita a quanto accennato sopra, viene in soccorso il lavoro di Glattauer Daniel dal titolo “Le ho mai raccontato del vento del Nord” edito da Feltrinelli. C’è un lui, Leo, uomo tranquillo, placido, a volte pedante, psicolinguista reduce dall'ennesimo fallimento sentimentale; c’è una lei, Errimi Rothner (Emmi), sempre sull’orlo di una crisi di nervi, ma comunque sposa e madre irreprensibile dei due figli del marito. Amano il vino come bevanda da assumere prima di andare a letto, e come piccola monomania ossessiva prima di addormentarsi si ripetono l’uno le parole dell’altra, come si trattasse di un gesto prezioso quanto un tesoro di immenso valore nel silenzio di ogni giorno. Tutto parte da un'email mandata ad un indirizzo sbagliato ed ecco che in un rapido scambio di morbide effusioni e piccole scaramucce verbali on line, tra due sconosciuti scatta la scintilla. Parliamo di una bellissima favola moderna, di un romanzo d'amore epistolare nell’era della Rete. Questo romanzo uscito nel 2006 in Germania, arriva in Italia adesso, mentre sembra che l’autore abbia già provveduto a scrivere il sequel Ha venduto migliaia e migliaia di copie, tanto da diventare un best-sellers, un vero e proprio caso letterario. Anche se di cose del genere in giro se ne sono lette abbastanza, la lettura risulta scorrevole, incalzante, che rispetta l’hic et nunc insomma. La storia per quanto stuzzicante e realistica, permette di sostenere che il lettore viene soddisfatto in tutto e per tutto da quel desiderio un po’ voyeuristico di sapere come va a finire una storia sentimentale tra due persone che nemmeno si conoscono. Intanto non ci resta che aspettare il prossimo libro di Glattauer per scoprire se Emmi e Leo si confronteranno con l’incognita della realtà

lunedì 22 febbraio 2010

Il libro del giorno: DEL NOSTRO SANGUE di Paolo Farina (Palomar)

Un eccentrico cuoco trapanese, giunto all'apice della sua carriera, senza affetti e senza amici, incrocia il suo destino con quello di un anziano giornalista lombardo in giro col suo autista per l'Appennino meridionale, intento a tracciare nuovi itinerari enogastronomici. Un ruvido poliziotto romano, esiliato a Cosenza e vessato da un impietoso capo, combatte contro la follia di un killer seriale di bambine.
Sullo sfondo delle loro vicissitudini, in un piovoso inverno, vi sono i bellissimi e mal ridotti paesaggi del Sud Italia e l'odiosissimo reato dell'omicidio infantile.
Nessuna rivendicazione, nessun movente apparente, nessuna traccia illumina l'affannosa indagine del poliziotto tra le rive fangose di fiumi, che fanno da scenario ai lugubri ritrovamenti.

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Amore senza fine. Love me love me. Vol. 3 di Stefania S.

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