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domenica 3 ottobre 2010

Il giorno della Iena di Stefano Lorefice edito da Eumeswil












Stefano Lorefice classe 1977, non è alla prima esperienza editoriale e lo si vede. Ha una bibliografia discreta se si pensa che ha già alcune pubblicazioni sulle sue spalle e anche con marchi editoriali di tutto rispetto. Penso a “Cosmo blues Hotel” e Budapest Swing Lovers” (Edizioni Clandestine), “Prossima fermata Nostalgiaplatz” (Clinamen), e “L’esperienza della pioggia” (Campanotto). Ora questo suo ultimo lavoro esce per le splendide edizioni Eumeswil, ed ha per titolo “Il giorno della Iena”. Ribadisco splendide per la cura dell’intera veste editoriale e per la scelta della grammatura della carta che rendono il tutto un “pacchetto” niente male. Le prime pagine traggono in inganno: già perché il tutto (e anche la copertina) lascerebbero presagire che si tratti di un noir. Sinceramente ritengo che questo lavoro non appartenga al genere in questione per una serie di aspetti su cui non mi dilungherò troppo ma che è bene sottolineare. Sembra che l’autore racconti delle vicende che molto hanno a che spartire col noir, anche se poi vi sia una volontà sotterranea che desideri tendere la struttura intera della narrazione verso qualcosa di più metafisico e onirico. Mi spiego meglio! La serie di personaggi che Lorefice descrive tra le pagine de “il giorno della Iena” sono estremi nel loro essere per la storia, quasi pulp, ma nessuno riceve una marcatura profonda che lo caratterizza psicologicamente e tutto pare rimanere allo stato d’ombra. E questo non è un difetto semmai un pregio di un raccontare storie che (secondo l’io narrante) debbono rimanere come semi nascoste da un velo, perché la nostra risposta emotiva sarebbe devastante. A rigor di logica poi, e questo denota una simmetria architettonica nel plot, anche il finale sembra tracciato sommariamente, perché non deve risultare definitiva. La vicenda o meglio le vicende, vedono come comparse un’omicida col colletto bianco, una ballerina parigina, un uomo-pillola, un angelo custode vestito di nero, uno scrittore di testi per emittenti radiofoniche e qualche altro fantasma che il lettore scoprirà pagina dopo pagina. Bel libro, e mi sento di consigliarlo caldamente perché non risparmia forti emozioni con una scrittura forte e decisa. In tutta questa dimensione umbratile consiglio le scenette esilaranti di Lomo, l’uomo-pillola ( un inetto a tutto tondo) con il suo sogno di andare a Londra e una laurea che sembra non arrivare mai.

sabato 2 ottobre 2010

Il libro del giorno: Radiazione di Stefano Jorio (Minimum Fax)














Estate 2004. A Roma, tra le innumerevoli stanze di un Ministero, il Servizio Opere d’Arte prepara pigramente l’inaugurazione di una grande collezione d'arte contemporanea. Ma come mai di alcuni dipinti, pur formalmente archiviati, sembra non esserci più traccia in magazzino? E cosa c’entra tutto questo con il più famoso quadro di Munch rubato dal museo di Oslo? E con la guerra in Iraq, ennesima corsa all'oro (nero) in cui l'Italia si è lanciata con la scusa della missione umanitaria?

Sarà un trentenne appena assunto al Ministero - un pesce fuor d'acqua, un anarchico, o forse solo una persona normale in un mondo rovesciato - ad addentrarsi nella cortina fumogena di tutti questi misteri. Tormentato dal ricordo del suo amore perduto (la bellissima Wibke) e aiutato da Carl (un giovane teologo tedesco di stanza in Vaticano, di giorno alla corte del cardinale Ratzinger, di notte in giro per Roma a consumare amori omosessuali), attraverserà un labirinto fatto di persone logorate dalla corruzione, fino a trovarsi faccia a faccia con la più sconvolgente delle verità. Capace di coniugare una trama trascinante con una scrittura calda, robusta e raffinatissima, Radiazione è molte cose insieme: thriller internazionale all'ombra del Vaticano e del Quirinale, romanzo d'amore e d'amicizia, specchio e metafora di un Paese in via di disfacimento.

MAHAYAVAN-RACCONTI DELLE TERRE DIVISE. Intervento di Alessia e Michela Orlando












Come si amano gli abitanti di Mahayavan? Quali sensibilità si scambiano? Come previsto, è stata appena pubblicata l’antologia Mahayavan-racconti delle terre divise. Abbiamo già letto i due racconti che precedono il nostro, IL FIGLIO DEL FUOCO, trovandoli straordinariamente belli. Con soddisfazione abbiamo anche individuato strane, oseremmo dire magiche, concordanze. Si tratta dei racconti di Stefano di Marino, LO SPADACCINO CON UN BRACCIO SOLO, e di Fabio Calabrese, IL TRONO DI LLOGRA. La soddisfazione va contenuta, per non incorrere nel peccato di eccessiva felicità, considerando l’importanza dei due nomi. Naturalmente ci riserviamo di riparlarne in altra sede, quando avremo letto tutti gli altri racconti. Ci limitiamo, pertanto, a dire qualcosa del nostro racconto; anzi, a porci una domanda: che accade nella città di Lu-Sinh quando, finalmente, un capo guerriero si ricongiunge con la propria compagna, dopo aver affrontato vicende sconvolgenti? La loro vicinanza scatena reazioni diverse da quelle vissute dai terrestri dopo una lunga lontananza? Come si amano gli abitanti di Mahayavan? Quali sensibilità si scambiano?

Dal nostro racconto IL FIGLIO DEL FUOCO, pagine 50-51:

“Antefatto. Finalmente, dopo una avventura incredibilmente suggestiva, Isy-Tdhor Maha-Ria, lo scienziato e Comandante dell’Esercito Stabile della capitale Lu-Sinh, ritorna alla sua città. È atteso dal popolo in festa e dalla compagna Vy-Gya-Thy-davy. Giunge a casa e … I due oggetti del desiderio reciproco si accostano sempre più, assaporando insieme la Pinh-Za-re, ognuno dalle mani dell’altro; poi si unificano in un abbraccio, fatto di scambio potente di energie senza movimenti e scambio delle pulsazioni ancestrali, attivate dall’accelerazione di ogni particella dei corpi-contenitori. (…) Lo sguardo di Isy-Tdhor Maha-Ria è fisso sul fianco perfetto della compagna. Gli occhi stanno per chiudersi. All’improvviso qualcosa ravviva l’attenzione di Vy-Gya-Thy-davy, come se un inatteso pensiero percorresse la mente, segnandola di lieve dolore. La reazione del corpo è contenuta nella appena accennata agitazione del profilo dei seni. Al Comandante basta per capire che sta per girarsi, che intende parlargli, che ha da chiedergli qualcosa. «Cosa ti turba, vibrazione estasiante del mio tempo? Cosa mi nascondi, riflesso dorato del mio mondo? Quale fardello non riesci a scaricare , mio unico suono desiderato? Darei tutti i Pan prodotti dalla nostra zecca dalla notte dei tempi, tutto l’oro e l’argento estratti nelle miniere della Terra di Mahayavan e l’energia occorrente per far vivere tutto ciò che ci circonda, quindi darei la vita per poter essere messa a parte di quell’unico pensiero che ti ha distratto per un attimo…». «No, nella mia mente l’orizzonte è stato piatto, ho sempre e soltanto immaginato una linea perfetta a trecentosessanta gradi tutto attorno a noi. Non mi ha turbato nulla, e quella monotonia mi ha dato modo di consegnarmi integralmente a te. Così ho potuto darti tutto, tutta l’energia che possedevo, come ho sempre fatto.»

«No, no, mio Comandante, non c’eri tutto nel mio grembo, non mi hai dato tutte le vibrazioni, non hai intercettato pienamente con la tua energia esplosiva il mio punto Dagy-Gy. Alla tua carica vitale hai sottratto una infinitesima parte, ma è accaduto. Ricordi quando mi spiegasti l’intensità della luce del nostro sole? Ricordi che non capivo quelle misure assurdamente piccole per dimostrare l’esistenza di spazi infiniti? Ebbene, utilizzasti un granello di sabbia come esempio. Dicesti che uno sottratto alla nostra rara sabbia d’oro, misura circa duecentocinquanta micron e che le particelle di luce sono molto meno. Ebbene, l’energia che mi hai sottratto è ancora meno, ma l’ho sentita, e mi resta quel senso di vuoto incolmabile.» Isy-Tdhor Maha-Ria, colpito dalla determinazione e dalla delicatezza delle parole di Vy-Gya-Thy-davy, la fissa e si lascia andare. «Ti dirò cose che dovrei spiegare, ma che neppure io sento di dominare. Avverto la sensazione di un nuovo organo impiantato in una zona del corpo ignota, senza poterlo scrutare, analizzare. Avverto la sensazione di un dondolio, come di onde del mare mosse ritmicamente, senza la possibilità di modificare la velocità; è una situazione mai vissuta prima. Sento rumori che non hanno età, come fossero da sempre e per sempre identici. Intuisco desideri che non ho mai avuto e che non so descrivere. Vorrei essere su una spiaggia, scavare, sentire la diversa temperatura man mano che affondo le mani, raccogliere la sabbia, e costruire un castello. Ma non so per chi e che senso abbia farlo. Per questa incapacità di capire vorrei perdermi in un riflesso di indaco e lasciarmi trasportare fino ai margini del mondo che vediamo. Forse da lì potrei avere la visuale giusta, potrei svelare il mio mistero.» Vy-Gya-Thy-davy abbassa lo sguardo, scuote la testa e torna a guardarlo negli occhi. «No, mio Comandante, non hai mai parlato così, non dici il vero.» Stavolta Isy-Tdhor Maha-Ria è ferito. Attira la compagna a sé. «Hai ragione. Ho paura. Ma per vivide sensazioni che non ho mai provato. In realtà vorrei fuggire trasportato da un riflesso di indaco. Io vedo il mio corpo sommerso in un liquido, eppure sto bene; poi lo sento spinto da una violenta massa liquida attraverso una grotta strettissima; lo vedo eruttato in uno spazio infinito, tra grida di dolore, e lo vedo affogare nel vuoto, dove dovrei invece stare bene. Infine mi ritrovo sotto una massa incandescente, un fuoco incombente e una forza improvvisa che mi strappa. Ma non sento gioia e piacere per la conseguita salvezza. Io muoio in quel momento.»

«Sì, adesso dici il vero. Anche stavolta sono costretta a dirti che non hai mai parlato così. Ma dici il vero. Non dovresti più aver paura: sei a casa tua, con la tua compagna, con il tuo popolo e con il tuo reggimento vicini. Nessuno è più al sicuro di te (…).»

Edizioni Scudo - http://www.innovari.it/mah.htm

venerdì 1 ottobre 2010

Il libro del giorno: Ho perdonato Hitler di Pietro G. Moretti (Eumeswil)




















Giuditta è una bella tredicenne ebrea di Bologna. Conoscerà l'orrore di Mauthausen dove, nonostante la giovane età, finisce nel bordello del campo. Patisce la fame, sarà torturata. Tutta la sua famiglia viene sterminata. Lei sopravvive e ritorna nella sua città. Dopo qualche anno mentre è in motorino con il fidanzato ha un incidente e finisce nell'aldilà: non in paradiso e neppure all'inferno. Qui, fra i milioni di anime, incontra quella di Hitler. Con il Fuhrer ha uno scontro verbale violentissimo. Lui non si pente di quello che ha fatto e anzi ribadisce il suo odio per gli ebrei. Alla fine Giuditta, nonostante tutto, trova la forza di perdonarlo. Non tutte le vittime di Hitler, però, sono disposte al perdono. Anna Frank è fra queste. Giuditta tuttavia non è morta. Era in coma e il viaggio nell'aldilà forse è solo stato un sogno. Ritorna alla vita e decide di scoprire perché Anna Frank non ha voluto perdonare Hitler. Per trovare una risposta inizia a viaggiare alla ricerca della sola persona che può darle una spiegazione. Sarà un viaggio avventuroso e, alla fine, rivelatore.

Da "Sotto un cielo cremisi" a "Devil Red" di Joe R. Lansdale (Fanucci)























Il tempo trascorre inesorabile e i primi capelli bianchi quando cominciano a imbiancare le tempie (nonostante i tuoi 35 anni) ti portano alla mente tutta una serie di tappe fondamentali della tua vita che ti hanno fatto diventare ciò che sei. Ma la tristezza più grande è che scopri che anche i tuoi eroi preferiti cominciano a invecchiare e scopri che Batman, Superman, Lanterna Verde, in una parola tutta la DC comics compie 75 anni. Ti vengono gli scrupoli di coscienza e ti dici che se continui a comprare fumetti forse sei un “bamboccione”, uno di quelli che ammorbano ancora le finanze di mamma e papà. Cosa fare? Compensi! Continui a comprare fumetti, ami gli eroi che sempre hai amato, e ne scegli di più maturi. Io ho cominciato ad amare da subito Hap e Loenard da quando vengono ingaggiati da una loro vecchia conoscenza Marvin Hanson, perché Gadget, la nipote di Hanson, ha perso la testa per uno spacciatore che la sfrutta per i suoi porci comodi. Io ho cominciato ad amare da subito Hap e Loenard da quando si sono passati i loro cinque minuti all’inferno con un killer spietato e leggendario, chiamato Vanilla Ride, che ha sconvolto le loro vite. Parlo del grande Joe R. Lansdale e del suo “Sotto un cielo cremisi”. Ora il grande Lansdale mi fa amare ancora di più Hap e Leonard, che tornano in libreria grazie a Fanucci, con “Devil Red” tumultuosa avventura ai limiti della legalità, ai limiti del noir, al limite della deriva. Già, perché i due vengono presi di mira da una setta di pseudo/vampiri, da un degno successore di Vanilla Red, ovvero Devil Red, e se questo non bastasse dalla Dixie mafia. Anche in Devil Red viene ampiamente riconfermata la bravura immensa di un autore come Lansdale che riesce a inchiodare il lettore su ogni pagina. Inquieta il senso di violenza, nevrosi, psicopatologia ossessiva e oppressione claustrofobica che anima questo lavoro, dove le tonalità più forti vano da un grigio plumbeo a piccole ma intense scie rosso sangue. Chi ama i libri dal tono “nudo e crudo” questo fa per loro, e soprattutto non saranno delusi da un’opera che promette l’ingresso in un mondo le cui brutture non si vorrebbero mai vedere. Quale? Ma il nostro naturalmente dove la realtà sembra il gioco perverso di un maniaco omicida.

Joe R. Lansdale (1951) è autore di oltre venti romanzi e più di duecento racconti. Ha ricevuto moltissimi premi e riconoscimenti, tra cui l’Edgar Award per In fondo alla palude (Fanucci, 2002) e il Bram Stoker Horror Award (sei volte). Per Fanucci Editore, che oggi pubblica in esclusiva le sue opere, sono usciti anche i romanzi Atto d’amore, Freddo a luglio, L’anno dell’uragano, Il lato oscuro dell’anima, L’ultima caccia, Echi perduti, Freddo nell’anima, Il valzer dell’orrore, La ragazza dal cuore d’acciaio, Fuoco nella polvere, La morte ci sfida, Il carro magico e le antologie di racconti Maneggiare con cura e Altamente esplosivo. Nel 2009 Fanucci Editore ha pubblicato Sotto un cielo cremisi, e nel 2010 Devil Red, entrambi parte della fortunatissima serie di Hap e Leonard

giovedì 30 settembre 2010

Il libro del giorno: Guida pratica al sabotaggio dell’esistenza Romanzo di Roberto Mandracchia (Agenzia X)


















La cosa che ci annienta è che non abbiamo ancora vissuto niente e già non ne possiamo più.

L’amore è solo violenza, la famiglia psicosi, la religione brutalità, le droghe fuga sedante, l’unica ideologia possibile rimane il nichilismo estremo. Vittima di un patologico desiderio per Marta, abbandonato dall’amico Gero e in preda a una potente crisi d’astinenza da eroina, al protagonista restano solo nove giorni prima di morire. Sul palcoscenico di un’immutabile Sicilia soffocata dall’apatia va in scena la rappresentazione dei suoi traumi. Il padre gli insegna a leccare le mutandine delle amanti, il catechista lo molesta, la madre tenta il suicidio immergendosi in una vasca colma di Coca-Cola e alle feste si finisce per pisciare blu. Dalla nebbia onirica della follia affiora una vicenda grottesca che mischia sadismo e comicità: un Gesù Cristo che lo deride fumando sigarette, Van Gogh, Pirandello e Keith Moon che mortificano le sue aspirazioni artistiche, torture cilene che diventano atto d’amore e una pistola Bodeo che compare e scompare. Al sabotaggio dell’esistenza mancano nove giorni, ne mancano otto, sette...

“Questa postfazione l’ho sognata. C’erano immagini di Marta che parla di Dio come di un maniaco sessuale, che si sistema una ciocca dietro l’orecchio, che chiude gli occhi mostrando le poesie sulle palpebre.”
Gianluca Morozzi

Roberto Mandracchia è nato nel 1986 ad Agrigento. È redattore della rivista “Terranullius - Scritture a sorgente libera”. Ha pubblicato racconti su diverse antologie e riviste letterarie. Questo è il suo primo romanzo.

pp. 160

Gianfranco Manfredi TECNICHE DI RESURREZIONE GARGOYLE BOOKS. Tecniche di recensione e memoria. Intervento di di Alessia e Michela Orlando












L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Milan Kundera.

Scrive Paul Bowles: La vita non è movimento da e verso qualcosa, neppure dal passato al futuro. Tutta la vita è uguale a ogni sua parte. Non c’è somma. La vita, dunque, la si definisce anche in chiave sganciata dai canoni consueti; ma la letteratura, quella con la elle maiuscola, che è espressione vitale, nata da una mente contemporanea e che si inserisce nella produzione di mille o di poche altre menti superlative del passato, quali connotati assume? Cosa ne increspa e fa avvizzire la pelle, ne riduce il fascino, la calcifica, la incenerisce, la fa buttare nel dimenticatoio? E cosa la può riportare in vita, in quale giorno può risorgere, tornar di moda, appassionare nuovamente, invadere altre forme di comunicazione che siano essi il cinema, la televisione, You Tube l’iPad e così via? Domande affascinanti, tutte, ma qui rilevanti come mero stimolo di analisi, di approcci, che ci avvicinano a un libro, per una comprensione immediata del suo peso specifico, rimandandoci al titolo; domande cui non occorre dare risposta immediata, non prima di dar modo di farlo a chi abbia in desiderio di farlo, di aver letto ciò che ci narra Gianfranco Manfredi. L’architettura stilistica e l’intreccio delle vicende esposte confermano la maestria dell’autore, che è notissimo artista a tutto tondo, nonché prolifico agitatore di coscienze e produttore di stimoli, domande, casi risolti come di ambientazioni da incubi adorabili. Altrettanto significative sono le vicende che in gergo teatrale si definiscono come trama non esposta, ovvero quelle che si intuiscono e si leggono in controluce, cosi come si può vedere, attraverso i cristalli di gelo, la forma degli alberi scuri. Si tratta di un ulteriore intreccio finemente intessuto, tanto da rappresentare lo stimolo a ulteriori letture che, nel mentre aiutano a risolvere ciò che ancora ti appare enigmatico e coperto dal fascino del mistero, ricreano innovative condizioni di interesse. Alla nostra seconda rilettura, seguendo le vicende, tra i tanti altri, dei gemelli Aline e Valcour de Valmont, ci è parso di comprendere e svelare un mistero: il quadro che dipinge Gianfranco Manfredi non è prodotto con l’uso del solo pennello, quello della penna fine che scende nei particolari e arricchisce il testo con note pertinenti. Egli usa anche la spatola, lo strumento che aggredisce la materia grassa pigmentata, che spalma il colore con apparente casualità, per delineare ciò che deve saltare agli occhi con immediatezza. In questo caso usa strumenti che influenzano i miti popolari, li infetta con lo stimolo del dubbio (elemento colto anche da Sergio Pent in “Tutti libri” de La Stampa, citato in quarta di copertina) e, dunque, ti costringe a riflettere di nuovo sul magma della cultura, così come ti accade nell’ammirare un quadro in cui l’autore è intervenuto con la spatola: il colore non è mai esattamente decodificabile; lo spessore che ci restituisce l’immagine che aveva in mente l’artista, è stata in realtà rielaborata con geometrica e fantasiosa esattezza; è così che può gettare ombre sempre diverse sui particolari; cosicché lo guardi-rileggi mille volte, e ogni volta scopri elementi fondamentali che ti erano sfuggiti. Si tratta di ulteriori stimoli che rimettono in campo il desiderio di leggere, leggere, leggere ancora, fino alla fine del tuo tempo o almeno fino a che non ti addormenti, e la trama ti pervade in altre dimensioni. Tutto ciò aumenta il fascino dell’opera e ti segna. Ma, così come il quadro, ogni quadro, risente ed è fatto anche dalle luci, quando smetti di leggere, così come quando smetti di sognare e ti risvegli, ti ritrovi con un sorriso di piacere, che ti riconcilia con la parola scritta. Si tratta di uno stato in cui stai ri-scoprendo che se non poche volte le parole sono solo vuoto, qui ogni parola è agganciata a sensi, ad oggetti, a realtà, a sogni, a bisogni, ad altri sensi letterari. È un libro, Tecniche di resurrezione, che acuisce molte forme di memoria, tra cui quella delle cose e dei luoghi, quella che arricchisce e contribuisce alla formazione di una identità europea, quella dei corpi e di ciò che permea le menti e la psiche dei lettori. È così che Gianfranco Manfredi, con la sua ultima opera, ovvero con ciò che escogita al ritmo dei fuochi pirotecnici, ti avvince, costringendoti a buttare alle ortiche i dubbi sulla giusta tecnica da adottare per recensirlo. E non si limita a ciò, giacché, infine, scopri che riesce a riempire mille vuoti; e forse scongiura anche l’idea affermata da Saul Bellow: Il continuo spazio-temporale reclama i suoi elementi pezzo per pezzo, poi ritorna il vuoto.

Dalla Introduzione. Prima di Frankestein, di Carlo Bordoni.

Quando si pensa a Frankestein, si pensa al primo romanzo in cui si tratta della vita dopo la morte o, meglio, della resurrezione post-mortem per effetto di una tecnologia umana. Una sorta di apoteosi dell’uomo che, grazie alla scienza, è in grado di ridare la vita a un corpo inerte; l’uomo che riesce a realizzare il suo sogno profondo, quello di appropriarsi del potere divino di dare la vita. Ci avevano già provato gli antichi con la magia, la cabala e la stregoneria, non riuscendo ad oltre il Golem ebraico. (…) Dopo aver letto Tecniche di resurrezione, Frankestein non sarà più lo stesso. Lo vedremo in una luce diversa. Questo è, in verità, l’effetto perverso di quello che Borges ha definito l’anacronismo deliberato: “che cosa succederebbe se l’Odissea fosse posteriore all’Eneide?”. Tecniche di resurrezione ci fornisce una prima inquietante risposta.

L’incipit. 1. Teatro Anatomico

La carrozza procedeva a strappi, imbottigliata nel traffico. Valcour sporse la testa dal finestrino. Il carro dei netturbini ostruiva la strada. Sovraccarico di blocchi di neve ghiacciata, a ogni scossone riversava fuori la porcheria appena raccolta dai marciapiedi. L’ultima frase, prima di una Nota finale in cui Gianfranco Manfredi dà conto della fine dei molti personaggi storici, tanti quanti mai aveva addensato in nessuno dei suoi romanzi precedenti. Solleva lo sguardo al cielo. Un falco sta volteggiando, lassù, sopra le loro teste. Poi punta in alto, diritto verso il sole, e scompare inghiottito dalla luce.

L'illustrazione: copertina di Tecniche di resurrezione. La foto è di Luca Viggiani

mercoledì 29 settembre 2010

LEGA-LAND - Miti e realtà del Nord Est. Di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi. Presentazione di Massimo Carlotto (Manifestolibri)













Il celebrato modello veneto è andato in tilt, nel gioco sfacciato dell’economia e della politica. Fra il tramonto del “sistema Galan” e il deragliamento della “locomotiva” nord-estina, non affiora soltanto l’ultima generazione leghista, svezzata da vent’anni di “serenissima” ideologia. Il Veneto continua a sfornare contraddizioni stridenti, storie e personaggi emblematici, perfino movimenti sociali che contraddicono ogni “modello”. Questo libro costituisce un viaggio-inchiesta attraverso i tanti volti del Nord Est: dalle schiave dell’immondizia nei capannoni postindustrali al business che ruota intorno ai finanziamenti europei, agli eco-mostri messi in cantiere dagli interessi immobiliari. Come evidenzia lo scrittore Massimo Carlotto, “il Veneto di domani è un affare ultramiliardario che ora passa nelle mani del governatore leghista Luca Zaia e del suo partito”.

GLI AUTORI:

Sebastiano Canetta (1972), è un giornalista free-lance che ha svolto inchieste nel Nord-Est e in Medio Oriente.

Ernesto Milanesi (1961), giornalista e collaboratore del manifesto, ha pubblicato numerosi reportage e raccolte di articoli.

Il libro del giorno: IL GIORNO DEI MORTI di Maurizio De Giovanni (Fandango)


















“La prosa di de Giovanni possiede certamente un invidiabile ritmo, tipico del genere; pure è tornita, pulita, ricca di chiaroscuri e sottigliezze. Guarda insomma a Simenon, al Chandler più intimista.”
la Repubblica

Il commissario Ricciardi è il protagonista indiscutibile della scena criminale della Napoli anni Trenta. I casi che prende in consegna vengono risolti con abilità e precisione che lascia sconcertati i suoi colleghi e le istituzioni. A non tutti piace questa sua capacità che si dice sia innaturale, dettata addirittura dal demonio. Certo Ricciardi ha dalla sua un dono, quello di ascoltare le ultime parole del morto assassinato nel luogo del delitto. Un’abilità divinatoria che lo inserisce quasi in una categoria stregonesca. Eppure a volte neanche questi mezzi sembrano bastare di fronte ai misteri di certi crimini. Il Giorno dei Morti viene rinvenuto il cadavere di un bambino. Ricciardi è allertato e parte subito con la ricerca degli indizi. È un’indagine che però nasce in nefaste condizioni. Le autorità fermano ogni tipo di inchiesta perché sta per arrivare in città Benito Mussolini. Non è il caso di distogliere l’attenzione e a Ricciardi viene sottratta la pratica. Al giovane e coraggioso commissario toccherà indagare in modo clandestino, ma soprattutto dovrà indagare senza alcun indizio perché nel luogo del delitto, per la prima volta non viene avvertita alcuna voce. A questo punto un interrogativo: ha esaurito il suo dono oppure quel bambino non è stato ucciso lì?
Maurizio de Giovanni torna con la sua voce inconfondibile e le atmosfere di una Napoli ipnotica e affascinante
al quarto romanzo sul commissario che di storia in storia conquista e avvince sempre più lettori.

Maurizio de Giovanni è nato nel 1958 a Napoli, dove vive e lavora. Ha scritto Il senso del dolore (Fandango Libri 2007), La condanna del sangue (Fandango Libri 2008), Il posto di ognuno (Fandango Libri 2009). La serie del commissario Ricciardi è stata già venduta in Germania e in Francia.

Roma: anteprima assoluta per Black Wade alla fiera Romics L'atteso fumetto gay in anteprima a Roma, sarà poi ufficialmente presentato a Lucca Comics
















Grande anteprima a Romics per “Black Wade”, l’attesissimo fumetto di Franze & Andarle pubblicato per la prima volta in Italia dopo il grande successo ottenuto nel resto d’Europa. Allo stand Edizioni Voilier, dal 30 settembre al 3 ottobre presso la celebre fiera romana “Romics”, sarà possibile acquistare le primissime copie del capolavoro gay-erotico dove i pirati sono protagonisti assoluti. Il fumetto, dopo l’anteprima a Romics, sarà presentato poi ufficialmente a Lucca Comics & Games (29 ottobre – 1 novembre 2010) dove allo stand Edizioni Voilier sarà anche presente Franze, uno degli autori, per la firma degli albi.

Black Wade – The wild side of love é probabilmente il primo vero fumetto che riesce a mixare il tema omoerotico con una perizia tecnica professionale di grande impatto. Pubblicato in contemporanea dalla Gmunder (in inglese per il circuito internazionale) e dalla H&O per il mercato francese, questa vera e propria graphic novel omoerotica realizzata dal duo Franze & Andarle (italianissimi nonostante i nomi), divenuta estremamente popolare in Europa, arriva finalmente in Italia grazie ad Edizioni Voilier.

Con Black Wade, Edizioni Voilier apre al genere erotico e lo fa con una nuova collana e con una scelta coraggiosa per il mercato italiano: una storia di erotismo gay, di pirati e uomini di mare. Tutto parte quando Jack Wilkins, aiutante luogotenente della Marina Inglese in procinto si sposarsi con una giovane nobildonna, viene rapito dal selvaggio capitano Black, fondamentalmente al fine avere un nuovo giocattolo con cui passare il tempo fra un arrembaggio e l’altro. Quello che Black e Jack non si aspettano, però, e che l’intesa sessuale possa iniziare a trasformarsi in qualcosa di più, e così Black decide – a malincuore – che è meglio separarsi da Jack prima che sia troppo tardi per entrambi. Tornato fra i suoi pari Jack riprende i preparativi per le nozze, ma poco prima della cerimonia viene a sapere che Black è stato catturato dalla marina inglese. Questo rimette tutte le carte in tavola… Jack manderà a monte il suo matrimonio per salvare Black? Per scoprirlo non resta da fare altro che perdersi fra le magnifiche tavole di Black Wade, un vero e proprio spartiacque per questo genere, nonché uno dei fumetti omoerotici meglio realizzati in assoluto.

INFORMAZIONI PER LA STAMPA:

Materiale per interviste e copia per recensioni da richiedere a info@edizionivoilier.com

martedì 28 settembre 2010

Il libro del giorno: La camera chiusa di Maj Sjöwall e Per Wahlöö (Sellerio)





















È una giornata assolata a Stoccolma e in una banca del centro riesce una rapina solitaria. Autore, sembra, una donna giovane. Questa, in fuga con il ricco bottino, ha fulminato con un colpo di pistola il solito che cercava di fare l’eroe. «Bulldozer» Olsson, entusiasta ed accanito procuratore, è sicuro che il colpo sia parte di un elaborato piano criminoso. Dietro questa ipotesi sguinzaglia la squadra speciale. Lo stesso giorno, Martin Beck, appena uscito da una lunga convalescenza e moralmente a pezzi come il suo matrimonio, da solo, senza i suoi, inizia a indagare su uno strano fatto. Un cadavere è stato rinvenuto in un monolocale: un anziano indigente, una pallottola gli ha spaccato il cuore. La camera è internamente chiusa, e il caso si avvia ad essere frettolosamente archiviato come suicidio; ma allora, dov’è l’arma? Metodico, implacabile e triste, mentre gli altri elaborano trappole clamorose, Martin affronta l’enigma da camera chiusa. Nessuno crederebbe che la rapina e il cadavere misterioso siano le due facce dello stesso imbroglio. Solo lui e forse perché si sente anch’egli dentro una camera chiusa. Per chi volesse conoscere cosa sia davvero «il poliziesco procedurale» e perché Sjöwall e Wahlöö ne sono considerati il re e la regina, questo nuovo romanzo della serie è la lettura adatta. C’è il coro rumoroso dei poliziotti, con le loro capricciose personalità; c’è la galleria variegata dei personaggi; e c’è la razionalità di un’indagine dalla logica metodica. Ma dominano soprattutto le combinazioni impreviste prodotte dal fattore umano e la capacità del commissario di entrare nel cuore di esistenze quotidiane. E tra le righe, la frusta, sempre ironica e pietosa, della denuncia sociale di questi celebrati fondatori di un genere, convinti in modo conseguente che, insomma, svaligiare una banca sia un crimine meno grave che fondarla.

Maj Sjöwall (1935) e Per Wahlöö (1926-1975), compagni nella vita, hanno scritto la serie dei dieci romanzi di Martin Beck: tradotta in una trentina di lingue e soggetto di film e telefilm. Una collaborazione con un fine anche politico: la denuncia della società neocapitalistica svedese. Questa casa editrice ha pubblicato Roseanna, L’uomo che andò in fumo e L’uomo al balcone (ora raccolti anche nel volume I primi casi di Martin Beck della collana «Galleria»), Un assassino di troppo, Il poliziotto che ride, L’autopompa fantasma, Omicidio al Savoy e L’uomo sul tetto.

La notte dell’Aquila, di Romolo Di Francesco e Maria Grazia Tiberii (Dario Flaccovio Editore). Intervento di Nunzio Festa











Con “La notte dell’Aquila” i teramani Romolo Di Francesco e Maria Grazia Tiberii affidano a una ricerca la loro vocazione inzuppata nell’amore per la loro terra d’origine. E scavano sotto le macerie, anche loro, del terremoto che il 6 aprile 2009 diede una manciata enorme di morte all’Abruzzo; dalla quale, persino, il popolo abruzzese non riesce – e il tempo è ancor stretto – a reagire: nonostante, ovviamente la rabbia d’un popolo (già vessato da questo tipo di sciagura) che comunque spinge la propria importante vita oltre il dramma dei problemi storici e quotidiani, politici ed economici. Michela, Maria, Luigi, Tommaso, Rosa, Rino, Cristiano, Paolo ed Erica “non” sono che i rappresentanti di questo senso di riscatto: cittadini in lotta: persone, al di là d’un nome che non risponde alle grinfie dell’anagrafe persino crollata col sisma, torturate dall’evento e che resistono nell’odierno. Di Francesco e Tiberii le loro storie hanno voluto raccogliere. Quasi a margine, ma che è assolutamente dentro, una tragedia raccontata dalle mosse d’un suolo che deve le sue vibrazioni addirittura all’ordine preistorico, a 4.6 miliardi di anni fa. Una geologia messa in stretta relazione e a contatto tutt’altro che forzato con, poi, i passi della storia. I “personaggi” del volume, quindi, sono Michela Maria gli altri e il territorio aquilano. Persino le placche in avvicinamento. Oltre che, naturalmente, un annuncio dell’evento che il 6 d’aprile sconvolse l’Aquila e non solo. Senza che nessuno volle provare a mettere una difesa a contrasto. Che, ormai è sempre più certo, si fece finta di niente. La Protezione Civile, tanto per cominciare, intervenne dopo le scosse. Anche se l’avvicinarsi del terremoto era stato scoperto. Il libro di Romolo Di Francesco, autore di pubblicazioni divulgative a livello internazionale e Maria Grazia Tiberii, laureata in scienze statistiche proprio in Abruzzo, ha una suddivisione in tre segmenti: preistoria, storia, attualità. Tutto all’interno del “pianeta azzurro”. Ma, soprattutto, con uno scorrevole canto che, dotato di piccole prefazioni ogni boccone di vicenda, permette di entrare nel vivo del prima, del dopo e delle conseguenze della Notte dell’Aquila. Con un tono ‘divulgativo’, inoltre, che aiuta a sapere. Quest’opera di Di Francesco e Tiberii, infine, nasce per essere inserita nel piccolo ma necessario filone dei testi che raccontano tutta la verità e soltanto la verità sull’assassinio più grande avvenuto nel 2009.

lunedì 27 settembre 2010

Il libro del giorno: Storie bastarde di Davide Desario (Avagliano)




















Anni Settanta. Estrema periferia di Roma. Una terra di nessuno dove qualche anno prima è stato massacrato e ucciso Pier Paolo Pasolini. Un posto dove le strade ringhiano e i bar sono palestre di vita. Un gruppo di ragazzini cresce in mezzo alla malavita locale, incrociando i “bravi ragazzi” della Banda della Magliana e la Primula Rossa delle Br, Barbara Balzerani. È Ostia, ma potrebbe essere qualunque periferia italiana, dove sopravvivere vuol dire fare i conti anche con tragedie come l’episodio di Vermicino che ferma tutti davanti le televisioni. Le storie bastarde – pestaggi tra rossi e neri, fionde e motorini rubati, scippi e scommesse, le sfide tra bande nemiche, e poi overdose, morti ammazzati – diventano lenti d’ingrandimento su una gioventù che cresce e sul mondo che sta cambiando.

MUTAMEMORIA Coop for words 2010. intervento di Michela Orlando













(…) Perdona infine/ tutte le parole/ rimaste sole/ senza cose.(…) Camilla Endrici

BOHUMIL - Un grande Concorso letterario. Grandi parole di verità, anche se “rimaste sole senza cose”. FUORI DI RETORICA. Un grande libro. Si può leggere i testi in concorso e non, anche delle precedenti edizioni, qui:

http://coopforwords.it/dvd_ricerca.php?tipo=9

I testi di Coop for words 2010 – a saperli leggere in questa prospettiva – lanciano un messaggio preciso. La memoria, ci insegnano, non può che ripartire dalla riappropriazione del presente, ed è incompatibile con la rassegnazione o con i vuoti conformismi. Non si dà memoria senza coscienza di un rapporto, di un confronto, di una consapevolezza critica: noi ci collochiamo – dicono i testi – nel nostro qui, nel nostro oggi, con tutti i limiti e le incertezze di un presente sospeso tra un ieri che va sbiadendo i contorni e un domani senza fisionomia definita. Ma il contatto è attivato: parliamone, parliamoci.

Niva Lorenzini

È Niva Lorenzini a scrivere la presentazione di questo libro. E Niva, il cui nome troviamo splendido e scegliamo di usare da solo, come emblema dell’insieme che emerge dal suo argomentare, ci dice quali tracce cercare nelle parole dei testi e nelle suggestioni dei fumetti vincitori di un concorso importante. Non la conosciamo personalmente, Niva; e sapere che è docente presso l’Università di Bologna, dove stiamo conseguendo la laurea magistrale, nonché componente del Comitato Scientifico del concorso Coop for words, dove abbiamo concorso, ci imbarazza un po’. Tuttavia, quel che va detto lo diremo. Le sue parole ci lasciano immaginare un tono contemporaneamente prudente, capace di trasferire una intensa ricerca del senso da dare a quelle scelte sapientemente, e una presa di coscienza. Ci pare voglia dire: Badate, la scrittura giovane è pericolosa. O potrebbe esserlo. Coop for words ha scelto un tema che poteva portarci verso risultati imprevedibili, entusiasmanti, ma anche rischiosi. Vediamo cosa è successo…

Ecco il suo pensiero autentico:

La memoria, il presente la scrittura

Non è sfida da poco quella lanciata quest’anno dagli organizzatori di “Coop for words”. Invitare a confrontarsi con la memoria significa infatti aprire una serie di interrogativi dalle risposte imprevedibili e non scontate. È di sicuro parola a rischio, la memoria, tra celebrazioni e commemorazioni ufficiali che ne abusano sino a svuotarla di contenuto; ed è d’altra parte parola a rischio anche per i processi di autoconsunzione cui il termine è di continuo sottoposto, in una quotidianità che frantuma l’esperienza corrodendone la tenuta, e dunque mettendo in discussione la possibilità stessa che ciò che accade lasci traccia, si articoli in un vissuto, sia recuperabile come ricordo, si trasformi in progetto. C’è allo stesso tempo, insomma, eccesso di memoria, enfatizzata ed espropriata di senso, e perdita della stessa, nella nostra contemporaneità che tende a spettacolizzare, esibire, contrabbandando il virtuale per reale e viceversa. Come ciò si trasferisca in scrittura, sia quella dei racconti brevi, dei blog, delle poesie, dei fumetti, non era facilmente ipotizzabile o prevedibile. Ci si poteva al più chiedere se i raccoglitori della sfida, cioè i partecipanti al concorso, si sarebbero trovati disponibili a riconoscere i rischi, le trappole, i travestimenti che il concetto di memoria, applicato al nostro oggi, cela in sé, e in che misura sarebbero stati disposti ad affrontarli. Ci hanno provato in molti, per nulla scoraggiati dall’assunto. I più hanno optato per una scrittura contingente e di contingenze, che si fa autoreferenziale e autobiografica con ironia e talvolta con ferocia, offrendo in pillole, alla maniera di un Perec stralunato, ricordi d’infanzia parodizzati e slabbrati, tra resa visionaria e sobria scarnificazione. Scene di una quotidianità cosificata vengono così restituite in fotogrammi fermi, tra sentimenti raffreddati come oggetti e paesaggi metropolitani che, in versi o in prosa, si provano a anestetizzare le emozioni, bloccandole sull’istante, senza sviluppo. Realtà è natura – gli ingredienti consueti per ogni scrittura – faticano a trovare collocazione nell’immaginario di questa nostra contemporaneità, fatto di uno spazio e di un tempo simulati, sostitutivi: a meno che ci si voglia immergere nell’altrove di una improponibile “Poesia” che esercita il proprio straniamento ricorrendo a un lessico inattuale (quello delle “gote” o delle “aurore radiose”, delle “alme” e delle “parole silenti”, dei “brividi” e dei “profumi”, ma che è parodia di un glossario da melodramma?). la poesia vera, quella senza iniziale maiuscola, è contenuta nel ritmo spezzato e velocizzato dei blog e della prosa, o nella scrittura a elenco che consente l’accumulo di dati, vicende, “piccoli fatti veri” offerti senza commento, consapevoli che c’è ormai “troppa storia per avere memoria”, nell’epoca degli “impalpabili gigabyte” da “memory card”. È insomma la cronaca in versi o in prosa delle gesta minime, diseroicizzate (o eroiche, di un loro eroismo da vita da call-center) di una generazione di non garantiti, “poliedrici e confusi”, pronti a lasciarsi “aprire, scartabellare, riempire, svuotare”, insieme delusi e trasgressivi, cauti nell’affrontare la strada del vivere “come macchine dal freno a mano tirato”. Fuori di retorica, davvero: è questa una scrittura di denuncia, la vera scrittura civile dei nostri giorni, tutt’altro che dispersa in formalismi, immediata e diretta. La scrittura che sa di usare parole “rimaste sole senza cose”, e può provarsi nell’autoparodia o nel travestimento della realtà in fiction orrorosa, oppure tentare qualche affondo verso la “storia”: quella privata, magari, della propria infanzia, tema privilegiato di molti interventi, o quella collettiva, affidata ai racconti dei protagonisti che ne conservano ricordo vivo (gli anziani, che restituiscono il vissuto di altre generazioni, o le tracce di una partecipazione viva alla Resistenza; o ancora gli accenni a una strage – quella della stazione di Bologna – che sconvolge la normalità dei giorni, o di un terremoto che si incide sul corpo vivo dell’esperienza). I testi di Coop for words 2010 – a saperli leggere in questa prospettiva – lanciano un messaggio preciso. La memoria, ci insegnano, non può che ripartire dalla riappropriazione del presente, ed è incompatibile con la rassegnazione o con i vuoti conformismi. Non si dà memoria senza coscienza di un rapporto, di un confronto, di una consapevolezza critica: noi ci collochiamo – dicono i testi – nel nostro qui, nel nostro oggi, con tutti i limiti e le incertezze di un presente sospeso tra un ieri che va sbiadendo i contorni e un domani senza fisionomia definita. Ma il contatto è attivato: parliamone, parliamoci. Divorando i racconti brevi, i testi della sezione blog, le parole delle poesie e i fumetti, abbiamo trovato tutto ciò che dice Niva. In un caso, nella INVETTIVA, scritta da una di noi e tra i testi vincitori del concorso, quindi leggibile nella antologia, abbiamo dovuto glissare, riservandoci di rileggere alla fine, tentando di dimenticare il nome dell’autrice. Ciò che abbiamo letto e riletto torna a ferire, a chiarire e ad arricchire.

Eccola.

INVETTIVA

Ora basta! Se fossi uno scaricatore di porto la metterei così: -Avete rotto i coglioni! Che cazzo mi guardate a fare, non bastano i quintali di tette siliconate esposte sia nella cosiddetta TV pubblica che nella commerciale? Che cazzo mi guardate a fare se dopo le lotte di liberazione, la Costituzione , il ’68, lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, il ’77, la donna deve essere bella per essere assunta e far carriera? Che cazzo mi guardate a fare se volete che i corpi siano rassodati, se perdete la testa dietro i culi brasiliani? Non perdete tempo: sono una che se ne fotte di avere una prima, pressoché zero, di seno. E non voglio essere intelligente: lo dice chi non capisce una minghia e non si sa da chi sia stato patentato a farlo. Voglio girarmi e ritrovare lo sguardo di mia madre, ricordare la foto che la ritraeva in una manifestazione di sole donne. E voglio incontrare gli scaricatori di porto, i lavoratori puzzolenti di sudore, non i complimenti. Voglio ricordar la vita. Cazzo!


domenica 26 settembre 2010

Il libro del giorno: Il segreto nella letteratura moderna a cura di Patrizia Guida, e Giovanna Scianatico (Pensa Multimedia)








Il volume si propone, nello spirito della collana Filigrane di cui inaugura una nuova serie, come uno spazio di confronto comparatistico, di apertura interdisciplinare. Studiosi del Rinascimento e contemporaneisti, critici e teorici, italianisti e germanisti offrono i loro contributi intorno ad una tematica fondante della letteratura a partire dalle sue origini mitiche, disposti a correre il rischio di una apparente dispersività, per puntare sull’incrocio delle traiettorie critiche. Si va da Petrarca, Ariosto e Tasso a Dostoevskij, a Borges, da Pirandello a D’Annunzio, a Sbarbaro, a Ungaretti e Montale, alla narrativa del postmoderno. È questo l’obiettivo della nostra per altro modesta e provvisoria proposta: far scattare la scintilla dell’interpretazione dall’attrito di nuovi sguardi, di angolazioni critiche inedite. L’arte della poesia si basa su un paradosso: essa è depositaria di un segreto che è costitutivamente votata a rivelare. Paradossalmente, proprio di fronte all’incomunicabilità dello strumento poetico emerge prepotentemente la necessità di rappresentare la condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo, la sua precarietà, il dissolversi della sua humanitas, ma soprattutto gli esiti della ricerca infinita di quel segreto significato dell’esistere.

Romamoremorte. Racconti di Aristos, Cristina Del Ferraro, Marco Marsullo, Mauro Petrelli (Enzo Delfino editore)













Un libro, quattro scrittori, quattro racconti in cui i personaggi vivono e uccidono, camminano, strisciano, parlano, e i pensieri muoiono.
Sono storie di emarginazione, di violenza, di sesso, di amore impossibile da comunicare e destinato a finire in maniera dolorosamente tragica. Sono storie che si svolgono a Roma, una Roma di panni stesi, autobus sporchi, rumori di sottofondo, la Roma delle periferie vecchie e nuove che non è certamente (come non lo è mai stata) la città che si offre in pasto ai turisti, immobile, più che eterna.
L'atmosfera va dal pulp de noantri al racconto romantico, dal realismo feroce alla genesi di un racconto, scivolando in un'agevole lettura ma sempre con una caratteristica fondamentale: nascere da un punto di vista uni(vo)co che, ingrandendo e deformando un particolare aspetto della realtà, ce ne rivela il meccanismo complessivo. Ciascuno con il suo stile, eclettico e aderente alla situazione. Tutti con una dote: farsi leggere volentieri, che in fondo è ciò che si chiede a uno scrittore.

tratto da CONFESSA, MALEDETTA di Marco Marsullo

[...] Mancava un’ora alla mezzanotte quando il cellulare gli prese a suonare nel silenzio tombale che lo attorniava. La Primavera di Vivaldi. Metallo ebbe un sussulto e il cuore gli schizzò in una tachicardia
che pareva un assolo di batteria. Istintivamente si portò la mano al petto. Aveva avuto un infarto qualche mese prima e il medico gli aveva categoricamente imposto di non fare sforzi e di non rischiare stupidi spaventi. Come questo, ad esempio. Boccheggiando come un’orata pescata, infilò la mano tremolante nel giubbotto nero di nappa col pellicciotto, ottenendone un vecchio cellulare avvolto in un fodero sgualcito di
tela. Fissò lo schermo per un momento, poi lasciò precipitare verso il basso il braccio che teneva il telefono, come a scaricare una tensione insostenibile. Soffiò fuori dalla bocca un respiro più rumoroso, poi rispose.

sabato 25 settembre 2010

Il libro del giorno: Douin Jean-Luc, Dizionario della censura del cinema (Mimesis edizioni) a cura di Paolo Bignamini







Come semplice lettura o come strumento di consultazione, questo dizionario, nel quale i casi di censura sono raccontati attraverso l’esperienza di attori, cineasti, film, nazioni, percorsi tematici, mostra la molteplicità di un fenomeno che mutila, taglia, cattura, sequestra, brucia, tiranneggia, uccide.

Addio mia concubina, Locandine, Algeria, Altman (Georges), Donna del Bandito (La), Arletty, Autant-Lara (Claude), Barbarella, Brigitte Bardot, Battaglia di Algeri (La), Bergman (Ingmar), Bertolucci (Bernardo), Bogart (Humphrey), Boisset (Yves), Brooks (Louise), Browning (Tod), Buñuel (Luis), Cannes (festival di), Quadrato Bianco, Chahine (Youssef), Chaplin (Charlie), Cina, Quarto potere, Colorazione, Corvo (Il), Delair (Suzy), Desnos (Robert), Dietrich (Marlène), Dieci di Hollywood, Einsenstein (Sergej Michajlovic), Erotismo, Stati Uniti: il Codice Hays, FBI, Final Cut, Genet (Jean), Godard (Jean-Luc), Grande illusione (La), IRA, Italia, Kubrick (Stanley), Lang (Fritz), Looping, Monroe (Marilyn), Nascita di una Nazione (La), Notte e nebbia, Ossessione, Pasolini (Pier Paolo), Peluria, Pull-over rouge (Le), Religione, Scarface, Swanson (Gloria), Assassini Nati, Stupro, Wajda (Andrzej), Warhol (Andy), West (Mae), X, Zulawski (Andrzej)...

Jean-Luc Douin è stato cronista a Combat, caporedattore cinema
a Télérama, capo della redazione libri a Le Monde, dove è attualmente critico cinematografico. Nel 2007 debutta nella narrativa con il romanzo Le premier sommeil.

Paolo Bignamini, giornalista, drammaturgo e regista, scrive sulle pagine di cultura de Il Sole 24 Ore. Le sue versioni teatrali e i suoi testi sono stati rappresentati nei più importanti teatri italiani.

Black Wade (Edizioni Voilier), arriva il sito in italiano!













Si annuncia come il fumetto omo-erotico meglio riuscito della storia dei comics. Cresce l’attesa per Black Wade che sarà ufficialmente presentato il 29 ottobre durante Lucca Comics & Games. Intanto debutta on-line il sito di anteprima in italiano. Aperte anche le prenotazioni attraverso il sito della libreria del fumetto Comic Cult. I primi ordini verranno evasi già dal 30 settembre.

Black Wade – The wild side of love é probabilmente il primo vero fumetto che riesce a mixare il tema omoerotico con una perizia tecnica professionale di grande impatto. Pubblicato in contemporanea dalla Gmunder (in inglese per il circuito internazionale) e dalla H&O per il mercato francese, questa vera e propria graphic novel omoerotica realizzata dal duo Franze & Andarle (italianissimi nonostante i nomi), divenuta estremamente popolare in Europa, arriva finalmente in Italia grazie ad Edizioni Voilier.

Con Black Wade, Edizioni Voilier apre al genere erotico e lo fa con una nuova collana e con una scelta coraggiosa per il mercato italiano: una storia di erotismo gay, di pirati e uomini di mare. Tutto parte quando Jack Wilkins, aiutante luogotenente della Marina Inglese in procinto si sposarsi con una giovane nobildonna, viene rapito dal selvaggio capitano Black, fondamentalmente al fine avere un nuovo giocattolo con cui passare il tempo fra un arrembaggio e l’altro. Quello che Black e Jack non si aspettano, però, e che l’intesa sessuale possa iniziare a trasformarsi in qualcosa di più, e così Black decide – a malincuore – che è meglio separarsi da Jack prima che sia troppo tardi per entrambi. Tornato fra i suoi pari Jack riprende i preparativi per le nozze, ma poco prima della cerimonia viene a sapere che Black è stato catturato dalla marina inglese. Questo rimette tutte le carte in tavola… Jack manderà a monte il suo matrimonio per salvare Black? Per scoprirlo non resta da fare altro che perdersi fra le magnifiche tavole di Black Wade, un vero e proprio spartiacque per questo genere, nonché uno dei fumetti omoerotici meglio realizzati in assoluto.

Per anteprime sul fumetto, download di immagini e sfondi desktop è possibile collegarsi al sito www.jimbocomics.com

Per pre-ordinare il fumetto ci si può collegare al sito della Libreria Comic Cult, www.comiccult.net e ciccare su Balck Wade.

Per info sulla casa editrice: www.edizionivoilier.com

Copie per recensioni possono essere richieste a info@edizionivoilier.com

venerdì 24 settembre 2010

Il libro del giorno: Il fiele e le furie di Gianni Bonina (Hacca edizioni)





















Nel pieno degli anni di piombo un delitto comune diventa il caso italiano più lungo della storia del Dopoguerra, con effetti che si ripercuotono a distanza di decenni. Teatro di una vicenda che si presenta come metafora della Sicilia dei contrasti e specchio dell’Italia dei veleni è Ragusa, la città più a sud d’Europa, la più soporosa ma anche la più intossicata. Qui nasce l’accrocco perfetto: il 25 febbraio 1972 viene ucciso un ingegnere dalla vita movimentata. Un giovane giornalista comunista, che sta indagando per “L’Ora” sulle trame nere nella Sicilia sudorientale, accusa del delitto il figlio del presidente del tribunale, che lo uccide il 27 ottobre, diventando così un assassino per dimostrare di non esserlo.
Una “storia semplice”, che però si complica perché il caso giudiziario sul primo delitto e gli effetti sociali del secondo determinano una catena di implicazioni che trasferiscono l’interesse privato sulla vicenda su un piano pubblico, coinvolgendo sempre più la città in uno scontro tra parti sociali e istituzioni, entro una spirale che mette giudici contro giudici, società civile contro stampa locale, partiti contro magistrati e che, in una escalation senza tregua, finisce per coinvolgere figure come Stefano Delle Chiaie e ministri come Diliberto, creando a distanza di quasi quarant’anni nuovi effetti dirompenti e nuovi guasti. Ma nessuno saprà mai chi ha ucciso il 25 febbraio Angelo Tumino e nessuno riuscirà a stabilire il contesto nel quale Roberto Campria decide di sparare a Giovanni Spampinato in una sera di fine ottobre davanti al carcere dove si costituisce. Si parlerà di mandanti occulti che avrebbero armato Campria per zittire un giornalista troppo interessato alle sordide manovre eversive in Sicilia, sarà evocata anche l’oscura sciagura di Montagnalonga, saranno battute piste che portano alla Grecia dei colonnelli, saranno adombrate collusioni con il traffico di opere d’arte e la delinquenza comune in combutta con il neofascismo, ma il mistero rimarrà impenetrabile su tutto l’affaire: a designare uno sciasciano teorema siciliano che diventa canone inverso dell’Italia di ieri e di oggi.

Donne di Charles Bukowski (Guanda)




















"Donne". Fin dall'inizio, e per tutte le sue trecento pagine, il romanzo è la confessione esplicita, quasi ostentata, di una passione stregante: le donne per Bukowski sono un'attrazione costante, un bisogno che non conosce pause e che non si arresta neppure di fronte alle situazioni più disagevoli, o riprovevoli, o disgustose. No, la ricerca del narrante non si arresta di fronte a nulla, forse perché l'amore, e la lotta, tra i sessi è per lo scrittore americano il mezzo più sicuro per tenersi in rapporto con la realtà. In questo, che è il suo romanzo più esplicitamente erotico, Bukowski racconta con strepitosa immediatezza le sue - vere o immaginarie - avventure d'amore. Storie tumultuose, incontri sguaiati e grotteschi, memorabili o miserabili prodezze, dialoghi enormemente e quasi commoventemente sboccati, sullo sfondo di un'esistenza randagia, segnata da maratone alcoliche, gravata dalla continua e assillante ricerca di denaro, vissuta sempre e rigorosamente on the road


Un brano:

“Afferrai Lydia e ci scambiammo il bacio più lungo della nostra storia. La inchiodai contro il lavandino e cominciai a strusciarle addosso l’uccello. Lei mi spinse via ma riuscii a riacchiapparla in mezzo alla cucina. Lydia mi prese la mano e se la spinse giù nei jeans dentro le mutandine. Con la punta del dito sentii la fica. Era bagnata. Continuai a baciarla e le spinsi il dito dentro la fica. Poi tirai fuori la mano, mi staccai da lei, presi la bottiglia e mi versai un altro bicchiere.” (p.16)

giovedì 23 settembre 2010

Il libro del giorno: IL PROFETA DI SATANA di Silvio Fazio (Stampa Alternativa)

Si è autodefinito “il figlio prediletto del diavolo”, o meglio ancora “il profeta di Satana”, consapevole che uccidere per lui non era un’opzione, bensì una necessità. Si è trasformato così nel celebre “Night Stalker”, che ha seminato il terrore tra gli abitanti di Los Angeles e San Francisco: di notte entrava nelle loro case derubandoli, violentandoli e uccidendone 29 in poco tempo.
Questa è la vera storia – in forma d’intervista – di Ricardo Ramirez, il serial killer che è riuscito nella difficile impresa di frantumare l’ipocrita barriera del puritanesimo americano degli anni Ottanta.

Da "I viaggi dei filosofi" a cura di M. Bettetini e S. Poggi (Cortina) a "Conversazioni con un Gargoyle" di M. N. Lesniewski (Il Rovescio)










Quando pensiamo ai filosofi, pensiamo ad una categoria in perenne movimento, soprattutto per quello che concerne le loro riflessioni, e i loro sistemi di pensiero. Ma il filosofo è anche un viaggiatore, e lo dimostra un libro splendido che ho appena terminato di leggere uscito per i tipi di Cortina a cura di Maria Bettetini e Stefano Poggi con un titolo intrigante: “I viaggi dei filosofi”. Si parla di Platone che finisce nelle mani dei pirati per andare da Siracusa alla sua Atene, si parla di Rousseau per il quale il viaggio rappresenta una necessità biologica, per arrivare a Nietzsche, e al suo delirio Torinese. Un volume che consiglio caldamente come un gioco per il lettore che ama scoprire il mondo delle ricerca interiore. E unitamente a quest’opera, voglio proporre uno spazio anche al lavoro di Marcello Nardo Lesniewski che per i tipi di “Il Rovescio editore” pubblica “Conversazioni con un Gargoyle”. Marcello Nardo è nato a Roma nel 1978. Coltiva da sempre la scrittura come bussola dell'umore, influenzata da un tangibile percepito come "bagliori di luce nella decadenza", paradosso destabilizzante e retaggio storico. L'aggiunta ulteriore del cognome Lesniewski è un omaggio alla moglie Kasia. Entriamo però nello specifico. Si tratta di poco più di 90 pagine animate da una serie di visioni che hanno il comun denominatore della guerra tra il soggetto, l’individuo e la realtà. L’Io parlante è un vero e proprio “fugitivus errans” da intendersi non tanto in chiave romantica come viaggiatore spinto nel mondo dall’amore per la conoscenza, ma come indagatore dei miasmi di tutto ciò che lo circonda. Marcello Nardo Lesniewski conduce il lettore attraverso dimensioni a volte reali a volte frutto della sola componente mnemonica, con l’obiettivo di parlare di destinalità e di abissi che spesso irrompono nella vita di ciascuno di noi senza preavviso. Si tratta comunque di un'opera prima che con dieci racconti disegna un cammino, anzi un vero e proprio viaggio da Barcellona a Nizza a Cracovia. Il Gargoyle allora cosa c’entra! Nel caso specifico assurge a ruolo di metafisica Sfinge, predisposta a dare quiete ai mille interrogativi dei “viandanti” ontici!

mercoledì 22 settembre 2010

Il libro del giorno: LA PERSONA. Etica e ontologia in Nicolai Hartmann di Carlo Scognamiglio (Pensa Multimedia)













Questo libro è dedicato al tema della persona. Alcuni grandi problemi della filosofia morale, quali la libertà, i valori, la singolarità personale, sono indagati secondo un’idea dell’etica che richiede una fondazione ontologica. L’autore prende le mosse da alcune difficoltà interne alla nozione di soggettività, e ricostruisce l’itinerario concettuale con il quale Nicolai Hartmann ha attraversato il movimento fenomenologico, per poi emanciparsene, preferendo un approccio ontologico. Sul piano del pensiero morale, questa impostazione respinge l’idea di una filosofia pratica in grado di fornire precetti o disposizioni, l’etica è «un Sehen, un vedere, un contemplare il cosmo dei valori». Il pensiero di Hartmann viene ridefinito attraverso i rapporti filosofici con alcuni grandi pensatori della tradizione, come Aristotele, Kant, Hegel, Husserl, Scheler, Lukács. Questioni complesse, quali il riduzionismo, la modalità, il dovere, indicano un quadro filosofico intricato, che trova nella descrizione della vita storica e sociale il punto più alto di difficoltà. Personalità vuol dire individualità, ma al tempo stesso comunanza e condivisione: «l’esser uomo dell’uomo – scrive Hartmann – non è cosa del singolo».

Le mani di Persefone di Pierpaolo D’Auria e Michele Tursi (Bes editrice)

















Il Giallo Mondadori, la collana ideata da Lorenzo Montano e pubblicata da Arnoldo Mondadori a partire dal 1929 sino ai nostri giorni, ha i suoi appassionati seguaci, e le sorprese, in Puglia, da questo punto di vista non mancano. Partiamo dal Salento. Il Salento, terra di attraversamenti per eccellenza e di transizioni, di ulivi secolari, di meraviglie barocche, è una terra che non è e non può essere da un punto di vista di una geografia della letteratura terra di sole di mare e di vento. E’ una terra dove il sangue scorre a fiotti, soprattutto se si pensa a quelle penne che a partire dal nuovo millennio hanno inaugurato a queste latitudini un “giallo salento”! Parliamo di autori come Raffaele Polo, Gianni Capodicasa, Lucia Accoto, Piero Grima, Graziano Tramacere, Angela Leucci, Armando Tango, Lino De Matteis, Elisabetta Liguori, Marcello Costantini che hanno incontrato anche il sostegno di case editrici come Argo, Lupo, Glocal, Besa, e Luca Pensa editore. Se penso invece alla lunga scia di delitti che hanno ematicamente sporcato le pagine di autori regionali ma conosciuti e apprezzati fuori dalla Puglia, a volte con forti connotazioni pulp, penso a Gianrico Carofiglio e Omar Di Monopoli (anche se quest’ultimo ama ibridare generi che vanno dal giallo al noir al pulp). Ciò che ha di recente incontrato il mio interesse è il lavoro di Pierpaolo D’Auria e Michele Tursi che per i tipi di Besa hanno scritto a quattro mani un bellissimo giallo archeologico dal titolo “Le mani di Persefone”.

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