Vi sono dei luoghi dove la spiritualità si percepisce, si sente, si vive
impregnata da secoli di storia e fede; quasi che la memoria e la sacralità
abbiano trovano dimora tra il cielo e la terra, tra il mondo
dell’intelliggibile e il mondo delle creature viventi. Vi sono luoghi unici
talmente unici che potrebbero trovarsi contemporaneamente in ogni parte e allo
stesso momento sembrare angoli che non sono umani ma quasi immaginari o parte
di un Divino il quale si manifesta e concede nella materialità. Vi sono luoghi
divenuti simboli di una millenaria speranza e fede che possono essere gli
stessi del Golgota di 2000 anni fa oppure per magia ed incanto materializzarsi;
come il Golgota che da poco lontano dalle mura dell’antica Gerusalemme a volte
appare quasi per miracolo di fede in un contemporaneo mondo che a volte a perso
il senso del divino e della sacralità. Lo aveva intuito Pier Paolo Pasolini,
che quelle Murgie e quelle pietre memori della vita di antiche civiltà,
testimoni di atti di fede scavate in buie ed umide grotte vi era qualcosa di
misterioso, di pulsante e vivo. Che la fede degli antichi monaci, il misticismo
dei cenobiti arrivati chi sa da dove, forse dall’antica Bisanzio è vivo,
presenza discreta ma pregnante e si percepisce, si vive, aleggia e impregna
quei paesaggi senza età, quasi che la
Storia si sia fermata. Mater Sacra, Madre Sacra o anche
Matera Sacra, perchè no in quei sassi con le sue centinaia di chiese scavate
nella roccia, con gli affreschi della vite dei Santi, con le testimonianze di
vite dedicate alla contemplazione ed alla vita monastica. Sì Matera sembra
essere un ponte invisibile verso il Cielo; può essere la Città del Bareoso e allo
stesso tempo il Golgota, reale e vivo, vero e concreto dove vi è il centurione
Longino, il custode del calice Giuseppe di Arimatea, il centurione Longino che
trafisse il costato come ricorda il Vangelo di Giovanni “ ma uno dei soldati
gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. » . E Mater
ridiventa ancora una volta il luogo della Passione di Cristo, tra luci, ombre,
l’oscuro della notte ove fa capolino imprevista ma suggestiva una Luna piena da
sembrare irreale nel suo splendore; deux ex machina non previsto dall’abile
regia di Gianpiero Francese; ma gradita perchè segno di una natura che ha
voluto partecipare alla suggestiva sacralità messa in opera dal regista
lucano. Se la Murgia lucana si è scoperta
essere un pezzo di Terra Santa tra le magie dei giochi di luce, le musiche
portanti allo stesso tempo ammalianti, foriere di brividi e viatico nel vivere
il dramma del Calvario nel suo messaggio di speranza ed umanità. Ogni
particolare, ogni carattere, ogni personaggio caratterizza quel mistero della
fede dove l’Uomo morì per Risorgere quale estremo sacrificio per una Salvezza degli
uomini. Pietro il pescatore e suo fratello Andrea, Giovanni il Prediletto,
Giuda Taddeo, Giacomo, Filippo, Tommaso, Bartolomeo, Matteo, Simone lo Zelota e
Mattia: gli undici apostoli; e le pie donne e lei la madre dell’uomo ma Mater
Sacra Maria. Universalità e senso del Sacro oltre le religioni, un messaggio
ecumenico di fratellanza e amore che il regista Francese è riuscito ancora a
offrire tra emozioni e empatia; una drammaturgia dei sentimenti e delle
sensazioni quella creata dai 50 figuranti, lo spettatore ad un tratto non
sapeva se fosse nella Palestina di Re Erode oppure nei Belvedere lucano
dell’antica Matera: luogo senza tempo, tempo senza dimora , un passato che vive
e pulsa nelle sensazioni dello spettatore. Sarà la magia dell’arte, l’abilità
dei doppiatori e dei figuranti, forse anche l’armonia e i bassi e gli alti
delle musiche forse è tutto questo, forse anche altro; qualcosa di
inpercepibile, ma così materialmente concreto che Francese riesca a trasmettere
nelle sue opere – spettacoli è limitativo- un affresco di percezioni e
sensazioni spaziando dalla meraviglia, dalla malia della drammaturgia, dal
rapimento dell’animo nelle luci, suoni, odori, voci. Chissà anche l’energia di
secoli di storia e di uomini, donne senza volto e senza nome che impregnano
quel luogo poliedrico di era e spazi; un’Alchimia di commozione, contemplazione
ed estasi; caratteristiche della drammaturgia di Francese. (foto Pino Losignore)
(L'articolo è stato pubblicato sul Quotidiano della Basilicata domenica 15
aprile 2012)
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