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giovedì 3 febbraio 2011

Canto d'anima amante di Alessandra Peluso (Luca Pensa editore). Intervento di Vito Antonio Conte




Luca Pensa Editore continua a pubblicare libri di poesia e lo fa (soprattutto) nella (ormai “storica”...) Collana “Graffiti”. L'ultima raccolta di versi è quella di Alessandra Peluso, giovane salentina laureata in filosofia, ricercatrice presso l'Università del Salento (collabora a un progetto di Bioetica dei Diritti Umani), dal titolo eloquente: “Canto d'anima amante”. Trenta componimenti nei quali l'Autrice svela il suo sentire e vivere in questa Terra. Sentire sinestetico che la porta a un continuo conflitto tra istinto e ragione. Vivere che non è come vorrebbe e che l'affligge con incessanti interrogativi su questa vita e la sua negazione. Sentire e vivere che sono alimentati da un'unica speranza chiamat a amore. I suoi versi nascono da una profonda inquietudine, quella di chi sa: che la barbarie avanza ogni giorno in ogni spazio dell'umano vivere, che studio e titoli non garantiscono l'ingresso al mondo del lavoro, che la precarietà è una condizione sempre più stabile, che ogni esperienza fatta con dignità non evita di vedere calpestata la propria, che ogni energia non cambierà il mondo e comunque non smette di provarci. Alessandra Peluso, liberando una parte di sé in una manciata di versi, ha disvelato il suo mondo. Tutt'intero. Questo è il miracolo della poesia. Questo è il dramma della scrittura poetica. In questa sua raccolta d'esordio, Alessandra Peluso si è spogliata davanti al mondo, rivelando il suo mondo. Un mondo interiore ch'è antagonista del mondo di fuori. Di quel mondo dove non c'è allegria e bellezza. Di quel mondo al quale lei vuol donare allegria e bellezza. Di quel mondo dove lei cer ca disperatamente allegria e bellezza. Da qui il suo vivere discratico, quasi schizoide, che contiene la condizione di chi non può che vivere in contraddizione, con insofferenza e intolleranza. Ché il mondo di fuori non gli appartiene. Vi sono versi in cui emerge una triste rassegnazione, ai limiti del nichilismo, per una realtà ch'è utopistico credere di poter cambiare. Rintanarsi in se stessa sembra l'unico rifugio, nell'impossibilità di stabilire rapporti scevri da qualsivoglia sovrastruttura creata e imposta da pochi in nome dell'ultima divinità pagana del nostro tempo: il dio danaro. Quello per cui vali qualcosa esclusivamente se puoi essere motivo di profitto per l'altro. Con la conseguenza che non vi è più alcuna “purezza” per cui valga la pena “spendere” la vita. L'esistenza, così, ha un senso soltanto in attesa della morte... Una visione questa, però, solo apparentemente pessimistica. Ché, invero, consente di guardare oltre la quotidiana eterna corsa verso l'effimero, l'inutile e il superfluo, cercando quella dimensione spirituale capace di ri-umanizzare l'esistenza: ossia il rapporto con sé e con l'altro da sé. Liberandosi da regole e pseudo valori per dare senso al proprio camminare tra gli altri. La formazione di Alessandra Peluso, come cennato, è filosofica e questo -a parere di chi scrive- l'ha fottuta e l'ha salvata. Kant, Cartesio, Pascal, Spengler, Hegel, Sartre, Simmel, Kierkeegard... tutti hanno insegnato qualcosa a Alessandra Peluso... nessuno le ha dato alcuna certezza... ma nell'incertezza, distante anni luce dagli spot da cui siamo bombardati quotidianamente, la filosofia le ha insegnato una cosa di cui ognuno dovrebbe prendere buona nota: porsi delle domande, guardare alla vita criticamente, ragionare! Ché in ciò risiede la chiave per imparare a conoscere se stessi e il mondo d'intorno. Ché soltanto così si può ri-trovare il proprio sé e non confondersi col modello di uomo ch'è più facile trovare girando per le strade di queste “lande tristi e noiose”, quello che “vive di moralismi, espedienti, menzogne per saziare la sua sete di potere”. Questo processo di conoscenza passa attraverso la conquista e la pratica della libertà, ch'è riuscire a affermare il proprio essere nel rispetto di quello altrui. Costruendo, giorno dopo giorno, la propria vita, ch'è una, diversa da tutte le altre, ma con queste va messa in relazione, in un modo qualunque. Ognuno deve trovare il suo. Alessandra Peluso sta cercando il proprio modo e, tra le tante domande disseminate sul suo percorso esistenziale, tra dubbi e risposte mancate e/o inadeguate, emerge una possibilità: “Se la vita può essere una possibile filosofia, la filosofia potrebbe essere una possibile poesia... Poetar e è vivere, escogitare un modo per estraniarsi, per sopraelevarsi da un mondo non tuo, per vivere nel tuo mondo fatto di passioni, sensazioni intense che stravolgono l’essere e ti conducono ad esprimerti senza paure, senza false speranze o aspettative... Amare è poesia... La poesia è una sublime via di espressione per comunicare, comunicarsi. La poesia è un modo per esprimere se stessi senza regole, nè compromessi, dando libero sfogo al proprio istinto, sopprimendo la ragione cosicchè possano elevarsi pensieri dionisiaci, musiche armoniose che suonano come melodie agli orecchi dell’anima o contrastanti, stridenti, pur sempre suoni. In questo danzare, echeggiano le parole come battiti del cuore, come gemiti, come grida di piacere e dolore che devi saper ascoltare e suonare come la ninfa la sua cetra. Così poetando ascolti te stesso, ascolti l’amore, la passione, ascolti e comunichi il tuo nuovo amore: ti sconvolg e, travolge, coinvolge. E’ folle questo amore ma va vissuto, scelto consapevolmente, come se lì qualcuno lo avesse messo a disposizione ed immediatamente preso, catturato...”. La filosofia ha fottuto Alessandra Peluso: troppe domande, troppi pensieri, ogni attimo guardato attraverso la lente della ragione, sì da vedere il mondo siccome è: rivoltante per come ridotto da pochi uomini. La filosofia ha salvato Alessandra Peluso: le ha consentito di vederlo il mondo e, tra i vari modi possibili, di guardare agli altri con gli occhi della poesia. Non a caso, segnalo il pezzo (privo di titolo, come tutti gli altri) contrassegnato dal n. XXIII: “all'improvviso un'emozione / e come acqua e un fiore smorto / la mia anima è rinata / risvegliata dalla voce sua / donando nuovo vigore ai giorni / un senso di pura follia / un pazzo pensiero / tra pensieri senza traccia / così all'improvviso / un attimo / durato un meriggio intero”. Ché per Alessandra Peluso la poesia è amare, amare è donarsi... ché altra vita non c'è.

mercoledì 2 febbraio 2011

Il libro del giorno: Nemesi di Philip Roth (Einaudi)





















«Il marchio di fabbrica di Roth è da sempre la spinta agli estremi, fino al punto di rottura. La sua voce, modulata su tutta la gamma di toni dallo humour all'angoscia, come quella di Kafka, è quella di un uomo in fiamme».
The Daily Beast

Al centro di Nemesi c'è un animatore di campo giochi vigoroso e solerte, Bucky Cantor, lanciatore di giavellotto e sollevatore di pesi ventitreenne che si dedica anima e corpo ai suoi ragazzi e vive con frustrazione l'esclusione dal teatro bellico a fianco dei suoi contemporanei a causa di un difetto della vista.
Ponendo l'accento sui dilemmi che dilaniano Cantor e sulla realtà quotidiana cui l'animatore deve far fronte quando nell'estate del 1944 la polio comincia a falcidiare anche il suo campo giochi, Roth ci guida fra le più piccole sfaccettature di ogni emozione che una simile pestilenza può far scaturire: paura, panico, rabbia, confusione, sofferenza e dolore.
Spostandosi fra le strade torride e maleodoranti di una Newark sotto assedio e l'immacolato campo estivo per ragazzi di Indian Hill, sulle vette delle Pocono Mountains - la cui «fresca aria montana era monda d'ogni sostanza inquinante» -, Nemesi mette in scena un uomo di polso e sani principî che, armato delle migliori intenzioni, combatte la sua guerra privata contro l'epidemia. Roth è di una tenera esattezza nel delineare ogni passaggio della discesa di Cantor verso la catastrofe, e non è meno esatto nel descrivere la condizione infantile.

I giorni del vino e delle rose di Luca Buonaguidi (Editrice Fermenti)









Scavo le grotte dell’anima,

piccono la mia scintilla,

cercando la durevole luce,

del mio spirito il bagliore.

Mi trovo a vagare

In una strada trafficata

per ritagliarmi un corridoio di asfalto

che mi porti a casa

nella foga che mi assale

di trovare un nesso

alle cose.

Luce,

più ti allontani

e più queste pagine

si riempiono.

Questa notte

buia e fredda.

Voglio solo hashish e vino,

una penna e un taccuino.

Interessante esordio poetico, per Luca Buonaguidi e la sua prima raccolta poetica dal titolo “I giorni del vino e delle rose” edita da Fermenti. L’esuberanza nel desiderio dell’oltrepassamento del limite, trasforma in pura energia il dire per versi. Scrive Girolamo De Simone nella prefazione: “È gioco facile richiamare la memoria, ma non sempre risulta così semplice farlo quando essa è davvero inconciliata, quando precocemente si è provato a cancellarla, rimuovendo esistenze incomparabili (Striano, Cilio, Caccioppoli, Gatto, quanti eroi smarriti e solo tardivamente riscoperti da archeologi del sapere?). Qui occorre davvero la forza di un gesto prepotente e, direi, autorevole. Non conosco Luca, ma lo riconosco nell’autorevolezza della scrittura, che richiama al noto la dimenticanza di storie appena rimosse. Storie di artisti contemporanei, uomini e donne che particolari circostanze vollero sottrarci. Credo che si tratti di un ulteriore Leitmotiv che percorre la certezza/evenienza letteraria di Buonaguidi: la fragilità/sponda scagliata dalla consapevolezza del limite

martedì 1 febbraio 2011

Il libro del giorno: A me dunque al mondo di Luca Sedda (Edizioni Creativa)




















La geografia del mondo in queste pagine è segnata da un continuo cambio di prospettiva: c’è un passato che sembra perdersi e quello che ritorna, nella lezione mancata della storia; è lo spazio sotto casa come dentro un’isola, che poi salta il mare e comprende l’intero pianeta, percepito sempre e comunque vicino nel suo scorrere addosso ad ognuno, con velocità diverse, ma uguale indirizzo. Ogni evento che trascina il poeta, il lettore e il mondo in queste poesie, sembra rispondere irrimediabilmente al principio della circolarità, che è girone infernale, disegno sull’acqua, viaggio che vuole riportare al momento della partenza, al principio di ogni cosa per comprendere e ridefinire meglio il percorso. E in questo racconto che và e viene dal Mondo all’Uomo, l’uno è aria, cibo, azione e direzione per l’altro.


Scritto nei sassi di Diego Fontana con illustrazioni di Stefano Landini (Incontri editrice)


















"Sul parapetto del ponte, a una cinquantina di metri dalla acque torbide del fiume che attraversa la città, c'è un grosso sasso. E' un macigno spigoloso e grigiastro, attraversato da diverse venature color della ruggine. A vederlo sembrerebbe solido e compatto; un sasso che ha attraversato indenne i secoli, e che nemmeno la furia degli elementi ha saputo scalfire più di tanto. Eppure qualcosa in lui dev'essersi rotto per sempre, se adesso è lì, sul ponte, legato con una robusta fune all'estremità di un corpo umano" (tratto da Corpi)
"Scritto nei sassi" raccoglie sessanta brevissimi racconti che non superano le 1000 battute ciascuno. Eppure, quasi fossero sassolini essi stessi, i testi di Diego Fontana riescono ad abbracciare mondi interi, a condensare frammenti di realtà, a vivere di rimandi e citazioni, a raccontare tra le righe, molto più di quanto non si possa scorgere a una lettura superficiale, dando la piacevole sensazione di una scrittura meditata, e di parole selezionate con cura, quasi levigate dal tempo come rocce. Il volume è arricchito dalle tavole illustrate di Stefano Landini.

lunedì 31 gennaio 2011

Il libro del giorno: La stella di Strindberg di Jan Wallentin (Marsilio)



















Le distese dell'Artico alla fine dell'Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo di quel pallone Nils Strindberg aveva con sé una stella e una croce di origine sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia, un sommozzatore scopre un corpo che la miniera custodisce da lunghi anni, con il suo segreto: una croce ansata che rappresenta il simbolo egizio della vita. Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto gelosamente conservato da Strindberg? Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell'altra metà della chiave: braccato da una misteriosa e potente Fondazione segreta, Titelman fugge attraverso l'Europa inseguendo l'antico mistero che lo porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il vero scopo della sua spedizione.

Canto e oblìo di Giuseppe Goffredo (Poiesis editrice)












Carne e sangue del lutto. Erezione.

Involontario inabissamento. Incarnarsi

nei dei dolori. Gridi barocca. Terra.

Talpa. Torquemada. Tormentilla.

Santa. Inquisizione. Sangue d’ombre

A brandelli soffocate nel singhiozzo

vacui salgono malorce date

nel presagio voci torci menti

oscuri pezzi sguanci di linguaggi

e dentro e prima e dopo pungenti

spermi facce strati di inchiostri

ripetuti sovrapposti in angoli umidi di stoffe

e cazzi lucidati a sangue. Vedi.

Se un giorno ciechi germogli.

Su querci. Erba tenera alle radici

brevi. E comunque qualche fioricello

ne rimane ancora. Luce. Da malebolge

fiorisce la pena che dal male illumina

Nella sacra officina di Giuseppe Goffredo l’oblio è un artigiano che lavora i granelli di luce per prepararli alla trasformazione. Luce che viene addestrata a imprimersi ovunque, uscire, non temere, abbeverarsi come una bestia in fiamme sopra il venir meno dei calendari e dei nomi, di ogni cosa che insomma possa essere ricondotta a un destino funzionale. Su tutto l'Amore ordina, conferisce assoluto al transitorio, diventa il rivelatore o il punto da cui iniziare a stringere una promessa di creazione col mondo, mondo che nell'eros stesso si deifica, si compatta, si inocula e diventa visione per uno stile, ovvero un'affermazione di presenza e di azione. Sottile il potere dell'Amore, difficile da discriminare: ingovernabile e sovrastante, quasi soffio che s'ingenera e produce distanze da colui che elegge, ma pure vicinissimo, immerso nello spazio, iniettato nel flusso degli oggetti, nella povertà dei dettagli e nel respiro della natura dove tutto è consacrato nel suo nome e dove, compiendosi in cicli, forme, ritorni e approdi, prende casa, scrive le sue pagine umane. Il corpo, ricerca di senso esso stesso, si vivifica e si sfalda nell'abbraccio della storia, germogliando come un seme ma compiendo un passaggio a ritroso, fino a risaltare nel mistero di una ricongiunzione che è antecedente persino al mondo. (Carla Saracino)

domenica 30 gennaio 2011

Il libro del giorno: La mappa del destino di Glenn Cooper (Nord editrice)




















Per settecento anni è rimasto nascosto in un muro dell'abbazia. Poi una scintilla ha scatenato un incendio e il muro è crollato. Stupito, l'abate Menaud sfoglia quel volume impreziosito da disegni di animali e di piante. È scritto in codice, ma le prime parole sono in latino: "Io, Barthomieu, monaco dell'abbazia di Ruac, ho duecentoventi anni. E questa è la mia storia." Per migliaia di anni è rimasto immerso nell'oscurità. Poi un'intuizione ha squarciato le tenebre. Incredulo, l'archeologo Lue Simard cammina in quel grandioso complesso di caverne, interamente decorate con splendidi dipinti rupestri. E arriva all'ultima grotta, la più sorprendente, dove sono raffigurate alcune piante: le stesse riprodotte nell'enigmatico manoscritto medievale... Per un tempo indefinibile è rimasto avvolto nel mistero. È stato custodito da santi e da assassini, è stato una fonte di vita e una ragione di morte. Poi un imprevisto ha rischiato di svelarlo agli occhi del mondo. Spietati, gli abitanti di Ruac non hanno dubbi: i forestieri devono essere fermati. Perché la cosa più importante è difendere il loro segreto. A ogni costo.

Futura Tv intervista Luciano Pagano



Nato a Novara nell’Agosto del 1975 ma salentino di adozione dall’età di 14 anni, Luciano Pagano è poeta, scrittore e giornalista. Nel 2000 esordisce in poesia con “VENENUM“, poi nel 2004 pubblica “POESIE DEL SOL LEVANTE” che contiene le poesie che gli hanno permesso di vincere il premio “POETRY SLAM” di Puglia. Luciano è anche autore di racconti: “CIELI DI GRANO” E “BEN IL GUERRIERO“. Nel 2007 pubblica il suo romanzo d’esordio “RE KAPPA” edito da Besa; nel 2010 è la volta di “E’ TUTTO NORMALE“, edito da Lupo editore.

Servizio di

IRENE LESCE

Riprese di

VITALBA VERDANO – ALESSANDRA VERECONDO

Montaggio di

LETIZIA ABBRACCIAVENTO

sabato 29 gennaio 2011

Il libro del giorno: Aggrappato ad un angelo di Lorenzo Cerri (Edizioni Creativa)




















L’avventura letteraria di quest’opera nasce dalla precisa volontà dell’autore di comunicare al lettore un messaggio, fatto di una poliedrica sfaccettatura di emozioni, sensazioni ed immagini. Un messaggio che ci porta a ricercare noi stessi, o meglio, a cercare la via verso la parte più segreta che celiamo dentro di noi. La via verso il cuore, verso l’amore. In tutta l’opera si intreccia la dicotomia fra sogno e realtà, rilanciando messaggi volti alla riflessione personale anche su alcune tematiche fortemente attuali che riguardano la nostra società La novità dell’opera sta nel fatto che le poesie non hanno titoli propri, ma si presentano come un continuum di parole, pensieri ed immagini, separate fra loro da immaginari spazi vuoti, a voler rendere l’idea di un’altalena di emozioni in continuo movimento, come se lo sguardo di chi legge fosse rinchiuso in un campo dalla visuale ristretta e dove regolarmente ritorna l’altalena di emozioni con il suo messaggio e poi se ne va, lasciando al lettore lo spazio per la riflessione, l’immaginazione, l’idealizzazione, la sublimazione. Perchè oltre alle parole sulla carta c’è molto altro.


La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio (Rizzoli)... forse parlerò di questo libro! Intervento di Vito Antonio Conte












L'ultimo giorno dell'anno si porta via una parte di me. Molto consistente, in questa occasione. Poi, mi lascia qualcosa. Come il tempo: prende sempre, ma qualcosa sempre lascia. Più di qualcosa, stavolta. E, ancora, si porta via e lascia sempre libri, vecchi e nuovi, già letti, da leggere, e quelli che (forse) non leggerò mai... e una sensazione di incompiutezza e soddisfazione, all'un tempo. Come di infinita stanchezza. Di quelle che durano da tanto, troppo accendersi e spegnersi. Di quelle che (forse) saranno compagne di viaggio sino a che sarà. Di quelle che puoi avvertire soltanto se le guardi sfogliando uno strato dopo l'altro, sì che ogni singola foglia possa renderle interamente visibili e plausibili, in leggerezza. Ché devi poterle vedere bene per sentirle sino in fondo, per intero, alzando poi il capo al cielo, socchiudendo le labbra, liberando parole come di preghiera, perché evaporazione le dissolva... e spazio si liberi dentro per il nuovo (che viene da lontano, sempre da più lontano) a compiersi. La pienezza, invece, è per quel che resta e che circolando nell'aria, come di “Patchouli”, non svanirà mai... E i libri, quanti libri... Leggerò (quando non so) “Buon viaggio signora Pineapple” di Valeria Viola Padovani (gradito regalo di Raffaella...), “A sangue freddo” di Truman Capote (sfatando una intrigante leggenda di Luisa...), “L'uso sapiente delle buone maniere” di Alexander McCall Smith (autore a me caro...), “Suonare sogni a Cuba” di Bartolini-Mejides-Manera (per intanto ho consumato il CD...), “Me parlare bello un giorno” di David Sedaris (mia moglie me l'ha portato con un sorriso...) e... non ho più voglia di costruire torri di carta. Scriverò -per l'ennesima volta- di Gianrico Carofiglio, del suo ultimo “La manomissione delle parole”, finito di leggere il 27 dicembre 2010, goccia a goccia... Ma non ora! E di “come vedi ti penso” di Caterina Gerardi (forse) scriverò. Ma non ora! Per intanto, sorrido a lei che ho ri-conosciuto e alle sue fotografie. Adesso, m'inebrio del profumo che ho detto e dentro s'apre altro. Cosa? “Stavo pensando a altro” (...) e io che, invece, non penso a altro e rimango senza parole... Da quanto tempo, dopo quanta musica, suoni e voci altre, e infinita assenza di note, non ascoltavo Mark Knopfler, il buon vecchio Mark, e sia chiaro “vecchio” è lemma d'indicibile affetto... Faccio scorrere tutti i pezzi (dodici) di “”Kill to get crimson”, l'album con i tre tizi “inattesadiuncazzodiniente” su un lato, e con le lambrette sull'altro lato (della copertina, intendo). Puro andare. E non mi fermo. Ancora Mark: “The Ragpieker's Dream”, il suo terzo lavoro da solista, del 2002 (…) Armonia e ricerca (fatta musica) dell'onirico, che abita qui. Su questa terra. Sì, proprio qui. E “You Don't Know You're Born” ne è la dimostrazione. E la “prova provata” (ancora sento ripetere in qualche aula...) è (tornando al primo album menzionato) “Let It All Go”. Se non ci credete, ascoltatevi anche “Heart Full Of Holes”, percorretela per tutto il tempo, svuotando ogni cazzo di pensiero (o ogni pensiero del cazzo: ché, lo sapete come la vedo, non è poi dire la stessa cosa) dal vostro stupido (leggete: occupato o come vi pare) cranio, aiutatevi chiudendo gli occhi (se non ci riuscite subito), concentratevi sul miraggio d'una strada che porta dritta al sole che muore, poi fatemi sapere (…) Nel frattempo, vi dirò di un altro libro letto (molto lentamente e finito) lo scorso dicembre: “Il Messaggero” di Kader Abdolah (Iperborea Edizioni, pagine 297, € 17,00). Cosa c'entra Mark con Kader e con tutto il resto? Lo so, ma non ve lo dirò (subito). La copertina del libro (quando l'ho comprato) mi ha ricordato un viaggio in Nord Africa (che ho fatto), un altro (che non ho fatto) e un quadro. Che non ho più. Come mille altre cose. Che non mi mancano. Le cose legano. E, per quello, bastano le persone... Una duna desertica sbiancata dal contrasto con l'azzurro impossibile di quel cielo d'oriente e un guerriero arabo a dorso di un cammello stagliato sul limitare del monte di sabbia davanti a tutto quell'infinito d'aria e di luce d'uno splendore accecante... Kader Abdolah, iraniano, rifugiato politico in Olanda, con i suoi libri, ha ri-scritto il Corano, con un'operazione dichiaratamente letteraria, per renderne il suo mondo “più accessibile” agli occidentali, ma soprattutto per “avvicinare” i lettori d'occidente “al mondo temuto e misconosciuto del Corano”, aprendo con la sua scrittura una finestra sull'altro da noi. “Il Messaggero” è la storia romanzata del Profeta, resa da un io narrante diversificato nei tanti personaggi che, come testimoni diretti o indiretti, prendono la parola per riferire della vita di Muhammad a Zayd ibn Thalith (figlio adottivo di Muhammad) che è la voce narrante principale. Zayd (alla cui voce si alterna quella dell'Autore) è il cronista (katib) di Muhammad, lo scrivano che traduce in sure i resoconti che il Profeta (di volta in volta) gli fa delle sue (asserite) rivelazioni divine. Ché la tradizione orale è importantissima e imprenscindibile per ogni cultura che conosca l'importanza di essere guardando a chi è stato prima di noi perché possa esserci qualunque significativo futuro, ma possedere un proprio Libro (che sia espressione del proprio mondo...) dà autorevolezza di fronte al resto del mondo. L'operazione che Kader fa con questo libro è di narrare le vicende attraverso le quali i musulmani sono giunti a creare il loro libro sacro: il che equivale a narrare la vita del Profeta. L'Autore avverte che “benché le storie e gli avvenimenti narrati nel Messaggero siano basati su fatti storici, il libro va letto secondo le leggi della letteratura” e questa è un'avvertenza della quale bisognerà tener conto, ché -traverso la lettura dei brevi capitoli che il libro compongono- si viene risucchiati in un tempo andato e quel tempo sembra di viverlo oggi ché realtà, fantasia e invenzione letteraria sono talmente ben contaminate da risultare vera e propria narrazione storica... Potrei spendere altre parole per dirvi della capacità di Kader Abdolah di dipingere paesaggi, atmosfere, uomini e donne, azioni e relazioni con veloci pennellate e farle vedere al lettore sino a rapirlo. Potrei dirvi delle analogie di certe situazioni di oltre un millennio addietro con quelle odierne, sicuramente cercate, volute e rese limpidamente dall'Autore... E potrei, ancora, porre attenzione su alcuni paradossi religiosi e pseudo tali... Ma questo e altro (o quel che sarà) lo coglierete se avrete voglia di leggerlo, questo libro. A me, adesso, importa dirvi, senz'altre inutili menate, cos'hanno in comune Mark, Kader e tutto il resto. C'è poesia in questo libro, come nella musica di Knopfler, come nella mia infinita tristezza. Quella che nè Kader, nè Mark, nè altri e/o altro riescono più a sciogliere trasformandola in lacrime. Sì, avete capito perfettamente. Ci sono momenti di tristezza senza fine che soltanto la pioggia potrebbe portarsi via. Come piccole barche di carta. Ma non piove più. Non per me. Non ora. Poi, capita che, proprio come un'Epifania, una superba e potente voce gospel mi attraversi sino a far tremare la mia voce... E, poco dopo, che l'istambul cafè diventi palcoscenico di un'altra potenza: quella di Maurizio Vierucci (e della sua band) che, miracolo di Pat e Luisa (...), quel tremore diffonde ovunque... Benvenuto a questo cielo e buona vita...

venerdì 28 gennaio 2011

Il libro del giorno: Avanti tutta. Manifesto per una rivolta individuale di Simone Perotti (Chiarelettere)





















Dunque si può fare. La scelta del downshifting raccontata in "Adesso basta" si è rivelata percorribile. "Ho tempo per cucinare, per studiare, per scrivere, navigare, perdere tempo..." scrive Simone Perotti in questo nuovo libro, che è un pamphlet sul cambiamento alle porte, su un nuovo ordine esistenziale e sociale. Contro la paura. Scoprire che si può vivere con poco, fuori dallo schema "lavoro guadagno spendo", in un momento di grave crisi economica, può essere un sollievo personale, ma anche un progetto "politico", da condividere. Suffragato dall'esperienza in azienda e dagli anni trascorsi nella libertà, Simone Perotti racconta "come si vive fuori", le sue scoperte (buone e cattive), e sfata gli stereotipi placando l'animo dei tifosi e contrastando una a una le obiezioni dei più critici. Dall'analisi degli 80.000 messaggi ricevuti, l'autore ricava la prima classificazione dei downshifter italiani (i Convinti, gli Arrabbiati, gli Impegnati, gli Antitaliani, gli Accoppiati, i Sorpresi...) e una mappa generazionale delle loro paure: l'identikit dell'uomo contemporaneo in rivolta. La lotta di classe sembra finita. Forse è incominciata la lotta per la vera liberazione.

Lezioni di crudeltà di Andrea Leone (Poiesis editrice)







Ragazza che la perfezione ammala,

cronaca della vita che grida definitva

mentre io

dormo nel danno senza tempo.

“Sanfelice. Spello. Villanova”.

Io dall’Europa centrale leggo i nomi

che mi incantano e sanno

già tutto della mia algebra e della mia ombra.

voi inarrivabili annali quando i più giovani

tra di noi partirono

verso il mattino del dio definitivo.

annali indicibili, ferrei

fiori della forza

quando ami

i tuoi nomi e lentamente, per sempre dici chi sei.

Romanzo del disastro e dell’entusiasmo come egli stesso definisce “Lezioni di crudeltà”, di Andrea Leone, è totalmente dentro le malattie definitive della stirpe. Nel velario, sfogliato in due sezioni, affidandosi alla aritmetica dei numeri, il poeta svela la cifra estrema del disastro. Come in un battito di ali, Leone vuole individuare la cifra precisa, in una unità di tempo e di spazio, che riassume in un momento e in un luogo il tempo feroce del teatro. Il deliro della scena shock dell’incidente è costruita e ricostruita più volte in un apparente, reale epos personale che sfocia nella rappresentazione estraniante del ciclo del crollo, la festa imperiale della fine. Da qui il precipitare rabbioso della lingua nel grande altro da cui origina lo spavento che la imprigiona: La storia, l’esatto/ corpo del tormento, la lingua che non parla e non sa più trovare la voce: Sono io, sono davvero io/ chi sta parlando? Il poeta stesso cerca nel tono, nella forza, nella precisione, la lingua crudele della catastrofe; la catarsi della specie prepotente che merita il castigo, poiché non sa vedere la luce ab origine. La lotta titanica si snoda così, sopra le teste nere degli uomini, si dispone come nel mito Mesopotamico di Marduk. Tutto procede per scene successive. Prevale il monologo, come scrive nella prefazione Michelangelo Zizzi, il romanzo dell’attimo e del massacro di chi nasce e trova tutto ormai accaduto, storia dello stordimento, appunto. Quasi un’antropogonia tragica, dove la conquista del bene deve battersi con l’imperio feroce di mondi sovrastanti e sottostanti. E il poeta deve inventarsi di nuovo un’epica didascalica per contrastare la crudeltà dell’età perfetta, la pulsione perversa del genere umano a non voler diventare adulto. E quanto è lontano un poeta come Andrea Leone (ma penso anche a Biagio Lieti, Afonso Guida o a Carla Saracino) da un Novecento consumato a preparare musei di catastrofi, dove i nuovi poeti sono abbandonati ai territori dell’inesistenza. Nei loro versi trovo così la rabbia di una spietata cerimonia; l’impianto disperato di altre forme, nuovi stili, per bucare la lingua che si è fatta afona nella metastasi criminale devastata dalla necrosi della cronaca. Ciò che fa dire ad Andrea Leone Io sono l’estrema battaglia del battesimo.

giovedì 27 gennaio 2011

Il libro del giorno: Vento d'Israel dentro la Shoah di Orietta Busatto (Aurelia Edizioni)




















Insegnare storia non significa solo trasmettere dati e notizie, ma inserire questi in percorsi formativi ragionati, ricercare spiegazioni, collegare e tradurre gli eventi in senso, dando ai protagonisti il diritto di parola, per narrarsi e narrare il viaggio compiuto. Siamo tutti figli della storia e questa è vissuto ed identità: ci dice chi siamo, da dove veniamo. Riconoscendo che ogni evento è in sé complesso e articolato, ho tentato di connettere più aspetti per dar visibilità a ciò che sta dentro e fuori la Shoah.

Girolamo De Michele, La scuola è di tutti - Ripensarla, costruirla, difenderla! (Minimum Fax)
















Una scuola degna di questo nome un insegnante come Girolamo De Michele – scrittore raffinato, esperto di filosofia e pedagogia, adorato dai suoi studenti – se lo terrebbe ben stretto. Se ciò non accade, la malattia è nel sistema. Tocca allo stesso De Michele segnalare, a colpi di logica ferrea e di argomentazioni ineccepibili, la deriva dell’istituzione base di ogni società civile verso mutazioni pericolose, e indicare la strada per un’autentica riforma (Valerio Evangelisti)

Volete sapere cosa accade oggi nella scuola, alla scuola, grazie alla scuola o a dispetto della scuola? Provate a chiederlo a Girolamo De Michele (Wu Ming 1)

Troppi insegnanti, alunni violenti e somari, bidelli scansafatiche, programmi inadeguati... la scuola italiana è davvero in stato di emergenza come sostiene chi vuole salvarla a suon di tagli al personale, rigida disciplina, valutazioni «quantitative» dell'apprendimento? Questo libro, unendo analisi statistiche e strumenti teorici di grande autorevolezza con l'esperienza di chi lavora da anni nelle classi, smonta gli stereotipi e aumenta la prospettiva: il nemico da combattere è una vasta crisi di valori politici e culturali che rischia di rendere la scuola (e la società) sempre più autoritaria.

“ dall’ INTRODUZIONE - Col passo del montanaro. Vita narrata di un insegnante per caso Bisogna fare molta fatica a testimoniare la parte migliore di sé col proprio lavoro, perché la parte peggiore non fa nessuna fatica a venire fuori. (Mauro Pagani)

Mi scuserà, ministro, se non La chiamerò né «signora» né «ministra », e userò il genere neutro per rivolgermi a Lei: ma è il genere che si addice alle funzioni, e in Lei non riesco a vedere nulla in più di una funzionaria. Se ne farà una ragione, o probabilmente no: Le assicuro che va bene così. Sono qui, dunque, a narrarLe la vita di un insegnante: sono cose utili da sapere per chi un giorno volesse dirigere un ministero d’istruzione. Alcuni anni fa, in un liceo nel quale insegnavo, arrivò una ex studentessa a chiederci di sottoporci a dei test per un esame che doveva sostenere. Erano delle rilevazioni sulla professione di insegnante. Una di queste domande era: «Quando hai deciso di diventare insegnante?» «Mai», risposi tra lo sconcerto dei colleghi (delle colleghe, in verità): «non l’ho deciso, mi è capitato», spiegai.”

mercoledì 26 gennaio 2011

Il libro del giorno: Vortici di Gloria di Irving Stone (Corbaccio)


















In un racconto appassionante e di avvincente realismo, Irving Stone ha ridato vita ai maggiori e minori esponenti dell’Impressionismo francese, ripercorrendo le vicende umane e artistiche di personalità d’eccezione. Al centro del libro è Camille Pissarro, il «visionario riflessivo», come fu definito, la cui vita è strettamente intrecciata a quella di Monet, Manet, Degas, Renoir, Cézanne, Sisley, Gauguin, Van Gogh, Baudelaire, Zola e quanti altri, pittori, scrittori, mercanti d’arte, popolarono la scena artistica francese nella seconda metà dell’Ottocento.
Gli incontri al Café Guerbois e al Café de la Nouvelle Athènes, le esposizioni ai Salons ufficiali, e ai Salons des refusés e, sullo sfondo, le vicende politiche della Francia a cavallo fra Secondo Impero e Terza Repubblica, fanno da cornice allo sviluppo di uno dei più esaltanti periodi creativi della storia dell’arte, narrato con fantasia e attenzione alla verità storica.

"Gli ci vollero soltanto pochi minuti per passare la dogana con il bagaglio e portarlo lungo la banchina sino alla stazione ferroviaria di Boulogne. Il suo pesante completo scuro era ancora umido degli spruzzi della Manica, poiché aveva preferito il ponte del piccolo battello, con l’acqua salata che gli bagnava il volto, piuttosto che l’affollato salone di seconda classe. La traversata da Folkestone era durata meno di tre ore, ma il mare era increspato come di consueto. Camille Pissarro era lieto di posare sulla terraferma i piedi calzati di stivali, soprattutto dopo il viaggio di tre settimane sul piroscafo Magdaiena dalla sua casa sull’isola di Saint-Thomas nelle Piccole Antille. Gustava l’aria frizzante di metà ottobre, conscio del proprio vigore mentre camminava a grandi passi lungo i docks, con una pesante valigia in ciascuna mano. Aveva venticinque anni, era di corporatura media, con spalle larghe, vita sottile e lunghe gambe. Altri passeggeri, più anziani e con bagaglio più numeroso, gli passavano accanto nelle vetture noleggiate per farsi portare al treno per Parigi."

Il meccanico Landru, di Andrea Vitali (Garzanti). Intervento di Nunzio Festa




















Nel '30, Bellano, come sempre e 'giustamente', è fascista. Ma è, inoltre o soprattutto, una delle tante provincie italiane, non dell'Impero Italiano; insomma un paesotto. Allora, se da un treno scendono sei uomini, soprattutto “malvestiti” e “con la barba lunga”, il primo spione di turno non può che invocare clamore (ovviamente il capostazione). Eppure non si tratta che d'operai: le braccia che serviranno, o almeno questo era il proposito dell'azienda, alla Sacr per sosituire uomini con nuove macchine. Insomma il primo problema è che queste persone sono state chiamate ad aiutare nella pulizia, in un certo senso, della manodopera locale. Poi aggiungiamo che a una festicciola paesana si mettono al centro d'una rissa. Che, soprattutto, uno di questi, l'affascinante “gaucho” Landru ha, si capirà avanti nelle pagine, sempre la volontà d'inventare espedienti poco puliti e chiari al fine d'arrabattare la quotidianità. Perché, va specificato, i cinque colleghi sono cacciati da Bellano. Mentre Landru rimane. E il Partito lo scopre ottimo calciatore. Tanto, insomma, da volerlo quale attaccante a coprire le mancanze della squadra di famiglia. Qui, nuovamente, altri personaggi portano i loro desideri. Le loro voglie, quasi costantemente sopite. Vedi la Emilia Personnini che Angelici Landru fa innamorare. E alla quale il meccanico non in servizio fa credere che porterà con sé in Argentina: se questa gli procurerà i soldi necessari a formare il biglietto di viaggio. L'uscita. Insomma, la cittadina, fascista o non fascista, è tutta scossa da questa venuta dello straniero. Come tanti altri piccoli luoghi avrebbero fatto fare ai loro comuni abitanti. A parte la bellissima, triste e giustissima battuta finale del romanzo, è questo l'elemento in più, appunto, dell'opera. Che stavolta, persino i più buoni della comunità hanno paura. Inizialmente molta paura dello straniero. Alcuni di loro trovano l'occasione perfetta per uscire dalla gabbia. Ovviamente, i fascisti di queste pagine non sono tutti coglioni. Ma sono tutti di paese. E questo non vuol dire che, nel frattempo, non abbiamo cattivissime intenzioni. Fatto brutte azioni. Il racconto di Vitali centra un altro tema. Lo legge benissimo. Con la naturalezza che 'solamente' la lingua piana e minuta di Andrea Vitali può garantire alla trama. Andrea Vitali, se ce ne fosse bisogno, si conferma grandissimo narratore.

martedì 25 gennaio 2011

Il libro del giorno: Sociologia dei Nimby di Ferdinando Spina (Besa eidtrice)









Con Nimby (acronimo inglese che sta per Not In My Backyard) si definiscono le proteste locali contro la costruzione di grandi opere e impianti di interesse pubblico. Tali fenomeni, che ruotano attorno a un conflitto di localizzazione, sono sempre più diffusi nel nostro paese: basti pensare ai casi recenti della protesta contro la tav in Val di Susa e contro il rigassificatore a Brindisi. Il termine Nimby comporta una valutazione morale delle comunità locali giudicate negativamente perché egoiste, irrazionali, ignoranti, tradizionaliste. La ricerca pone radicalmente in questione l’etichetta Nimby studiando la costruzione del problema sociale “conflitti di localizzazione” attraverso l’analisi dei soggetti, dei discorsi e delle pratiche sia di chi è contrario sia di chi è favorevole alle grandi opere. Grande rilevanza è data, inoltre, alle recenti prassi politiche e giuridiche relative a tali conflitti, condizionate dallo stato di emergenza, proporzionale all’allarme sociale, da essi suscitato. La tendenza riscontrata è quella di limitare profondamente ogni forma di contestazione e di dissenso, evitando così che la protesta locale possa trovare attraverso il diritto canali di legittimità e dignità in cui esprimersi.

Ferdinando Spina è autore di diversi saggi pubblicati in riviste e volumi, tra cui Riforma del mercato del lavoro, precarietà, declino: rappresentazioni sociali dalla comunità salentina, in Periferie flessibili. Lavoro, flessibilità e precarietà nel Salento, a cura di M. Longo, (Lecce 2007) e And Yet It Moves’: Civil Society in Southern Italy, in Uncertainty and Insecurity in the New Age, a cura di V.N. Parrillo (New York 2009).

Dal 3 febbraio 2011 in libreria per Garzanti La contessa nera di Rebecca Johnes



















Ungheria, 1611. L’alba illumina l’imponente castello di Csejthe. Nella torre più alta, una donna elegante, austera e vestita completamente di nero è sveglia da ore. Sta fissando, attraverso una piccola feritoia nel muro, un pezzo di cielo che volge all’azzurro mentre le stelle lentamente scompaiono. Sa che quello squarcio di cielo è l’unica cosa che riuscirà a guardare per il resto della sua vita. L’ultima pietra che, per decreto del palatino, la condanna a essere murata viva in quella stanza è appena stata posata. Ma la contessa Erzsébet Bathory non ha nessuna intenzione di accettare supinamente il destino che le viene imposto. Non l’ha mai fatto nella sua vita. Erzsébet è solo una bambina innamorata dei libri quando, nella dimora in Transilvania dove vive insieme alla sua famiglia, assiste ad atti di violenza indicibili. Atti che la segnano nel profondo e che non potrà mai dimenticare. Neanche quando, a soli undici anni, è costretta a sposare l’algido, freddo e violento Ferenc Nádasdy. Un uomo sempre lontano, più interessato alla guerra e alle scorribande che a lei. Erzsébet è sola, la responsabilità dei figli e dell’ordine nel castello di Sarvar è tutta sulle sue spalle. Spetta a lei gestire alleanze politiche e lotte di potere. Questo le procura non pochi nemici e coincide con l’emergere dell’anima più nera della donna. Strane voci iniziano a spargersi sul suo conto. Sparizioni di serve torturate e uccise, nobildonne svanite nel nulla. Si tratta di una cospirazione? O siamo di fronte a una donna malvagia e perversa? O il male è l’unico modo per Erzsébet di sopravvivere e lottare in un mondo dominato dagli uomini?

"Erzsébet Báthory, vedova di Ferenc Nádasdy, la rampolla di una antica e nobile stirpe d’Ungheria, la figura più inquietante e oscura della storia d’Europa del ‘500, rivive nelle pagine di un libro strepitoso, colto, raffinato, terribile, che vi terrà col fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina. Rebecca Johns si conferma la penna più sconvolgente nel panorama della letteratura internazionale dell’ultimo ventennio

lunedì 24 gennaio 2011

Il libro del giorno: Andare incontro all'uomo di Rosario Fiorenza (Edizioni Creativa)












Del resto è lo stesso autore, in molte interviste, ad affermare che l’uomo per tutta la vita, non fa altro che tentare di soffocare i propri fantasmi. Il fantasma dell'altro, lo straniero, soprattutto, salvo poi scoprire che quel fantasma non è che un riflesso in uno specchio. Una insoddisfazione latente e subdola si è impadronita delle nostre vite e a nulla valgono “vademecum” e manuali che insegnino le strategie per raggiungere la felicità. Eppure è di questa che abbiamo bisogno.

Rosario Fiorenza - fondatore di una comunità per il recupero dei tossicodipendenti - condivide con il lettore la sua esperienza personale per condurlo con semplicità e schiettezza ad accorgersi di quanto profonda sia la solitudine dell’uomo moderno, che però ha già dentro di sé un cammino scritto da compiere; un cammino faticoso ed in salita ma “di successo” per ritrovarsi e ritrovare il senso della quotidianità. Il contatto continuo con le esperienze drammatiche dei giovani che ha aiutato e con la sua personale vicenda di dolore, gli ha permesso di togliere dalla esistenza odierna il falso velo che la ricopre per arrivare a coglierne la profonda verità.

Introduzione di Alex Zanotelli

La vita oscena di Aldo Bove (Einaudi). Intervento di Elisabetta Liguori











Nel suo ultimo romanzo, “ La Vita oscena” Einaudi 2010, Aldo Nove, scrittore di culto ritornato al pieno splendore, ci porge a piene mani poesia e pornografia. due realtà identicamente proibite, crudeli, sconfinate. Siamo di fronte ad una autobiografia, questo va detto subito, perché ciò che osceno può esserlo solo se oltre che raccontato è anche vissuto. Oscena è anzitutto la pelle, infatti, a volte dopo lo diventa anche la parola che la descrive. Si tratta comunque di una biografia romanzata, in cui, nonostante il fuoco dell’esperienza, sopravvive l’artificio narrativo. Qui la lucidità sconcertante e arsa di un Fante della seconda ora si mescola alla perfezione di un Salinger trafitto e sconcio. Le storie vengono da un luogo in cui siamo già stati, ma quel luogo resta un’invenzione. Se ciò che si sceglie di raccontare non può essere verità, può però essere sincerità. Il fuoco di Nove, riprodotto in una fiammata sin dalla copertina, attraversa tutta la vicenda ed è sincero. Rimasto precocemente orfano di entrambi genitori, il protagonista scopre la solitudine. Uno stridente rumore di ossa, spiega l’autore, qualcosa di netto e tangibile. Non ancora morte o follia, ma quasi. Vive stabilmente da solo, infatti, salvo la presenza di una zia che gli fa da mangiare, fino a quando, a causa di un maldestro tentativo per aprire una bombola a gas, fa saltare in aria la casa e tutto ciò che contiene. Salvo per miracolo, finisce in ospedale. Qui scopre un’umanità grottesca e tutti i suoi oggetti. Soprattutto quelli più umili, come la bottiglia di plastica, imitazione della più nobile Coca cola, che svetta sul suo comodino. Ne scopre la pietas materiale, il portato povero di felicità mercantile, al quale tutti gli uomini aspirano come forma di sollievo. Fuori da quell’ospedale non c’è altro. È così che arriva l’idea della morte: per privazione. Aldo Nove. protagonista/scrittore tenta di imitare la morte del poeta Trakl, servendosi di una dose inimmaginabile di cocaina e perdendosi in una uguale quantità di giornali porno. Li divora e ne è divorato, precipitando in una dimensione brevissima e infuocata di sesso perverso e violento. Inserzioni sui giornali, uomini, donne, stanze, letti, corpi, coiti e sodomìe, membra umide, confuse e confondenti, strade sconosciute. Il sesso diventa elencazione di orrori estatici. Questo apprendistato al dolore ha la levità lirica e la precisione di un’incisione chirurgica nella carne viva. Precipitando vertiginosamente, passa attraverso quattro fasi distinte: la tragedia, la sorpresa, la comicità e l’oscenità. In ultimo brucia in una fiammata purificatrice. C'era stato un tempo in cui, attraverso la droga si cercavano esperienze mistiche. Lsd, eroina, hashish, servivano a scoprirne nuovi universi. Oggi la cocaina pare essere diventata la droga dell’adeguamento, della socialità. Benché oggi gli operai in fabbrica ne facciano uso per incrementare gli straordinari, nel romanzo di Nove rappresenta, in una visione più anni ottanta, l’ultimo fuoco nel quale ardere come carta. Per non essere parte di sé. Per non appartenersi più. Del resto è lo stesso autore, in molte interviste, ad affermare che l’uomo per tutta la vita, non fa altro che tentare di soffocare i propri fantasmi. Il fantasma dell'altro, lo straniero, soprattutto, salvo poi scoprire che quel fantasma non è che un riflesso in uno specchio.

domenica 23 gennaio 2011

Il libro del giorno: La genesi. Il diario del vampiro di Lisa J. Smith (Newton Compton)





















Un quaderno dalle pagine ingiallite giace in un cassetto. Elena lo trova e comincia a leggerlo. È il diario di Stefan, il suo amore. Tutto ebbe inizio alla fine del diciannovesimo secolo a Mystic Falls, Virginia. La vita dei fratelli Stefan e Damon Salvatore scorreva tranquilla tra splendide proprietà terriere e incredibili ricchezze. Un grande affetto li univa e i due fratelli erano inseparabili. Fino al giorno in cui nella loro vita comparve Katherine, una donna incredibilmente bella e dal fascino magnetico. Da quel momento tutto cambiò tra loro. Stefan e Damon iniziarono a lottare per conquistarla e inevitabilmente divennero rivali. Ma presto scoprirono l'atroce verità: gli splendidi vestiti e i luccicanti diamanti di questa misteriosa donna nascondevano un terribile segreto.

Anne Frank, la biografia ufficiale a fumetti” di Sid Jacobson e Ernie Colòn (Rizzoli Lizard)












Devo ammettere che nonostante qualche brano letto distrattamente lungo il mio personale percorso formativo (ed invero solo per dovere) non ricordavo proprio nulla del “Diario” di Anna Frank. E’ stata una lettura che ho chiuso in “tarda” età e ho avuto l’opportunità di cogliere la portata reale dei significati e della forza di un libro come questo nell’edizione voluta da Einaudi e curata da F. Sessi che presenta tre diverse versioni del diario di Anna Frank, attraverso uno scandaglio ermeneutico delle diverse stesure, con tanto di correzioni, cancellature, editing e censure del padre dell'autrice. Un’edizione splendida anche perché sono presenti plurimi saggi al suo interno dei curatori olandesi che ricostruiscono anche la storia della famiglia Frank e le vicende burrascose del diario. In una parola un lavoro editoriale fondamentale per comprendere il vero volto di un triste destino. Ora La pop Rizzoli Lizard pubblica lo splendido lavoro di Sid Jacobson e Ernie Colón dal titolo Anne Frank La biografia ufficiale a fumetti con la prefazione del magistrale Sergio Luzzatto

Si tratta di un uscita (start/up per il Giorno della Memoria e per il cinquantesimo anniversario dell’apertura al pubblico della casa di Anne Frank) che assume i contorni del “mitologico”: E per raccontare un micro-frammento di una destinalità che continua nella Storia ad essere un punto di riferimento per quanti vogliono “non scordare” gli orrori nazisti, si parte da un efficacissimo fumetto, che racconta la storia di Anne, partendo dai ritratti di famiglia, dalla vita dei genitori Edith e Otto ai primi anni di Anne, dai mefitici albori del nazismo alla fuga dei Frank ad Amsterdam, dagli anni passati nel nascondiglio segreto, all’arresto, alla deportazione sino all’epilogo doloroso. Imperdibile!

SID JACOBSON (testi) e ERNIE COLÓN (disegni) hanno già pubblicato, in coppia, 9/11 Report: A Graphic Adaptation, bestseller sulla cronaca e gli sconvolgimenti provocati negli Stati Uniti dalla minaccia del terrorismo, e Che: A Graphic Biography, biografia a fumetti di Ernesto Che Guevara.

sabato 22 gennaio 2011

Il libro del giorno: La divisione della gioia di Italo Testa (Transeuropa)













In un’atmosfera di erotismo conturbante, sospesa tra le note dissonanti dei Joy Division e la metafisica silenziosa dei quadri di Hopper, questa raccolta si sviluppa come un poema d’amore di lacerante intensità e bellezza, in cui voci maschili e femminili si richiamano, si scontrano, si cancellano, si confondono. Un dialogo incessante, in cui si alternano tenerezza e abbandono, rapimento e paura della perdita, e che si dirama come il delta del fiume su cui i personaggi si muovono, si lasciano, si ritrovano, tra sfondi naturali e paesaggi post-industriali che ricordano il Deserto rosso di Antonioni. Dialogo teatrale o romanzo in versi? A qualunque luogo appartenga, questo libro batte e ribatte senza sosta, con un ritmo fermo e implacabile, la materia dei giorni, la storia di uno e l’ansia di tutti, il canto che silenziosamente accompagna la divisione del dolore e della gioia.


«e quando nelle insegne luminose
che ritmano i grani dell’asfalto
hai visto il segno certo, il richiamo
ribattuto da ogni nostro passo,

o in una vetrina, controluce
hai scorto sul ripiano le pose,
le ossa spigolose del suo corpo
segnarti senza più un riparo,

come il giorno che stesa sul letto
ti sei girata, tranquilla, e hai visto
le grate che spartivano il vetro,
e alzandoti di scatto hai detto
che non sarebbe successo niente,
che tutto era ancora intatto
e mentre ti guardavo in silenzio
sei sparita nell’angolo cieco:

allora ho visto che nulla torna,
che la fragilità ci insidia
dall’interno, dentro le giunture,
s’insinua nelle vene, riveste
la piega opaca dei discorsi,

allora, chiamandoti in disparte
a fianco del letto avrei atteso,
la pelle a toccare il marmo freddo,
che tutto fosse tornato a posto,
il braccio nascosto tra le gambe,
la luce sulle mie cosce nude,
la mano a coprirti il pube:»


“Monologo di Alda Merini”, 13 Luglio 2008. A cura di Carmen Togni




















“Il 13 luglio 2008, domenica, ero a casa di Alda Merini. D’improvviso ella prese il registratore che avevo in mano e cominciò a parlare… Fu un monologo tutto d’un fiato… Ve lo propongo affinché, nel rispetto della sua figura possiate, voi che leggete, commentare e magari trarre conclusioni che possano portare un arricchimento personale a me oltre che a voi, ed una maggiore conoscenza di questa poetessa eccezionale. Ho chiesto il parere di Flavia su questa postazione, la quale si è detta d’accordo di proporla… Grazie amici, anche a nome di Alda che ha voluto attraverso queste parole lasciare un ulteriore messaggio a quanti la amano…” Carmen Togni (riproposto con il permesso di Flavia Carniti)

qui su Musicaos


Riporto intanto quanto scritto da Luciano Pagano su Musicaos a proposito di questo evento scritturale: "Carmen Togni, che ci ha dato la possibilità di estendere ai lettori di Musicaos.it questo monologo registrato il 13 luglio del 2008 è autrice di diversi libri, l’ultimo dei quali, edito di recente, si intitola proprio “Il sogno di Alda” (Edizioni Del Poggio, 2010). La ringraziamo per averci fatto conoscere questo ‘frammento’ di vita di questa grande poetessa.
“Dopo aver saputo della morte di Alda Merini, sono rimasta in silenzio per tutti i giorni seguenti leggendo e meditando tutto ciò che veniva riportato sulla stampa e mediante internet. Il venerdì successivo, in mattinata, la mia mano, guidata da non so quale input, ha cominciato a scrivere. Le parole sono uscite spontaneamente. Alla fine, quando misi il titolo ‘Canto ultimo per Alda Merini’, la mia mano tremava… L’impressione era che quelle parole me le avesse dettate lei mentre stava continuando il suo viaggio da pochi giorni intrapreso…” (C. Togni)

venerdì 21 gennaio 2011

Il libro del giorno: L'energia del vuoto di Bruno Arpaia (Guanda)


















È notte, su un'autostrada svizzera. Una macchina procede a velocità sostenuta, diretta a Marsiglia. A bordo un uomo, Pietro Leone, funzionario dell'Onu a Ginevra. Accanto a lui dorme il figlio Pietro, una console stretta tra le mani, i jeans a vita bassissima come ogni adolescente che si rispetti. I due sono in fuga, da non si sa bene cosa. La sola cosa che Pietro sa è che da giorni qualcuno sta tenendo sotto controllo i movimenti suoi e della sua famiglia e che la moglie Emilia, ricercatore al Cern, è scomparsa da casa da qualche giorno. La donna stava lavorando, con un gruppo di fisici spagnoli, a un rivoluzionario calorimetro per decifrare le energie di fotoni ed elettroni...

Storie da Città di Solitudine e dal Km 76 di Giovanni Sicuranza (Youcanprint). Un estratto dall'opera





















"Il capriccio graffia le pareti dell’uomo fino a gettarsi nelle sue profondità, riempiendole di note lontane. Lui continua, continua a sottostare all’emozione che libera il suo deserto e suona, silenzio pieno di accordi di violino, davanti ad un pubblico di nulla. Le dita di una mano che camminano sulla tastiera, corrono, si fermano, tornano indietro e ricominciano; quelle dell’altra mano che si arrampicano sull’archetto, lo solleticano, lo ghermiscono e concedono solo lampi di pausa prima di un nuovo inizio. L’uomo è un pendolo libero nello spazio che si muove con le note. Il capo reclinato sulla mentoniera, verso i salti dell’archetto, gli occhi chiusi nell’immagine di una donna
mai conosciuta e di una figlia mai nata, seduti. In ascolto. E all’improvviso, con un singulto di note spezzate, il violino smette di eseguire il Capriccio lento in sol minore di Niccolò Paganini e si affloscia trascinato al suolo dalla caduta del braccio. Il maestro Camillo Fadore, professore di musica in pensione, apre gli occhi, piano, come gli accade sempre in questi casi. Davanti a lui, una porta incrostata di bianco è chiusa su una parete spoglia, dove solo la grafia del gatto randagio del palazzo ha lasciato tracce di vita. La musica riempie l’animo, Camillo Fadore, non le case." (tratto dal racconto Il Violinista)
In una notte sospesa nei nostri tempi, il custode del cimitero di Fine Viaggio termina il suo percorso terreno adagiato tra le dimore dei defunti del paese. Ha una storia che riguarda ognuno di loro, appresa osservando giorno dopo giorno le foto sulle lapidi. Follie,tragedie,amori intensi e malati. I racconti si sviluppano intrecciandosi durante la lucida agonia dell'uomo. Fino all'epilogo, un segreto di morte che riguarda proprio il custode. E dopo la sua morte, al Km 76, che segna il punto in cui la statale lambisce Fine Viaggio, un nuovo tipo di culto dei defunti avrà inizio.

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