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domenica 13 febbraio 2011
Il libro del giorno: Satori di Don Winslow (Bompiani)
VULCANO BUONO L’INTERVISTA A RAFFAELE CALAFIORE – NONSOLOPAROLE EDIZIONi a cura di Michela e Alessia Orlando
VULCANO BUONO. L’INTERVISTA A RAFFAELE CALAFIORE (NONSOLOPAROLE EDIZIONI).
“NON SIAMO LA VOCE. QUELLA APPARTIENE A TUTTI COLORO CHE A VARIO TITOLO PUBBLICANO SUL PORTALE. NOI SIAMO SOLO L’ECO!”
NonSoloParole.Com
I° SALONE MEDITERRANEO DEL LIBRO:
http://www.vulcanobuono.it/it/fiere/salone-mediterraneo-del-libro.html
IL DESTINO DELLA LETTURA E DEGLI E-BOOK, E TANTO ALTRO ANCORA IN UNA “CONVERSAZIONE” CON RAFFAELE COLAFIORE, SCRITTORE E FOTOGRAFO NONCHÉ PROTAGONISTA TRA LE TANTE ANIME DI NONSOLOPAROLE.COM.
Abbiamo svelato come nel Vesuvio ci sia un negozio di colori. Da una delle tante “visioni” è nato l’articolo: http://www.napolimisteriosa.it/alessia-e-michela-orlando-vesuvio-una-surreale-visione/
Siamo state costrette a ritornare sul tema giacché ci siamo imbattute nel “VULCANO BUONO”, quello che si vede dall’autostrada all’altezza di Nola. Quello progettato dall’architetto Renzo Piano, anche lui visionario, ma con attitudine a lasciare segni ben più duraturi dei nostri.
Non ci siamo mai state, limitandoci a guardarlo da lontano, rasentando il torcicollo. E ora ci giunge l’invito a verificare che cosa sia già accaduto e cosa stia per accadere nel I° Salone Mediterraneo del Libro (5-13 febbraio 2011; ingresso libero).
L’invito ci è giunto da Renato Calafiore che, quando ci siamo imbattute in NonSoloParole, ha immediatamente risposto a una nostra mail. Volevamo sapere qualcosa di più sul loro portale. È un web_container che non può non colpire. Eviteremmo di dire quali siano i pregi, giacché certe perle vanno scoperte in prima persona.
Alla seconda mail eravamo ormai sulla strada della concretezza. Volevamo porre qualche domanda e se gentilmente qualcuno ci avesse risposto gliene saremmo stati grate. È tutto qui.
L’INTERVISTA
D– Per l’articolo, vorremmo sapere poche cose. Da dove nasce l’idea del portale?
R – L’idea nasce verso la metà del 2000, quando si assisteva alla crescita esponenziale delle connessioni a internet, e sempre più persone si relazionavano in rete. Un nuovo modo di comunicare si stava facendo strada. La domanda che mi sono posto, e che poi ho condiviso con altre persone, era: in che modo questo nuovo mezzo potrà influire nel fare comunicazione e nel fare arte…oltre che nella fruizione. Da qui l’idea di creare uno spazio che potesse essere punto di incontro tra l’istanza della creazione e quello della fruizione all’insegna della libera circolazione delle idee.
D – A chi i meriti; i collaboratori…
R – L’idea di partenza è stata di Raffaele Calafiore (mia), scrittore e fotografo, ben presto condivisa da altre persone, tutti professionisti della comunicazione. Al nucleo di fondatori, si sono succeduti in questi anni altri e nuovi collaboratori. Tra i co-fondatori, oltre il sottoscritto vanno ricordati: Tristana loj, Ciro Riccardo, Paolo Mazzotta, Sergio Gandrus. Qualcuno si è subito distaccato…qualche altro è rimasto per oltre un anno. A questi si sono poi succeduti, tra i tanti collaboratori, Luciano Mallozzi e Assunta Veneruso. Ma i veri protagonisti sono stati gli utenti del portale che con le loro storie, poesie, recensioni, foto, commenti e sfoghi…lo hanno animato; in una ottica di redazione allargata e organizzata NON verticisticamente, ma in modo orizzontale. Se vuoi… potremmo dire oggi con molta tranquillità che NonSoloParole è stato come un grande BLOG, quando questa parola/concetto era per nulla usata. Poi, nel 2003, è iniziata anche la nostra avventura su carta, con l’omonima sigla editoriale NonSoloParole Edizioni. Un’avventura che dopo una pausa durata due anni (2008-2010), riprende nei primissimi giorni del 2011 con la messa in linea del nuovo portale www.nonsoloparole.com , rifatto nella grafica e implementato nelle funzioni…sempre seguendo una logica di libera circolazione delle idee.
Da subito, nel 2001, avevamo lanciato lo slogan “NON SIAMO LA VOCE. QUELLA APPARTIENE A TUTTI COLORO CHE A VARIO TITOLO PUBBLICANO SUL PORTALE. NOI SIAMO SOLO L’ECO!”
D – Cosa si pensa dei nuovi mezzi di comunicazione, da Internet all’iPad, in relazione alla scrittura: sono davvero utili?
R – Sicuramente hanno aperto nuove finestre. In nessun caso hanno soppiantato i vecchi media, ma si sono aggiunti a essi. Un nuovo modo di comunicare e, da qualche anno, con un proprio linguaggio più strutturato. Mi spiego meglio: all’inizio si è pensato di applicare a internet, la stessa logica che governava la carta stampata o la televisione… ed erroneamente all’inizio si pensava che ogni cosa che fosse dotcom o avesse la chiocciolina nel mezzo… fosse destinata al successo… La storia ci ha insegnato che non è cosi. E se provi a guardare l’evoluzione anche degli mesg pubblicitari che passano su internet…puoi immediatamente renderti conto che hanno subito una modifica radicale, rispetto a tv e stampa… anche perché il sistema internet permette di interagire immediatamente e direttamente con il potenziale cliente,,, cosa che non avviene per gli spot tv, con affissioni o cartacei. In merito poi al concetto di comunicazione,,,in termini più ampi: sicuramente internet ha permesso il compiersi di una democrazia. Soprattutto nella circolazione delle idee e dei saperi,,,anche se, però, c’e’ da considerare una cosa importante: la troppa informazione (intesa come valanga di parole/concetti/dati), annulla la stessa informazione, nel senso che la disperde…
D – E gli e-book possono essere-divenire uno strumento che incentivi la lettura?
R – Incentivare la lettura? Questa si che è una bella domanda…In un paese fanalino di coda in Europa per tasso di lettura (dopo di noi ci sono la Grecia e il Portogallo), narcotizzato dalla tv/spazzatura, modificato antropologicamente da venti anni di tv commerciale… Come si fa a recuperare persone verso la lettura?…che poi in sintesi è la disponibilità a porsi in ascolto di un pensiero altro da sé, e riflettere su quel pensiero… Come si fa? È una domanda che mi pongo un giorno si e l’altro pure… Per quanto concerne gli e-book, sicuramente avranno una esplosione, grazie anche ai costi più abbordabili dei lettori portatili,,,ma temo che possa essere solo un fuoco di paglia, legato più alla moda che non alla crescita di lettori. Poi, sarà che sono legato alla puzza della carta stampata, preferisco il cartaceo di gran lunga…anche se NON nego i vantaggi dell’e-book, soprattutto pensando a testi di manualistica,,, codici…legislazione….insomma verso quelle pubblicazioni più tecniche,,,strumentali e meno di svago.
Ma spero di sbagliarmi e che qualcuno tra un po’ mi possa dire… “che c…dici?...dati alla mano non vedi che siamo passati dal terzultimo posto al secondo posto per tasso di lettura/popolazione?”; davvero mi piacerebbe sbagliarmi…
D – Quali dovrebbero essere i requisiti dell’e-book per essere davvero letto, magari anche a scuola? La graphic novel potrebbe essere uno strumento capace di interessare ragazzi e magari gli adulti abituati a leggere i classici?
R – Sicuramente nuove forme di scrittura…e, perché no, anche la novella grafica,,, possono incentivare, appassionare di più, soprattutto quando parliamo di testi di studio…quindi testi imposti e non scelti. Renderli più piacevoli,,,godibili,sicuramente aiuta. Ma credo che il vero lavoro vada fatto nell’educare le persone al confronto… a considerare che esiste un “altro da sé” e mettere in moto un meccanismo di scoperta e di confronto…
sabato 12 febbraio 2011
Il libro del giorno: L'uomo che non voleva amare di Federico Moccia (Rizzoli)
Il male naturale, di Giulio Mozzi, con un saggio di Demetrio Paolin (Laurana Editore). Intervento di Nunzio Festa
Ognuno è ciascuno e ciascuno, o quasi, che stanno provando a parlare de Il male naturale, nonostante lo stesso Mozzi, e addirittura alcuni commettendo persino l'errore più banale e oggi meno naturale, non ricordano solo, vedi per esempio Rovelli su L'Unità e Nazione Indiana, che infatti Il male naturale fu pubblicato già da Mondadori nel 1998. Perché non si fermano ad aggiungere la polemica che allora fece scoppiare uno leghista qualunque. Polemica, tra l'altro, al di là di quello che se ne voglia dire, basata su un terreno friabile. Mentre su ben altro si dovrebbe puntare. Ma, cercando di fare giustizia, in un certo senso, ripartiamo dai racconti. Facendo ulteriore trama. Non una trama, non la trama. Per arrivare, a fine baratro, alla lingua. Che qui Mozzi è sull'orlo dell'abisso che si tende. “Morte di Richesse”, insomma, parla di questo servo e della sua devozione al morente padrone, al fiero e rispettabile nobile. Con la calma e l'attenzione di chi sta scrivendo, il servo, un testamento suo e non suo. Anche se è costretto come a fare una lettera di presentazione alla stessa morte oltre che al nuovo padrone in fermento. In “Vite” Ruota e Djuna spiegano il sesso e la ricerca del sesso, seppure il sesso si faccia presente solamante da lontano; soprattutto queste due amiche, Ruota in particolare, esplicano i fermenti adolescenziali superiori al contatto fisico punto e basta. “Bella” è il racconto d'una ragazza, come si dice, diversamente abile, che al pari d'ogni altra persona vogliosa si dimostra precisamente vogliosa. Per “Un male personale” è il dire che è fatto l'amore, è stato avuto, che l'amore allora non può esser rifatto. “Amore” - stretto in pochissime pagine - , contenuto (sensa) sacrifici, è “l'amore” fra un bambino e un adulto, nel filo della pedofilia. “Splatter (breve)” entra nuovamente nella dimensione de “Un male personale”. “Bianca” sa di continua perdita e di riconquiste. “Super nivem” è il testo che maggiormente testimonia il libro, chiudendo in un uomo, e dunque racchiudendo germi sani nello stesso uomo, tutto il male naturale. Con “Apertura” scopriamo un altro velo sui fatti di sempre. Ferite che sono aperte dove non ci sembra possano farsi presenza. Da “Pugni!” una Rama che è debole quanto forte, audace come triste. E che si perde nell'arte del combattimento. Dopo la delusione: amorosa. Per “Coro” l'Italia e il ricordo di Mariele Ventre. Da “Lessico” il segreto della lotta di molte e molti, alla Pagliarani. “Finale” parla delle trame. Certamente in alcuni passaggi, e senza dubbio dove l'autore fa finta di nulla, avanza il tormento della religione. Perché pur se Giulio Mozzi mai vorrà ammetterlo il 'male naturale' è dato dal Maligno. Per questo, a sentire l'autore, comunque in noi. In tutti. Per questa ragione lo scrittore padovano si protende per raggiungere il basso dei corpi in foga. Ad ascoltare il battere di questo stesso male che fa il palo alle corse dell'orologio. Il linguaggio meticoloso di Mozzi, sublimato dalla concordata d'ogni singolo attimo di scrittura perennemente in fase di tribolazione, saluta i cattivi e spiega al buono che è più semplice apparir tale. Sotto la polvere delle apparenze c'è tantissimo d'altro. Si trova e si potrebbe rintracciare il mistero dell'intimo. Il non accentuato incognito dell'intimità personale. Quante e quanti, ancora, per esempio non sono disposti a dire d'essere omosessuali? Chi mai fare sapere d'essere addirittura un perverso? I protagonisti di questi racconti di Giulio Mozzi, invece, tutti proprio, si spogliamo difronte alla realtà. Vivono costantemente le loro scelte. Di rado non le assecondano e in rarità le tengono celate. Il racconto “Amore” è d'una bellezza, passateci il banalissimo termine, disarmante. Un racconto perfetto. Che dice dell'imperfezione.
venerdì 11 febbraio 2011
Il libro del giorno:; Colti sul Fatto di Marco Travaglio (Garzanti)
(Dalla prefazione di Barbara Spinelli)
Il 23 settembre 2009 esce il primo numero del «Fatto Quotidiano», un giornale che si caratterizza subito per la sua libertà e indipendenza dai poteri forti e deboli, dai partiti vecchi e nuovi, oltre che per la sua intransigente ricerca della verità e della giustizia. È una scommessa nella quale ha creduto forse più di tutti – insieme al direttore Antonio Padellaro – Marco Travaglio, uno dei fondatori e soprattutto uno degli editorialisti di punta. I suoi articoli in prima pagina sono precisi e documentati atti d'accusa, sorretti da una devastante forza satirica.
Come scrive nella prefazione Barbara Spinelli, Colti sul Fatto «narra un pezzo di questa storia italiana, che appunto è storia criminale e noir essendo tempestata di leggi ad personam, di giornali e giornalisti che non fanno il loro lavoro cui sono chiamati, della privatizzazione del nobile e rischioso compito che è la politica. Il filo conduttore che lega i testi è il rispetto dei fatti, la lotta contro le verità (e le falsità) ridotte a opinioni (…). Grazie a Travaglio, siamo in grado di percepire ancor meglio e di temere quella che Hannah Arendt chiamava defattualizzazione della realtà».
È anche grazie alla penna acuminata di Marco Travaglio che «il Fatto Quotidiano» si è affermato come l'unica grande novità dell'informazione in Italia, diventando una lezione di giornalismo, oltre che un punto di riferimento indispensabile per chi rifiuta i conformismi di destra e di sinistra e la cialtronaggine di regime.
In copertina: disegno di Emilio Giannelli, 2010
La porta del tempo” di Fabio Calenda: dalle radici dell'antichità riscopriamo le pulsioni dell'uomo. Intervento di Roberto Martalò
Al suo esordio come scrittore con “La porta del tempo”, Fabio Calenda tiene incollato al libro il lettore grazie a un thriller epico-fantasy avvincente e avventuroso. Alle prese con una vita che non lo soddisfa e sull'orlo del licenziamento dal lavoro, l'inviato Robert Zardi si reca in Grecia per uno scoop che potrebbe rilanciarlo: il bizzarro archeologo Kostia Strapoulos avrebbe infatti rinvenuto nei sotterranei di Micene delle tavolette d'argilla del 1184 a.C. che rimandano alla guerra di Troia e a un segreto vaticinio legato agli Asterii, misterioso popolo scomparso da millenni. Suo malgrado, Zardi si troverà coinvolto da questa scoperta fino a essere risucchiato in una dimensione temporale che lo proietterà nella Grecia di Agamennone tra intrighi, minacce e una missione da compiere per ordine della regina Cletemnestra e di Omero. Calenda ci guida con un romanzo avvincente e intrigante nella Grecia antica, deliziandoci con un linguaggio forbito, che ricostruisce alla perfezione l'atmosfera del tempo con le sue suggestioni e le sue credenze ma anche con le attività quotidiane e le descrizioni di personaggi e luoghi. Lo scrittore infatti si dimostra abile nel delineare i protagonisti del libro: da Strapoulos alla regina Clitemnestra, da Omero a Dinamos. La figura di Robert Zardi inoltre è molto suggestiva: un tipico uomo dei nostri tempi, tormentato dai suoi egoismi e dalle sue fragilità, incapace di prendersi le responsabilità che un matrimonio e un figlio comportano e assillato dalla frenesia dei ritmi contemporanei. Catapultato nell'epoca antica, Zardi curerà se stesso e le sue paure fino a scoprire l'importanza di certi valori che la nostra quotidianità ci porta spesso a sottovalutare. Brama di potere e guerra, lealtà e tradimenti ma anche amore e odio: l'autore attraverso i suoi personaggi affronta temi e sentimenti che sono alla base delle azioni che hanno scritto gran parte della storia occidentale. Consigliato soprattutto a chi ama il genere epico e il fantasy, La porta del tempo è adatto a tutti per qualità ed eleganza di scrittura e per un intreccio ben costruito e sviluppato dal ritmo incalzante.
La porta del tempo di Fabio Calenda
Einaudi, 367 pag, 20 €
giovedì 10 febbraio 2011
Il libro del giorno: L'uomo nel vento di Aniello Ertico (Osanna edizioni)
Aniello Ertico è nato nel 1973. Risiede a Genzano di Lucania ed attualmente lavora a Potenza. Esperto d'arte sacra, è conoscitore dei più suggestivi luoghi lucani intrisi di pietà popolare. I riconoscimenti della critica hanno inoltre sottolineato la valenza in ambito artistico quale autore di quadri fotografici. Emissione massiva è la sua prima opera letteraria data alle stampe (www.progettocultura.it)
Autore/i: Aniello Ertico
Editore: Osanna Edizioni
Collana: Poesia
Prezzo deastore.com (info) euro 20.00
Formato: Libro, illustrato
Formiche periferiche di Liliana Guerriero (Statale 11). Intervento di Piergiorgio Focas
"Sarebbe bello se da qualche parte ci fosse un varco nello spazio-tempo come in Donnie Darko, un varco che, una volta attraversato ti riporta indietro nel tempo. Dentro di me il varco è come se l'avessi attraversato la prima volta che ho visto Robert, ma purtroppo è in superficie che tutto rimane tale e quale. Il guscio è invecchiato, ma il frutto e i semi incapsulati all'interno sono pronti per essere gustati. Se non fosse che il guscio è tutto...". Un brano, questo, tratto da un noir ironico, narrato in prima persona da una donna non più giovane, sola , costretta al prepensionamento da un lavoro per altri frustrante, ma che dava un senso alla sua esistenza anodina, passata a stilare elenchi. La storia , narrata in prima persona, dura due settimane in cui la nostra eroina cerca di inventarsi un modo per uscire dal plumbeo universo di solitudine in cui è sprofondata. La sua vita sembra destinata a svolgersi senza sussulti e senza speranza, quando a sparigliare il gioco compare un uomo misterioso, somigliante in modo folgorante a un mito del cinema americano degli anni '50: l'attore Robert Mitchum ultima maniera, versione Philip Marlowe. A questo punto la ruota del tempo riprende a girare e ha inizio una girandola di tragicomici avvenimenti e colpi di scena, che tengono il lettore incollato alle pagine fino allo spiazzante finale. Unici compagni di vita e d'avventura, un gatto di nome Phil, un manichino di nome Bob, e una colonia di formiche insediatesi nell'appartamento, creature di un mondo grottesco, comico e assurdo, che fanno pensare a certi personaggi di beckettiana memoria. Il tutto narrato sul filo dell'ironia e di un allegro cinismo, senza cedimenti alla corda patetica e al sentimentalismo.
Un altro brano tratto dal libro:
" Ci sono anni tutti uguali, che si confondono nella memoria, e attimi così densi che possono essere vissuti solo dopo, quando si ha il tempo di riviverli. Sono gli attimi senza fine di una vecchia canzone. Attimi pieni di cose, alcune previste, altre no. La pistola, ad esempio: era nel programma, aveva un ruolo da protagonista nel gesto del congedo finale... ".
"Formiche periferiche" è il libro d'esordio di Liliana Guerriero. Un libro che piacerà in particolare agli amanti del vecchio cinema.
mercoledì 9 febbraio 2011
Il libro del giorno: Per sentito dire. Conoscenza e testimonianza di Nicla Vassallo (Feltrinelli)
vari, incluse le sue forme più evolute e complesse. È necessario quindi capire la testimonianza, come e cosa ci consente, perché è errato svalutarla, rifugiandosi nell'individualismo, perché in troppi l'hanno voluta e la vogliono controllare nonché manipolare. Senza dimenticare alcuni grandi pensatori che sulla testimonianza hanno riflettuto, "Per sentito dire" è un viaggio filosofico
nella contemporaneità, che ci invita a ragionare, tra l'altro, su astrologi, complotti, credulità, dittature, diverse condizioni e visioni della testimonianza, false testimonianze, gaffe, giornalismo, guerre, inganni, inquisizioni, internet, potere, pubblicità, testimoni affidabili e inaffidabili. Per comprendere come può la testimonianza donarci conoscenze, garantirci la democrazia, evitare che la nostra società si trasformi in quella angosciante e orwelliana del "Grande Fratello". Saggio di filosofia seria e pura, "Per sentito dire" vede così tra i suoi protagonisti Adolf Hitler, Dodi e
Mohamed al Fayed, Facebook, George W. Bush, Giorgio Perlasca, il principe Carlo, la regina Elisabetta II, Lady D, Obama, Silvio Berlusconi, Tony Blair, Vladimir Putin, Wikipedia.
Indice di "Per sentito dire":
Prologo di John Locke; Invito a cena dalla Regina; Arrivare a cena dalla Regina; Conoscenza diretta, competenziale, proposizionale; Conoscere Lilibet, regnare come The Queen, sapere che Elizabeth II è la sovrana britannica; Riccardo sa che Lady D è morta; Perché credi che Lady D è morta?; Svalutare la testimonianza; In principio era il verbo; Individualismo e Inquisizione;
L'errore di Cartesio; L'empirista estremista; La circolarità di Hume; L'intelligent design di Reid; L'astrologo; Colpevole o innocente; The witness; Non dire falsa testimonianza; The most important job is not to be governor, or first lady in my case; La guerra di George W. Bush; Uccidete Lady D!; Il royal blog di Lilibet; Epilogo di George Orwell; Poesie di Paul Celan; Commiato; Note; Bibliografia; Indice dei nomi.
Su Nicla Vassallo, quarantasette anni, professore ordinario di Filosofia
Fiume di tenebra, l'ultimo volo di Gabriele D'Annunzio (Castelvecchi) di Massimiliano e Pier Paolo Di Mino. Intervento di Silvia Agogeri
Fiume di Tenebra è più di un romanzo, è molti romanzi. O meglio, è un romanzo a strati. A un primo sguardo, si tratta della ricostruzione di una pagina tanto peculiare quanto oscura della storia italiana: dopo la Grande Guerra, si fa strada in alcuni animi italiani l’idea della vittoria mutilata; il poeta soldato D’Annunzio, incapace di porre fine ai suoi ardori guerriglieri, entra a Fiume con il suo gruppo di soldati Arditi a cui nulla è rimasto da perdere se non la vita per un ideale. Il sogno patriottico di D’Annunzio si trasforma però in qualcosa di distorto, confuso e paradossale, e Fiume diviene un “mondo a parte”, che non piace alle autorità italiane. In questo contesto, la storia racconta di un fallito attentato ai danni di D’Annunzio che avrebbe preso le mosse da un gruppo di cospiratori. Fiume di Tenebra è questa storia, ricostruita dall’interno; è il racconto di Italo Serra, comandate nato e sopravvissuto, che parte per Fiume con una missione da compiere: uccidere D’Annunzio. Basato su fonti storiche, testimoni dell’attentato al Vate, questo romanzo costruisce una storia di uomini affranti dalla Grande Guerra, di soldati bambini incapaci di ritornare alla vita e di italiani entrati a Fiume Città di Vita, a Fiume la Santa, per sostenere un sogno poetico di libertà.
Senza dubbio incuriosisce che il romanzo prenda il via da fatti reali; il legame con una realtà storica di per sé discussa e forse mai del tutto chiarita, così come la presenza di nomi che richiamano un’identità storica e culturale, suscita necessariamente interesse in ogni lettore italiano. Esiste una complessità tipica delle narrazioni di vicende contraddittorie come quella di Fiume, che consiste nel rischio di situarsi ideologicamente da una parte, finendo per dare una visione soggettiva della storia. Gli autori di Fiume di Tenebra riescono a evitare questo giudizio di valore, e a trasmettere la complessità della vicenda lasciando aperta ogni possibilità. Scrivendo a quattro mani ma con un unico stile, Massimiliano e Pier Paolo di Mino depositano nelle mani di Italo Serra le contraddizioni di Fiume che sono anche quelle della natura umana, un congeniale Italo Serra preda di traumi interiori ed esteriori, indecisioni, tentennamenti, incongrue amicizie, riflessioni introspettive che indubbiamente non trovano spazio neanche nei migliori libri di storia.
Nella seconda parte del romanzo, Italo Serra si trova a Fiume, coinvolto nella vita quotidiana di alcuni soldati sostenitori del Vate. La narrazione, che avviene sempre dall’interno, si nutre di un linguaggio forte, crudo, sorprendente, che catapulta il lettore indietro nel tempo, spettatore inerme di episodi drammatici e profondamente umani. I personaggi storditi dalla storia si muovono in atmosfere deliranti, rinnegano i bisogni primari dell’uomo in nome di un nuovo essere, per il quale il cibo e il sonno altro non sono che veleni che distolgono l’attenzione dalla loro teatrale missione militare e poetica. La ricerca della verità si nutre di cocaina e di droghe che imitano la funzione dell’oppio nei poeti visionari, coloro che fumano per vedere aldilà della pelle del giorno, coloro che, come dice Cocteau, si drogano per scendere dal treno espresso che corre verso la morte. La poesia copre come un velo la totalità del romanzo, trasformando il patetico in mistico. Essa eleva la ricerca di una giustizia al di sopra dei confini della storia, una giustizia naufragata nell’ingiustizia della condizione umana. È qui che il romanzo si separa dalla storia e diviene atemporale, perché Fiume si trasforma in un simbolo della ricerca di un’umanità perduta.
“Questa storia non è mai successa a nessuno” esordisce il romanzo. Una frase che racchiude un doppio significato: da un lato rifiuta la definizione di “romanzo storico”, dall’altro innalza la storia sopra la storia, trasformandola in mito, in momento simbolico dell’Italia, dell’uomo. La simbologia religiosa ritorna costante e violenta nei dialoghi dei personaggi, richiamando un sentimento primordiale di peccato e redenzione insito nella morale cristiana, prigione dell’uomo libero. Allo stesso tempo, si situano come riferimenti credibili in un’Italia del 1920, nella quale i soldati partivano per la guerra forti di una solida fede religiosa.
I simboli religiosi si alternano a quelli pagani, attraverso i quali si riversano la rabbia e il timore ancestrali nell’uomo che diventa bestia. La bestia-poeta è la grande contraddizione di Fiume e dell’uomo; è la contraddizione di D’Annunzio, che si fece amare e odiare da un popolo intero. La terminologia animalesca utilizzata per descrivere i soldati non può non ricordare la figura mitologica del centauro, metà uomo e metà animale, possessore di tutti i pregi e tutti i difetti dell’uomo. Gli autori di Fiume di Tenebra scrivono con la zappa in mano, con quella brutalità necessaria a scavare nella memoria della specie, nei sentimenti di distruzione atavici dell’uomo. All’inizio della seconda parte del romanzo, diviso in due parti e numerosi capitoli brevi e incalzanti, compare una citazione di Carl Gustav Jung: “Il segreto è che solo ciò che può distruggere se stesso è vivo”. Ecco come si esprime la ricerca dei soldati, che nel delirio arrivano a fare chiarezza sulla condizione umana.
L’introspezione presente nelle riflessioni del tenente Keller, di Giuliano, di Comisso, dello stesso Serra, si manifesta spesso per metafore che si nutrono di elementi naturali rappresentativi di sensazioni e disagi umani, come la nebbia, l’acqua, le tenebre, o ancora attraverso oggetti tipici della ricerca psicanalitica, quali gli specchi, artefici della costruzione della natura illusoria dell’uomo. I riferimenti al mondo antico e agli eroi greci sono numerosi e conferiscono un carattere epico all’opera e all’impresa di Italo Serra. Nell’ultima parte, si rivive un altro incontro mitico, quello tra Eros e Thanatos, intesi in psicologia come la pulsione di vita e la pulsione di morte ma teorizzati da Bataille e dai filosofi francesi del ‘900 come stretta e naturale relazione tra l’erotismo e la violenza.
Colpevole di questo incontro-scontro tra Eros e Thanatos è la bella Ada, una donna che come Italo Serra progetta la fine dell’esperienza fiumana. La casa di Ada, nella quale Serra viene trascinato, è un ambiente estraneo a tutto il resto, profondo, assurdo, incomprensibile. É la tana del Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, descritta minuziosamente, con porticine che conducono ad altre porticine sulle note di un pianoforte in fondo all’oceano, un mondo parallelo a quello in superficie, un mondo di terrore e di gioco, ma di gioco mortale. “Questa storia non è mai successa a nessuno”, non è mai successa a nessuno ma più di altre narra una verità nascosta. Così è l’arte, per dirlo ancora con Cocteau: un paradosso che rivela la realtà, o più semplicemente, una menzogna che dice sempre la verità.
Recensione di Silvia Agogeri su ARGONLINE
martedì 8 febbraio 2011
Il libro del giorno: Terra d'Africa, carità no, giustizia sì. (Edizioni Creativa) di Giorgio A. Pisano
Introduzione di Padre Alex Zanotelli
Il viaggio in Africa, nella Repubblica democratica del Congo, ha inciso profondamente nel mio cuore! Quando vai in Africa tocchi con mano le povertà e le ingiustizie causate da un sistema di vita occidentale consumistico e in continua difficoltà a reggere. Le immagini televisive di tante morti nei paesi del Sud del mondo, le informazioni “geneticamente modificate” (I.G.M.), ti inducono a credere che niente possa cambiare, tutto sembra diventare distante mille anni luce ed un senso d’impotenza ti assale… cambi canale e ti dimentichi di tutto ciò che i tuoi occhi hanno visto o meglio rimuovi il problema! Il block notes, scritto durante la permanenza in Congo, è composto da tante storie di sofferenza, d’ingiustizia e da racconti di gioia e di festa.
Viola Di Grado "Settanta acrilico, trenta lana" (Edizioni E/O)
Questo non è un esordio. E se lo si dovesse catalogare come tale, si verrebbe sconfessati se non dalla quantità di premi letterari che riuscirebbe a vincere, sicuramente da un grandissimo successo di pubblico e di critica (in primis Giovanni Pacchiano, Sandra Bardotti, Massimo Maugeri solo per citarne alcuni). Queste cose si capiscono dalle prime pagine, quando subito ti accorgi che questo notevolissimo romanzo non è la solita puntata sul tavolo delle scommesse letterarie di un editore in stile Giordano o Avallone. Il libro di cui sto parlando è il primo lavoro editoriale di Viola Di Grado (Settanta acrilico, trenta lana – Edizioni E/O). Quest’opera è di grande respiro, matura, calibrata, impressionante per la mole di energia poetica che riesce a conservare su ogni pagina. Lei ha 23 anni, si è laureata in lingue orientali e ora studia a Londra. Viola Di Grado scavalca la routine del romanzo di formazione, fatto di tanta provincia italiana e qualche trucchetto da mestierante o di alta prestidigitazione editoriale. Non posso accostarla per onestà intellettuale ad alcun genere o associarla ad alcun tracciato scritturale, sebbene già circolino le prime comparazioni con la Amélie Nothomb, o con le suggestioni gothic/noir alla David Lynch. No, per salvarla dal tritacarne delle definizioni o degli incasellamenti, alla Di Grado, per rispetto a lei e alla sua scrittura, occorre riconoscerle una sua autonomia, una sua forza, una sua originalità, una sua identità, un suo splendore. Viola di Grado nelle pagine di “Settanta acrilico, trenta lana” dimostra che l’esistenza vista con una forte e pervasiva monomania di un’esoterica tendenza al colore rosso (il sangue, i capelli rossi dell’amante del padre, il colore fondante delle nozze alchemiche) ed una nevrotica fissazione verso i buchi (paura dell’oltrepassamento della soglia), non è in grado di dotarsi di tutti quegli strumenti per conoscere onticamente il mondo, e dunque il suo esserci nel mondo è costitutivamente precluso alla sua stessa conoscenza. La storia riguarda una vita soffocante cucita addosso a Camelia che vive con la madre a Leeds (U.K), in una casa vicino al cimitero. Lei si occupa di lavatrici (ovvero transla i manuali), la madre è ossessionata dai buchi che fotografa nervosamente. I loro incroci di vita si basano sulla grammatica degli sguardi e del silenzio. Poi arriva Wen, nella vita di Camelia, un ragazzo cinese che le insegna la sua lingua. Da quel momento comincia il viaggio in un’altra dimensione fatto di crudezza e angoscia del vuoto
Viola Di Grado ha ventitré anni. È nata a Catania, si è laureata in lingue orientali a Torino e studia a Londra.
lunedì 7 febbraio 2011
Il libro del giorno: Il Grinta di Charles Portis (Giano)
Tra la palpebra e l'occhio di Vito Russo (LietoColle)
[…]
In quell’invisibile intervallo tra palpebra e occhio rivive così tutto il film insensato del mondo esterno, e insensato resta finché non passa attraverso il filtro della parola poetica, attraverso la rappresentazione di un mondo altro, riscattato dal buio, dal silenzio, o al contrario dalla chiassosa insignificanza, rinnovato dal pensiero, vivificato dal sentimento, offerto ad altri col bisogno di relazione. Insomma un ‘vissuto’ che non perde affatto consistenza di realtà oggettiva, anzi acquista coscienza e parola, assume spessore morale, si lascia afferrare come corpo vivo, vive di un’altra vita in cui non siano spersi per sempre il senso e la speranza.
Dalla prefazione di Carmine Tedeschi
Tra la palpebra e l’occhio
domenica 6 febbraio 2011
Il libro del giorno: Il (grande) sogno inglese. I Sex Pistols e il Punk. ...E tutte le interviste di Jon Savage (Arcana)
Le ginocchia sbucciate di Maria Grazia Casagrande (Harmattan Italia)
REPLICA D'AUTUNNO
L'odore acre della terra
più buia, rivela alfine
tutta la sua linfa,
segregata ed oppressa
dal tuo peso imponente.
I suoi densi granelli
s'infiltrano, tormentosi,
nell'ordinato dedalo
bianco, umiliando
l'elegante profilo della
tua ossea sfera, che ora
tristemente riappare
come fuoriuscita da
un utero sterile ed acquoso.
Il mio finto perdono si
gonfia di collera, ed il
fango che infuria sul
mio viso, non basta a
raggrumare le mie lacrime.
- Alessandro Cora, con la raccolta di poesie "Poi qualcuno mi dirà cos'è l'amore" - l'Harmattan Italia editore
- Allegra Nasi, con il racconto Fantasy "L'ultimo dei Vanderloo" - Sovera edizioni
- Serena Avezza, con il racconto "Il filo rosso del destino"- Uni service libro edizioni
- André Aciman, "Chiamami col tuo nome" - Guanda edizioni.
Ha lavorato per l'artista albanese Artan Shabani - la cui pittura si basa sui temi della sua terra - curando una recensione per una sua opera provocatoria intitolata "La bambola".
Ha curato la recensione per "Torino sommersa" opera del pittore torinese Andrea Gatti.
Ha curato la recensione per l'opera 'Istmi' del musicista Sandro Masoni.
http://digg.com/music/Sandro_G_Masoni_Istmi_album_Digital_physical_CD_Baby
Continua la sua produzione di poesie, e parallelamente lavora alla stesura di un romanzo.
sabato 5 febbraio 2011
Ricevo il Sunshine Award 2011 e ne segnalo altri 12
1) Letteratitudine
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/
2) Luciano Pagano – Musicaos
http://lucianopagano.wordpress.com/
3) La Repubblica Bari – Città 2.0
http://libri-bari.blogautore.repubblica.it/
4) Puglialibre
5) Booksblog
6) Luisa Ruggio – Dentro Luisa
7) All the word di Luciana Cameli
8) Blanc de ta nuque
http://golfedombre.blogspot.com/
9) Futurix di Christian De Poorter
10) Percorsi di donna di Paola Scialpi
http://www.paolascialpi.blogspot.com/
11) Lankelot
12) Studio 83
Il libro del giorno: Rex tremendae maiestatis di Valerio Evangelisti (Mondadori)
Svelata di Pamela Giorgi (Lupo editore). La Capra è il titolo della poesia qui presentata
Questa è la struttura del mondo
ed io non possiedo un codice, una bussola,
un sestante
questo è il percorso del mondo
per me che non ho mappe
non ho fiuto
per me che non ho orientamento
questa è la struttura del vero
che la colgo dopo
come la trama del senso
che assomiglia ad un vivere gravido del
necessario
ed io con la mia vista breve
quasi un binocolo sfocato
percorro volentieri il sentiero sbagliato
e partorisco le mie scelte
gemendo come una capra solitaria
che urla altissima alla luna
mentre la luna osserva immobile
perché di capre
ne ha già viste molte
“Le parole delle donne fanno paura; e bisogna farle tacere, quelle parole. Solo la poesia palpitante e dolorosa può rispondere ad un dito severo e razionale, piantato sulle labbra dolci per ammutolire. E baciarlo”. Carla Bino
Pamela Giorgi nasce a Brescia nel 1973 dove compie i suoi studi e la sua formazione professionale. Lavora nel settore della comunicazione per grandi gruppi industriali. Vive in un’area montana del bresciano, la Vallecamonica, con la famiglia.
venerdì 4 febbraio 2011
Il libro del giorno: Wingsworld vol.1 di Francesco Ruccella in ebook come anteprima
Il colore della pietra stabilisce quali strabilianti poteri il wingson, da quel momento, sarà in grado di gestire! Finalmente, anche per Leda arriva il grande giorno! Ma non sa ancora che qualcosa sta per accadere: qualcosa di imprevesto, qualcosa di inspiegabile, qualcosa che cambierà la sua vita per sempre.
FRANCESCO RUCCELLA
Francesco Ruccella è nato a Regalbuto e ha 19 anni. Abita a Catania dove studia alla facoltà di scienze e tecniche psicologiche. Il mistero della pietra di Leda è il suo primo romanzo ed il primo volume della saga di Wingsworld edito da Libellula edizioni.
Persecuzione di Alessandro Piperno (Mondadori). Intervento di Elisabetta Liguori
La scrittura è un mestiere per pigri. Pigro chi legge, chi valuta, chi rilegge. Spesso anche chi scrive. Si potrebbe affermare che oggi si scrive per lo più soltanto ciò che è già stato letto. Emblematica a riguardo è l’ultima fatica di Alessandro Piperno, che ha da pochissimo pubblicato per Mondadori il suo “ Persecuzione”. Un romanzo diviso in due parti (il seguito potremo leggerlo fra un anno) senza pigrizia calligrafica, senza risparmio lessicale, ma che a mio parere obbedisce a regole, oramai condivise quanto vincolanti. Come nel romanzo d’esordio, infatti, ritorna in questo secondo la migliore borghesia romana, i congressi medici, la malattia intesa come fonte di lucro, il sesso, anzi la pedofilia, un pizzico di craxismo degli anni rampanti e dosi abbondanti di ebraismo. Il tutto innaffiato da fiumi sapienti di citazioni colte, noir, note hollywoodiane e conflitti generazionali (e di coppia). Sono i temi cari a Piperno. Quella sporca ossessione personale con la quale uno scrittore non può non confrontarsi. Così la lingua. Ancora sontuosa, senza alcuna traccia di indolenza, classica eppure ironica. La trama è semplice e per questo più aperta alle incessanti digressioni, al flash back spinto. Così, restando a metà tra Vladimir Propp e Leo Spitzer, Piperno si muove tra intreccio e pensiero con consumata perizia, dividendo i lettori in due opposte fazioni: gli irritati e i compiaciuti. Leo Pontecorvo è il suo personaggio chiave: affermato pediatra, d’improvviso schiacciato dalla vergogna. Uomo scarafaggio, creduto il corruttore della dodicenne fidanzata del figlio, si risveglia in incubo che non sa di aver costruito con le sue stesse mani. Vittima della puberale concupiscenza di una ninfetta crudele, resta sotto le macerie del suo successo famigliare, professionale e sociale, murandosi vivo nel suo lussuoso scantinato. Pontecorvo è un peccatore o un debole? Vittima o stupido carnefice in un contesto famigliare allargato, dai colori scintillanti? Nella acuta disamina dei questi meccanismi si esprime il miglior Piperno. La moglie di Pontecorvo, infatti, travolta dalla scandalo, precipita nel silenzio senza urlare il suo sospetto, la negazione, la supplica o la rabbia che ci si aspetterebbe da altri. I suoi due figli si attengano al dictat materno che cancella il padre, senza un cedimento. È l’imbarazzo, la mortificante rassegnazione all’orrore. È un portato logico culturale. In queste emozioni Piperno scava, trovando giustificazioni letterarie, tanto più preziose quanto più personali. Ma perché mai questa analisi dovrebbe aiutarci a comprendere il trend della letteratura contemporanea? Perché Piperno è Piperno e leggere i suoi libri ci aiuta a capire come si fa a restare Piperno nel tempo. Lui ci riesce. Non è Allen, non è Roth, ma è entrambi. Non è Kafka, ma Kafka è con lui. È questa l’infaticabile, dolcissima, pigrizia della cultura di massa. La sapida ripetizione di un’idea, di un modo di essere e apparire, come Morin, sin dagli anni sessanta, spiega nel suo “Lo spirito del tempo”, a proposito del nascere e resistere dei miti, anche quelli letterari.
Come per altre costruzioni editoriali l’unica via percorribile sembra essere la sintesi, o la follia, o la trama secca o l’impegno civile, per Piperno la spirale psichica dei personaggi resta una cifra obbligata; l’affollato contesto comodamente ebraico l’unica piattaforma possibile. La sua condanna. La nostra condanna.
giovedì 3 febbraio 2011
Il llibro del giorno: Arnold De Vos "O terra., dammi ali" (Edizioni CFR - Piateda)
Arnold de Vos - O terra, dammi ali
75 poesie - a cura di G. Lucini, Edizioni CFR- Piateda - 2011 - pp. 96 - € 12,00 (8,00)
Canto d'anima amante di Alessandra Peluso (Luca Pensa editore). Intervento di Vito Antonio Conte
Luca Pensa Editore continua a pubblicare libri di poesia e lo fa (soprattutto) nella (ormai “storica”...) Collana “Graffiti”. L'ultima raccolta di versi è quella di Alessandra Peluso, giovane salentina laureata in filosofia, ricercatrice presso l'Università del Salento (collabora a un progetto di Bioetica dei Diritti Umani), dal titolo eloquente: “Canto d'anima amante”. Trenta componimenti nei quali l'Autrice svela il suo sentire e vivere in questa Terra. Sentire sinestetico che la porta a un continuo conflitto tra istinto e ragione. Vivere che non è come vorrebbe e che l'affligge con incessanti interrogativi su questa vita e la sua negazione. Sentire e vivere che sono alimentati da un'unica speranza chiamat a amore. I suoi versi nascono da una profonda inquietudine, quella di chi sa: che la barbarie avanza ogni giorno in ogni spazio dell'umano vivere, che studio e titoli non garantiscono l'ingresso al mondo del lavoro, che la precarietà è una condizione sempre più stabile, che ogni esperienza fatta con dignità non evita di vedere calpestata la propria, che ogni energia non cambierà il mondo e comunque non smette di provarci. Alessandra Peluso, liberando una parte di sé in una manciata di versi, ha disvelato il suo mondo. Tutt'intero. Questo è il miracolo della poesia. Questo è il dramma della scrittura poetica. In questa sua raccolta d'esordio, Alessandra Peluso si è spogliata davanti al mondo, rivelando il suo mondo. Un mondo interiore ch'è antagonista del mondo di fuori. Di quel mondo dove non c'è allegria e bellezza. Di quel mondo al quale lei vuol donare allegria e bellezza. Di quel mondo dove lei cer ca disperatamente allegria e bellezza. Da qui il suo vivere discratico, quasi schizoide, che contiene la condizione di chi non può che vivere in contraddizione, con insofferenza e intolleranza. Ché il mondo di fuori non gli appartiene. Vi sono versi in cui emerge una triste rassegnazione, ai limiti del nichilismo, per una realtà ch'è utopistico credere di poter cambiare. Rintanarsi in se stessa sembra l'unico rifugio, nell'impossibilità di stabilire rapporti scevri da qualsivoglia sovrastruttura creata e imposta da pochi in nome dell'ultima divinità pagana del nostro tempo: il dio danaro. Quello per cui vali qualcosa esclusivamente se puoi essere motivo di profitto per l'altro. Con la conseguenza che non vi è più alcuna “purezza” per cui valga la pena “spendere” la vita. L'esistenza, così, ha un senso soltanto in attesa della morte... Una visione questa, però, solo apparentemente pessimistica. Ché, invero, consente di guardare oltre la quotidiana eterna corsa verso l'effimero, l'inutile e il superfluo, cercando quella dimensione spirituale capace di ri-umanizzare l'esistenza: ossia il rapporto con sé e con l'altro da sé. Liberandosi da regole e pseudo valori per dare senso al proprio camminare tra gli altri. La formazione di Alessandra Peluso, come cennato, è filosofica e questo -a parere di chi scrive- l'ha fottuta e l'ha salvata. Kant, Cartesio, Pascal, Spengler, Hegel, Sartre, Simmel, Kierkeegard... tutti hanno insegnato qualcosa a Alessandra Peluso... nessuno le ha dato alcuna certezza... ma nell'incertezza, distante anni luce dagli spot da cui siamo bombardati quotidianamente, la filosofia le ha insegnato una cosa di cui ognuno dovrebbe prendere buona nota: porsi delle domande, guardare alla vita criticamente, ragionare! Ché in ciò risiede la chiave per imparare a conoscere se stessi e il mondo d'intorno. Ché soltanto così si può ri-trovare il proprio sé e non confondersi col modello di uomo ch'è più facile trovare girando per le strade di queste “lande tristi e noiose”, quello che “vive di moralismi, espedienti, menzogne per saziare la sua sete di potere”. Questo processo di conoscenza passa attraverso la conquista e la pratica della libertà, ch'è riuscire a affermare il proprio essere nel rispetto di quello altrui. Costruendo, giorno dopo giorno, la propria vita, ch'è una, diversa da tutte le altre, ma con queste va messa in relazione, in un modo qualunque. Ognuno deve trovare il suo. Alessandra Peluso sta cercando il proprio modo e, tra le tante domande disseminate sul suo percorso esistenziale, tra dubbi e risposte mancate e/o inadeguate, emerge una possibilità: “Se la vita può essere una possibile filosofia, la filosofia potrebbe essere una possibile poesia... Poetar e è vivere, escogitare un modo per estraniarsi, per sopraelevarsi da un mondo non tuo, per vivere nel tuo mondo fatto di passioni, sensazioni intense che stravolgono l’essere e ti conducono ad esprimerti senza paure, senza false speranze o aspettative... Amare è poesia... La poesia è una sublime via di espressione per comunicare, comunicarsi. La poesia è un modo per esprimere se stessi senza regole, nè compromessi, dando libero sfogo al proprio istinto, sopprimendo la ragione cosicchè possano elevarsi pensieri dionisiaci, musiche armoniose che suonano come melodie agli orecchi dell’anima o contrastanti, stridenti, pur sempre suoni. In questo danzare, echeggiano le parole come battiti del cuore, come gemiti, come grida di piacere e dolore che devi saper ascoltare e suonare come la ninfa la sua cetra. Così poetando ascolti te stesso, ascolti l’amore, la passione, ascolti e comunichi il tuo nuovo amore: ti sconvolg e, travolge, coinvolge. E’ folle questo amore ma va vissuto, scelto consapevolmente, come se lì qualcuno lo avesse messo a disposizione ed immediatamente preso, catturato...”. La filosofia ha fottuto Alessandra Peluso: troppe domande, troppi pensieri, ogni attimo guardato attraverso la lente della ragione, sì da vedere il mondo siccome è: rivoltante per come ridotto da pochi uomini. La filosofia ha salvato Alessandra Peluso: le ha consentito di vederlo il mondo e, tra i vari modi possibili, di guardare agli altri con gli occhi della poesia. Non a caso, segnalo il pezzo (privo di titolo, come tutti gli altri) contrassegnato dal n. XXIII: “all'improvviso un'emozione / e come acqua e un fiore smorto / la mia anima è rinata / risvegliata dalla voce sua / donando nuovo vigore ai giorni / un senso di pura follia / un pazzo pensiero / tra pensieri senza traccia / così all'improvviso / un attimo / durato un meriggio intero”. Ché per Alessandra Peluso la poesia è amare, amare è donarsi... ché altra vita non c'è.
I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno
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