Nel
2004 Giuseppe Di Martino, pastaio da tre generazioni a Gragnano, si rese conto
che la rintracciabilità della materia prima utilizzata per produrre la pasta
italiana era approssimativa, interrompendosi ad un determinato punto della
filiera e non permettendo né al consumatore finale né spesso allo stesso
pastaio, di capire da dove provenisse il suo ingrediente principale: la semola
di grano duro.
Allora
comprese che la rintracciabilità della materia prima fosse un valore
imprescindibile di un prodotto alimentare ed iniziò il suo progetto che poi lo
porterà alla fondazione del Pastificio dei Campi. Per prima cosa scelse una
zona di produzione storicamente vocata alla coltivazione del grano duro: la
Puglia, in particolare le zone del Tavoliere e del sub appennino Dauno. Lì
provò a coinvolgere i contadini locali, chiedendo loro di produrre un grano dagli
elevati valori nutritive / senza l’utilizzo di fertilizzanti chimici / senza
l’utilizzo di glifosati / recuperando solo le varietà più antiche. Le
intenzioni c’erano tutte, ma lo scetticismo dei contadini si fece sent ire
immediatamente: era assai difficile garantire un raccolto con quei livelli
qualitativi, senza l’utilizzo della chimica, soprattutto se si voleva mantenere
una resa elevata. La soluzione era semplice: rinunciare all’alta resa,
prevedere una rotazione per evitare l’impoverimento del terreno dovuto alla
monocoltura e pagare i contadini ogni anno, anche quando non fosse previsto il
raccolto di grano. Fu così che, ritornando all’ antica tecnica della rotazione
triennale, si fece contemporaneamente un enorme salto verso il rivoluzionario
concetto della tracciabilità al 100% su tutta la filiera

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