Poco
più di venti minuti per scrivere un pezzo. Vediamo un po’. Amo dire di quel che
intorno c’è. Di quel che mi sfiora. Di quel che mi tocca. Di quel che mi scava
dentro. Di questo (ma anche d’altro) amo dire. E scrivere. Ché (soprattutto)
questo sento. Ché (amo) questo ascolto. Ché poi è questo che sfioro, tocco e
penetro. Stamane –tra l’altro- pensavo al Botswana, al suo miracolo, ai suoi
animali, alla sua gente, ai suoi corsi d’acqua, al suo deserto, al suo essere
senza mare... Ho viaggiato con gli occhi e con la mente in quella terra… E ho
creduto d’esserci. Forse, in realtà, c’ero. Come liberare voce nel cielo. In
quel suo infinito cielo bianco, traversato dal Tropico del Capricorno. Anche se
il mio (tropico) appartiene a quello del Cancro. Henry Miller non c’entra
niente. O, forse, sì. Soltanto un po’. Ché –gira e rigira- c’è sempre un libro
sullo sfondo dei giorni. Ché –gira e rigira- c’è sempre un giorno sullo sfondo
di ogni libro. Stavolta si tratta di un libro umido. No, ve l’ho già detto,
Henry non c’entra. E neppure Anaïs. Anche se questione d’un umore è. Ché il
libro di cui ho appena letto l’ultima pagina trasuda umori per duecentotrentacinque
fogli inchiostrati di parole semplici. E il giallo, misto all’ocra all’arancio
al rosso al verde che si stagliano sull’assente-presente azzurro, inizia sin
dall’inconfondibile copertina -animata dal disegno etnico africano- da sembrare
quasi un batik. Ossia altro. Come tutte le copertine dei libri di questo
Autore. Sempre una nuova esplosione di colori presi in prestito da quello
sconfinato Sud. E di libri Alexander McCall Smith, meglio identificato come
Alexander (R.A.E.) “Sandy” MaCall Smith, ne ha pubblicati, sin’ora, una
sessantina (compresi quelli per ragazzi e una manciata di testi accademici).
Ché “Sandy” è scrittore, ma anche giurista (specializzato in diritto applicato
alla medicina e alla bioetica). Ho già letto qualche suo libro. Piacevolmente.
Di uno (“Scarpe azzurre e felicità”) ho già scritto su queste pagine poco meno
di due anni fa. Quello che ho chiuso ora, invece, è “Le lacrime della giraffa”,
dove il genere (“giallo”) è, tanto per sfuggire all’omologazione, soltanto un
pretesto per raccontare altro. Quella Terra, madre di tutte le Terre e di chi
le abita, dove nulla è scontato e già tesserne trame costituisce di per sé un
mistero più grande di qualunque intrigo letterario inventato. Sicché il
“giallo” perde consistenza nel quotidiano esistere e nei suoi ordinari
problemi, ma –nel contempo- si rimane rapiti da quel primigenio mistero ch’è
l’Africa. La narrazione scorre come solo una scrittura semplice -ma mai
semplicistica- può e possiede il ritmo di chi sa far parlare ogni personaggio con
la misuratezza o l’eccessività proprie del personaggio stesso, riuscendo a
accordare le voci di ognuno nel canto corale della storia descritta, poiché ne
conosce lo spartito musicale (“Sandy” è appassionato di musica, ha co-fondato
la “Really Terrible Orchestra”, di Edimburgo, con la quale dà fiato al suo
fagotto). Protagonista indiscussa del romanzo è, una volta ancora, la signora
Precious Ramotswe, titolare e fondatrice della Ladies’ Detective Agency N. 1,
ma intorno a lei “Sandy” fa muovere una ricca e variegata galleria di
personaggi, nessuno dei quali passa inosservato. Tra i casi di cui la signora
Ramotswe si occupa in questa vicenda, tutti un po’ banali (ma non per questo
meno interessanti: ché l’originalità sta nella soluzione…), ce n’è uno principale:
quello di un ragazzo americano scomparso in Botswana… Com’è mio solito e com’è
ovvio (…), non aggiungerò altro sul punto, tranne che la soluzione del caso
sarà nel luogo natìo dello scrittore, ossia a Bulawayo, nello Zimbabwe, dove la
signora Ramotswe si reca col suo inseparabile furgoncino bianco (un pick-up) da
Gaborone (nel confinante Botswana). In questo, come negli altri libri di
“Sandy” che ho letto, la geografia è importante. Meglio: sono importanti i
luoghi. L’ambientazione, intendo. E Alexander MaCall Smith i luoghi in cui si
snoda la trama dei suoi romanzi la descrive accuratamente, ma senza alcun
appesantimento della narrazione. Ciò ch’è ancor più decisivo per un “giallo”.
Il lettore vede i personaggi dinamicamente nella storia, li vede agire sulla
strada, come nell’ufficio o nel Kalahari… e viaggia insieme a loro. Toccandone
i luoghi. Annusandone gli odori. Percependone i sapori… Questo libro, come gli
altri libri di “Sandy” che ho letto, oltre tutto, è ricco d’informazioni e
–soprattutto- dà modo di accostarsi a un’altra delle tante realtà africane,
diversa da quelle paradisiache (costruite ad hoc) offerte delle agenzie
turistiche e da quelle crude (e più oggettive) descritte da Kapuściński, sì che
il caleidoscopio s’allarga e si può aggiungere un altro tassello alla personale
conoscenza del “luogo dei luoghi”. Se muoverò le natiche sarà per toccarlo
ancora. E respirarlo. E stare. I venti minuti sono passati da un pezzo, ormai.
Ma ho fatto anche altro. Compresi altri incontri. Tra cui quello con un
erotomane perduto. Che non so ancora se si ritroverà. Se troverà quel che cerca. Ma quel che più mi
ha soddisfatto è sapere che (come me) la signora Ramotswe “preparò i resoconti
per l’imminente scadenza fiscale. Quell’anno non aveva fatto grandi guadagni,
ma non ci aveva neanche perso, ed era stata bene, coinvolta in casi
interessanti. Per lei questo contava molto di più che un bilancio decisamente
in attivo. In realtà, pensava, il bilancio annuale dovrebbe includere la voce
, accanto a spese, ricevute e tutto il resto. Nel suo
rendiconto, quella cifra sarebbe stata rilevante, pensò”. Volete sapere perché?
Leggetevi questo libro. Poi, fate i vostri stramaledetti conti. Forse,
congiuntura del cazzo (che –a ben vedere- dura da decenni e ha sempre le stesse
parole politichesi che non significano ormai niente…) a parte, stavolta
troverete (anche) un sorriso… Ah, dimenticavo, se avete trentatré minuti e
ventitré secondi di tempo, ascoltatevi “Don’t Ever Let Nobody Drag Your Spirit
Down” (di Eric Bibb, Rory Block & Maria Muldaur). Perché? Non lo so. A
volte, è inutile cercare la risposta a un interrogativo. Perché? Semplice: ci
sono domande che non hanno risposte!
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