«... Tutto questo è per me oggi il significato della parola mito. Una
macchina che serve a molte cose, o almeno il presunto motore immobile e
invisibile di una macchina che serve a molte cose, nel bene e nel male. È
memoria, rapporto con il passato, ritratto del passato in cui qualche
minimo scarto di linea basta a dare un'impressione ineliminabile di
falso; e archeologia, e pensieri che stridono sulla lavagna della
scuola, e che poi, talvolta, inducono a farsi maestri per provocare
anche in altri il senso di quello stridore. Ed è violenza, mito del
potere; e quindi è anche sospetto mai cancellabile dinanzi alle
evocazioni di miti incaricate di una precisa funzione: quella,
innanzitutto, di consacrare le forme di un presente che vuol essere
coincidenza con un "eterno presente"». Forse nessuno come Furio Jesi ha
saputo tradurre il programma poetico di Rilke nella ricerca di una vita.
Scienza mitologica e critica letteraria, scrittura saggistica e
autobiografia intellettuale sono in questo libro impossibili da
separare: la loro più intima tensione anima uno dei vertici dell'opera
jesiana.
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