Lo stato di salute del settore e i nuovi trend dei consumi degli italiani nel rapporto 2019 curato da Fipe
- Cresce il numero delle imprese della ristorazione rispetto a un anno fa: 336mila di cui quasi una su tre gestita da donne e l'11,6% da cittadini stranieri. L'elevato turnover resta un'emergenza
- In aumento anche la spesa delle famiglie, +0,7% in termini reali, che si assesta sugli 86 miliardi di euro nel 2019
- Un trend che si rafforza sul lungo periodo: in 10 anni la spesa degli italiani per mangiare fuori è aumentata di 4,9 miliardi mente quella in casa si è ridotta di 8,6 miliardi di euro nello stesso periodo di tempo
- In impennata anche l'occupazione: nella ristorazione lavorano 1,2 milioni di addetti di cui il 52% donne e in maggioranza giovani. In 10 anni la crescita è stata del 20%
- Al ristorante gli italiani cercano e trovano soprattutto i prodotti del territorio: sette consumatori su dieci prestano attenzione alla provenienza delle materie prime e il 54% vuole conoscere le origini dei piatti
- Il 62,5% degli intervistati cena fuori almeno una volta al mese: spesso si punta sulla pizza ma in un caso su tre la spesa media è di poco inferiore ai 30 euro a persona
- Sette consumatori su dieci prestano attenzione alle politiche green dei ristoranti: il 37,7% verifica se è disponibile la doggy bag contro gli sprechi di cibo e il 36,7% chiede prodotti provenienti da allevamenti sostenibili ma l'acqua deve essere rigorosamente minerale
- In sofferenza i bar, specie nelle grandi città del centro nord: nei centri storici stanno cedendo il posto a paninoteche, kebab e "finti" take away di ogni genere (+54%) ma resiste la colazione al bar dove 5 milioni di italiani la fanno tutti i giorni
- Si moltiplicano i casi di concorrenza sleale anche all'estero, con il fenomeno del plagio dei marchi. Per contrastare l'italian sounding c'è una rete di 2.200 veri ristoranti italiani certificati fuori dal nostro Paese
Roma, 21 gennaio 2020 –
Cambiano i ritmi di vita, i luoghi di consumo, gli stili alimentari, ma
una cosa è certa: la passione degli italiani per il ristorante e la
buona cucina non accenna a tramontare. Al contrario.
Se si guarda ai dati messi in fila da Fipe, la Federazione dei Pubblici esercizi, all'interno del rapporto 2019, infatti, si nota come il settore della ristorazione stia conoscendo una stagione estremamente dinamica. Gli italiani infatti non solo investono di più, ma lo fanno in maniera sempre più mirata, andando a ricercare la miglior qualità dei prodotti locali e un servizio attento alla sostenibilità ambientale.
Se si guarda ai dati messi in fila da Fipe, la Federazione dei Pubblici esercizi, all'interno del rapporto 2019, infatti, si nota come il settore della ristorazione stia conoscendo una stagione estremamente dinamica. Gli italiani infatti non solo investono di più, ma lo fanno in maniera sempre più mirata, andando a ricercare la miglior qualità dei prodotti locali e un servizio attento alla sostenibilità ambientale.
Una marcia in più per un comparto che si
muove all'interno di un quadro congiunturale niente affatto semplice,
con un 2019 che ha visto il moltiplicarsi di forme di concorrenza sleale
nel mondo del food.
“Il mondo della ristorazione– sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani - è un grande asset della nostra economia e un patrimonio, anche culturale, del Paese. I dati parlano chiaro: con 46 miliardi di euro siamo la prima componente del valore aggiunto della filiera agroalimentare, continuiamo a far crescere
“Il mondo della ristorazione– sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani - è un grande asset della nostra economia e un patrimonio, anche culturale, del Paese. I dati parlano chiaro: con 46 miliardi di euro siamo la prima componente del valore aggiunto della filiera agroalimentare, continuiamo a far crescere
l'occupazione e contribuiamo
alla tenuta dei consumi alimentari: negli ultimi 10 anni, nonostante la
crisi, gli italiani hanno speso sempre di più per mangiare fuori casa,
riducendo al contrario la spesa in casa. Merito di un'offerta che cresce
in segmentazione dei format commerciali, in qualità dell'offerta
gastronomica e in professionalità. I milioni di turisti che arrivano in
Italia mettono proprio bar e ristoranti tra le cose che maggiormente
apprezzano del nostro Paese."
“Questo – prosegue Stoppani – non
è un settore dove si vive di rendita, come dimostra l'altissimo
turnover imprenditoriale. I preoccupanti tassi di mortalità delle
imprese confermano che ascolto del mercato e innovazione sono processi
fondamentali per il successo. Conforta vedere che i nostri imprenditori
si stanno dimostrando particolarmente attenti ad alcune nuove tendenze
del mercato: sono in prima linea nella lotta allo spreco alimentare e
molto sensibili sia al tema della sostenibilità ambientale che a quello
della valorizzazione dei prodotti del territorio. Su questo punto giova
ricordare che come settore acquistiamo ogni anno 20 miliardi di euro di
materie prime alimentari sia dall'industria che dall'agricoltura”.
A COLAZIONE E A PRANZO, VINCE IL FUORI CASA
Dall'analisi in dettaglio del rapporto
2019, si scopre che ogni giorno circa cinque milioni di persone, il
10,8% degli italiani, fa colazione in uno dei 148mila bar della
penisola. Altrettante sono le persone che ogni giorno pranzano fuori
casa, mentre sono poco meno di 10 milioni (18,5%) gli italiani che
cenano al ristorante almeno due volte a settimana. Un vero e proprio
esercito di persone che nel 2018 ha speso, tra bar e ristoranti, 84,3
miliardi di euro, l'1,7% in più in termini reali rispetto all'anno
precedente e che nel 2019 ha fatto ancora meglio, arrivando
complessivamente a spenderne 86 milioni.
La ciliegina sulla torta di un decennio
che ha visto i consumi degli italiani spostarsi al di fuori delle mura
domestiche: tra il 2008 e il 2018, infatti, l’incremento reale nel mondo
della ristorazione è stato del 5,7%, pari a 4,9 miliardi di euro, a fronte di una riduzione di circa 8,6 miliardi di euro
dei consumi alimentari in casa. Una cifra, quest’ultima, che nel 2019 è
salita a 8,9 miliardi di euro. Una performance che consente al mercato
italiano della ristorazione di diventare il terzo più grande in Europa,
dopo quelli di Gran Bretagna e Spagna e che ha ricadute positive
sull'intera economia italiana e in particolare sulla filiera
agroalimentare. Ogni anno, infatti, la ristorazione acquista prodotti
alimentari per un totale di 20 miliardi di euro, andando a creare un
valore aggiunto superiore ai 46 miliardi, il 34% del valore complessivo
dell'intera filiera agroalimentare.
PRODOTTI TRACCIABILI E ZERO SPRECHI
Nonostante la sperimentazione degli chef
televisivi abbia raggiunto in questi anni livelli record, ciò che attira
in maniera sempre più marcata i consumatori all'interno dei ristoranti è
la tradizione. Il 50% degli intervistati da Fipe, infatti, cerca e
trova nei locali che frequenta un’ampia offerta di prodotti del
territorio, preparati con ricette classiche ma non solo. Il 90,7% dei
clienti confessa di essersi fatto tentare da piatti nuovi e mai provati,
mentre il 60,5% ammette di andare al ristorante anche per affinare il
proprio palato. Tutti, o quasi, concordano, però su un punto: è
fondamentale sapere ciò che si mangia. Il 68,1% dei clienti quando entra
al ristorante, per prima cosa si informa sulla provenienza geografica
dei prodotti, il 58,5% sui valori nutrizionali dei piatti e il 54,5%
sull'origine e la storia di una ricetta. L'altro elemento che incide
sulla scelta di un locale è la sua politica “green”. Sette consumatori
su dieci sostengono infatti che sia importante che i ristoranti operino
in modo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Il che
significa, per il 37,7% degli avventori, che portino avanti politiche
contro lo spreco alimentare dotandosi di doggy bag o rimpiattini, per il
36,7% che utilizzino materie prime provenienti da allevameni
sostenibili, mentre per il 33,3% che limitino l'uso della plastica. Solo
meno di un italiano su tre rimane totalmente indifferente di fronte a
questo tipo di politiche sostenibili.
UN MARCHIO DOC CONTRO L'ITALIAN SOUNDING
Quello dell'Italian sounding è un problema
che si sta estendendo sempre più e che ormai non vede coinvolti solo i
prodotti italiani. Sempre più numerosi sono infatti i casi di plagio
all'estero dei marchi dei principali ristoranti e delle pasticcerie
italiane più note. Per questo è stato creato il marchio di
riconoscimento “ospitalità italiana”, attraverso il quale il nostro
Paese certifica che si tratta di ristoranti che utilizzano prodotti
italiani e si ispirano ad autentiche ricette italiane con una forte
enfasi sulle cucine del territorio. La presenza è diffusa ovunque,
dall’Europa all’Oceania: il Paese con il maggior numero di ristoranti
certificati sono gli Stati Uniti d’America e la prima città è New York.
In totale, sugli oltre 60mila ristoranti “all'italiana” presenti nel
mondo, solo 2.200 hanno ottenuto questo importante riconoscimento.
DONNE, GIOVANI E STRANIERI. SEMPRE PIU' OCCUPATI NELLA RISTORAZIONE
Secondo l'ultimo censimento disponibile,
sono 336mila le imprese della ristorazione attualmente attive. Sono
112.441 quelle gestite da donne che scelgono in un caso su due di aprire
un ristorante. 56.606 imprese sono, invece, gestite da giovani under
35. Sono infine 45mila le imprese che hanno soci o titolari stranieri.
Nel mondo della ristorazione l'occupazione rimane stabile rispetto allo
scorso anno (1,2 milioni di dipendenti di cui il 52% donne) ma sul lungo
periodo mostra un'impennata notevole, soprattutto rispetto agli altri
settori dell'economia nazionale. Negli ultimi 10 anni fa, infatti, i
posti di lavoro, misurati in unità di lavoro standard, in bar e
ristoranti sono cresciuti del 20%, a fronte di un calo dell'occupazione
totale del 3,4%.
LUCI E OMBRE
Esistono alcune criticità strutturali nel
mercato della ristorazione e alcuni fenomeni recenti. Da un lato il
settore soffre ancora di un elevato tasso di mortalità imprenditoriale:
dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti; dopo 3 anni abbassa le
serrande quasi un locale su due, mentre dopo 5 anni le chiusure
interessano il 57% di bar e ristoranti. Un dato che fa il paio con la
bassa produttività di questo settore: il valore aggiunto per unità di
lavoro è di 38.700 euro, il 41% più
basso rispetto al dato complessivo dell’intera economia. Nel corso degli
ultimi 10 anni il valore aggiunto per ora lavorata è sceso di 9 punti
percentuali. La novità risiede invece nelle piaghe dell'abusivismo
commerciale e della concorrenza sleale. Nei centri storici, nel corso
degli ultimi 10 anni, si è impennato il numero di paninoteche, kebab e
(finti) take away di ogni genere (+54,7%), mentre sono
diminuiti i bar (-0,5%). Il pubblico esercizio deve fare i conti con una
concorrenza ormai fuori controllo. Crescono soprattutto le attività
senza spazi, senza personale, senza servizi soprattutto nei centri
storici delle città più grandi.
“Questo – continua il Presidente Stoppani - dipende da una molteplicità di fattori:
i costi di locazione sono diventati insostenibili, il servizio richiede
personale e il personale costa, gli oneri di gestione, a cominciare
dalla Tari, sono sempre più pesanti. La scorciatoia e' fatta da attività
senza servizio, senza spazi e con personale ridotto all'osso, ed è
favorita da politiche poco lungimiranti delle amministrazioni locali che
consentono a tutti di fare tutto senza il rispetto del principio
“stesso mercato, stesse regole" che per noi è alla base di una buona e
sana concorrenza. La disparità di condizioni non genera
soltanto concorrenza sleale, ma finisce per impoverire il mercato
stesso, la sicurezza dei consumatori e la qualità delle nostre città”.
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