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sabato 12 febbraio 2011

Il male naturale, di Giulio Mozzi, con un saggio di Demetrio Paolin (Laurana Editore). Intervento di Nunzio Festa












Ognuno è ciascuno e ciascuno, o quasi, che stanno provando a parlare de Il male naturale, nonostante lo stesso Mozzi, e addirittura alcuni commettendo persino l'errore più banale e oggi meno naturale, non ricordano solo, vedi per esempio Rovelli su L'Unità e Nazione Indiana, che infatti Il male naturale fu pubblicato già da Mondadori nel 1998. Perché non si fermano ad aggiungere la polemica che allora fece scoppiare uno leghista qualunque. Polemica, tra l'altro, al di là di quello che se ne voglia dire, basata su un terreno friabile. Mentre su ben altro si dovrebbe puntare. Ma, cercando di fare giustizia, in un certo senso, ripartiamo dai racconti. Facendo ulteriore trama. Non una trama, non la trama. Per arrivare, a fine baratro, alla lingua. Che qui Mozzi è sull'orlo dell'abisso che si tende. “Morte di Richesse”, insomma, parla di questo servo e della sua devozione al morente padrone, al fiero e rispettabile nobile. Con la calma e l'attenzione di chi sta scrivendo, il servo, un testamento suo e non suo. Anche se è costretto come a fare una lettera di presentazione alla stessa morte oltre che al nuovo padrone in fermento. In “Vite” Ruota e Djuna spiegano il sesso e la ricerca del sesso, seppure il sesso si faccia presente solamante da lontano; soprattutto queste due amiche, Ruota in particolare, esplicano i fermenti adolescenziali superiori al contatto fisico punto e basta. “Bella” è il racconto d'una ragazza, come si dice, diversamente abile, che al pari d'ogni altra persona vogliosa si dimostra precisamente vogliosa. Per “Un male personale” è il dire che è fatto l'amore, è stato avuto, che l'amore allora non può esser rifatto. “Amore” - stretto in pochissime pagine - , contenuto (sensa) sacrifici, è “l'amore” fra un bambino e un adulto, nel filo della pedofilia. “Splatter (breve)” entra nuovamente nella dimensione de “Un male personale”. “Bianca” sa di continua perdita e di riconquiste. “Super nivem” è il testo che maggiormente testimonia il libro, chiudendo in un uomo, e dunque racchiudendo germi sani nello stesso uomo, tutto il male naturale. Con “Apertura” scopriamo un altro velo sui fatti di sempre. Ferite che sono aperte dove non ci sembra possano farsi presenza. Da “Pugni!” una Rama che è debole quanto forte, audace come triste. E che si perde nell'arte del combattimento. Dopo la delusione: amorosa. Per “Coro” l'Italia e il ricordo di Mariele Ventre. Da “Lessico” il segreto della lotta di molte e molti, alla Pagliarani. “Finale” parla delle trame. Certamente in alcuni passaggi, e senza dubbio dove l'autore fa finta di nulla, avanza il tormento della religione. Perché pur se Giulio Mozzi mai vorrà ammetterlo il 'male naturale' è dato dal Maligno. Per questo, a sentire l'autore, comunque in noi. In tutti. Per questa ragione lo scrittore padovano si protende per raggiungere il basso dei corpi in foga. Ad ascoltare il battere di questo stesso male che fa il palo alle corse dell'orologio. Il linguaggio meticoloso di Mozzi, sublimato dalla concordata d'ogni singolo attimo di scrittura perennemente in fase di tribolazione, saluta i cattivi e spiega al buono che è più semplice apparir tale. Sotto la polvere delle apparenze c'è tantissimo d'altro. Si trova e si potrebbe rintracciare il mistero dell'intimo. Il non accentuato incognito dell'intimità personale. Quante e quanti, ancora, per esempio non sono disposti a dire d'essere omosessuali? Chi mai fare sapere d'essere addirittura un perverso? I protagonisti di questi racconti di Giulio Mozzi, invece, tutti proprio, si spogliamo difronte alla realtà. Vivono costantemente le loro scelte. Di rado non le assecondano e in rarità le tengono celate. Il racconto “Amore” è d'una bellezza, passateci il banalissimo termine, disarmante. Un racconto perfetto. Che dice dell'imperfezione.

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