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mercoledì 21 aprile 2010

Il libro del giorno: Mutandine di chiffon, memorie retribuite. Di Carlo Fruttero (Mondadori)

"Perché 'retribuite', queste memorie? Perché, salvo due o tre eccezioni, sono state scritte su richiesta di vari giornali, settimanali, riviste, libri bisognosi di prefazione, e naturalmente pagate. Non si tratta quindi di un'autobiografia o di una confessione alla maniera di Alfieri o Rousseau. Mi chiedevano qualcosa sulla mia prima sigaretta, sul turpiloquio dei bambini, sui castelli piemontesi, perché mai avessi lasciato l'alta cultura per andarmi a occupare di fantascienza e fumetti, quali fossero stati i miei rapporti con Italo Calvino, Franco Lucentini, Pietro Citati, e così via.
Tutto molto occasionale, casuale e, come accade nella vita di tutti, con milioni di cose non dette, lasciate fuori. Ma non ho certo dimenticato le tante amiche e i tanti amici che mi hanno aiutato e confortato nel corso degli anni e che considero la mia più grande fortuna. Quanto alle mutandine, figurano solo nel titolo, cui non ho saputo rinunciare. Nel libro non ce ne sono, non c'è gossip, non ci sono rivelazioni piccanti né ricordi maliziosi (anche se, volendo...)".

Elsie V. Aidinoff, Il giardino (Fanucci): nel nome di Dio, un duello letterario


















Il mistero del peccato originale, l’ansia di Dio e le perplessità sul sacro. Due scrittori ottantenni si interrogano sul mito più antico del mondo e rivisitano la Genesi. José Saramago, scrittore portoghese premio Nobel, e Elsie Aidinoff , scrittrice americana esordiente a quasi 80 anni, ci raccontano un’altra storia. Quella narrata da Elsie Aidinoff, autrice di Il giardino, è la cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre, vista dalla prospettiva di Eva, una donna che mette tutto in discussione, a partire dalla sua stessa ‘nascita’ per volere divino, fino al compagno che è stato scelto per lei, Adamo, dal temperamento più fisico che cerebrale, che si gode la vita nell’Eden prestando scarsa attenzione agli insegnamenti che Dio vuole impartirgli. Dio, infatti, è un essere burbero, capriccioso e autoritario, che considera le sue creature dei giocattoli; il Serpente, invece, è il gentile e comprensivo mentore di Eva, della quale coltiva la curiosità intellettuale, finché lei non vuole più rinunciare alla propria indipendenza e, nonostante sappia esattamente a quali rischi va incontro mangiando il frutto dell’albero della Conoscenza, decide di affrontare la sfida pur di diventare un essere umano pienamente realizzato. E sarà imitata da Adamo, che pur non avendo la sua stessa forza desidera ugualmente sentirsi un individuo.

“La donna, per cristiani ed ebrei, è colei che ha portato il peccato nel mondo: è un’ingiustizia e mi dà sui nervi. Ma per favore non chiamatemi femminista”. (Vanity Fair)


Nota di Elsie Aidinoff autrice di “Il giardino”, edito da Fanucci


L’idea di Il Giardino mi è venuta tanti anni fa, in chiesa, mentre veniva letto il terzo capitolo della Genesi, quando Dio accusa Adamo di aver mangiato la mela e Adamo risponde: «È stata la donna che mi ha dato del frutto dell’albero.» (A sua volta Eva dà la colpa al Serpente, che è ugualmente reprensibile.) Quel giorno, la risposta così familiare – scaricabarile! – mi ha aperto le porte del Giardino. Da quel momento in chiesa, non riuscivo a togliermi Eva dalla testa. Mi è sempre parso sbagliato che nella religione, come nella mitologia, la donna sia spesso accusata di aver introdotto il peccato nel mondo. Mentre pensavo a Eva nell’Eden, i personaggi hanno cominciato a muoversi e a crescere in modi inattesi e il racconto ha preso vita. Mi nascevano dentro delle domande stimolanti: il Giardino dell’Eden è il Paradiso? Il Paradiso è quella cosa lì: un posto bellissimo in cui tutti i nostri bisogni fisici vengono automaticamente soddisfatti? Possiamo eludere la responsabilità morale obbedendo ciecamente a un ‘essere superiore’? Perché ci è stata dato il raziocinio?

Il ritratto che faccio di Dio nel Giardino è stato influenzato da un soggiorno a Santa Fe, in cui mi sono occupata dello sviluppo della bomba atomica a Los Alamos. Gli scienziati che hanno creato la bomba avevano una grande passione per il loro lavoro: erano totalmente assorti, elettrizzati, ubriachi di entusiasmo intellettuale. Ma per quanto fossero geniali, non si fermarono mai a considerare le conseguenze morali della bomba o le sofferenze che avrebbe causato. Lì ho cominciato a pensare che Dio, Iddio, potesse in qualche modo somigliare agli scienziati di Los Alamos: un creatore totalmente assorto dalle sue creazioni, impaziente di verificare le sue teorie (o almeno di vederle funzionare secondo il progetto iniziale), inconsapevole del costo in termini umani. Mi sono presa alcune libertà con lui, ma non credo che il comportamento che gli ho attribuito sia in contrasto col suo personaggio: il Dio dell’Antico Testamento è un essere collerico e irruente. A mano a mano che approfondivo la mia conoscenza del Giardino dell’Eden, mi sono resa conto che l’eroe della storia era il Serpente, il Prometeo degli Edeniti, se così si può dire. Prometeo ha dato il fuoco agli esseri umani, il Serpente ha dato loro la capacità di ragionare; se non fosse stato per il Serpente, forse Adamo ed Eva sarebbero ancora lì nel Giardino, con la loro progenie, senza sapere cosa farsene del raziocinio. Forse il Serpente è la Sapienza, la quale, secondo alcuni testi antichi, era con Dio alla Creazione. Ho scritto Il Giardino senza alcuna intenzione di turbare la serenità altrui: ho un profondo rispetto per la religione e per la fede individuale, ma non condivido alcune posizioni cruciali della religione organizzata. Non posso credere in un dio esclusivo che, come le antiche divinità tribali, protegge solo un gruppo di persone; non riesco a conciliare l’idea di un dio onnipotente con le sofferenze del mondo, né posso credere che gli esseri umani siano intrinsecamente malvagi. Come i Manichei, vedo il mondo come il palcoscenico della lotta tra le forze del bene e le forze del male, e considero gli esseri umani capaci insieme di grandi nequizie e di grande bontà. E, come Eva, non capisco perché un grande dio dovrebbe aver bisogno di tanta adulazione. Per quanto nel mio Giardino Eva sia più arguta e intrepida di Adamo, non lo considero un libro femminista: Il Giardino è una prospettiva diversa dell’Eden; Eva ne è la protagonista e svolge un ruolo primario. Forse è questa l’Eva che avremmo conosciuto se la Bibbia fosse stata scritta da una società meno patriarcale. Indipendentemente da come consideriamo la Bibbia – come parola di Dio, come la storia di un popolo, o il tentativo di un popolo di dare un senso al mondo intorno a sé – per secoli è stato un testo vibrante, basilare; ha ispirato innumerevoli storie e riflessioni. Il mio Giardino è un romanzo, non un’opera teologica: un romanzo che parte da uno dei racconti più antichi e noti della terra e nel quale ho cercato di esplorare la responsabilità individuale, la giustizia e la libertà. Ci ho messo sette anni a scrivere Il Giardino. La storia, i personaggi, e io, siamo cambiati in quei sette anni: quando ho cominciato a scriverlo non avevo un’idea precisa di come si sarebbe concluso, sapevo soltanto che, alla fine, Adamo ed Eva si sarebbero trovati fuori dal Giardino.


Elsie V. Aidinoff, Il giardino, pp. 420, 17,00 euro, Isbn 978-88-347-1581-9


Elsie V. Aidinoff si è occupata di educazione per tutta la vita, che ha trascorso tra Parigi, Bruxelles, Hong Kong, Londra e New York. Dal 1980 lavora come insegnante, direttrice e amministratrice alla Children’s Storefront School di Harlem, una scuola indipendente. Ha avuto quattro figli e oggi vive a New York con suo marito. Ha esordito con questo libro all’età di 73 anni, dopo una stesura durata sette anni.

martedì 20 aprile 2010

Enrica Morgese, “Controversi Oltrelatoga”. (Perrone Lab)

“La raccolta di versi di Enrica Morgese si apre in modo insolito con una dichiarazione di attenzione nei riguardi del lettore, nella quale è implicita una promessa di comunicazione, di consegna delle emozioni attraverso l’intelligenza conoscitiva della scrittura poetica.
L’esperienza esemplare della poesia, così come dovrebbe essere, fuori dalle acrobazie retoriche o le lettere morte della vacua letterarietà, si traduce in un “sentire” e uno “stare” nelle cose, e di conseguenza, in un tipo di scrittura che garantisca che “la realtà del mondo non sarà sottovalutata”, per usare le parole di Neruda. Non a caso in queste poesie una lingua vibrante e concreta cattura la realtà, come in “Consegnarsi” dove l’esperienza del dolore viene filtrata nella descrizione del bagliore carnale di un pomodoro squarciato, nel lucente rosso che trasla, in metafora psichica, la vulnerabilità dell’anima o la ferita di un abbandono.
Partendo dal dato fenomenico di un ortaggio, attraverso la poesia, si attua la trascrizione simbolica di un “patire”, creaturale insieme con il mondo, che sarà poi contrappunto di tutta la raccolta. Percorso iniziatico, sulla via di uno scavo esistenziale, che diventa sguardo straniante e rielabora un modo nuovo di guardare anche sé stessi: (“Disconosco”) Quella donna, / la vedete anche voi? / quella dalla sagoma fuori contesto… Trasalgo./Quanto a me, io non la (ri)conosco”. L’autrice ci dice che la dimensione poetica, essendo altro dal linguaggio della prassi, è in grado di rivelare zone latenti dell’interiorità e stabilire un contatto profondo con ciò che giace nascosto. Partendo dall’osservazione e dall’auto-auscultazione, si sommano visioni e ricordi, attraverso l’uso ben calcolato del correlativo oggettivo, espediente novecentesco, che rende palpabile il sentimento di disagio, o per meglio dire tutto il peso di una coscienza che lucidamente si interroga, come “un’anima di lana” ingolfata nella gravità delle cose: “Piove,/piove da giorni,/mi pare che piova da epoche,/da ogni versante della Rosa dei Venti./…………………/Cosa vuoi che mi accada?/È un pezzo/che sono/infeltrita.” Poesia, dunque, come radice, substrato dell’esistenziale, guida allo scavo interiore, sebbene ad ogni passo l’immaginario tenda a staccarsi dai fatti, rivelando tutta la complessità emotiva soggiacente. L’avvenimento è un campo di forza che dirama in immagini, amplificando le potenzialità della percezione, così in alcune poesie, ad esempio, la potenza di un sentimento di paura prende le mosse dall’astrazione di un colore: devo fare i conti con/la paura del blu,… e, a braccio, mentirgli/di coralli colorati; mentre altre volte sarà l’acuta dissonanza di una nota musicale a spalancare scenari inaspettati. In versi come questi tutto sembra dirci che con la poesia non si soccombe di fronte alla menzogna, perché essa è carne che dà corpo, prima di tutto alle proprie verità, e poi alla costruzione di un’esperienza di senso….” (dalla prefazione di Letizia Leone)

Enrica Morgese - “controversi oltrelatoga” - Ed. Perrone Lab. Prefazione di Letizia Leone

Il libro del giorno: Educazione siberiana di Nicolai Lilin (Einaudi)

Cosa significa nascere, crescere, diventare adulti in una terra di nessuno, in un posto che pare fuori dal mondo? Pochi forse hanno sentito nominare la Transnistria, regione dell'ex Urss autoproclamatasi indipendente nel 1990 ma non riconosciuta da nessuno Stato. In Transnistria, ai tempi di questa storia, la criminalità era talmente diffusa che un anno di servizio in polizia ne valeva cinque, proprio come in guerra. Nel quartiere Fiume Basso si viveva seguendo la tradizione siberiana e i ragazzi si facevano le ossa scontrandosi con gli "sbirri" o i minorenni delle altre bande. Lanciando molotov contro il distretto di polizia, magari: "Quando le vedevo attraversare il muro e sentivo le piccole esplosioni seguite dalle grida degli sbirri e dai primi segni di fumo nero che come fantastici draghi si alzavano in aria, mi veniva da piangere tanto ero felice". La scuola della strada voleva che presto dal coltello si passasse alla pistola. "Eravamo abituati a parlare di galera come altri ragazzini parlano del servizio militare o di cosa faranno da grandi". Ma l'apprendistato del male e del bene, per la comunità siberiana, è complesso, perché si tratta d'imparare a essere un ossimoro, cioè un "criminale onesto". Con uno stile intenso ed espressivo, anche in virtù di una buona ma non perfetta padronanza dell'italiano, a tratti spiazzante, con una sua dimensione etica, oppure decisamente comico, Nicolai Lilin racconta un mondo incredibile, tragico, dove la ferocia e l'altruismo convivono con naturalezza.

llusione nucleare. I rischi e i falsi miti, di Sergio Zabot e Carlo Monguzzi (Melampo). Intervento di Nunzio Festa



















Il nucleare, e lo sappiamo benissimo dalle parti della nostra Basilicata, e non quella ovviamente che si gusta da costa a costa ma che punta su una sola costa e su due mari (lo Jonio con Scanzano e Jonio con Tirreno per i rifiuti di tant’anni di discariche marine), è uno degli argomenti che stanno – ormai da tempo – tornando di dominio pubblico, come si suol dire; nonostante, si specifichi, questo allo stesso tempo non significa chiaramente che dibattiti discussioni riflessioni siano affidati alle comunità eccetera ecc. etc. Dunque, il volume costruito dai tecnici, esperti del settore, Sergio Zabot e Carlo Monguzzi, “Illusione nucleare”, deve essere inteso come un manuale da sfogliare alla bisogna: un volume utile a tutti quanti, e soprattutto quando torneranno più forti pressioni e oppressioni dei dirigenti auto-elevatesi a classe. Perché, tanto per cominciare, dove ovviamente l’intenzione di chi scrive è quella di guardare al valore politico e non ai richiami, tanti, tecnici contenuti nel libro, una mole importante e diversificata di documenti e studi, ricerche e constatazioni spesso oggettive, dobbiamo pensare che “la crisi economica – innanzitutto – e l’incertezza delle relazioni internazionali spingono ovviamente i Paesi industrializzati verso l’energia nucleare, ridando voce anche in Italia ai fautori delle sua convenienza e inevitabilità”. Appunto come si diceva. Ma l’obiettivo del libro è sfatare, di conseguenza, ricorrendo sempre al rigore scientifico, alcuni luoghi comuni. Partendo da certe evidenziazioni apparentemente scontate e impeccabili. Quali? Tanto per ricordarne alcune, il fatto che l’energia atomica sia abbondante e sicura e meno costosa insieme all’altro fatto clamoroso di non provocare emissioni di Co2. Tutto falso. E Zabot e Monguzzi, con questo agile libro a metà fra il manuale e il pamphlet ci spiegano il motivo. Ricordiamo, in chiusura del consiglio di lettura, che solamente qualche anno fa, per esempio, Scanzano Jonico (MT) è stato centro d’attenzioni di politica e interessi privati uniti nella volontà di piazzare tutte le scorie nucleari italiane accanto al mare. Rifiuti vecchi, ovviamente. Altro che futuro, quindi. In quel caso quasi l’intera popolazione espresse forte contrarietà. Contrapponendosi, persino fisicamente, chi scrive ricorda benissimo. Ora, preventivamente, serviamoci dello studio di Sergio Zabot e Carlo Monguzzi.


Illusione nucleare. I rischi e i falsi miti, di Sergio Zabot e Carlo Monguzzi, prefazione di Ermete Realacci, Melampo (Milano, 2008), pag. 145, euro 12.00.

lunedì 19 aprile 2010

Il libro del giorno: Il bacio delll'angelo caduto di Becca Ajoy Fitzpatrick (Piemme, Freeway)

Malgrado la sua migliore amica voglia trovarle un ragazzo a tutti i costi, Nora non ha mai messo l’amore in cima alle sue priorità. Almeno finché a scuola non arriva Patch. Lui ha un sorriso irresistibile e un inspiegabile talento per leggere ogni suo pensiero. E, malgrado gli sforzi per evitarlo, Nora sente che l’attrazione che prova verso il suo nuovo compagno è destinata a crescere. Anche contro ogni spirito di conservazione.
Perché Patch è un angelo caduto e lei non avrebbe mai dovuto innamorarsi di lui. Sapere di trovarsi nel mezzo di un’antica battaglia tra Caduti e Immortali, sapere di dover scegliere da che parte stare potrà costarle la vita. La verità dunque è più inquietante di qualsiasi dubbio, e Nora non può sbagliare.

Più Luce di Lara Carrozzo (Bhoomans editore)










Esce da poco in libreria il libro di Lara Carrozzo, una giovane poetessa che con la sua raccolta di poesie “Più Luce” (Bhoomans Editore, 2010) sta riscuotendo un grande successo, sia perché la Poesia ce l’ha nel sangue, sia perché riesce con i suoi versi ad alchimizzare dolcezza e morbidezza nella parola e nel suono. Questo lo si percepisce quando soprattutto fa riferimento ai suoi tracciati biografici, che tenta costantemente di ricucire e tenere sotto mano. Anche se la tipologia della scelta semantica e del fare versi per immagini di Lara Carrozzo, ci riporta a Montale e suoi successori, l’esordio è valido e molto anche. I contesti di cui l’autrice ci racconta in questo suo primo lavoro parlano di quieti meriggi, tipici di un Sud ancestrale, categoriale, le cui esistenze scivolano nel lento scorrere del tempo. Il poiein della Carrozzo è un modulare una romantica canzone d’amore, a tratti crepuscolare a tratti dolce e suadente. Già perché dell’Amore non ci si stanca mai di parlare, di abbeverarsi alla sua luce, che non basta mai, che sempre di Lei si ha desiderio, di cui si ha sempre voglia e sete. E se fosse solo questa la peculiarità del volume in oggetto sarebbe poca cosa, rientrerebbe il tutto nella placida tranquillità della medietà editoriale. Ma il suo narrare nasconde ben altro, ovvero una sottile denuncia di tutto ciò che attorno a noi non va, e che rende i contorni del sociale indefiniti e oscuri. Il messaggio ulteriore di questa raccolta vuole dirci che la realtà non si comprende, pullula di visioni amorfe, di dolore, di violenza che come fantasmi sfuggono al cuore della vita stessa. Lara Carrozzo, che ha performativamente e poeticamente collaborato con grandi nomi della cultura salentina appartenenti al mondo accademico e non, offre al lettore i suoi versi intensi che si dipanano in un mosaico di emozioni, abbaglianti proprio come può essere un’intensa fonte di luce che accieca dopo un lungo percorso nelle tenebre. Si tratta di un lavoro dove materia e cuore si fondono in un sincopato rumore bianco fatto di possessi, ingordigie, corpi, visioni misteriche ed esoteriche. Fondamentalmente un canto di lode smisurato al Feminino Sacro come fonte inesauribile di energia ed ispirazione di vita.

domenica 18 aprile 2010

Il libro del giorno: Giornate tranquille di Lizzie Doron (Giuntina)




















Il salone di parrucchiere di Zaytshik è il punto di ritrovo di un piccolo quartiere di Tel Aviv, non solo per la vedova Leale, la manicure che ama Zaytshik, ma anche per i suoi vicini, quasi tutti sopravvissuti alla Shoah. È qui che dopo anni di silenzio cominciano timidamente a raccontare la loro storia. Anche in questo suo nuovo romanzo, premiato da Vad Uashem con il premio Buchman, Lizzie Doron ci parla con lieve umorismo e calda compassione di un dolore che non può passare, della ricerca di un po' di felicità, del tenace aggrapparsi a una vita che a molti non sembra più degna di essere vissuta.

Orfeo perduto di JANETTE TURNER HOSPITAL (Marcos y Marcos)

Domanda del giorno: cosa faresti se l'uomo della tua vita, un artista, un musicista eccelso per la precisione, si rivelasse un terrorista? Mishka Bartok studia composizione ad Harvard. Leela May Moore si occupa di matematica della musica al MIT. Incontro straordinario è il loro, dove l'amore diventa subito passione, e li porta da subito a dividere, nella casa di Boston, ogni cosa dai sogni al sesso. Ma il silenzio tra i due è un voragine profondissima, che getterà l'oscurità più nera sui loro destini. Mishka sparisce in modo misterioso, con grande frequenza, a volte senza dare nemmeno spiegazioni. Poi accade che nella metropolitana a un passo da casa esplode una bomba, con tanto di morti e feriti. Leela viene presa dai servizi segreti, e interrogata a lungo su Mishka e i suoi probabili coinvolgimenti con l'Oriente islamico. Il dubbio prevale su anni di amore e passione. Si tratta di uno splendido libro, di rara bellezza, ove la poesia della musica si fonde all'amore per i numeri e la matematica, dove la natura ribelle dell’Australia si alterna ai rumori della chiassosa Boston, dove l'eros e il coinvolgimento amoroso di un incontro non riesce a fare i conti con il veleno del sospetto. Mosaico fatto da una serie non stridente di contrasti il romanzo "Orfeo perduto", di Janette Turner Hospital, che vuole essere giustamente una zona temporaneamente autonoma tra oriente e occidente, al fine di permettere all'autore e al lettore di essere osservatorio lucido delle isterie che popolano due culture, due mondi. I due protagonisti saranno vittima di un classico colpo di fulmine, forze a più alto voltaggio della media: lui si perderà lungo i sentieri di un percorso esistenziale segnato dalla tipologia del "bello e maledetto", lei lo salverà dall'inferno di torture e intrighi internazionali. Ci vedrei un bel film ispirato a questo libro.

sabato 17 aprile 2010

Il libro del giorno: Uomini si diventa di Michael Chabon (Rizzoli)

Dopo grandi romanzi come "Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay", con cui ha vinto il premio Pulitzer, Michael Chabon si cimenta qui in un'impresa del tutto nuova, un libro diverso e forse il più vero che abbia mai scritto. Tra queste pagine, senza peli sulla lingua e con una straordinaria capacità di aprire squarci di senso nuovi nella realtà di ogni giorno, il grande scrittore reinventa la propria storia di figlio, di marito e soprattutto di padre, dando vita a una sorta di appassionata autobiografia che quasi si fa romanzo. In un formidabile intreccio di storie, Chabon evoca un'infanzia in cui ha goduto di libertà precluse ai bambini di oggi, il divorzio dei genitori, la vertiginosa commedia dell'adolescenza, la scoperta della cultura pop, la fine di un matrimonio sbagliato, l'incontro con la compagna della sua vita; e rivive quei momenti attraverso le esperienze dell'irresistibile quartetto di figli che con la moglie si trova a crescere ed educare, sapendo fin troppo bene che un padre altro non è che "un uomo che fallisce ogni giorno". "Uomini si diventa" è un manuale poco pratico di paternità, un timido manifesto sul maschio di oggi, ma anche una vita ricostruita per frammenti, la vera storia di un grande inventore di storie.

Transurfing, lo spazio delle varianti di Vladim Zeland (Macro edizioni)



















Ho letto, riletto e meditato su un testo strano e singolare. Parlo de “Lo Spazio delle Varianti” di Vladim Zeland edito da Macro edizioni. Questo libro apre la trilogia del Transurfing, nuova ermeneutica della realtà grazie alla quale la propria intelligenza e creatività possono incidere sulla realtà. Nel mio percorso di ricerca portato avanti sino adesso, mi sono prevalentemente occupato del New Thought, di maestri illuminati della tradizione orientale, e di altre tipologie di pensiero talvolta ai limiti della scientificità. Questo Transurfing invece ha qualcosa di diverso, perché dice a chi vuole seguirne i dettami, che nelle onde del quotidiano occorre non farsi imprigionare dall’importanza e dal valore che si attribuisce a eventi, ruoli, persone, simboli, ma bisogna scivolare senza sforzo tra le maglie della vita con leggerezza, viaggiando sulla superficie di ciò che ci circonda, senza ancorarci ad alcuna definizione possibile di positivo o negativo, i cui significati spessissimo hanno il potere di influire sulla nostra esistenza. In questo lavoro si tenta di spiegare al lettore come non disperdere la propria energia lottando inutilmente contro i cosiddetti pendoli, che rappresentano tutte le sovrastrutture mentali e non che condizionano la nostra realtà. Un esempio calzante potrebbe essere da un punto di vista metaforico il principio alla base dell’aikido, che sostiene che chi viene preso di mira non si deve opporre all’attacco, ma sfruttare la forza e l’energia dell’avversario a proprio vantaggio. Ma procediamo con ordine. Transurfing ha già conquistato decine di milioni di persone, che si sono appassionati e hanno apprezzato gli stimolanti e innovativi contenuti proposti da Vadim Zeland nelle sue opere. Questo libro tratta di cose strane e inusuali, che sconvolgono al punto tale che crederci è difficile. Non parla di miracoli e non promette di compierli, tutt’altro. Ci stiamo interfacciando con una vera e propria tecnica diffusasi on line nel 2003 in Russia, e che grazie poi ad un intenso passaparola, è diventato un caso editoriale e una proto-filosofia che va oltre il “nuovo pensiero” e la new age. L’autore di questi volumi (Macro edizioni ne ha in programmazione l’intera trilogia), nell’unica intervista rilasciata alla stampa, sottolinea di non esserne “l’autore vero e proprio” e soprattutto non si professa né un guru, né un maestro spirtuale, ma solo un esperto di fisica quantistica. Nei suoi libri, Zeland propone ai lettori un viaggio fantastico nella realtà, dove il discente impara a gestire, in-formare, selezionare le opzioni destinali controllando non solo il qui e l’ora, ma anche tutti i possibili futuri. Il Transurfer, deve sviluppare queste caratteristiche per padroneggiare il Transurfing: la consapevolezza, la libertà da ogni dipendenza, la riduzione dell’importanza di sé e del mondo, un pensiero improntato al positivo comunque sia. Alleggerito da tutti i falsi stereotipi imposti dalla visione comune del mondo, l’uomo può solo scivolare verso la sua linea più favorevole, la sua onda della fortuna. Transurfing è proprio questo: scivolare per le linee della vita nello spazio delle varianti. Da evidenziare come Vladim Zeland sostenga che a determinate condizioni l’energia dei pensieri dell’uomo e’ in grado di materializzare l’uno o l’altro dei settori dello spazio delle varianti. In una condizione che il Transurfing definisce in maniera pseudo sinolica di “unita’ di anima e ragione” prende vita una forza misteriosa dove poi la realta’ si è letteralmente trasformata sotto ai loro occhi.

Da tutto cio’ scaturisce una netta sensazione di liberta’ interiore, il privilegio di vivere secondo il proprio credo.

venerdì 16 aprile 2010

Il libro del giorno: Pane e bugie di Dario Bressanini (Chiarelettere edizioni)

Il pesto è cancerogeno. Lo zucchero bianco: per carità! Meglio quello di canna. Il glutammato fa malissimo... E gli spaghetti radioattivi? Ah no, io compro solo pane biologico, prodotti locali e di stagione. Quanta apprensione intorno alla nostra tavola. E quante bugie. Ma a chi dobbiamo credere? L'approssimazione in cucina non funziona, nemmeno per preparare un piatto di spaghetti. Meglio verificare quanto Tv, Web, giornali, radio ci propinano ogni giorno: mentre ci scanniamo sugli OGM in realtà già mangiamo frutta, verdura e cereali derivati da modificazioni genetiche indotte da radiazioni nucleari (perché nessuno lo dice?); abbiamo il terrore della chimica ma ci dimentichiamo che per esempio la vanillina è un estratto da una lavorazione del petrolio e che il caffè contiene sostanze cancerogene. Mostri come la fragola-pesce e altre diavolerie occupano il nostro immaginario, ma quali sono davvero i rischi che corriamo? Ecco un aiuto a non farsi ingannare da messaggi troppo facili ed emotivi.

Giovani, nazisti e disoccupati, di Michele Vaccari, Castelvecchi (Roma, 2010), Intervento di Nunzio Festa















Nelle imprecazioni del nuovo romanzo di Michele Vaccari, una delle più interessanti novità del 2010, si scorgono, sotto cute ma poi non proprio, i caratteri e le caratterizzazione che stanno bruciando la nostra Italietta. Un ventenne bolognese, che vive a Bologna e sente la voce di Malatesta nel cervello comunque spianato da un’originale forma di follia, deve necessariamente condividere l’abitazione lasciatagli in eredità dalla nonna con alcuni sinistreggiaenti che non gli stanno troppo simpatici; oltre a questo, va specificato, l’anarchico individualista bolognese è consumatore di trielina: oltre che non trovarsi a suo agio nei confort di passaggio della sua generazione. Il protagonista del vaneggiante, e non è detto in tono negativo, anzi, è già curato dai problemi pseudo-depressivi dei suoi coetanei e però non vive in maniera tutta agevole il rapporto con quello che si dimostra il suo vero e unico amore. Tra l’altro, quella che per parecchio è appunto la sua ragazza, da eroinomane passa a essere estremista-settaria di sinistra. A dimostrare d’una particolare vocazione dell’autore Vaccari ad accanirsi su un vuoto ideologico stivato nell’immenso vuoto politico del mondo progressista. Gli altri pregiudizi dell’estroso Michele Vaccari vanno pescati nelle faglie di certi momenti dove il tornaconto dell’emozione deve confrontarsi con il viatico, dunque, delle ideologie. Anzi della sottocultura nazista. Che qui, per esempio, il personaggio centrale della storia si ricorda d’avere sangue ‘antifascita’ eppure non ha paura ad entrare a far parte d’una fetta di demenza che però allo stesso tempo gli farà conoscere ogni fissazione e tutte le misure adottate dai nuovi nazistelli per diventare più forti. Di sottofondo, seppure ovviamente la società passa già nei settori politicisti dei naziskin come, a tratti, in quelli di stalinisti in erba ecc., ecco il grande spettacolo, stucchevole, del resto dell’umanità mozzicata castamente dal culto dello spettacolo e condannata dai dogmi della moda. Perché questa, tanto per fare un esempio diremo calzante, quando il Partito dei nazi comincia a prendere voti sul serio addirittura inizia, non i politicizzati di turno o di torno, ad approvare. Il punto più alto raggiunto della trama si conta nei segni di violenza fisica. Quando, passando ancora per un esempio, il marciume della sopraffazione s’insinua in rapporti di forza da spedire nella ressa e, inoltre, dovrebbero essere passi altri per conquistare terreno. Lo scrittore Michele Vaccari, che da tempo fa presente d’essere privo di peletti sulla lingua e in diverse occasioni - ma sempre in questo “Giovani, nazisti e disoccupati” - , si muove nella rudezza di degenerazioni dell’attualità, narrando della vita d’angoli spesso non raggiunti dalla vista. Vaccari, dopo “Italian Fiction” torna con un libro che scaraventa lettrice e lettori in pericoli che stanno orientando il mortificato Paese. Facile, dopo aver letto prove letterarie come queste, dire che non siamo in settori e in generi specifici, come giusto sarebbe osservare che proprio buona parte di questa estraneità rende più spesso di valore il romanzo del talentuoso Vaccari. Contro l’abitudine di giocare a trovare il postmoderno etc.


Giovani, nazisti e disoccupati, di Michele Vaccari, Castelvecchi (Roma, 2010), pag. 224, euro 14.00.

giovedì 15 aprile 2010

Il libro del giorno: Politics di Andrew Heywood (Controluce ed.)

La politica è un'arena dinamica in costante evoluzione ed è, inoltre, una disciplina ampia ed eclettica che comprende approcci molto diversi tra loro come filosofia politica, relazioni internazionali ed economia politica.
Scritto in una prospettiva internazionale, Politics affronta la politica sotto tutti i suoi molteplici aspetti e fornisce una introduzione accessibile a questo campo di studi così importante e complesso, presentando i contenuti in modo conciso e stimolante.Politics propone interessanti materiali sul rapporto tra mass media e politica, sul riassetto mondiale dopo l'11 settembre e la "guerra al terrorismo", sul multiculturalismo e le politiche identitarie, nonché sulla trasformazione dello stato.
Filo conduttore del testo è la crescente importanza della politica a livello globale. "Politics" è il libro adatto a comprendere come gli avvenimenti politici e i loro protagonisti hanno dato forma al mondo in cui oggi viviamo.

La vocazione di Cesare De Marchi (Feltrinelli) sabato alla Libreria Gutenberg di Lecce

Luigi Martinotti lavora in un fast food. Frigge patatine, ma in realtà la sua vocazione, vivissima malgrado l'interruzione degli studi universitari, è quella dello storico. Su un tavolo della Biblioteca comunale consuma tutte le ore di libertà, ricostruendo e interpretando eventi del passato. Ci sono momenti in cui riesce addirittura a distinguere, quasi fosse una visione, l'incontro fra Attila e papa Leone. È riuscito anche a elaborare una teoria storica, secondo la quale i mutamenti della società sono il prodotto di una terribile "insofferenza dell'insicurezza", che spinge gli uomini, cambiando continuamente, a inchiodare il mondo in un presente immobile e rassicurante. Anche la quiete apparente di Luigi Martinetti obbedisce a questa legge. La sua sensibilità, sospesa tra aspirazioni intellettuali e esposizione al fallimento, si lascia contaminare dall'imprevedibilità dei rapporti umani, ivi comprese l'intensa relazione sessuale con Antonella, cameriera del fast food, e l'inspiegabile tenerezza per il figlio di lei. Solo l'amico Giuseppe estroso insegnante affetto da una malattia genetica che lo getta in ricorrenti crisi depressive - riesce a tenere accesa la sua vocazione e a comunicargli una sorta di profonda serenità. Quando il fallimento come storico è definitivo, la sua mente vacilla.

sabato 17 aprile h.19,00, Libreria Gutenberg, via Cavallotti 1 a Lecce. Presenterà l'autore lo scrittore Luciano Pagano

Zombi blues di Stanley Péan. (Marco Tropea Editore, collana Fuorionda)

Se volete saperne di più su Stanley Péan, potete andare a visitare il suo sito all’indirizzo www.stanleypean.com. Vive in Canada e per vivere fa il giornalista: ma è anche molto, molto di più. Oltre a essere uno scrittore multiforme, caleidoscopico direi, amante della musica jazz, e speaker radiofonico, è caporedattore della rivista “Le libraire” e presidente dell'Unione degli scrittori del Quebec. Ora per i tipi di Marco Tropea editore nel nostro paese, esce “Zombi blues” romanzo di transito e trance, in bilico tra due universi etno-culturali a cui appartiene l’autore, ovvero quello del vudù e del makute, le vicende socio-politiche dell’isola, e quello dell’amore per il proibito, un vero e proprio viaggio inferico e lubrico nell’eros, dove si meticciano costantemente musica e parole che tolgono il fiato, per ogni capitolo di questo libro. Non so se definirlo o meno un noir, forse perché si tratta di un lavoro di laboratorio scritturale (nel senso più positivo del termine) talmente uscito bene da sfuggire alle definizioni, almeno per quel che mi riguarda: già perché non solo questo lavoro ha un’anima nera, ma ha anche forti tonalità “rouge pulp” e marcati elementi horror. Siamo a Port-au-Prince, al collasso a causa della dittatura spietata di Jean Claude Duvalier, alias Papa Doc. Una donna haitiana muore in circostanze misteriose davanti ad una coppia di canadesi. I due prendono dalle braccia della donna un neonato, che cresceranno a Montreal, insieme alla figlia Laura. Dopo poco più di trent'anni da quell’evento, Gabriel, trombettista jazz haitiano, vuole rompere con il suo passato, abbandonandosi ad una deriva alcolica, un po’ decadente ma in fondo molto radical-chic. Il ritorno in Quebec per una tournée non fa altro che peggiorare le cose, e la patologica complicità con Laura diviene qualcosa di terribilmente sinistro, frutto di suggestioni che provengono da sinistri deliri sonori e visioni grottesche di morte. E la musica, non ha alcunché di liberatorio nelle vicende narrate, tutt’altro: essa rappresenta uno strumento del Male per imprigionare le anime e renderle sottomesse al potere delle tenebre. Il ritmo incalzante della scrittura di Péan, si fa pagina dopo pagina sempre più soffocante, quasi che il lettore riuscisse a sentire il risveglio dei morti che riaffiorano dalla terra, mentre prendono vita scene angoscianti di massacri, saccheggi, urla, terrore. Una sensazione che forse solo chi ha vissuto sulla propria pelle il terremoto di Haiti, può raccontare. Ad ogni modo Zombi Blues è un romanzo che fa scendere il lettore in un mondo popolato da “incubi e succubi”dove ogni cosa è ossessione, febbre, e soprattutto imprevedibilità. Lo consiglio caldamente, e ovviamente da auto-sommnistrarsi con cautela.

mercoledì 14 aprile 2010

Il libro del giorno: Green Zone di Rajiv Chandrasekaran (Rizzoli, collana 24/7)

Zona nord di Baghdad, una mattina qualsiasi. Quattro kamikaze si fanno saltare in aria in un santuario. Quando Rajiv Chandrasekaran arriva sul posto, quel che resta dei cadaveri è già ricoperto da teli bianchi. Brandelli di corpi sparpagliati arrivano fino al secondo piano dei palazzi circostanti. Meno di un quarto d'ora dopo, nella Green Zone, il giornalista ne parla con un funzionario del contingente americano, ma questo è ignaro del massacro: era "troppo preso a lavorare per la democrazia in Iraq" per seguire le notizie. E solo uno dei paradossi della guerra raccontata in questo libro: un reportage che somiglia a una spy-story per la vicenda al limite del romanzesco, per la carica di avventura e ironia, per i personaggi incredibili che lo popolano. E per la sua ambientazione, l'enclave americana a Baghdad: 10 chilometri quadrati di ex palazzi reali, piscine, cocktail, aria condizionata, corsi di salsa e yoga, due ristoranti cinesi e una mensa con personale musulmano che serve principalmente carne di maiale. Costruito in quasi due anni di interviste e ricognizioni nella capitale irachena e dintorni, "Green Zone" è la cronaca del disastro annunciato scatenato dall'America e dai suoi alleati tra cui l'Italia.

Il testamento di Salvatore Siciliano (Fazi editore, dal 23 aprile)



















Marzo 2010: è un giorno come tanti, quando su ogni profilo e gruppo di Facebook compare insistentemente un'immagine, sempre la stessa, apparsa dal nulla e onnipresente. Mentre gli internauti di tutta Italia se ne stanno increduli come di fronte a un ufo col naso puntato sul monitor, tre amici per la pelle, Fabrizio, Luca e Domenico, sono gli unici a conoscere il significato di quest'oggetto misterioso apparso in Rete: è il plateale commiato di Salvatore Siciliano, il leader del loro gruppo. Di lui, insieme a questo sberleffo virtuale, restano le pagine di un vero e proprio testamento in cui il protagonista, Salvo, rivela tutta la verità su se stesso e sulle sue insospettabili colpe di manipolatore occulto della Rete - il migliore, il più pagato - per conto di potenti multinazionali e oscuri gruppi di potere. Lungo il filo di una febbrile confessione, mentre di fronte agli occhi dei tre amici si sbriciola l'immagine di Facebook quale meravigliosa oasi in cui tutto sembra possibile a tutti, la scelta di Fabrizio, Luca e Domenico è quella di un'amicizia autentica che resiste a ogni cosa. Un legame che li condurrà fino alle regioni interne dell'Africa, sulle tracce del tantalio, misterioso e preziosissimo minerale, al centro di illeciti traffici in cui Salvo si è trovato invischiato, fino a scoprire che in fondo, Facebook o meno, l'isola che non c'è può esistere davvero, per chi come loro sa riconoscere o difendere uno spazio di amicizia e amore in cui rifugiarsi.


Il testamento di Salvatore Siciliano diviene la notizia più chiacchierata in Rete, la più grande operazione mai effettuata in Italia di marketing e comunicazione virale:

Dal 1 marzo, giorno d'inizio della campagna ad oggi, 10 milioni di persone hanno visto su Facebook e negli altri social network l'immagine di Salvatore Siciliano. 30.000 visualizzazioni dopo le prime 4 ore dalla pubblicazione del testamento.

www.salvatoresiciliano.com
Numerosi anche video su YouTube: basta scrivere “il testamento di salvatore siciliano”; lo stesso vale per post e vari blog spontanei con più di 200.000 risultati su Google.

Il libro svela a tutti coloro che si sono interrogati su questa strana vicenda, chi è veramente Salvatore Siciliano e il messaggio contenuto nel suo testamento. Da quando il suo testamento ha invaso il web, mille supposizioni sono state fatte: Siciliano è un pentito di mafia, un politico di sinistra manovrato da Beppe Grillo o Travaglio, addirittura parte della strategia di lancio di un film e molte altre ipotesi.

Secondo voi, in che modo oggi i politici, i poteri forti delle multinazionali facendo leva sulla presunta libertà di internet usano la Rete per fare i loro interessi?

Internet, paritario e fuori dal controllo dei poteri forti sarebbe un pericolo troppo grande per gli interessi economici e politici di molte persone.

Alcuni esempi di temi trattati all’interno del libro Il testamento di Salvatore Siciliano:

- La censura di internet in Cina.

- Il traffico del Tantalio.

- La privacy.

- La teoria sui clown (Berlusconi) e i buffoni moderni di oggi (Dario Fo, Luttazzi, Grillo, Santoro, Travaglio)

- Obama e la politica americana del 2.0.

Salvatore Cobuzio é nato a Siracusa nel 1978.

Ha lavorato come web marketing manager presso gli studi di Cinecittà e alcune importanti aziende nazionali. Vive e lavora a Roma.


martedì 13 aprile 2010

Il libro del giorno: Blood di Ann Rice (Longanesi)
















«Voglio essere santo. Voglio salvare anime a milioni. Voglio fare del bene ovunque.» A pronunciare queste parole non è un uomo comune. Non è nemmeno un uomo. È una creatura della notte: il vampiro Lestat. Cristallizzato in un’eterna giovinezza, Lestat è bello come il sole che lo respinge, ma l’oscurità che ha dentro lo tormenta da secoli. La sua brama di redenzione, bontà e amore contrasta con la sua natura di viaggiatore della notte e il suo unico rifugio è la residenza di Blackwood Farm. E proprio qui giunge la bellissima Mona Mayfair, il grande amore del padrone di casa, Quinn, compagno di Lestat. La ragazza è fuggita dall’ospedale dove era rinchiusa da più di un anno, ed è in fin di vita. Una sola cosa può salvarla, il Battesimo del Sangue. Lestat deve così abbandonare i suoi impossibili sogni di purezza e redenzione per trasformarla in un vampiro. Sulle tracce della fuggitiva giunge a Blackwood anche Rowan Mayfair, per la quale Lestat prova una forte attrazione. Ma l’amore a lui non è concesso... Soprattutto ora, che deve aiutare Mona a fare i conti con la sua nuova, tormentata identità di vampiro e con il terribile segreto che ha quasi rischiato di ucciderla.

Un brano: "Sono il vampiro Lestar, il più potente e adorabile vampiro mai creato, un vero schianto soprannaturale, vecchio di duecento anni, ma cristallizzato in eterno nelle sembianze di un ventenne con un corpo e un viso per i quali saresti disposto a morire, e potresti anche farlo davvero. Sono incredibilmente pieno di risorse e innegabilmente affascinante. Morte, malattia, tempo, forza di gravità non significano nulla per me. Soltanto due cose mi sono nemiche: la luce diurna, perché mi rende del tutto inerte e vulnerabile ai raggi del sole, e la coscienza. In altre parole, sono un condannato abitante della notte eterna e un cacciatore di sangue eternamente tormentato. Ciò non mi rende forse irresistibile?"

Tiratori scelti di Emmanuele Bianco (Fandango)



















Un romanzo d’esordio cattivo, duro, politicamente non corretto, a tratti intollerabile. E’ questa la creatura che ha dato alle stampe questo giovane allievo della Scuola Holden il cui nome è Emmanuele Bianco. La casa editrice è la brava Fandango. Il titolo del libro invece è “Tiratori scelti”. Si parla di periferie in questo lavoro, o meglio sarebbe definirle “banlieues”, proprio come quelle parigine che spesso passano ai “disonori” della cronaca internazionale, in maniera più astratta quegli spazi ontologicamente angusti dove l'isolamento si estende intorno alle aree urbane considerate ghetti, dove la criminalità vi prolifera all’interno, dove il traffico di droga sovente è diviso tra etnie rivali, ognuna delle quali controlla una zona e mette la propria firma per segnare il territorio. Le banlieues che Bianco racconta sono quelle piene zeppe di giovani (figli e nipoti di gente che proveniva dal Sud in direzione Milano o comunque altro Nord, in cerca di fortuna), pompati di palestra e sospesi in una sorta di zona grigia, una specie di purgatorio, con sguardi pieni di ferocia e rabbia per ogni ascolto mancato, griffati dalla testa ai piedi, pronti a saltare alla gola di un nemico invisibile, ma che sentono comunque minaccioso e vivo. Le banlieues che Bianco racconta sono quelle di un quartiere il cui nome è già tutto un programma, Trincea, campo di battaglia di conflitti “gangs-crime” reali e tangibili. Le banlieues che Bianco racconta sono aggregatori di particole esistenziali dove una sorta di comunismo obliquo e malavitoso condivide e suddivide amicizie, legami tra spaccio, furti e risse. Sono giovani che sanno cosa significhi benessere economico e laddove vi è solo un desiderio lo trasformano in realtà senza scrupoli e senza remore di sorta. Le banlieues che Bianco racconta sono i margini italiani della crisi, della lega, del “no futur” lavorativo, della droga non solo per i ricchi, ma roba di tutti i giorni, fatti di violenza e feroci regole di sopravvivenza. "Tiratori scelti" parla di ragazzi fuori, fuori di testa dove le comitive della periferia milanese di Maurizio, Gregory, Alvaro, Guido, Irene, Shitzee, Antony sono bande per il controllo del territorio, della figa, di tutto. Emmanuele Bianco racconta con feroce spietatezza, e una scrittura pervasa da un fortissimo senso della disperazione dei nostri giorni, una specie di T.A.Z. che a breve potrebbe esplodere e coinvolgere tutte le aree metropolitane di questo paese, forse proprio a partire dai nostri vicini.


Emmanuele Bianco (1983) è nato a Milano ma è originario di Bianchi in provincia di Cosenza. Questo è il suo primo libro.


EMMANUELE BIANCO, "TIRATORI SCELTI", Collana: Galleria Fandango

www.fandango.it

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