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giovedì 18 giugno 2009

Gargoyle Editore. Intervista a Paolo De Crescenzo di Stefania Ricchiuto

Le paure ancestrali dell’uomo sono materie talmente sottili da richiedere un’attenzione analitica. In Italia, prima del 2005 venivano curate, con risultati discutibili, dall’editoria più “generalista”, ma da quattro anni l’horror e il dark fantasy possono rintracciare anche nel Bel Paese una realtà totalmente dedita alla dimensione dell’incubo. Ne abbiamo parlato con l’editore Paolo De Crescenzo e la responsabile dell’ufficio stampa Costanza Ciminelli.

“Rubate” il nome alla figura mostruosa di pietra che si sporge dalle sommità delle cattedrali gotiche, pronta ad animarsi in caso di aggressione. Denominarvi ispirandovi ad un simbolo di “custodia” è stata una scelta ben precisa?

L’immagine del gargoyle ci è sembrato simboleggiasse efficacemente il tipo di scelta editoriale che anima la nostra avventura letteraria. Sinceramente non pensavamo di svolgere alcun ruolo di “custodia”, ma considerando alcune recenti tendenze dell’horror letterario e cinematografico…

Con la vostra comparsa, avete garantito al pubblico italiano la possibilità di conoscere autori stranoti all’estero, ma qui sconosciuti. Il vostro è stato un forte atto di opposizione contro un mercato fortemente monopolizzato, abitato fino ad allora quasi esclusivamente da nomi come Stephen King e Anne Rice…

La nostra attività è nata come una sfida: sapevamo che le possibilità di affermare quello che è il “parente più povero” tra i generi erano minime, anche sulla scorta delle esperienze negative vissute dai pochi coraggiosi che ci avevano preceduti. Abbiamo cercato di sottolineare tale provocazione puntando sulla qualità, sia dei contenuti che della veste editoriale. Da un lato, quindi, volumi rilegati, carta bianca della migliore tipologia, cura redazionale; dall’altro, ricerca di quello che ci sembrava al momento il meglio del panorama horror internazionale, a prescindere dalla notorietà dei nomi. Devo dire che i risultati sono stati superiori alle aspettative: spesso si fa torto al pubblico, continuando a propinargli solo i “soliti noti” e ritenendo che non sia in grado di apprezzare scelte più “particolari”.

Avete incominciato pubblicando due scrittori americani, la Yarbro e Nassise, e sembrava fosse vostra intenzione dedicarvi esclusivamente alle traduzioni di produzioni estere. Perché questa barriera iniziale rispetto alle narrazioni italiane?

In realtà non abbiamo mai affermato che intendevamo porre barriere. Abbiamo sempre detto che l’unico parametro di scelta era di tipo meritocratico. Siamo stati, quindi, ben lieti di avere l’opportunità di dimostrare che non esistevano, e non esistono, preclusioni di sorta: se un testo ci piace, lo pubblichiamo, indipendentemente dal fatto che sia americano, francese o turco…

Poniamo un attimo l’attenzione sull’“estro gotico nostrano”: nel vostro catalogo è comparso il nome di Gianfranco Manfredi...

Manfredi era ed è tuttora quello che riteniamo il migliore tra gli autori italiani che si sono cimentati in modo continuativo con l’horror. Prendemmo contatto con lui via e-mail chiedendogli di poter ripubblicare il suo Magia Rossa: da lì sono nati un’amicizia e un sodalizio professionale che ci auguriamo siano destinati a durare. Gianfranco negli ultimi anni si era dedicato al fumetto, ottenendo grandi soddisfazioni e notorietà internazionale, ma forse sacrificando un po’ la vena autoriale che ha fortemente radicata dentro di sé: conversando, è tornata a scattare la scintilla che era sopita, lo stimolo ad approcciare nuovamente una dimensione narrativa di grande respiro. Lui dice di non essersi mai trovato così bene come con Gargoyle, e noi vorremmo tanti Gianfranco Manfredi...

Ora una domanda sul senso della narrativa horror, che è animata da figure archetipiche ricorrenti: fantasmi, vampiri, demoni. Indagare certi ruoli surreali può aiutare a smascherare gli “effettivi costruttori di paura” della nostra società?

È confermato che l’horror esercita una funzione esorcizzante rispetto alle paure e agli incubi della quotidianità, tant’è vero che conosce regolarmente periodi di massima frequentazione quando le situazioni di crisi si fanno più intense e diffuse. In questo senso, esercita sicuramente un ruolo “sociale”. Stabilire se possa servire a smascherare i “veri mostri” è problematico: per ogni opera narrativa esistono vari piani di lettura e ciascuno è libero di trovarvi all’interno i significati di cui è alla ricerca.

Peraltro, molti intellettuali, soprattutto statunitensi, riconoscono al genere horror una funzione di resistenza culturale nei confronti di due massimi poteri: la religione e la scienza…

Gli Stati Uniti sono un paese animato da una concezione morale e religiosa molto sui generis, pronta a rispondere a stimoli anche francamente improbabili... pensiamo alle chiese più o meno esotiche, ai predicatori televisivi e da tendone, alle varie sette. Gli scrittori americani, pertanto, hanno buon gioco nell’affondare il bisturi in tali fenomeni. Molto più difficile è conseguire qualche risultato in una realtà come quella italiana, dove la religione è stata sempre vissuta come una faccenda estremamente seria, condizionando scelte artistiche e vita culturale, e rendendo difficoltoso l’affermarsi di un genere che la Chiesa cattolica ha sempre pesantemente avversato. La scienza costituisce un discorso a sé: se in passato ha costituito terreno d’esercizio per alcuni scrittori horror, la fantascienza e il sempre più rapido progresso tecnologico hanno sostanzialmente svuotato di contenuti il sottogenere specifico, che resiste soprattutto in zone franche quali le graphic novels e i giochi di ruolo.

Opererete un salto anche nella saggistica?

Gargoyle ha già operato un’incursione nella saggistica, pubblicando The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo di Pezzini-Tintori, in assoluto la prima guida che cerca di sistematizzare la sterminata filmografia relativa al mito di Dracula, dagli inizi del ‘900 a oggi. Il volume si distanzia da qualsiasi impostazione manualistica, procedendo per percorsi tematici. Ne emerge uno studio che va oltre i confini dell’iconografia, in cui critica cinematografica, politico-sociale, di costume, psicanalitica, antropologica, si armonizzano in una prospettiva di approccio del tutto inedita. Contiamo di proseguire nell’analisi di altri archetipi dell’horror, e proprio in questa direzione va l’imminente riedizione di Io credo nei vampiri di Emilio de’ Rossignoli, una chicca introvabile da decenni. Pubblicato per la prima volta nel 1961 e ormai assorto al rango di cult, costituisce un’opera fondamentale per la comprensione del revenant, che spiega gli aspetti strutturali e le principali chiavi interpretative del mito di vampiro, senza dimenticare una salutare dose d’ironia.

Terminiamo con un invito alla lettura…

È appena uscito La maledizione degli Usher di McCammon. Concepito come proseguimento de Il crollo di casa Usher, tra i racconti più celebri di Poe, il romanzo costruisce un avvincente intrigo su una potente dinastia di armatori statunitensi, che svela a poco a poco una densa e suggestiva trama di segreti, ossessioni, omicidi, fughe e tentativi di rivolta. Ruolo di primo piano nella storia assume la maestosa tenuta degli Usher, un sinistro labirinto dove, da tempo, nessuno osa avventurarsi…
Gargoyle Editore

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sabato 2 maggio 2009

Il libro del giorno: Il campo di cipolle di Wambaugh Joseph (Einaudi)

Los Angeles, 9 marzo 1963. Campbell e Hettinger, due agenti di pattuglia che lavorano da poco in coppia fermano un'auto sospetta. A bordo due delinquenti di piccolo cabotaggio con una lunga storia di reati e carcere alle spalle. I due criminali disarmano i poliziotti, li rapiscono e, dopo un lungo tragitto in auto sulle freeways intorno a Los Angeles, li portano in un campo di cipolle. Ed è nella polvere di una sterrata di campagna, nell'odore pungente delle cipolle, che si consuma la tragedia, tanto più atroce quanto più assurda: Campbell viene ucciso a colpi di pistola. Hettinger riesce a scappare. Nel giro di poche ore, i colpevoli vengono catturati, ma il finale della loro storia è ancora lontano e tutt'altro che consolatorio. Inizialmente condannati a morte, i due assassini affronteranno una serie di processi che, a vent'anni dall'omicidio, li porterà alla scarcerazione. Quanto a Hettinger, lascerà la polizia e trascorrerà tutta la vita in una spirale di dolore, rimorso e autodistruzione. Wambaugh racconta una vicenda vera e terribile da ex poliziotto, scrittore e profondo conoscitore della psicologia umana. Il risultato è una riflessione dolente sulle imperfezioni e i fallimenti della giustizia, e sul retaggio di sofferenze e crudeltà che accompagna ogni fatto di sangue, segnando l'esistenza dei colpevoli come delle vittime in modo irreparabile.

casa editrice Einaudi: www.einaudi.it

"Il libro è una riflessione sulla giustizia che non sempre funziona come dovrebbe e su come ogni fatto di sangue segna l'esistenza dei colpevoli e delle vittime in modo irreparabile. Una vera chicca l'introduzione di James Ellroy, ch vale già da sola un salto in libreria"

Dario Goffredo

da CoolClub n. 52, aprile 2009, p.48

Il campo di cipolle di Wambaugh Joseph
Traduttore Oddera B.
Editore Einaudi (collana Einaudi. Stile libero. Noir)

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