lunedì 30 novembre 2009

Esce Separè di Annalisa Bari (Giuseppe Laterza editore)

Una Compagnia di Avanspettacolo in giro per l’Italia degli anni cinquanta. E una bambina, Elena, che, per una serie di circostanze, si trova a dover seguire la prima ballerina, sua zia Giorgia, unica parente rimastale. E’ la stessa Elena che, diventata adulta, racconta in prima persona quell’esperienza, ricostruendo storie e avventure, ambienti e atmosfere di un mondo scomparso. Vagoni di terza classe e stazioni di paesotti proletari, luride pensioni e squallidi cinema di periferia sono i retroscena di spettacolini pretenziosi dove luci e musica, piume e lustrini regalano quarantacinque minuti di evasione a molti che hanno ancora nell’anima le cicatrici della guerra, che faticano a trovare la loro porzione di benessere. E mentre l’Italia si risolleva ricostruendo e rinnovando, e il mondo dello spettacolo si apre a nuove forme, l’Avanspettacolo inizia la sua rapida e inesorabile agonia, tra le illusioni svaporate nella luce bianca del televisore. I nuovi divi e la nuova cinematografia, le rassegne canore, di bellezza, di moda, i rotocalchi, la pubblicità, la politica e lo sport, le auto e gli elettrodomestici: è un’intera nazione che si evolve sotto gli occhi opachi di chi non vuole accettare il cambiamento dei costumi, e quelli vivaci di chi prende la rincorsa verso il futuro. Giorgia e le sue compagne, tra l’aspirazione al successo e la voglia di famiglia, tra avventure fugaci e speranza di un grande amore, sono le ultime donnine di spettacolo additate ed emarginate dai benpensanti, oggetto di effimero piacere, non degne di rispetto e di giustizia. Il racconto leggero e lucido di Elena, filtra la memoria nebbiosa e selettiva dell’infanzia, rimane il distillato dei profumi, quelli stessi che nella passerella finale facevano sognare i giovani dei primi anni cinquanta.

Info: redazione@giuseppelaterza.it

Gargoyle Books presenta "La ragazza della porta accanto" di Jack Ketchum

Il libro. A vent'anni dalla sua prima pubblicazione, il capolavoro di Jack Ketchum, The girl next door, fonte di grande scalpore per gli argomenti trattati, viene finalmente proposto anche al pubblico italiano, dopo essere stato tradotto in greco, giapponese, tedesco, francese e ungherese. Il bestseller si ispira a una delle pagine più atroci della cronaca criminale americana: l'assassinio della sedicenne Sylvia Likens per mano di sua zia, Gertude Baniszewski (che l'aveva in affido assieme alla sorella minore) e dei suoi giovani cugini. Un fatto terribile, avvenuto nel 1965, che scosse gli Stati Uniti, e di cui non si è mai smesso di parlare, in quanto primo di una lunga e inquietante sequela di casi di segregazione violenta ai danni di minori. Ketchum si prende qualche licenza, spostando la storia dall'Indiana al New Jersey (dove è nato e cresciuto) e ambientandola nel 1958. Alla narrazione meglio si prestano, infatti, le tinte fosche del decennio maccartista quando la propensione della provincia americana a rinchiudersi insanamente in se stessa raggiunse il suo culmine, e quando - per usare le parole dello stesso Ketchum - "si era molto più isolati e soli di adesso". L'orrore, in Ketchum, non ha alcuna origine sovrannaturale, risiede unicamente in quei comportamenti umani improntati al disconoscimento dei propri simili, nei processi dell'inconscio e della malattia mentale; celato soltanto dalla normale routine quotidiana, si svela progressivamente fino ad assorbire tutto ciò che è ad esso vicino, catapultando il lettore in un'atmosfera claustrofobia ed esasperata, dove mancano del tutto i limiti morali. Attraverso uno stile che è un incisivo mix di asciuttezza e lirismo, Ketchum parla del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, del disagio e dello smarrimento conseguenti, e dunque della necessità di una sorveglianza adulta discreta e autorevole nel contempo. Nella breve vita violata di Meg Loughlin, la persona designata a tale sorveglianza è Ruth Chandler, ma Ruth agisce esattamente all'opposto di come una guida dovrebbe fare. Apparentemente apatica e incolore, la donna nasconde una personalità diabolicamente manipolatoria: mente, omette, intimidisce, incita alla perdizione, all'abuso di alcol, a un'iniziazione sessuale distorta. Nessuno contrasta la bruttura di tali azioni, che lei ordina di commettere e commette a sua volta: dall'altra parte ci sono solo ragazzini, alcuni dei quali sono suoi figli. La comparsa di Meg, giovanissima, bella, vitale e con un intero futuro davanti, ha su Ruth l'effetto di un detonatore di pulsioni distruttive: emerge tutto ciò che già c'era ma non si vedeva, una follia cattiva dovuta a un acido rancore e a una devastante misoginia.Ricercata è l'angolazione adottata dall'autore per eludere l'efferatezza in eccesso propria della storia: David - l'io narrante - assiste alle torture descrivendole al lettore, in tal modo Ketchum descrive anche il coinvolgimento emotivo del ragazzino. Tuttavia quando David si costringe a non frequentare la casa dei Chandler per sottrarsi all'orrore che lì si consuma, il lettore viene preservato assieme a lui.
I meccanismi dell'assoggettamento, la complicità al male dovuta alla fascinazione del proibito, la deresponsabilizzazione verso il crimine per via del consenso adulto, la devianza dalla funzione genitoriale, dalla spensieratezza adolescenziale, dai ruoli sociali sono solo alcuni dei grandi temi che rendono La ragazza della porta accanto un romanzo difficile da dimenticare.
La trama. 1958, David Moran, 12 anni, vive in una cittadina rurale dello Stato del New Jersey. Il suo mondo ruota attorno a Laurel Avenue, strada senza uscita fittamente alberata, popolata di villette a schiera dove tutti si conoscono. I suoi migliori amici sono i fratelli Chandler che abitano nella casa accanto. Quando Meg e Susan Loughlin si trasferiscono a vivere dai suoi vicini, David è contento e incuriosito dell'opportunità di allargare le sue conoscenze femminili, sebbene Meg sia maggiore di lui di due anni. Le sorelle Loughlin hanno appena perso i genitori in un incidente d'auto, e sono state affidate a Ruth Chandler, loro lontana parente nonché madre di Donny, Willie e Woofer. Ma Ruth nasconde un'insospettabile vena di sadismo e alienazione, che sfoga dapprima sottoponendo le ragazze a percosse sempre più violente, e poi dando vita a una serie di torture fisiche e psicologiche a cui anche i suoi figli prendono parte attiva. Sia David sia gli altri amichetti del vicinato divengono testimoni e, in qualche modo, complici delle terribili sevizie. La polizia accoglie con leggerezza le denunce di Meg: l'unica speranza per lei e la sorella è l'aiuto di David, che deve scegliere tra l'affetto per Meg e l'ossequio verso Ruth.
L'autore: Jack Ketchum (New Jersey, 1946) è lo pseudonimo di Dallas Mayr. Ex figlio dei fiori, già attore, cantante, insegnante, agente letterario, venditore di legname e barista, è sulla scena della narrativa horror statunitense da quasi trent'anni. Autore prediletto di Stephen King, è stato più volte vincitore del "Bram Stoker Award" - massimo riconoscimento per la letteratura horror, conferito annualmente dalla Horror Writers Association, ha scritto numerosi racconti (le antologie Peaceable kingdom, 2002, e Closing time, 2007, hanno vinto il "Bram Stoker Award") e undici romanzi - tra cui Off spring (1980), The girl next door (1989), She walks (1989), Red (1995, Mondolibri 2009), Ladies's night (1997) e The lost (2001). Da Off spring , The girl next door, Red e The Lost sono stati tratti i film omonimi. Il romanzo The girl next door è stato portato sullo schermo nel 2007 dal regista Gregory Wilson, su sceneggiatura di Daniel Farrands e Philip Nutman; Red, diretto dal norvegese Trygve Allister Diesen e dal californiano Lucky McKee, è stato presentato nella selezione ufficiale del Sundance Film Festival 2008.

www.jackketchum.net


Da La ragazza della porta accanto:

"[.] i nostri sentimenti verso Meg pian piano cambiarono. Dall'ammirazione per l'audacia e il sangue freddo dell'azione e per aver sfidato ufficialmente l'autorità di Ruth, passammo a un certo disprezzo. Come aveva potuto essere così sciocca da pensare che la polizia si sarebbe schierata contro un adulto, dalla parte di una ragazzina? Come aveva potuto non capire che avrebbe soltanto peggiorato la situazione? Come poteva essere così ingenua, così fiduciosa e così stupidamente credulona? [.] Era come se [.] Meg ci avesse sbattuto in faccia il fatto che in quanto ragazzini non avevamo il benché minimo potere. Essere "solo dei ragazzini" assunse un significato del tutto diverso, come un'inquietante minaccia di cui eravamo già consapevoli, ma su cui non avevamo mai dovuto riflettere davvero."
Ketchum su La ragazza della porta accanto:
"Anche se le azioni dei personaggi sono malvage o immorali, resta sempre la possibilità di cambiare vita. È quello che succede a David, protagonista e voce narrante. Da parte mia, ho voluto indagare sia la luce che l'oscurità dell'uomo, così da vederle entrambe e poter fare scelte più consapevoli."
Dalla Nota Finale di Stephen King:
"...non esiste scrittore che, dopo aver letto Ketchum, possa evitare di restarne influenzato, così come non c'è lettore, anche non necessariamente appassionato di genere, che dopo essersi imbattuto in un suo lavoro possa facilmente dimenticarsene. Ketchum è diventato un archetipo. Lo è diventato sin dal suo primo romanzo, Fuori stagione... e si è confermato tale fino a La ragazza della porta accanto, che ne ha segnato la consacrazione."

Gargoyle Books presenta "La ragazza della porta accanto" di Jack Ketchum. Traduzione di Linda De Luca. Con una Nota Finale di Stephen King

domenica 29 novembre 2009

JORGE AMADO, Tiêta Do Agreste (Editora RECORD). Di Adriana Maria Leaci

Este romance foi publicado em 1977 e, até hoje, foi reeditado mais de vinte vezes. Virou filme de Cacá Diegues em 1996 com Sônia Braga, como Tiêta, e um elenco de atores brasileiros de primeira que todos nós, brasileiros, conhecemos muito bem. Mas ler o livro é outra coisa. Jorge Amado, um dos maiores escritores brasileiros em absoluto, deu lustro à literatura do país e exportou o proprio talento pelo mundo afora. Desaparecido em 2001, seus romances continuam sendo editados e nenhuma geração até hoje abandonou a curiosidade de conhecê-lo e de amá-lo, exatamente como seu sobrenome sugere. Na maior parte das suas obras, relata sobre mulheres que devem enfrentar tabus e preconceitos da sociedade masquilista e patriarcal brasileira.
Neste romance é entusiasmante como o personagem de Tiêta se revela como uma mulher de caráter extremamente forte e capaz de enfrentar uma cidade inteira usando a sua experiência e as suas convicções pessoais. A chave do erotismo é sempre frequente mas, Jorge Amado tem a habilidade de transformar a fraqueza moral do ser humano em sátira, movimentando a história com uma linguagem muito rica e prazeirosa. Como em outros romances, este também se passa no estado da Bahia, na cidade natal de Tiêta, Sant’Ana do Agreste, onde ela volta depois de vinte e seis anos de ausência, desde que foi expulsa de casa pelo pai. Durante os anos em que Tiêta vive longe, não deixa de ajudar a família enviando dinheiro e mantendo o contato através de cartas que recebe em São Paulo. A presença de Tiêta coloca em agitação a população da pequena cidade, pois ela retorna rica e poderosa, viúva e disponível. E’ circundada pelas pessoas mais influentes da cidade, entre políticos, poetas e outros que são literalmente atraídos pelo fascínio da mulher. Tiêta conseguirá marcar todas as pessoas da cidade através do seu modo de viver completamente novo para aquele tipo de sociedade. Pela enésima vez Jorge Amado deixará o leitor preso entre suas páginas, que parecem uma espécie de ímãs de olhos, curiosos de saber qual final reserva o autor para mais uma personagem feminina de grande bagagem de vida.
Pessoalmente, o que aprecio em Jorge Amado é que, na pior situação da história, não passa nenhum sentimento negativo, pois trata qualquer argumento com muita naturalidade, livre e sem pesar nos valores de cada um. Simplesmente bárbaro!

Tiêta Do Agreste - JORGE AMADO. Editora RECORD – 576 páginas. LITERATURA BRASILEIRA - ROMANCES

sabato 28 novembre 2009

Recensione al mio Dermica per versi di Nunzio Festa uscito per LietoColle

“Dico dovrei / ma non lo faccio.” Questo è un distico di Stefano Donno. Una particella estromessa dal suo corpo madre e padre, l’ultima silloge poetica del salentino Donno, “Dermica per versi”. Presa da sola, la chiusa, - perché di questo si tratta - dice nulla ma contemporaneamente tutto. In quanto è da sola un mezzo capace d’esprimere parte delle scelte del poeta, come allo stesso tempo un estratto della normalità; che si dovrebbe, quindi: eppure non sempre si fa realtà. Quello che l’autore non fa, però, è detto in versi sottili e potenti: “Dovrei annuire con la testa / in segno di accondiscenza / abbracciare la sacralità della tua schiena / dovrei gioire dei tuoi fremiti / e ascoltare per ore e ore / solo lo sciabordio gentile delle nuvole…” La grazia di alcune inquadrate è la stessa, amara e forte, che scappa in componimenti nati per rivendicare il diritto alla dimensione intimistica. Ed è appunto su questo livello, in mezzo a questo terreno fremente che Stefano Donno crea i versi migliori da sé. “L’involucro del mio male / come prurito secco che scortica la pelle / accarezza i tuoi seni e scende sperduta l’ansia / di averti in diverse pose e magari / rovinare tutto con un semplice gesto senza maestria / lasciando perdere la passione e la parola / tradita d’assenza nel tuo sguardo”. In alcuni sentieri la poesia di Donno conosce amore e dolore all’interno del medesimo e incantevole quanto incantato istante. Con Dermica per versi, altro momento delizioso della speciale e originale collana lietocollina Solodieci, siamo di fronte alla prova provata, si suol testimoniare, dell’espressione più pura. Con questa nuova opera, infatti, Donno spiega a lettrice e lettore che è il percorso più intimo quello che riesce meglio a dimostrare le belle capacità. Con il filo del dentro, Donno sa benissimo portare alla luce della notte e al buio dell’illuminazione il fiato d’una parola utile per lasciare la propria pelle, tutt’intera, all’interno delle pagine.

Dermica per versi, di Stefano Donno, con una nota di Alessandra Bianco, LietoColle (Como, 2009), pag. 16, euro 5.00.. recensione uscita sul blog di Francesca Mazzuccato

Ringrazio inoltre Amedeo Anelli per la recensione apparsa su Il Cittadino di Milano, al lavoro che ho realizzato con Sandro Ciurlia uscito per Edita

Giorgio Manganelli, Centuria (Adelphi) di Marco Montanaro

Trent’anni fa: un po’ di Django Reinhardt, un po’ di Magritte. E le centurie di Boccaccio, Nostradamus, Boccalini e il Novellino (testo anonimo del ‘200). Ecco cos’è Centuria (1979) di Giorgio Manganelli – cento piccoli romanzi fiume, è il sottotitolo. Verrebbe da dire che Manganelli è geniale. Ma questo si dice per rendere innocuo qualcuno, in genere. Invece Manganelli ha ancora molto da dire: specie in tempi d’immaginario frammentato, in cui la scrittura, dopo Internet, parrebbe condannata a essere istantanea, breve, per lo più innocua. Manganelli, al pari del suo amico Calvino, era un chirurgo della parola. E con la parola sapeva fare di tutto, rimodellando qualsiasi tipo d’immaginario – per questo, Django Reinhardt. Allora Centuria diventa l’esperimento più azzardato: cento romanzi da una pagina ciascuno. Che si tratti davvero di romanzi o meno, ha importanza relativa – oggi potrebbero anche apparire come cento sceneggiature per brevi videoclip degni del miglior Michel Gondry. Certo è che non accade molto – in senso di azione – nella singola pagina. Manganelli dà subito le coordinate, gli attributi dei suoi personaggi, quasi sempre anonimi (“il signore”, “la città”, “il prigioniero”, “il drago”, “la donna che ha partorito una sfera”, “l’assassino”) e dopo qualche rigo comincia l’attività combinatoria. Molto simile a un limerick, se vogliamo. Ma nelle mani di Manganelli ogni romanzo diventa un’esplosione di possibilità, di mondi paralleli, in cui un tacchino può tentare la carriera forense e le scimmie urlatrici hanno dignità teologica; in cui un serial killer, dopo una estenuante autoanalisi, comprende che è se stesso che deve uccidere, per una questione di dignità professionale. Il punto fondamentale, comunque, rimane l’intensità. Provate a leggere Centuria tutto d’un fiato, magari ingannati dalla brevità dei romanzi-fiume: impossibile. Ogni singolo pezzo è un mondo vero e proprio, con le sue regole logiche, teologiche e narrative; ogni pezzo mette in scena un universo – parallelo al nostro, forse, certamente psichedelico – col suo immaginario, le sue mitologie; e tanto basta per rendere ancora più assurda quella che si suppone essere la realtà. Poco importa che Manganelli venga infilato nel filone della letteratura come menzogna (c’è un suo libro che si intitola così), poco importa che il suo continuo parodiare possa apparire barocco, fine a se stesso (scrittura pura, la chiamano); le centurie di Manganelli non sono solo un manuale di scrittura creativa, ma un tentativo di toccare l’infinito, di abbandonare un corpo mortale – concetto che tornerà in Dall’inferno (1985) – attraverso la fantasia. In una forma che oggi sembra ancora più attuale, adatta agli oscuri-tempi-che-corrono.

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su concessione dell'autore M.M.

venerdì 27 novembre 2009

UN COFANETTO SUL BALLO DELLA PASSIONE. Intervento di Angela Leucci















È stato realizzato il cofanetto “Tangh in corto”, una serie di tre cortometraggi di Maurizio Mazzotta in una tiratura limitata di trecento copie, che sarà distribuito in proprio dall'autore e nei circuiti underground. Il cofanetto raccoglie il già citato “El tango es sueno”, “Perdizione” e “Il cuore nei piedi”. Non ci dilungheremo sul primo perché l'abbiamo già fatto in un precedente post (cfr. http://stefanodonno.blogspot.com/2009/11/lansia-da-prestazione-balla-ritmo-di.html). Questa trilogia, composta da due filmati di pura fiction e un documentario, completa quello che Mazzotta ha iniziato attraverso la struggente descrizione di un tango nel bosco all'interno del suo romanzo “Gli uomini delle vigne”. “Perdizione”, per esempio, racconta lo stato di abbandono che il tango comporta, più di qualunque altro ballo, o, più in generale, di qualunque altra attività: un uomo e una donna si lasciano trascinare in una milonga con un carrello nel supermercato, e si allacciano in un tango nel parcheggio, finché lo scenario non si annulla dentro la loro passione, fino all'ironico epilogo, che anche stavolta non sveleremo. “Il tango nei piedi” è, invece, un documentario su coppie di vecchi tangueri che si mettono a nudo, svelandosi e rivelandosi attraverso il ballo che prende luogo nei posti più disparati. Il cofanetto è consigliato a tutti, non solo agli amanti del tango, ma soprattutto a chi ha perso o crede di aver perso fiducia nella poesia che esiste in tutte le cose, chi non crede più che sia importante fermarsi anche per un attimo ad ammirare la bellezza, quella di un ultimo tango nel Salento.

Superba è la notte! ... un coro di poesia!

La poesia ha bisogno dell'incontro per completare la sua “missione”. Accogliere parole è compito del poeta, farle suonare dentro sé, dare corpo con i versi all'indeterminato del sentire e fare urlo, canzone, carezza, monito, schiaffo, invocazione, preghiera.... Che forza! Ma tutto ciò non può rimanere chiuso in un libro, imprigionato nelle righe tracciate dall'inchiostro o segnate dal digitare su una tastiera. E' necessario – vitale per la poesia - che le voci si facciano voce, muovano verso l'altro tentando una manovra piena di accoglimento per sommuovere ciò che dorme in ognuno e non trova indirizzo, verso, appunto! A questo - Livio Muci e l'editrice Besa - pensano ogni volta che torna la Città del Libro, concertare un luogo, un'occasione dove lasciare libere le parole, il sentire dei poeti e la necessità del pubblico di apprezzare altre lingue, altre modalità di concepire e realizzare poesia. “Superba è la notte” è il titolo proposto quest'anno per l'ormai consueto happening di scrittori e poeti salentini che, dalle 20.30 di domenica 29 novembre, si terrà nella Sala del Centro Servizi del Quartiere fieristico di Campi Salentina.

Parteciperanno alla serata:
Giuseppe Conte, Vito Antonio Conte, Rosanna Gesualdo, Elio Coriano, Giuseppe Cristaldi, Antonio Errico, Mirko Gabellone - Michele Bovino, Irene Leo, Elisabetta Liguori, Anna Maria Mangia, Massimiliano Manieri, Daniele Ninfole, Guido Picchi, Luisa Ruggio, Giovanni Santese

giovedì 26 novembre 2009

"Avevo sei anni e mezzo" di Simone Di Maggio (Fazi)

"Di fronte al portone, suono schiacciando forte il pulsante del citofono. Mi volto e saluto con la mano Flavio e sua mamma, che mi fanno ciao e se ne vanno. Forse pensano che qualcuno mi abbia aperto. Citofono di nuovo, schiacciando più forte, una, due volte… Non c’è nessuno a casa, e nessuno in strada. Mi guardo intorno, ho sei anni e mezzo, e ho paura …". Questo breve periodo è riportato su molti blog, e forse non a caso. Appartiene al libro che Simone Di Maggio ha scritto nel 2008 per Fazi, e che ha per titolo “Avevo sei anni e mezzo”. Quel brano è l’anticamera dell’inferno. Fra qualche rigo si capirà il perché. L’autore mi scrive due giorni fa, allegandomi il word del testo e il jpg della copertina. Mi chiede se posso scrivergli qualcosa, perché gli piacciono le mie recensioni. A reperire il libro in giro c’è una certa difficoltà. Così sostiene. Gli credo. Nulla di nuovo sotto il sole dell’editoria. La mia risposta, come mio solito, affabile e calibrata, verte tutta sul fatto che in questo periodo ho molto lavoro da portare a termine (ebbene sì, precario ma pur sempre con un minimo stipendio che mi fa sbarcare il lunario) e che sicuramente più in là avrei affrontato il suo lavoro. Ora non so nemmeno se questa sarà una recensione nel senso più stretto del termine, ma una cosa è certa. Questo lavoro l’ho letteralmente divorato, ed eccomi allora qui a parlarne. Siamo a Torino, alla sua periferia, in un parco dove si sentono le grida gioiose dei bambini, i cigolii d’altalena, le voci delle mamme che chiamano i loro figli e la forza dei loro sguardi che vogliono proteggere dal male del mondo. Un piccolo parco certo, ma vero e proprio terreno di caccia di un tipo elegante, sornione, colto, raffinato che se ne sta sempre buono su una panchina, magari a regalare sorrisi come caramelle ai bambini. Un mostro in realtà capace di spezzare vite che hanno tutto il futuro da costruire, capace di trasformare in dolcezza e irresistibile narcosi la sua perversione, il suo male. Il protagonista lo chiama il Falco. Sarà lui l’incubo peggiore nella vita del protagonista di questa storia, la causa di attacchi di panico e altre monomanie ossessivo-compulsive. Questa storia è stata scritta, da quel bambino di allora, ora già adulto, che ha dovuto lottare con uno sforzo immane (e non c’è Valeria, o Daniela, o famiglia, o amici che tengano), nel relegare il Falco nella cantina buia della sua anima, in una stanza buia e marcescente che non aprirà mai più. Simone, ha rielaborato tutto ormai, certo, ne ha fatto un libro che fa confondere il grido di dolore ancora pungente con la letterarietà. Simone quella storia ha trovato il coraggio di riscriverla, e forse ha ritrovato la sua vita. Ma sono convinto che comunque certe cicatrici non se ne andranno mai, e che qualche volta ancora sentirà - sarà solo una lieve sensazione, un umore particolare – non tutti i pezzi del puzzle essere al posto giusto. L’opera in questione mi è entrata dentro, ha toccato il cuore, senza andare troppo per il sottile. Ad ogni modo “Avevo sei anni e mezzo” lo trovo un libro necessario … anzi indispensabile!

mercoledì 25 novembre 2009

Giallo Salento il 4 dicembre a Novoli

Il Salento. Terra di transito, di attraversamenti, di ragni tarantolati, di ulivi secolari. Salento, terra di meraviglie barocche, di cultura, non solo terra dove impera lu sule, lu mare, lu ientu! Già perché c’è un aspetto della storia della letteratura di questo territorio ancora tutta da scoprire, tutta ancora da valorizzare e da apprezzare, e per certi versi forse poco rassicurante. Obiettivamente la produzione letteraria di queste lande, da Salvatore Toma a Antonio Leonardo Verri sino a Claudia Ruggeri, ha raccontato sia in prosa che versi, una geografia della scrittura che parlava di queste latitudini in maniera non certo entusiastica, dove il lirismo mitologico di un luogo quasi utopico e incontaminato sotto qualsiasi punto di vista, veniva sostituito dalla narrazione di un luogo, il nostro, tutt’altro che idilliaco,anzi … un inferno “minore”, citando l’opera della Ruggeri, dove il barocchismo delle identità diveniva sublimazione dell’ipocrisia, della volgarità, del pressapochismo, di una claustrofobia esistenziale che lacerava ogni slancio. A cavallo poi tra gli anni ’80 e ’90 il Salento ha visto nascere il pulp, la beat generation. il noir, e ora a partire dal nuovo millennio il Giallo. Il Giallo Mondadori, ideata da Lorenzo Montano e pubblicata da Arnoldo Mondadori a partire dal 1929) a tutt’oggi ha i suoi appassionati seguaci, e le sorprese, anche in questo territorio giallo come il sole e rosso come il sangue sono ancora moltissime. Naturalmente l’assassino non è sempre il maggiordomo … E dunque l’intento di questo progetto è quello di dare un primo spaccato che negli anni verrà sempre più ampliato e arricchito, su questa nuova porzione della letteratura salentina che sta vedendo la luce da qualche anno e che si sta pian piano consolidando. Una serie di narratori, giornalisti della carta stampata e televisivi che si sono cimentati con una scrittura stilisticamente vicina al romanzo per descrivere di omicidi efferati o clamorosi fatti di nera, o esordienti che hanno visto nel Salento un paesaggio ideale per ambientazioni noir, vicine al giallo, a volte gotiche. Naturalmente l’assassino non è sempre il maggiordomo …

Sospettati: Raffaele Polo, Gianni Capodicasa, Lucia Accoto, Piero Grima, Graziano Tramacere, Angela Leucci, Armando Tango, Lino De Matteis, Elisabetta Liguori, Marcello Costantini
Complici: Luisa Ruggio, Sandrina Schito, Alessandra Bianco, Mauro Marino, Vito Antonio Conte, Ilaria Ferramosca
Gli autori coinvolti hanno pubblicato con le seguenti case editrici: Luca Pensa editore, Akkuaria editrice, Besa editrice, Lupo editore, Glocal editrice, Argo editrice

La Scienza dello Star Bene di Wallace D. Wattles (Bis edizioni)

Lo aveva già fatto per “La legge di Attrazione e La Scienza del diventare ricchi”. Ora Wallace D. Wattles espone in questo breve trattato dal titolo “La Scienza dello Star Bene” (Bis Edizioni), la funzione primaria che il pensiero ha nel condizionare lo stato di salute di ciascuno di noi e la qualità della nostra vita. Ogni giorno un oceano di pensieri ci sommerge, ma la forza magnetica della nostra mente ha tutto il potenziale energetico per attirare pensieri affini a quelli che generiamo e quindi di strutturare la realtà che ci circonda a nostro piacimento. Questo è valido anche per ciò che concerne la salute. La Scienza medica ha le conoscenze per curare i sintomi ma è la nostra mente che può curare il corpo: il concetto di “essere sani” deve essere introiettato a tal punto da ottenere veramente una salute perfetta, liberandoci da medicine, dottori e ospedali. Sostiene l’autore: «Il primo passo de La Scienza dello Star Bene consiste nel mettere il vostro pensiero in pieno contatto con la Salute. Il miglior modo per farlo è formare un’immagine mentale di voi stessi in salute, immaginare un corpo perfettamente forte e sano e trascorrere un certo tempo in contemplazione di quest’immagine, in modo da farne il pensiero abituale di voi stessi». Riflettiamoci un istante: nelle medicine orientali è importante curare la mente adottando il giusto modo di pensare e di relazionarci alla salute piuttosto che curare i sintomi delle malattie. Dunque la medicina convenzionale non basterebbe a svolgere il ruolo di terapia che per statuto le compete, contro i mali che affliggono l’uomo? Le ricerche portate avanti da scienziati e medici nell’ambito della salute, per sconfiggere virulente malattie, o mali peggiori per l’umanità, avrebbero un potere limitato? Può il pensiero intervenire direttamente sulle cellule e dunque sulla genetica assurgendo al ruolo di “agente riparatore” su qualsiasi problema organico? E ancora viene spontaneo chiedersi: perché ci sono persone che godono sempre di buona salute e altre invece più cagionevoli che soffrono continuamente di qualche malanno? Da che cosa dipende la buona salute di ognuno di noi? Wallace D. Wattles sviluppa una vera e propria fisiologia del benessere in queste cento pagine di saggio, andando dai consigli per la postura, al modo di masticare, al cibo da assumere, al respiro. E questo sarebbe ben poca cosa, dal momento che sembrerebbe più un contributo di dietologia, eccentrico certamente, ma pur sempre di carattere dietologico. Wattles afferma che “la Salute, la cosa più importante nella vita di un uomo o di una donna, è il risultato di un determinato modo di pensare e di agire. Se una persona malata comincia ad adottare questo nuovo modo di vivere, il Principio della Salute dentro di lui si attiverà in maniera costruttiva e curerà le sue malattie. Il Principio della Salute, che è in tutti noi, è in grado di curare ogni malattia ed entra in azione ogni volta che una persona pensa e agisce in accordo con la Scienza di star bene. Quindi, ogni persona può ottenere una salute perfetta”. L’aspetto forse più interessante di questo volume sta nel retroterra teoretico dove troviamo interessanti considerazioni e riflessioni. Lo scrittore sostiene che esiste una Vita Cosmica che permea, attraversa e riempie ogni vuoto che ci circonda. Essa è Sostanza Vivente di cui tutte le cose sono fatte, e pensando assume la forma di ciò a cui pensa, determinando successivamente movimenti e forme, e interazioni tra questi elementi. L’uomo è frutto di questo pensiero e dunque simbionticamente uno con la Sostanza Vivente: da ciò deriva che in quanto esso stesso manifestazione della Vita Cosmica e ad essa organicamente legata, può con il pensiero pensare anche la Realtà e modificarla a proprio piacimento. Il risvolto etico è similare ai passaggi sui diversi gradi di essere di cui parla Plotino i quali man mano che si allontano dall’Uno che li ha generati perdono di perfezione. Ad ogni modo si tratta di un lavoro da prendere con le debite cautele, soprattutto dal momento che Wallace D. Wattles utilizza una terminologia all’apparenza semplice e accessibile, ma che se approfondita nei particolari nasconde significati occulti ed esoterici, che spaziano dalla Wikka all’arte dell’’Alchimia. Senza dubbio comunque un’opera da studiare con attenzione

ISBN: 9788862280631

Prezzo € 9,00


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martedì 24 novembre 2009

Una canzone per Castor di Mari Cavalli e Will_Be (Besa editrice)

Càstore e Pollùce o Polideuce sono personaggi che appartengono alla mitologia greca e romana, figli gemelli di Zeus e di Leda, noti come i Diòscuri, ovvero "figli di Zeus", ma anche come Càstori.
Facendo riferimento a quell’universo di vicende che è il Mito, i due fecero parte degli Argonauti, ovvero gli eroi che parteciparono alla ricerca del Vello d'oro: Polluce sconfisse in uno scontro di “pugilato” il re dei Bebrici, Amico. Poco tempo dopo i gemelli diedero vita alla città eponima di Dioscuria, collocata secondo il mito in Colchide. Questa è una versione dei fatti, quella tramandataci dalla storia, e dalle narrazioni ufficiali. Una re-interpretazione (sul senso dei legami) più contemporanea di quanto sopra raccontato brevemente la ritroviamo nel lavoro “Una canzone per Castor” di Mari Cavalli e Will_Be, edito da Besa con disegni al suo interno di Nicola Riccò. Un lavoro che parla di amicizia, una generosa e fraterna e l’altra inusuale perché venutasi a creare a seguito di un tragico evento, ovvero la morte prematura di un giovane, di nome Castor per l’appunto, che lascerà un segno profondo e indelebile nelle vite di chi lo ha conosciuto e amato. Si tratta di un libro interessante, soprattutto in tendenza con parecchia produzione scritturale di questi ultimi tempi, che abbandona forme oramai vetuste e stereotipate come l’epistolario, o il racconto fiume in prima persona di un Io narrante Onnipresente e Onniscente, per accondiscendere alle seduzioni di nuove grammatiche che provengono non solo dai social network ma anche dalla sintesi selvaggia del senso sintagmatico di mail ed sms. Che poi per dirla tutta, oggi come oggi, non costituisce più una novità. Infatti le due voci costruiscono un dialogo via posta elettronica intenso e serrato, volto a ricostruire un tracciato biografico (quello di Castor) segnato da un cortocircuito irreparabile che è la Morte. Ed ecco che Maria Cavalli e Will Be, attraverso anche l’uso frequente della prosa poetica, cercano di aiutare i protagonisti (una madre che ha perso il proprio figlio e un amico che ha perso un’amicizia fraterna) a re-impossessarsi di luoghi, volti, suoni, del vuoto nelle loro vite generato dal tragico evento. Non esiste un’ambientazione precisa nella descrizione di luoghi, perché il tutto si svolge nel meta-ambiente della Rete, ma puntuali a volte sono i riferimenti alla cultura pop musicale (Radiohead) o le citazioni di grandi e rivoluzionari studiosi di pedagogia come Bruner e Grossman: e non è un caso dal momento che Maria Cavalli è stata insegnante ed esperta di relazioni educative, e il libro è in fondo un progetto editoriale che mira a sfatare una serie di pregiudizi intorno ai giovani e alle loro vite. Se dovessi esprimere un giudizio al di là di un aspetto prettamente superficiale, direi che lo stile e i contenuti legano saldamente il lettore a queste pagine, anche perché sembra proprio che ci si trovi dinanzi ad un vero e proprio Lamento, come quello delle tragedie classiche, dove la forza di queste due voci parlanti, sanno che hanno reciprocamente ragione di questa loro inquietudine e sofferenza, ognuna dal suo punto di vista: parliamo della scoperta fondamentale della coscienza tragica della separazione e del lutto che come un fantasma o come uno scheletro nei nostri armadi fa sentire il suo peso!

Una canzone per Castor di Mari Cavalli e Will_Be (Besa editrice) collana Comete 7, pp. 208, euro 14,00

Rusty Dogs

Iniziano ufficialmente le pubblicazioni di Rusty Dogs (http://rusty-dogs.blogspot.com) con la prima storia, scritta da Emiliano Longobardi, disegnata da Andrea Del Campo e intitolata Next door to paradise. Rusty Dogs è un blog che raccoglie storie brevi a fumetti scritte da Emiliano Longobardi e disegnate da (almeno) trentotto disegnatori italiani attualmente a lavoro con alcuni dei più importanti Editori nazionali e stranieri. Il genere delle storie è il crime-noir e ognuna di loro sarà leggibile indipendentemente dalle altre, pur essendo tutte collegate da vincoli più o meno forti. Il disegnatore della prima storia di Rusty Dogs è Andrea Del Campo, catanese, già membro degli staff di John Doe e Unità speciale (Eura Editoriale), di Evo – La ragazza del fiume (Double Shot) e attualmente a lavoro con la Star Comics sulla nuova mini-serie Valter Buio su testi di Alessandro Bilotta.

Lo sceneggiatore - Emiliano Longobardi, sassarese, libraio. Esordisce come sceneggiatore nel 1999 con l'albo Xiola - Primo sangue (Liberty), scritto insieme ad Antonio Solinas e disegnato da Werther Dell'Edera. Dopo sette anni dedicati alla critica e all'informazione fumettistica con Rorschach.it e Comicscode.net, riprende nel 2006 l'attività di sceneggiatore.
E' presente sui primi tre numeri di Mono (Tunuè, disegni di Werther Dell'Edera, Elena Casagrande e Gianfranco Giardina), ha pubblicato una short su Donnell&Grace - Bluelights (IDEAcomics, disegni di Massimo Dall'Oglio) ed è fra gli autori di Killer Elite n.2 (Bottero Edizioni, disegni di Gianfranco Giardina e Andrea Del Campo).
Il suo blog è raggiungibile all'indirizzo: http://emilianolongobardi.blogspot.com

Lo staff di disegnatori sarà inizialmente composto da Fabiano Ambu (Il massacro del Circeo, Dampyr), Antonello Becciu, Michele Benevento (Caravan), Giacomo Bevilacqua (John Doe, A Panda piace), Elia Bonetti (Trigger, Capitan America), Riccardo Burchielli (John Doe, DMZ), Matteo Bussola (Unità Speciale, Factor V), Giancarlo Caracuzzo (Storia di cani, Nemrod), Raul Cestaro (Tex), Massimo Dall’Oglio (Underskin, John Doe), Davide De Cubellis (Martin Mystère), Andrea Del Campo (John Doe, Valter Buio), Werther Dell’Edera (John Doe, Loveless, Dark Entries), Carmine Di Giandomenico (Battlin Jack Murdock, Magneto: testament), Antonio Fuso (John Doe, Fear agent), Andrea Gadaldi (John Doe), Pier Gallo (Legs, Gaijin), Davide Gianfelice (Northlanders, Greek street), Gianfranco Giardina (Killer Elite, Mono), Simone Guglielmini (Detective Dante, Agent Zero), Giuseppe Marinello, Alex Massacci (Jonathan Steele, Doctor Voodoo), Francesco Mortarino (Dead Nation), Guido Nieddu, Davide Pascutti (La Grande Guerra, Marcinelle), Rossano Piccioni (Inside, L’insonne), Giorgio Pontrelli (John Doe), Paolo Raffaelli (Umberto Mistri – aviatore), Maurizio Ribichini (I quattro colpi, Storie fragili), Andrea Rossetto (Tengu-Do), Armando Rossi (Ford Ravenstock), Lorenzo Ruggiero (Superman Red son, La neve se ne frega), Antonio Sarchione (C.O.P.S.), Marco Soldi (Dylan Dog, Julia), Cristiano Spadoni (Magico Vento, Julia), Claudio Stassi (Brancaccio, John Doe), Joachim Tilloca (Un anno dopo) e Riccardo Torti (John Doe).

Il logo della serie, il lettering e la grafica del blog sono realizzati da Mauro Mura.
Info: Emiliano Longobardi – emiliano.longobardi@gmail.com

lunedì 23 novembre 2009

IL QUINTO COMANDAMENTO di Eric Frattini (Edizioni Il Punto d'Incontro)

Nel cuore del Vaticano il circolo Octogonus è pronto a tutto per nascondere un terribile segretoNella biblioteca dell’Università di Yale, è conservato un enigmatico documento: il Manoscritto Voynich, un codice del XV secolo scritto in una lingua incomprensibile. Nel corso della sua straordinaria storia, è stato inseguito da papi e imperatori, spie e studiosi, per scoprirne il mistero... od occultarlo per sempre. “Tutto quello che non è sacro è segreto”. Il professor Avner è sul punto di riuscire nell’impresa a cui ha dedicato una vita di studi: è riuscito a decifrare parte del manoscritto. Ma una terribile minaccia grava su di lui e su tutti quelli che l’hanno aiutato... “Favore per favore, silenzio per silenzio”. Il Circolo Octogonus è composto da otto temibili sacerdoti assassini guidati dal machiavellico cardinale Lienart. Davanti all’imminente decifrazione del segreto del Voynich, i membri del Circolo si preparano alla missione più importante: impedirne la divulgazione. Alla ricerca della verità, Avner e i suoi collaboratori si infiltreranno nel cuore del Vaticano, scoprendo quanto sia facile per alcuni alti prelati della curia violare il quinto comandamento.

Eric Frattini nato a Lima nel 1963, è professore universitario, giornalista e scrittore eclettico, appassionato di storia e di politica. Insegna giornalismo all’Università di Madrid e interviene. periodicamente come esperto di politica estera alla tv spagnola. Corrispondente dal Medio Oriente, analista politico e sceneggiatore televisivo, ha abitato per diversi anni in Polinesia, Paraguay, Libano, Cipro e Israele. Ha anche diretto numerosi documentari per le principali emittenti televisive spagnole, con le quali collabora assiduamente. È autore di una ventina di libri, tradotti in tutto il mondo, tra i quali: Osama bin Laden, la espada de Alá (2001); Mafia s.a. 100 Años de Cosa Nostra (2002); Irak, el Estado incierto (2003); Secretos Vaticanos (2003); La Santa Alianza, cinco siglos de espionaje vaticano (2004), pubblicato in Italia col titolo L’Entità (2008); onu, historia de la corrupción (2005); Kidon, los verdugos del Mossad (2006); o La Conjura, Matar a Lorenzo de Medici (2006); CIA, Joyas de Familia (2008). Le sue opere sono già state tradotte in Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Russia, Polonia, Bulgaria, Romania, Brasile, Stati Uniti e Australia Attualmente, vive e lavora in Spagna.

ISBN: 9788880936428

Prezzo € 16,90


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Rarissime celesti eccezioni (Como, Ibis, 2009) di Flavio Massimo Lucchesi

Ho trovato davvero interessante l’ultimo lavoro di Flavio Lucchesi uscito per i tipi di Ibis edizioni di Como dal titolo “Rarissime celesti eccezioni”. Si tratta di un autore non alla sua prima uscita editoriale, visto che ha all’attivo due altre pubblicazioni che ibridano esperienza geografica ( Lucchesi è professore di Geografia umana all’Università di Milano) e letteratura come “Cammina per me Elsie” e “L’epopea di un italiano emigrato in Australia”. La peculiarità di un libro come questo sta innanzitutto, come rilevato sottilmente nell’introduzione al volume da Gianni Turchetta, nella policromia stilistica e dei codici, ovvero una flessibilità impressionante di giocare con le parole, i costrutti, le flessioni tensive nella narrazione che sublimano il tutto in un lavoro bello e singolare. Il secondo aspetto che mi sento di sottolineare è la capacità di trasformare una categoria ontologicamente necessaria al nostro vivere come l’Amore, in un essere composito, eccezionale nella sua aderenza al termine latino monstrum, e alla stessa sfuggevolezza che lo caratterizza genomaticamente per cui risulta a volte irraggiungibile, a volte un miraggio, a volte una splendida beffa, a volte un tesoro trovato di inestimabile valore, da custodire gelosamente e ad ogni costo. Ma l’Amore di Lucchesi è qualcosa di assurdo che fa male non perché melancolico, ma perché è unvero e proprio tumore devastante che lo assale in ogni sua manifestazione: l’amore di sé rispetto alla noia, l’amore per la propria vita vissuta a metà o “ … per tre quarti”, l’amore senza nome proibito perché impuro tra gli stessi generi, l’amore trans gender indefinito, ipersessuale, sub-valoriale, l’amore della ricerca in fondo d’identità che oramai oggi come oggi non esiste più, perché nemmeno le ibridazioni e i meticciamenti delle categorie che sino a questo momento ci hanno fatto sopravvivere reggono sotto il peso della Flessibilità da qualsiasi punto di vista la si voglia intendere. Nello specifico il libro di questo scrittore, è una raccolta di tre racconti omogenei per contenuti, complessi nella resa scritturale. Post-Moderno il primo, dove il protagonista attraverso un ritorno di fiamma verso il nuoto, riscopre nella competitività delle gare un modo per ricomporre i puzzles della sua vita; Lirico e classicheggiante quasi da trovatore provenzale, in cui si parla d’amore e morte che aleggiano sulle vite sentimentali omosex e guerresche dei due protagonisti Gualtieri e Federico all’epoca della discesa in Italia del Barbarossa; Post-erotico ed iper/semantico il terzo strutturato in un monologo di un Trans ( com’è attuale all’epoca di Marrazzo e dei suoi amori) verso un suo cliente di cui si è innamorato, attraverso e-mail e sms. Ossessione, attraversamento dei confini, sono condizioni di un lavoro che il professor Lucchesi alimenta nella storie che racconta e che dimostrano incontrovertibilmente come il corpo e la sessualità siano ancora fuori controllo.

domenica 22 novembre 2009

L’nfanzia delle cose di Alessio Arena (Manni Editore). Di Dario Goffredo

Forse le affinità tra il rione Sanità di Napoli e il quartiere Lavapiés di Madrid, il quartiere dei gitani, non sono poche. E non sto parlando di quei semplici e banali luoghi comuni ch potrebbero venire in mente a chiunque associando due popolazioni così diverse eppure forse così vicine, almeno nell’immaginario comune, per colori, suoni, riti. Ne L’infanzia delle cose di Alessio Arena, uscito per Manni nella bella collana Punto G, di luoghi comuni non ce n’è nemmeno uno. Ci sono grandi invenzioni piuttosto. Linguistiche, in un coloratissimo e dolcissimo pastiche tra lingua dolescenziale napoletana, spagnolo e gitano. Di personaggi, uno più incredibile dell’altro eppure tutti realistici. Di situazioni, che si muovono in equilibrio perfetto tra comicità, tragedia, umorismo e commozione sincera. Il tutto legato da una magia che protegge e spaventa, che incuriosice e ammalia. La storia è quella di Antonio, che racconta in prima persona le sue avventure, quindicenne napoletano che dopo la morte per overdose del padre, cantante neomelodico in odor di camorra, si trasferisce con la madre e la sorella a Madrid, nel quertiere di Lavapiés, appunto, in una strada dove tutti i negozi sono stati rilevati dai gitani, che “sono i padroni del mercato. I gitani sono i padroni di tutti i negozi di Lavapiés. I gitani sono i padroni di Lavapiès”. La vicenda si sviluppa scoppiettante in un crescendo, orchestrato perfettamente da Alesio Arena, di situazioni e colpi di scena, dove si inseguono e rincorrono violini e cani, incendi e scarafaggi, cadaveri e monnezza.

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O PRESIDENTE NEGRO – MONTEIRO LOBATO Editora Globo (literatura brasileira). Recensione di Adriana Maria Leaci

Para quem, como eu, que conheceu algumas obras infantis do autor, parece uma brincadeira que exista um romance para adultos escrito por Monteiro Lobato. Mas não é assim. Ao ler a sua biografia, salta aos olhos um artista do saber que foi capaz de se empenhar na editoria brasileira e exaltar a capacidade dos autores locais, elevando a cultura do país e se distinguindo de tal maneira até ser considerado inimigo da política da época. Na realidade Lobato foi um dos maiores escritores brasileiros do século XX e escreveu enúmeras obras, se interessou pelo gênero infantil, escreveu contos e crônicas de tamanha ironia que durante toda a sua vida não fez outra coisa que chamar a atenção dos leitores. E os leitores da sua época não eram so intelectuais, porque os seus escritos eram lidos nas rádios, publicados em jornais e em folhetins distribuídos por todo o Brasil.
No único romance completo para adultos não se tratou absolutamente de falar sobre Narizinho ou Emília, os dois personagens mais conhecidos e referidos ao autor. Publicado em 1926, o romance nasce com outro nome: “ O Choque”. Só vinte anos mais tarde se transformará em “O Presidente Negro”, numa tentativa falida de elevar a obra editorialmente. Num momento em que se vivia sob o signo de um idealismo social muito romântico e o modernismo no Brasil era ligado sòmente às novas automóveis e eletrodomésticos que nasciam para facilitar o trabalho das donas de casa, “O Presidente Negro” é um romance que foi inspirado numa fantástica visão do futuro dos Estados Unidos anos antes que Monteiro Lobato passasse várias estadias naquele pais.
Concentrando-se numa ideológica máquina do futuro, o personagem principal vive em volta de uma ciência capaz de visualizar eventos importantes que hipotéticamente poderiam mudar o curso da história humana se viessem ao conhecimento do homem comum.
O tema é muito atual, chegando a ser visionário, pois ao ser lido nos dias de hoje nos mostra a veridicidade daquela que foi só uma intuição de Lobato, como por exemplo a internet, comentada durante o romance com outro nome. Impressiona como o autor coloca o declínio da influência européia e a ascensão dos Estados Unidos que se transformaria numa grande potência mundial, anos antes mesmo do crack da bolsa de valores de New York. As lentes da “máquina do tempo” do romance, são as lentes da sua mente. Da mente de um homem que passa na escritura uma realidade que hoje se verifica como a hegemonia da China, que Lobato conhecera como uma sociedade destinada sòmente à agricultura sob o regime de Mao, e que nunca pôde assistir na gestão atual do próprio patrimônio econômico. Outra nota impressionante da história é o referimento ao “clone”, ou à capacidade da ciência de esbranquiçar a pele das pessoas negras. E de lá continuará a descrever situações que levarão os Estados Unidos a eleger o seu primeiro presidente negro numa disputa com uma mulher. Outra visao do autor que se compara perfeitamente aos fatos acontecidos há apenas um ano atrás. Uma nota negativa do autor pode se revelar através do referimento à extinção da raça negra como ponto de chegada para a hegemonia total dos Estados Unidos num mundo que, segundo Monteiro Lobato, não podera reagir diante da grandiosidade daquele país. Pessoalmente não interpretei essa nota racial como verdadeira por parte do autor mas, me iludo que, como fabulista visionário, caricaturista e irônico qual foi, provávelmente exasperou o tema, talvez na tentativa de demonstrar até que ponto o ser humano poderia chegar se tivesse nas mãos a capacidade de transformar as células humanas e moldá-las para o próprio interesse.
Exatamente um ano atrás o livro foi novamente publicado, dias antes da eleição de Obama, numa também provável “visão” da Editora Globo que, no mínimo, me faz pensar.

O PRESIDENTE NEGRO – MONTEIRO LOBATO, Editora Globo – literatura brasileira
202 páginas – reedição 2008

sabato 21 novembre 2009

L’Approdo di Shaun Tan (Elliot). Recensione di Ilaria Ferramosca

L’Approdo, non è una storia tra le ultime uscite, è infatti una pubblicazione del 2008. Non è quindi “un” (o una... o come lo si voglia scrivere) graphic novel recente dal punto di vista editoriale, ma lo è certo sotto il profilo della tematica, poiché il problema dell’immigrazione è qualcosa di sempre vivo e contingente. Shaun Tan, di origine malese, pluripremiato autore di questa storia silente, in cui l’assenza di dialoghi urla del coro di numerose voci, descrive in maniera precisa e puntuale il viaggio di un uomo verso un paese sconosciuto. Un uomo che è suo padre e al tempo stesso molti altri individui, dalla fine dell’ottocento a oggi, la cui vita è stata sbalzata altrove. Il protagonista è infatti una sorta di simbolo, l’emblema di tutti gli emigranti, e con altrettanti di essi egli s’incontra durante il proprio percorso. Le ragioni della diaspora possono essere di vario genere: necessità di far fortuna, sfuggire a maltrattamenti, inseguire la libertà, ricongiungersi a persone amate, ma la sostanza è sempre e solo una: la ricerca di qualcosa. Attraverso questo racconto così vero, possiamo godere di chimeriche allucinazioni e metafore; di suggestioni in cui il realismo fotografico e cinematografico, dato da immagini e inquadrature, si mescola a luoghi fantastici e simboli, scelti per raccontare il trascorrere dei giorni, il passare delle stagioni o degli anni, i sentimenti e gli stati d’animo. Come la solitudine e la nostalgia, rappresentate da foto e riproduzioni di ambienti familiari compressi in valigie di cartone; o la speranza e l’attesa, trasfigurate in animali totemici.
Una narrazione basata interamente sull’inferenza del lettore e sulla capacità di scandire il tempo muovendo i fotogrammi da momento a momento; nuvole che si modificano nel cielo e fiori che sbocciano e appassiscono, il tutto bloccato da istantanee dalle tinte ingiallite o violacee. L’Approdo è più di un fumetto, è un album di vecchie foto e al tempo stesso è quasi un libro pop-up, in cui ad essere tridimensionali qui, non sono le immagini, ma le emozioni: quelle dell’autore, dei protagonisti e dei lettori, fuse in un tutt’uno inscindibile.

Titolo: L’Approdo. Disegni: Shaun Tan. Editore: Elliot. Prezzo: €22,00. Pagine: 128

venerdì 20 novembre 2009

Elena Maffioletti: "Il ladro di parole", pagine 160 (Casa editrice Fernandel)

Barbara è una famosa scrittrice in lento declino. Lavora a un nuovo romanzo, ma le parole la tradiscono in continuazione. Diventa sempre più faticoso riempire la pagina bianca, così come diventa sempre più difficile accettare i segni dell’età che avanza. Accanto a lei, a condividere un’esistenza scandita dal ticchettio dei tasti sul computer, c’è Betta, la fedelissima redattrice e segretaria tuttofare. Una sera d’estate però una copia del manoscritto viene perduta. Un incidente che segna una svolta in quel mondo fatto di parole. Si fa vivo un invadente sconosciuto che riscrive l’opera pagina per pagina. Sfronda, modifica e inventa nascosto dietro a un indirizzo e-mail, scardinando il sentimento di complicità che unisce le due donne e modificando profondamente il loro rapporto. Affascinata suo malgrado dalla sfacciataggine e dal talento dell’uomo, Betta si lascia coinvolgere in una corrispondenza nella quale affiora la sostanziale componente erotica della scrittura. Barbara, offesa e violata in ciò che possiede di più intimo, cerca invece improbabili occasioni di rivincita. Alla fine ciascuno dei tre dovrà fare i conti con ciò che ha guadagnato e ciò che ha perduto… (from Giorgio Pozzi on Fb)

"Il ladro di parole più di tutto mette l’accento sul potere della parola scritta, sulla sua capacità di entrare nel cuore di ogni persona e di uscirne rinnovate, raddrizzate, rimescolate, aprendosi a una vita nuova e indipendente perfino dall’autore, dalle intenzioni insomma di chi per primo le ha concepite.
Nel romanzo di Elena Maffioletti la scrittura è davvero viva, la letteratura entra nella realtà, la pervade, la scuote." (di Sabrina Penteriani - L'Eco di Bergamo)

L'ultimo Tram, di Giancarlo Tramutoli, Manni Editori (Lecce, 2009). Recensione di Nunzio Festa

Ogni volta che Tramutoli conficca in un volume la sua ironia, le doti polemiche, il peso della normalità, si completa un pezzo della lezione poetica italiana. “L'ultimo Tram”, silloge più recente del potentino Giancarlo Tramutoli, di cui giornalmente prendiamo calembour, somiglia è non è, chiaramente, il precedente “Versi pure, grazie”. Ovviamente manco è vero che si tratta, a questo punto, dell'ultimo tram. Ma seguiamo, appunto, il poeta. Questa volta è lo stesso autore che spiega alcune cosine utili: “in questa nuova raccolta poetica affiorano due tipi di suggestioni. Tutte e due giocose e leggere. Quella italiana dei Vito Riviello, Toti Scialoja, Gianni Rodari, Totò. E quella americana dei Carl Sandburg, Frank O'Hara, E. E. Cummings”. Il resto, invece, al momento non c'interessa; perché – tanto per ricordare – del maestro Riviello e con il componimenti di Vito Riviello l'assonanza esiste e si capisce. Eppure ancor di più è il parallelismo che si potrebbe fare con certe 'uscite' del grandissimo Totò. Anzi: il piglio polemico somiglia a quello di Riviello mentre la leggerezza guizzante e potente è quella del Totò. La voce non italica, poi, è presa e bevuta per altri settori sentimentali. Di nuovo, quindi, Tramutoli come un Bukowski, mostra senza mostrare di possedere lezioni che gli servono per arrivare col tatto della vera poesia. Non quella funerea e annerita dei divi. Che Tramutoli, se così fosse, molto si spaventerebbe. E in uno specchio mai più si riconoscerebbe. Questa nuova raccolta, dopo aver raggiunto perplessità d'alcuni istanti e obiettivi “premeditati” di molti altri, ancora, è una lezione che sa di lezione ricevuta. Della modernità, scopriamo ancor una volta, non sappiamo leggere e dire ironiche versioni. Tanto che serve, con puntualità, la mano di Giancarlo Tramutoli che prende le nostre orecchie e dentro spedisce tutto il giocoso possibile. Senza, questo è chiaro, tralasciare accenti di dramma che comunque la società e lettrice e lettori consumiamo. Ora si potrebbe però fare un'esplicitata, esplicita e divertente domanda/richiesta al caro Tramutoli. E dire: quando il nuovo romanzo? S'aspetti, allora, per altra bellezza della giovane Basilicata.

giovedì 19 novembre 2009

La Guida di David Icke alla Cospirazione Globale (Macro edizioni)

La Guida di David Icke alla Cospirazione Globale è un’opera unica e straordinaria: oltre 600 pagine ricche di riferimenti storici, biografici e simbolici. È un capolavoro che connette tutti i punti e rivela i legami nascosti tra personaggi, eventi e tematiche che apparentemente non hanno nulla in comune tra loro, e che dimostra come tutto, alla fine, si ricolleghi perfettamente. Solo quando ogni punto sarà stato connesso all’altro, lo stupefacente quadro generale apparirà. E noi non potremo fare altro che rimanere sbalorditi mentre, pagina dopo pagina, Icke ci rivela la verità di ogni cosa, dagli avvenimenti della storia antica all'Internet olografico che governa la nostra realtà. La cospirazione globale con cui si intende imporre uno stato orwelliano, non è pura “teoria”. Al contrario, è un fatto supportato da una serie infinita di prove e, oggi, anche dall’esperienza quotidiana. Una rete di famiglie imparentate tra loro, la cui origine risale alle epoche più remote, sta manipolando gli eventi attraverso i propri politici-fantoccio e personaggi di rappresentanza, prodigandosi per instaurare una tirannia a lungo preparata. Ma i giorni del loro anonimato sono ormai terminati. David Icke ha fatto luce sul Popolo delle Ombre e ha messo fine a quella segretezza che è così essenziale al loro successo.

David Icke nacque a Leicester, in Inghilterra, nel 1952. In gioventù aspirava a diventare un giocatore professionale di football e per tale motivo abbandonò la scuola per giocare con il Coventry City e l’Herefold United nella English League. Un’artrite reumatoide al ginocchio sinistro in peggioramento lo costrinse ad abbandonare la carriera all’età di 21 anni. Decise quindi di diventare un presentatore televisivo alla BBC e cominciò a cercare lavoro come giornalista. Non avendo terminato la scuola, inizialmente riuscì a trovare un posto solo nel piccolo giornale settimanale di Leicester, per approdare poi velocemente a quotidiani, radio locali, televisione regionale, con il ruolo di anchor man e reporter degli sport nazionali. Nel 1982 si trasferì nell’Isola di Wight, dove iniziò a condurre una campagna su temi ambientali che lo portò a diventare un rappresentante nazionale per il Partito Verde nazionale. Dalla metà degli anni Ottanta aveva intanto perso interesse nell’ambiente televisivo, che vedeva sempre più come un mondo privo di anima, in cui abbondavano insicurezze e paure. Nel 1989 scrisse un libro dal titolo It Doesn’t Have To Be Like This, esponendo la visione e i programmi del Partito Verde perché sentiva che stavano parlando solamente tra loro e non con il pubblico. Durante la stesura del libro, David Icke iniziò a percepire una presenza attorno, come se ci fosse sempre qualcuno nella stanza in cui si trovava, quando in realtà non c’era nessun altro. All’inizio del 1990, mentre si trovava in un albergo di Londra, si rivolse all’entità misteriosa che lo accompagnava, invitandola a manifestarsi. Da quel momento le cose cominciarono a cambiare per David. Cominciò a sentire tre voci distinte che gli indicavano cosa fare. La prima voce gli consigliò di leggere un libro su una guaritrice, che egli in seguito contattò per farsi curare l’artrite con successo. La guaritrice rivelò di essere stata contattata da un’entità con il compito di trasmettere un importante messaggio a David, che a sua volta trasferì in un libro dal titolo Truth Vibration (Gataway Books), a cui seguì un’esperienza straordinaria che tuttora sperimenta nella propria vita. Mentre si trovava in Perù, nel 1191, soggiornò presso l’hotel Sillustani in Puno, situato presso un antico insediamento Inca, con graffiti e pitture nei dintorni. Durante un’escursione David sentì un’altra delle tre voci, che lo invitò a visitare una montagnola dove si trovavano delle pietre antiche poste in circolo. In quell’occasione ebbe una straordinaria esperienza di trasmissione energetica e sentì l’ultima delle tre voci. Dopo questa esperienza tumultuosa, trascorsero 2 mesi prima che David ritrovasse l’equilibrio interiore. Decise quindi di fare un’apparizione in televisione per raccontare ciò che gli era successo, ma ne ricevette una terribile delusione: fu deriso per un paio di anni in Gran Bretagna. Imparò in seguito a non prestare attenzione a ciò che la gente poteva pensare. Iniziò così a girare il mondo annunciando la sua scoperta, ossia che la posizione del potere globale era occupata da una razza di rettiliani dalla forma mutevole. Oggi David icke, noto autore e speaker, ha tenuto incontri e ricerche in più di 20 paesi negli ultimi 2 anni, comunicando le informazioni soppresse a milioni di persone e offrendo una soluzione spirituale (non religiosa) alla manipolazione globale.



ISBN: 9788862290173

Prezzo € 24,00


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La strada dell’odio, di Grazia Casavecchia (Lupo editore). Recensione di Raffaele Polo

Di solito le ‘opere prime’ non colpiscono particolarmente e, anzi, vengono esplicitate in tal modo proprio per richiedere una sorta di compiacente assoluzione. Non è questo il caso de ‘La strada dell’odio’ di Grazia Casavecchia, un romanzo ricco di interessanti spunti e di piacevolissima lettura. Bisogna, peraltro, inserirsi in quel filone di romanzi d’amore, o romanzi rosa, che tanto gradevolmente vengono accettati dai cultori del genere. Così come, del resto, sono vilipesi e messi da parte da chi li escluderebbe volentieri dalla storia della letteratura. Non a cassa, tempo addietro, nacque la definizione di ‘letteratura d’appendice’, quasi un voler evidenziare una diversa, inferiore considerazione per chi struttura storie connotate facilmente con l’amore e le vicissitudini di chi si ama e vuole coronare il proprio sogno…
Ora, la brava Casavecchia, scrittrice salentina di Veglie, non ci pare voglia adombrare il ricordo di Liala o, addirittura di Bianca De Maj o Luciana Peverelli. E’, piuttosto, il suo un incedere nelle vicende più vicino agli scritti dei maestri del secolo scorso, a partire da Saponaro ma giungendo fino a Scerbanenco, privilegiando una ambientazione tutta locale e legata alla tradizione della nostra terra. Ci sono, in questo agile romanzo, tutti i topoi più gradevoli che caratterizzano le narrazioni del genere e giungono gradite a rinverdire le obsolete strutture delle creazioni letterarie che i giovani contemporanei dimostrano di gradire, purchè esibiscano il marchio di Federico Moccia…
C’è, allora, la storia di un amore impossibile che finisce per realizzarsi nonostante mille impedimenti; ci sono i personaggi buoni e corretti che sono rappresentati con caratteristiche gradevoli ed esteticamente positive, mentre i cattivi sono sempre facilmente identificabili per il cipiglio e la rozzezza del comportamento; c’è la violenza gratuita e la rassegnazione; c’è il modo di essere donne e madri in antitesi al mondo insensibile e brutale dei maschi ignoranti; c’è l’amore per una Natura che è quella, squisitamente salentina, delle campagne e delle masserie dove si lavora e dove nascono amori e tragedie.
Nell’edizione di Lupo, con bella foto di copertina di Emanuela Bartolotti, c’è un profumo particolare: quello del fresco, coinvolgente fascino della ‘Letteratura d’Appendice’, senza età, senza confini….

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mercoledì 18 novembre 2009

Gocce, dieci racconti d'acqua di Giovanni Fares e Alessandro Comandini (Lupo editore)



“Quel meschino mi aveva dato in pasto i limiti della sua invenzione, perché poi non potessi dire di non conoscere i rischi di quelle pasticche. Il corpo disidratato della ragazza era stato privato di quel buffer termico costituito dall’acqua corporea. Ora che, seduto alla mia scrivania, osservo la fiamma del mio accendino ardere sotto un bicchiere di carta pieno d'acqua, senza che questo bruci, mi è tutto tremendamente chiaro. La risposta è tutta lì. In quel bicchiere che resta intatto. Il calore della fiamma è rubato dall’acqua. Mi basta spostare la fiamma sul bordo del bicchiere, più in alto, dove l’acqua non arriva, per vedere la carta bruciare in una frazione di secondo. L’acqua, grazie alla sua capacità termica, in condizioni normali ci permette di vivere sotto il sole, assorbendone lentamente il calore e limitando gli sbalzi di temperatura. In condizioni normali.”

tratto da Gocce, dieci racconti d'acqua di Giovanni Fares e Alessandro Comandini (Lupo editore)

Per la caduta del muro di Berlino azione di Maksim Cristan e Valeria Sanguini:"Gli evasi della Sprea"















Nel giorno della celebrazione del ventennio della caduta del muro, un intervento dettato dall'urgenza di rispondere al problema dei respingimenti nel mar Mediterraneo, nato dalla collaborazione di due artisti immigrati a Berlino: Valeria Sanguini, pittrice e scultrice italiana e Maksim Cristan, scrittore croato.
Ci sembrava importante rendere visibile un problema invisibile, facendo emergere quei corpi, immaginandoli in un percorso che dal mar Mediterraneo risalendo le correnti fluviali li vede approdare nelle acque della Spree a Berlino. Portare questo problema nel cuore dell'Europa in festa per l´abbattimento del muro. Come luogo dell'intervento abbiamo scelto Oberbaumbrücke, dove scorreva il muro che una volta divideva la città e di lasciare questi corpi alle acque lungo la frontiera, lasciandoli attraversare la città. Un modo di riflettere alla condizione stessa dell'emergenza, emergenza di persone spinte dalla sopravvivenza a mettere a rischio la loro vita affidandosi alle acque. Emergenza come pulsione di vita di gente che vuole vivere. In primo luogo quest’azione è una celebrazione come momento di presa coscienza del momento presente e non come mero festeggiare rivolto al passato
“Gli evasi della Sprea” è un intervento dettato dall'urgenza di rispondere al problema dei respingimenti nel mar Mediterraneo. L’intervento si è svolto in due azioni concomitanti:
1. L’abbandono di corpi alla corrente del fiume che attraversa Berlino, sotto il ponte Oberbaumbrücke, lungo la frontiera dove scorreva il muro che divideva la cittá.
2. L´affissione di 100 manifesti lungo la galleria dell'Oberbaumbrücke:
MISSING, Person crossing wall in Mediterranean sea waters. If anyone has information contact: governo@italiano.it
(Nello svolgere dell’azione, si sono voluti prestatare: Giovani Celie, compositore e Marco Carli Rossi, pittore, entrambi italiani e, per la preparazione, Fabio Dentella, filmaker italiano, Joachim Bucholz, pittore tedesco e Stefan della BWSZ, tutti immigrati a Berlino)

Valeria Sanguini: “Ho scelto il pongo come materiale, lo stesso con cui ho realizzato i Radar. Un grande corpo geografico di cui appaiono le propaggini, i rilievi. I radar ne sondano la posizione collocandoli nello spettro colore. Quegli stessi colori che sono misura della distanza, eco di una posizione nello spazio si ritrovano nella materia stessa dei frammenti di terra emersi, membra di un territorio di cui non si intravedono confini. Confine è quello della superficie dell'apparire, la linea d’acqua che distingue quel che emerge da quel che rimane sommerso.”
"Gli evasi della Sprea” é anche un lavoro fotografico che farà parte della mostra che Valeria Sanguni stà preparando e che riguarda il concetto di corpo geografico.
Valeria Sanguini: “Il mio territorio d´indagine è quello della pittura e la scultura è strumento della mia esplorazione dello spazio pittorico. Il rapporto tra il corpo e la geografia riguarda il mio rapporto con la memoria. Scelgo la rete metallica come trama di un disegno che si risolve nello spazio e il pongo come materia colore per addentrare il corpo stesso della pittura. La fotografia, invece, talvolta è un passaggio necessario che mi permette di ricollegare una tappa ad un´altra di questa esplorazione. In questo caso le diapositive dei corpi abbandonati nella Sprea torneranno come parvenze, continuando il loro a viaggiare.”

fonte www.maksimcristan.blogspot.com

martedì 17 novembre 2009

I segreti di angeli e demoni di Simon Cox (Edizioni L'Età dell'acquario)

Con «Angeli & Demoni» Dan Brown ha replicato il successo planetario del Codice da Vinci, «iniziando» milioni di lettori a un universo sconcertante, in cui scienza e religione, grandi ideali e cinici complotti, documenti astrusi e armi micidiali, compongono un mosaico esplosivo. Attraverso vie, piazze, chiese e monumenti di Roma riaffiora un cammino occulto fatto di antichi simboli e sembra riprendere vita una leggendaria società segreta nemica della Chiesa, il cui scopo sarebbe la distruzione del Vaticano e l’annientamento della fede cattolica. Alla fine del romanzo, molti lettori si chiederanno che cosa nel racconto di Dan Brown sia verità e che cosa sia invenzione. Agilmente strutturato in voci disposte in ordine alfabetico, I segreti di Angeli & demoni è uno strumento prezioso per gettare luce sui tanti misteri annidati nel cuore della trama: • Gli «Illuminati» sono esistiti davvero e, soprattutto, esistono ancora? • Vi sono realmente forze oscure che orientano nell’ombra il corso della Storia? • Quale rapporto intercorre fra gli Illuminati e la Massoneria? • Qual è l’origine dei simboli che compaiono sulle banconote americane? • Bernini creò un Cammino di Illuminazione per i potenziali iniziati alla fratellanza clandestina? • L’«antimateria» racchiude il potenziale effetto devastante raccontato da Dan Brown? • Esistono in Vaticano i passaggi segreti descritti nel romanzo? Lasciatevi illuminare…

Simon Cox è l’autore del best seller internazionale «I segreti del Codice», edito dalla nostra casa editrice: 70 mila copie vendute in 6 mesi. Definito dalla BBC uno «storico dell’ignoto», è un ricercatore preparato e audace, pronto a sfidare dogmi, ortodossie e mezze verità. Ha lavorato come ricercatore per alcune delle personalità più eminenti nel campo della storia alternativa, compresi Robert Bauval, David Rohl e Graham Hancock. È anche un apprezzato conferenziere e di recente ha avviato diversi progetti per la radio e la televisione.



Guida non autorizzata a fatti, personaggi e misteri del thriller di Dan Brown
ISBN: 8871362101

Prezzo € 10,00


Compralo su Macrolibrarsi

Gaetano G. Perlongo, Una fiamma ossidrica mascolina (Pertronicware Ed. & Centro Studi e Ricerche "Aleph" Press, 2009)

Domina nell’analisi di scrittura di Gaetano G. Perlongo, quel “non senso” che affronta oggi, l’essere umano, nel suo percorso di vita. Una ferita, che si dilata sempre più e che difficilmente si risanerà perché dovuta a quel mancato «…equilibrio saturo si ambiguità /…» che pone in evidenza. Tutto ciò Perlongo lo manifesta come investigazione della “parola”, ricercata mediante la propria identità. Questa, è aperta nella retrospezione che indica come «una fiamma ossidrica mascolina» con la quale la forgerà, per inventarsi una esistenza “nuova” e capace di riemergere dalla «...pattumiera della storia...». “Verbo”, nell’uso che forgia ed esercita, che è volutamente posto come ricerca di un senso compiuto al divenire e, sebbene utilizzato come dissonanza umorale nella rievocazione, diviene descrittivo nella “ridefinizione essenziale” che viene definita. In questo suo racconto intimistico, appaiono immagini di tempi, luoghi ed uomini che, nel sociale e nel politico, riflettono e determinano nella sequenzialità ad “incastro”, ben coordinata, quel tentativo di compitare e realizzare una intuizione prefissata che sia anche e spesso allegorica. Un sognatore Perlongo, che vuole sperimentare con un valore semantico, certamente non nuovo, ma che gli determini una specifica e voluta costruzione. Un percorso di simbolismi, analogie e confronti. Tutto ciò individua e fa nascere, nella trasformazione del citato “verbo” cerebralmente ragionato, una sequenzialità occasionale ma determinante ai fini discorsivi. Collage di costruzione del verso quindi, che assume nelle diverse coordinate un valore socraticamente maieutico o ideologico. É il caso del più ragionato pensiero che appare nel “Sotto vento, pensando Danilo”; e, nella “E la Zabara pianse”; dove colloca e accosta, solo attraverso diversi e predisposti termini, i due personaggi di riferimento, quasi poi a porli in simbiosi, per l’identico filo di ragionamento e dialogo che recavano entrambi. L’uno: circense maieuta; l’altro: circense ideologo; quali terminologie di rafforzamento ad una stessa radice idealistica. In tal modo, il ricordo, diviene un vortice che scuote la coscienza, con il verso che vaga metafisicamente nei luoghi di riferimento. Un riflesso, per la propria coscienza che, tratto dalle immagini intimistiche ricercate diviene, nella asserzione enunciata, “un valore” di maggiore forza e penetrazione. Follia forse, quella che rivela la complessa silloge che si è prefisso di dare luce. Percorso che ha, quale sostanziale meta, un «nido» riposto: non solo per una idealizzazione di un dio nascosto che scaturisce dall’intimo ma, anche, come un rifugio per la trasformazione di sogni, che egli stesso definisce “oziosi”. Sogni, che ripercorrono la storia di fatti e personaggi tutti significativamente legati alla propria personale dottrina e cultura. Ma tutto ciò, appunto, come sogno, ha anche una ulteriore meta, un fine; quello della ricerca di un richiamo perché si possa «…vocalizzare il mio nome…/» congiuntamente, altresì, a quello di riaffermare un desiderio che pare appagato ed estrinsecato in: «Ho sognato mio Padre», come ritorno alle origini.

L’autore

Gaetano G. Perlongo nasce a Solingen, in Germania, nel 1970 e vive a Trappeto, in provincia di Palermo. Dopo essersi diplomato in elettronica ha studiato fisica, spaziando, con notevoli risultati, dalla matematica speculativa alla fisica teorica e all'astrofisica. A Trappeto, paese adottivo del grande Danilo Dolci, Perlongo inizia il suo viaggio nel mondo delle parole in poesia. Tra le sue opere più note ricordiamo: "La licantropia del poeta" (2001), "Il calabrone ha smesso di volare" (2002), "Il vuoto mistico della retta" (2003), "Nassiriya - Frammenti di voci dalla galassia terrestre" (2003), "Metessi" (2003), "La Mattanza. Poesie e Canzoni di protesta" (2004), "Le vene aperte della poesia (Appunti per un Seminario)" (2005), "Rincorsa alle ombre" (2006), "Rumore di fondo. Meditazioni sull'Arte" (2006), "Filippo Grillo. La nuova alba della Cucurbita" (2007), "Chi semina versi" (2009), "Una fiamma ossidrica mascolina" (2009) e "Sintropia" (2002-2009). Il Centro Divulgazione Arte e Poesia e l'Unione Pionieri della Cultura Europea di Sutri (Viterbo), visti gli alti meriti acquisiti, in riconoscimento alla lodevole attività svolta in favore della cultura, gli conferisce, nel 2002, la nomina a Membro Honoris Causa a vita. Nell’ottobre del 2005 fonda il Centro Studi e Ricerche "Aleph". Ha insegnato presso la Libera Università Popolare "Danilo Dolci" di Partinico (Palermo) - http://www.pertronicware.com/perlongo. Attualmente tiene seminari e corsi di approfondimento di fisica e matematica a studenti liceali ed universitari.


Dall'introduzione di Aurelio De Rose

lunedì 16 novembre 2009

Anticipazione: "Separé" di Annalisa Bari (Giuseppe Laterza)

Annalisa Bari, salentina, ha insegnato italiano e storia negli istituti superiori. Da tempo pubblicista di saggi letterari e storici su periodici locali, è sempre stata impegnata in recensioni, presentazioni di libri e interventi in conferenze e dibattiti di carattere culturale e sociale. Ha pubblicato Non c'erano le mimose (Edizioni del Grifo, Lecce, 2001), Diamanti e ciliegie (Edizioni del Grifo, Lecce, 2003), Il quarto sacramento (Edizioni del Grifo, Lecce, 2005).
Ora sta uscendo con un suo nuovo lavoro per i tipi di Giuseppe Laterza dal titolo "Separé", ed ha voluto darmene un'anticipazione su questo blog, di suo pugno. La ringrazio sentitamente:"Gentilissimo Stefano, sono contenta di entrare nel tuo blog con un'anticipazione sul mio ultimo libro. Dopo le fatiche de "I Mercanti dell'anima" (Giulio Perrone editore) che mi è costato mesi di studio e di ricerche, ho voluto dedicarmi a qualcosa di più leggero: un romanzo ambientato nel mondo dell'avanspettacolo degli anni cinquanta, quando questo genere andava già declinando, sopraffatto dalla televisione e dalle grandi commedie musicali. Ogni capitolo di "Séparé" ha per titolo un profumo perchè tali erano le compagnie di varietà: un bouquet di profumi inebrianti che mandavano in visibilio e facevano sognare i giovani del dopoguerra, ancora carichi di disagi economici, di ricordi da cancellare, ma già tesi a conquistarsi il loro spazio di benessere, la loro porzione di felicità. Ma dietro i profumi, i lustrini, le piume, le luci, tanta miseria, vergogna, emarginazione, solitudine. Un romanzo dolce-amaro in cui sono protagoniste le donne: ballerine senza troppo talento, illuse da sogni di gloria, ma anche desiderose d'amore e di famiglia. E un prezzo alto da pagare nell'Italia bigotta degli anni cinquanta: la dignità. Il romanzo, edito da Giuseppe Laterza, sarà presentato in anteprima nazione alla "Città del libro 2009" a Campi Salentina, sabato 28 novembre, alle ore 16,00. Ti aspetto e ti ringrazio."

Annalisa Bari


fonte iconografica: http://fashionidentity.blogosfere.it/images/new4/elsa.jpg

Fiorenzo Oliva, “Il mondo in una piazza” (Stampa Alternativa, 2009)

Vado sul sito di Stampa Alternativa prima di scrivere questo pezzo, alla ricerca di notizie biografiche sull’autore. Al link del libro, sotto la scheda, dice “momentaneamente non disponibile”. Non mi meraviglia perché è un libro bellissimo quello di Fiorenzo Oliva dal titolo “Il mondo in una piazza”, e di questo ringrazio gli amici della casa editrice viterbese che me lo hanno inviato. F.O. ha passato un anno a Porta Palazzo a Torino, uno spazio di tempo che per lui ha significato una vera e propria catarsi, un modo per sviluppare anticorpi indispensabili per sopravvivere e mettersi finalmente alle spalle quel maledetto 2002, quando mentre passeggiava con degli amici per un parco di Torino si ritrova investito da uno spruzzo di acido che gli fa guadagnare numerose ustioni sul corpo. Era un regolamento di conti tra spacciatori. Torino la città di Cesare Pavese ha diversi livelli, alcuni esposti alla luce del sole, altri occulti. E non è solo l’aspetto esoterico a far rientrare alcune delle storie della capitale piemontese in un grande buco nero. Anzi, esistono delle vere e proprie T.A.Z in cui difficilmente si può cogliere la differenze tra realtà e finzione, ovvero geografie umane che farebbero impallidire i peggiori quartieri di Belfast o Varsavia, o addirittura renderebbero le malfamate banliueues parigine, collegi per educande. Porta Palazzo è un vero e proprio ingresso per l’inferno: quello dello spaccio, della clandestinità, della povertà, della disperazione. Oliva ci va a vivere con Eusen suo fratello di “cicatrici all’acido”, in un appartamento fatiscente senza riscaldamento prima e poi con riscaldamento insufficiente, fa spesa negli shop cino-arabi, e va dai romeni a fare colazione la mattina, si veste di sguardi torvi e decisi, abiti lisi ma sufficientemente “da guerriglia”, indispensabili per non dare nell’occhio, conosce “Il Fascio” che sarà poi man mano che ce lo farà conoscere meno nazi del nome appiopatogli, e diventa amico di “Tigre” un albanese che parla della guerra civile nella sua patria negli anni ‘90 e della sua condizione di povero cristo che si spacca il sedere e non riesce a mandare soldi a casa. Insomma F.O. cerca di capire e ricucire forse i fantasmi della fatidica aggressione subita, i motivi, i contesti. La cosa che appare incredibile in questo lavoro è che chi lo ha realizzato oscilla tra una discreta sindrome di Pollyanna (dove c’è sempre il lato positivo anche nelle situazioni più estreme) e una forte dose di nichilismo pulp, tra odori e umori e sudori di svariate etnie che esistono o resistono con lui Porta Palazzo. Al di là di facili considerazioni, la verità è che si tratta di un lavoro antropologico fine e prezioso, dove gli incontri e le vicissitudini raccontate sono strumento indispensabile per capire le diverse grammatiche delle convivenze inter-etniche in una periferia come quella narrata, forse lasciata un po’ a se stessa sia dalle istituzioni che dalle forze dell’ordine, ma che comunque riesce a lanciare un messaggio che va al di là del grigiore pervasivo in quelle zone: oltre le barriere linguistiche e tradizioni e riti anche criminosi e criminali, la comprensione può essere il primo passo per l’emancipazione dal nullla! Oliva parla di una nuova urbanistica domestica, quella vuota lasciata dagli Italiani oramai “migranti” verso altre zone della città, racconta di sradicamenti e sub-valori, ci stupisce con citazioni di De Amicis che racconta il Balon, il mercato delle pulci a Torino. E’ un racconto sincero, ricco di notizie. mai noioso.
Il sito è www.ilmondoinunapiazza.it

In libreria MALI DI FAMIGLIA di Gina LUPO e Vittorio RICAPITO (Edit@, Taranto)

A metà fra un lavoro narrativo ed un’opera saggistica, il libro prende spunto da fatti di cronaca quotidiana, racconti veri, narrati dagli sfortunati protagonisti in prima persona, per introdurre tematiche di grande e scottante attualità, con cui ogni giorno migliaia di famiglie sono costrette a confrontarsi. Un giornalista ed un’avvocatessa raccontano malattie sociali, violenze e dipendenze dell’uomo moderno da un punto di osservazione millenario: la famiglia. E lo fanno attraverso un’analisi multidisciplinare: dagli aspetti psicologici e sociologici alle novità in ambito legale. Il fine del volume è quello di tracciare l’identikit dei “mali di famiglia”,è indagare sui motivi che portano alle violenze sui più deboli, alla dipendenza psicologica, e sostenere chi subisce questi mali, indicando anche come Difendersi. Il modo più diretto per spiegare fenomeni e parole nuove come mobbing, stalking, gambling, è leggere le storie raccontate direttamente dai protagonisti. Marika denuncia anni di maltrattamenti subìti dal marito, dopo che lui ha perfino cercato di ucciderla. Angelo paga caro interrompere una relazione: persecuzioni, minacce, atti vandalici della ex gli rendono la vita un inferno. La triste vicenda del piccolo Fabio, molestato a scuola, e della coraggiosa madre Anna: la tragedia riduce la famiglia in frantumi. Antonio cade nelle trame del capo, Veronica, che lo “mobbizza” fino a costringerlo a cambiare sede di lavoro. Gianni, impiegato, non accetta il demansionamento e viene segregato in una palazzina deserta. Patrizia si separa e scopre che il marito, vittima di mobbing, ha abusato dei figli. Michele per la dipendenza dal gioco (gambling) perde denaro e affetti. Barbara, affetta da internet dipendenza, perde il marito: ha una seconda vita virtuale. La madre di Ilaria vive segregata in casa, vittima della violenza psicologica del figlio. Anna, casalinga: una sedicente maga le porta via una fortuna e la serenità. Giovanna ha un figlio fuori dal matrimonio: il marito non sa nulla. Filomena scopre che il marito la tradisce con un altro uomo. Pierpaolo, ossessionato dal tradimento, semina microspie e telecamere per casa, passando dalla parte del torto.

Gli autori: Gina Lupo - È avvocato specializzato in problematiche familiari e minorili. Vanta una lunga esperienza nel campo della mediazione familiare.
Vittorio Ricapito - Ama vivere e fare il giornalista a Taranto. Negli ultimi anni ha raccontato in tv e sui giornali episodi di cronaca nera e giudiziaria.
Illustrazioni disegni originali di Nico Pillinini
Pagine 160 - Formato 15 x 21 cm (copertina con risvolti) - Prezzo Euro 12,00

domenica 15 novembre 2009

Il sistema di Maria Luisa Mastrogiovanni (ed. Il Tacco d'Italia)

Peppino Basile, consigliere comunale a Ugento e in Provincia di Lecce (per l’Italia dei Valori) fu assassinato nella notte del 14 giugno 2008 con 40 coltellate. I media si affrettarono a liquidare il caso come omicidio passionale. I fatti portano invece a ben altri moventi che la giornalista Maria Luisa Mastrogiovanni cerca di ricostruire nel libro-inchiesta Il sistema. Scrive Antonio Di Pietro che ha curato la prefazione: “C’è un delitto, nel profondo sud di questo Paese, che non ha colpevoli. L’assassino circola liberamente, ormai quasi certo dell’impunità, ancor più tranquillo se garantito da complici o mandanti. Poi c’è un piccolo mensile, nel profondo sud di questo Paese, il Tacco d’Italia, che non si rassegna ad archiviare questa storia perché su quel territorio ha speso molte delle sue risorse etiche e professionali, smascherando grandi imbrogli edilizi, silenzi istituzionali, connivenze e indifferenze, che spesso sono peggiori delle prime. Anche in questo caso, il Tacco d’Italia fa il suo mestiere, come lo farebbero grandi testate nazionali per delitti più eclatanti: indaga, intervista, trova carte. E scrive. Del coraggioso lavoro di questa piccola testata non si accorgono i giornali e le tv locali, ma si accorgono l’Unità e Rai Tre che dedica al delitto due puntate, partendo dalle inchieste del mensile. Quella gran mole di documentazione è diventata oggi un libro”. Il sistema parte dalle intuizioni di Basile e dalle sue denunce, per ampliarle e approfondirle. È un doveroso omaggio postumo al suo impegno e verso le centinaia di ugentini e salentini che dalla sua morte hanno tratto il coraggio per uscire allo scoperto, in un movimento crescente di impegno etico e sociale. È l’eredità più bella che Basile ha lasciato: la voglia di riscatto, la rabbia, la nausea. L’impossibilità a girarsi dall’altra parte. La necessità di guardare la verità in faccia. Ma anche credere che il cambiamento sia una strada percorribile, per “questa nostra tanto amata terra”.

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