Sami Modiano aveva solo otto anni quando è stato espulso dalla scuola.
Abitava a Rodi, all’epoca territorio italiano, ed era in terza
elementare. Il maestro non gli spiega il perché, gli dice solo di
tornare a casa dal padre. Da quel giorno Sami smette di essere un
bambino e diventa un ebreo. Con il padre Jakob e la sorella Lucia
affronta le difficoltà delle Leggi razziali fasciste, fino al
rastrellamento dell’intera comunità ebraica avvenuto nel luglio del
1944. Sami e la sua famiglia vengono caricati su una nave e poi ad Atene
su un treno. Un mese di viaggio in condizioni disumane, verso il campo
di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Lì all’inizio riesce a vedere da
lontano la sorella, ma quando lei scompare il padre decide di
presentarsi all’ambulatorio, che nel campo equivale a una condanna a
morte. “Tu ce la devi fare,” dice Jakob salutando il figlio, e queste
parole diventeranno la sua arma per resistere.
Nel 2005 Sami ha
trovato la forza di tornare ad Auschwitz, insieme a un gruppo di ragazzi
e al sindaco di Roma Walter Veltroni, e da quel momento non ha mai
smesso di incontrare gli studenti. “Sono stato l’unico della mia
famiglia a sopravvivere e per anni mi sono chiesto: ‘Perché?’. L’ho
capito solo quando ho deciso di raccontare: sono sopravvissuto per
testimoniare.”
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