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giovedì 2 settembre 2010
PERCHÉ PROPRIO A NOI? di Alessia e Michela Orlando
Non sappiamo come tutto sia potuto accadere. Da dove nasce davvero l’acqua e la sua necessità di scendere a valle, raggiungere il mare, poi evaporare e riavviarsi a vivere inconsapevolmente una esperienza simile, ma mai uguale? Da dove nasce la forza di coesione che lega ogni atomo della roccia? E c’è differenza tra questa forza e quella che lega gli atomi che formano il corpo di una donna? E da dove nasce la potenza esplosiva della nitroglicerina? È una serie di domande che ruotano intorno alla esigenza di arrendersi, talvolta, alla evidenza, senza tentare di capire come certi fenomeni accadano. Tuttavia, lo si sa, tutto si evolve. Se è così nel mondo fisico, senza aggiungere, ad esempio, nulla di drammatico alla evoluzione del carbonio che si fa brillante e di questo che via via degenera sino a ritornare volgare materia, accade lo stesso nel mondo delle relazioni umane. Accade lo stesso nel mondo delle comunicazioni interpersonali. Tutto si evolve. È stato ed è il destino dell’essere umano; è stato ed è l’evoluzione della comunicazione, della stessa parola. Sappiamo di termini non più usati; di lingue che ogni giorno si estinguono; di altre lingue parlate da così poche persone che al loro morire cessa di esistere quella linfa vitale che lega un popolo, una tribù, una famiglia. Ciò ti induce a tornare a qualche interrogativo. Come mai i giovani di oggi inventano nuovi modi per comunicare? Che senso ha essere rasta o praticarsi piercing? Che senso ebbe essere capellone? Qui tutto pare più facile: è la ricerca della propria identità che ti motiva. Indossare una divisa ti agevola. E tutto sembra muoversi dentro confini precisi; e tutto sembra avere delle frontiere; e tutto sembra rispondere alla logica dell’acqua, della sua evoluzione, irregimentata in un itinerario immodificabile. Certo, vi è chi ha parlato dei giovani chiamandoli bamboccioni. Ma esistono davvero? Quanti sono? E come mai nessuno dice di centinaia di migliaia di giovani che si muovono con ogni mezzo verso altri Paesi europei, verso il mondo in genere? Negli ultimi due mesi abbiamo lavorato a Parigi, Eurodisney: sono tredicimila i giovani che vi lavorano. Provengono da ogni Paese europeo, anche dall’Est; e ve ne sono molti che sono stati pure in U.S.A.. E come mai nessuno si accorge che molti di essi non hanno nella mente alcun cavallo di Troia, nessuna idea di trappola da tendere ad altri, nessun pregiudizio, nessuna idea belligerante? E ci chiediamo nuovamente come ciò sia potuto accadere. Non c’è stata una regola fissa a determinare la cancellazione delle frontiere mentali. Immaginiamo che ognuno potrebbe raccontare la propria vicenda. La faccenda resterebbe priva di regole: non c’è una grammatica da spiegare e fare apprendere per coniugare la voglia di libertà e di stare bene. Ciò significa mangiare i ciib della nazione che ti ospita, parlare la sua lingua, vivere normalmente le sue consuetudini. Raccontiamo qualche vicenda per rendere appena appena meno misteriosa la faccenda. Avevamo sei o sette anni quando ci portarono a Neviano. Fummo ospitati da un signore di quel paese, dove pare che avesse nevicato di agosto, e da ciò il nome: la moglie era napoletana. E che ci faceva lì, come ci era capitata? A noi sembrò normale, anche se Napoli era molto lontana. E quando a dodici anni andammo a Parigi, non ci sembrò di notare alcuna differenza fisica, alcun muro, alcuna frontiera, con l’Italia. Così accadde andando in Grecia, in Spagna…
Si torna a porsi domande che non devono essere riscontrate da risposte: cosa fece Guido Piovene quando scelse di viaggiare per l’Italia e raccontarla? Tenne forse presente il luogo dove era nato o volle liberarsi della propria storia, per essere più libero di narrare le altre, quelle in cui di certo si sarebbe imbattuto? E cosa fece Pasolini nel suo proprio viaggio? E cosa fecero lo stesso Pasolini e Moravia nel viaggio in Africa? E cosa fecero Mogol e Lucio Battisti nel loro viaggio a cavallo? Possiamo solo opinare, alla luce di ciò che hanno scritto, ripreso, cantato, che fecero il vuoto mentale, aprendosi alle nuove suggestioni. Era l’unico modo per dire parole nuove attraverso vari strumenti artistici. E, tralasciando le solite categorie, ovvero se questi viaggiatori fossero di destra o di sinistra, c’è chi potrebbe negare che abbiano prodotto una visione innovativa, ampia, chiara del mondo? Ancora: cosa fece Leonardo da Vinci coltivandosi sia come scienziato che artista e letterato? Non allargò forse i confini della mente umana cancellando barriere, confini. E cosa fece Giorgio Bassani aprendo vari fronti polemici per salvare boschi, strade, monumenti, senza badare al luogo geografico dove si trovassero. Per lui era assurdo che
PERCHÉ PROPRIO A NOI?
MAHAYAVAN-Racconti delle terre divise.
mercoledì 1 settembre 2010
Einstein secondo me a cura di John Brockman (Bollati Boringhieri, da domani in libreria)
Un Einstein inedito, i mille volti che non ti aspetteresti di un genio. Tutti conosciamo Einstein, o pensiamo di conoscerlo: il vecchietto geniale e bizzarro che scorrazza in bicicletta per i viali di Princeton, con i suoi capelli bianchi e scarmigliati, o che fa irriverenti linguacce ai fotografi. Ma cosa c’era dietro questa superficie ormai cristallizzata, come per altre icone del Novecento, in migliaia di gadget, poster, magliette, tazze, magneti per il frigo, pupazzi? Chi era davvero Einstein e soprattutto che cos’è stato per quelli che l’hanno conosciuto o le cui biografie si sono indirettamente incrociate o sovrapposte alla sua? Ventiquattro scienziati, o meglio ventiquattro intellettuali, ci raccontano in questo libro che cos’ha significato Einstein per loro, come ha influenzato le
Il libro del giorno: Il ministro anarchico di Fulvio Abbate (Baldini e Castoldi Dalai)
"Oggetto ne è l'anarchico Juan García Oliver, ministro della Giustizia nelle fasi iniziali della guerra civile spagnola. Le sue vicende politiche e umane rinviano, sotto vari aspetti, al topos del ribelle maudit, il cui destino – quando i riflettori della Storia si spengono – si fa d'improvviso misterioso. Maledetto, García Oliver, fu non solo per chi gli era manifestamente nemico (i franchisti, gli stalinisti, i fascisti italiani), ma anche per molti suoi compagni d'ideale, i quali non gli perdonarono né l'accettazione di un incarico governativo che collideva con il tradizionale antistatalismo libertario, né la successiva resa di fronte all'avanzata militare del Caudillo. Per questa doppia maledizione, nonostante l'importanza del suo ruolo in quella che fu tragica anteprima della seconda guerra mondiale, di lui si sono conservate tracce relativamente labili, sia degli anni trascorsi in Spagna, sia del successivo esilio a Guadalajara, dove abbandonò la politica per una vita "borghese". Merito di Abbate averle qui raccolte e ordinate con efficace disordine." Roberto Giulianelli (da L'Indice dei libri del mese)
De Bello Cibico di Antonio Vacca (Plectica Editrice). Intervento di Alessia e Michela Orlando
Da pagina 47 di De bello cibico:
Rovisto dentro la mia anoressia psicosociale, urto i fantasmi d’un passato cibico indefinito, sento ovunque il tanfo della produttività ad ogni costo,, vedo coorti di bimbi indottrinati a mangiar bene e subito dopo ne rivedo, a frotte, o magrissimi e già impomatati profeti d’una bellezza sinuosa che fa crudelmente tendenza oppure obesi già come si fossero mangiati il globo in una notte. Mi stupisce questa fase di educazione alimentare (?) che attraversa la popolazione col tramite di lodevoli tentativi volontaristici, embrionali progetti d’istituzione per finire alla summa del messaggio mediatico. Dove il cibo diventa tavola imbandita e assortita, sgargio patinato, luminescenza virtuale.
lunedì 30 agosto 2010
Il libro del giorno: Zero maggio a Palermo di Fulvio Abbate (Baldini e Castoldi Dalai)
Libertà e determinismo a cura di Mario Signore (Pensa Multimedia)
Quasi sempre, per attenuare l’insopportabilità di questa doppia tensione, che finisce non solo col dilacerare il pensiero, ma anche col rendere non comprensibile l’identità dell’uomo, divisa tra il determinismo del suo essere naturale e la responsabilità del suo essere attore di storia e libero promotore di eventi, la filosofia ha scelto la via, per cosi dire, del doppio binario, preferendo riservare alla natura, e allo studio di questa, la ricerca dell’andamento determinato e dello scire per causas, che si acquista solo nella totale rivelazione delle cause in stretta connessione con gli effetti, e al pensiero e allo studio di questo esercizio di libertà che si ritiene irrinunciabile come garanzia di movimento, pur all’interno di un mondo che è dato nella sua struttura tutta determinata.
Le proposte, come si conviene ad una questione così controversa, non potevano e non possono, a questo punto, essere univoche, né definitive. La particolarità critica di questa situazione la si coglie già dalle diversificate impostazioni speculative che i giovani studiosi discutono all’interno dei loro testi, dopo averlo fatto attraverso l’intenso e fecondo confronto nel seminario di studio proposto dal Dottorato di ricerca e al quale tutti gli autori hanno partecipato sottoponendo al crogiolo del dibattito le diverse tesi avanzate.
Al di là delle certezze rassicuranti, dei Leibniz e degli Hegel, dei Kant e degli Apel, che i giovani autori hanno privilegiato come riferimento delle loro analisi, almeno come orizzonte regolativo, si propone qui la via dell’intenzionalità della coscienza, cioè la via di quell’alterità che obbligandoci ad uscire dalla nostra autoreferenzialità ci chiede di rispondere, liberamente e responsabilmente, alla grande domanda di senso esplosa, paradossalmente, proprio a fronte della presunta egemonia della visione deterministica, che pretende di imporsi anche al regno umano e alla sua storia.
Per il 213° compleanno di Mary Shelley: Frankenstein (Edizioni Clandestine)
Il libro del giorno: Sul conformismo di sinistra di Fulvio Abbate (Gaffi editore in Roma)
Questa città che sanguina di Alex Preston (Elliot)
Wall Street, film splendido
Siamo nell’ambito della cinematografia contemporanea, anzi siamo nell’orizzonte degli eventi che appartengono alla storia del cinema, forse cosa ben più diversa. Diciamo che ora, ai nostri giorni, i tempi erano maturi perché qualcuno realizzasse, in questo nuovo millennio, un romanzo ambizioso, riuscito, che raccontasse una storia dove il ghiaccio rovente dei mercati finanziari e la dura realtà si fondessero in un’alchimia originale, ovvero in un prodotto in grado di avere un’alta resa di stile, e allo stesso tempo dotato di eleganza e brutalità. Ad oggi l’unico in grado di operare questo miracolo è un esordiente: Alex Preston. Classe
La storia: Charlie Wales vuole conquistare “il mondo” della finanza. Comincia la sua carriera finanziaria nella City, e con tanto di “resistenza sovietica” fa lo slalom tra le mille difficoltà iniziali, dal rapporto travagliato che lo lega alla splendida Vero, alla vita di ogni giorno nel lavoro e con gli amici e inquilini. Ma … c’è un ma! La scalata al successo a Londra per Charlie vuol dire investimenti ad alto rischio, e operazioni ai limiti della legalità proprio mentre fuori dal suo ufficio dove è come se fosse “sepolto vivo”, sta per esplodere la peggiore crisi economica mai conosciuta… La forza di questo lavoro sta nel rigore con cui Preston coniuga un alto valore letterario con i tecnicismi propri di un guru dell’economia, riuscendo a esprimere in maniera drammatica la perdita di senso e valore della nostra vita contemporanea, schizofrenicamente divisa tra modelli “glocali” economici avanzati e un senso di spaesante provvisorietà
domenica 29 agosto 2010
Il libro del giorno: Reality. Come ci sentiamo in questo momento di Fulvio Abbate (Cooper)
Metamor di Vittorio Bodini (Besa editrice)
Night II
Se bere un whisky è versarlo/ sull'arso terriccio della propria tomba/dove l'oscenità canticchia assassinata/dall'ombra d'un cane o dalla furia della ragione/trofei d'occhi inespugnati/come fregi di antiche stamperie/ si scioglieranno nell'alcool tra i sadici archivi/ di una notte tradita da strambi propositi./ Una finestra morrà./ Morrà sul Bosforo un ferro di cavallo.
Metamor (1967), ultimo libro poetico edito vivente l’autore, accentua, anche con scrittura automatica, il surrealismo della sua poesia. “E' un’inchiesta sulla materia e sull’essere”, e al titolo sono affidati “ben tre significati: metamorfosi, meta-amore e metà-morto”. Un anno prima di morire (1969), coinvolgendo altri inediti, egli aggiungeva trattarsi di “un libro traumatico, sostanzialmente e disperatamente teso a denunziare il totale smarrimento del reale o la sua ricerca senza fede”.
Vittorio Bodini (Bari 1914 - Roma 1970), oltre che poeta tra i più originali e significativi del Novecento, è stato anche narratore, critico, operatore culturale. È considerato inoltre uno tra i maggiori interpreti e traduttori italiani della letteratura spagnola.
sabato 28 agosto 2010
Il libro del giorno: Roma. Guida non conformista alla città di Fulvio Abbate (Cooper)
Inganni di Giulio Palmieri (Lupo editore). Intervento di Luigi Scorrano
Quale sorte attende il dio che ha contravvenuto alle leggi dell’universo facendo della finzione un’arte per gli uomini? Quale sarà l’esito di un’impresa la cui stazione di partenza è una desolata landa infeconda dove la vita degli uomini è bruciata dal sale amaro del fallimento? Quale la mèta che un uomo solitario si propone di raggiungere elaborando enigmi destinati al gioco ma attingendo, oltre il gioco, ad un enigma solo per lui intravisto o appena svelato? Una fantasia legata alla remota mitologia mesopotamica; un fatto storico nella cornice di un Medioevo al tramonto; il paesaggio senza luce della città moderna e le oscure vicende di un uomo come tanti: sono, in sintesi, il teatro delle storie messe in scena da Giulio Palmieri nella sua, già notevolmente matura, prova d’esordio in campo narrativo. Siano, i protagonisti, uomini o divinità, li unisce un comune destino: soggiacere all’inganno della vita, vivere sul confine incerto che divide vita e morte, luce ed ombra, cognizione sicura delle cose e balbettante approssimazione nata dal considerare saldo quanto è solo ombra, labile la durezza di esperienze contro le quali si può urtare tragicamente. Tutto è immerso, per loro, in un universo che vacilla di continuo, s’addensa e si scioglie, nella «vaga deformità di ciò che non esiste»: in ciascuno di loro si compie il destino ch’è del protagonista di uno di questi racconti, e cioè vivere una vita «spogliata di sé stessa e invasa dalla propria parvenza». All’insegna dell’inganno, quello che l’uomo stesso si costruisce, la vita affonda in un’illusione in cui i fantasmi della mente acquistano o perdono consistenza e le segrete paure spingono ad erigere difese contro il disfacimento, contro la morte. L’azione gloriosa sognata si sfalda in una beffa atroce; Luigi IX di Francia sarà giocato dalla morte, il signor Pampuja dal suo inconfessabile segreto, l’innominato protagonista de Il demone da una legge che egli non può piegare alla sua volontà o ai suoi giochi crudeli. Sembra soggiacere alla uguaglianza numerica e all’ambientazione di ogni racconto una sorta di struttura flaubertiana: anche i Trois contes dello scrittore francese (Un cœur simple, La légende de saint Julien l’hospitalier, Hérodias) sono ambientati uno nell’età moderna, uno nel Medioevo della Legenda aurea, l’altro nel paesaggio e nel clima delle narrazioni bibliche. Calcolata o casuale, la corrispondenza è suggestiva. Altrettanto suggestivo il profilo dei protagonisti, tutti e tre intesi a mettersi alla prova sfidando o lo strapotere dell’autorità o un esercito da aggredire e vincere o quello che si definisce il senso comune. In realtà sono pulsioni profonde quelle che li guidano all’azione. Quale che sia il posto che essi occupano nel consorzio umano, tutti sono vittime di un’aspirazione a uscire dalla imprigionante condizione che è stata loro data per compiere, agli occhi degli altri o solo di se stessi, un’impresa alla quale affidare il proprio nome e attraverso la quale affermare la propria individualità. Questo non si compie, o resta un desiderio frustrato dall’impatto con una realtà che non corrisponde a quella che ognuno di essi per sé vagheggia e pensa di dominare. Una storia comune, infine; perciò non ci sorprende vedere il signor Pampuja del racconto La bambola come un fratello dell’innominato protagonista di una famosa novella pirandelliana, La carriola. Là, il personaggio narratore afferma l’identità della propria tragedia con quella di «chi sa di quanti!». Non si vogliono indicare corrispondenze tra differenti vicende, ma l’affinità che le connota, l’ansia di un sogno vano, la coscienza infelice di nascondere dietro una facciata di rispettabile normalità ciò che risulterebbe diverso a chi non vi sapesse leggere se non un’anomalia o una stravaganza. Palmieri racconta le sue storie in una prosa di classico nitore, attenta alla cura del particolare, cesellato e rifinito. È, la sua, una scrittura larga, ariosa, ricca di annotazioni nessuna delle quali risulta superflua. Proprio la scrittura dà suggestivo corpo alle ombre che si aggirano nello spazio della pagina, ai fantasmi cui la letteratura infonde vita e consistenza. Diverse le storie per contenuto e ambientazione, affini per ritmo e tono. Le salda in unità la sottile inquietudine che domina la pagina tramata di meraviglia, di gusto dell’invenzione, di gioco apparente fatto per trascinare il lettore nella fascinazione del racconto.
venerdì 27 agosto 2010
Il libro del giorno: Quando è la rivoluzione di Fulvio Abbate (Baldini e Castoldi Dalai)
Giuseppe Cristaldi Belli di papillon verso il sacrificio (Edizioni Controluce). Il book trailer
Giuseppe Cristaldi (1983) vive e lavora a Parabita (Le). Dopo la sua prima opera Storia di un metronomo capovolto, ha pubblicato Un rumore di gabbiani in cui traspare tutta la sua sensibilità verso problematiche di carattere civile.
giovedì 26 agosto 2010
Il libro del giorno: Manuale italiano di sppravvivenza. Come fare una televisione monolocale e vivere felici in un paese perduto di Fulvio Abbate
Manuale italiano di sppravvivenza. Come fare una televisione monolocale e vivere felici in un paese perduto di Fulvio Abbate (Cooper edizioni)
Brasarsi di Max Cabrerana (Cut-Up edizioni)
Cut-Up Edizioni ha pubblicato da poco “Brasarsi”, la raccolta di racconti dello scrittore di Viareggio Max Cabrerana. L’autore vive in Italia, ha scritto racconti che sono stati pubblicati su diverse riviste letterarie e ha sceneggiato brevi fumetti. Una cosa devo dirla prima di scrivere di questo lavoro. Più volte sono stato tentato di chiuderlo, gettarlo via … ma non certo per una mancanza di capacità o proprietà di tenuta di stile dell’autore. Pervasivo è stato un forte senso di nausea, che ho provato pagina dopo pagina, quella stessa nausea che ho avuto guardando il remake di “The Texas Chainsaw Massacre”. Sono dieci racconti che definirli duri, spietati è poco: il tentativo di Cabrerana di potenziare scene, storie, e contesti attraverso un’iper/surrealismo (che ad alcuni potrebbe risultare addirittura comico) non fa altro che trasformare il tutto in una poltiglia terribile … e a me il pulp piace! A mio avviso il libro da un punto di vista narratologico rende concreto un discorso su quelli che sono gli aspetti cruciali della sofferenza mentale sociale nell'angoscia e nella paranoia, nella disperazione e nella dissociazione, nell'ossessività e nell'euforia, vale a dire i tracciati emozionali di ogni esperienza neurotica o psicotica che oggi viene indotta dalla Matrice dei contesti in cui ci troviamo a vivere. In una parola Max Cabrerana descrive la perdita di direzionalità dell’individuo, ovvero il senso di smarrimento del soggetto quando la sua vita si trasforma in un colabrodo, in cui le falle sembrano aprirsi in successione inarrestabile, senza che si possa avere il tempo di porre dei rimedi. Mettendo a rischio la stessa qualità della vita, ma anche l’equilibrio mentale. Ed ecco che attraverso una carrellata piena di malvagità e pura cattiveria, prendono corpo tra le pagine di questo libro, mostri di ogni genere, depravati, omicidi, malati mentali, in poco più di 148 pagine. Dunque dieci racconti duri, spietati. Ad esempio, che cosa potrebbe accadere ad un gruppo di animalisti “cazzuti” che irrompono in un orrido laboratorio dedito alla vivisezione? Che soluzione potrebbe trovare un mimo che scopre di essere affetto dal morbo di Parkinson e non vuole rinunciare al suo lavoro? Che ruolo può avere di così interessante da raccontare un telefono che assiste ai ripetuti e squallidi tradimenti di un marito insoddisfatto e patetico? Che ci fa l’attore di una soap opera con il cadavere della fidanzata uccisa in un raptus di follia? Cos’hanno da spartire Adolf Hitler e Sigmund Freud che si incontrano casualmente in una sordida birreria nella Vienna asburgica. Le risposte non sono poi così tanto ovvie, e Cabrerana lo dimostra inequivocabilmente. Consiglio, mentre si legge questo lavoro, come sottofondo il gruppo STASI (Cristina Puia, Ruggero Ruggeri, Luana Barnabà, Chiara Vidonis, Francesco Merenda) con il loro ultimo lavoro IDENTITA’. Il loro sito è : http://www.gruppostasi.it/home.html
Questa è la sua prima raccolta monografica.
mercoledì 25 agosto 2010
Il libro del giorno: Il fuoco segreto di Martin Langfield (Nord editrice)
Nacquero contadini, morirono briganti di Valentino Romano (Capone editore). Intervento di Paolo Zanetov
La nuvola di polvere all’orizzonte che tra grida lontane annuncia l’approssimarsi della selvaggia cavalcata dei briganti, il fumo degli spari, lo schioccare delle pallottole e il balenio delle sciabole snudate della cavalleria – sequele classiche delle cronache brigantesche – riconducono il nostro immaginario agli scontri, agli agguati, alle scorrerie ed ai colpi di mano che abbiamo visto scorrere sul grande schermo nelle pellicole d’oltreoceano dedicate alla conquista del West, da Ombre Rosse al Piccolo grande uomo. Analogamente a quella degli indiani, la minacciosa presenza dei briganti aleggia e si percepisce senza mai entrare nello specifico di una umana concretezza, atta a rendere visibili sentimenti, emozioni e sofferte ragioni dei protagonisti di quelle drammatiche vicende.
Il volto del brigante, e con esso quelli di una dolente umanità comprimaria alle sue gesta, balzano vivissimi dalle pagine proponendoci un inedito ritratto della società contadina che li espresse.
Non hanno il “senso della storia” i vinti, così come – a ben vedere – i vincitori, subito prigionieri di un ferreo meccanismo di potere ad essi antecedente che impedirà nel prosieguo dei fatti una sensata assimilazione del Regno appena conquistato nella, dai molti sognata, “ Nuova Italia”.
info: info@caponeditore.it
martedì 24 agosto 2010
Il libro del giorno: Mi chiamo Cassandra. Arguzie, giudizi e vaticini di un profeta incompreso. Di Francesco Cossiga (Rubbettino)
Corpus Delicti di Juli Zeh (Ponte alle Grazie)
Juli Zeh ha frequentato la scuola «Pädagogium Otto-Kühne Schule» di Bonn dove ha conseguito la maturità, poi ha studiato legge a Passavia, a Lipsia dove ha unito i corsi di giurisprudenza a quelli di studi di letteratura e scrittura creativa presso il «Deutsches Literaturinstitut Leipzig». Juli Zeh ha sempre utilizzato la sua fama letteraria per esprimere le sue opinioni su questioni politiche come quando, ad esempio, nel mezzo delle elezioni del
Ho avuto il piacere di leggere con grandissimo diletto "Corpus delicti" (in Italia per Ponte alle Grazie) dell’immensa Juli Zeh (libro giunto nelle mie mani attraverso una serie di coincidenze e incroci pari solo alle avventure del Barone di Münchhausen. Pertanto non vi tedierò oltre…). La scrittura magnifica di questa scrittrice è così straordinaria da riuscire a raccontare i "fantasmi" che percorrono la mente dei protagonisti, e far sospendere al lettore qualsiasi altra attività che non sia leggere quest’opera . Splendida trentenne Mia Holl, biologa, indipendente e fascinosa, ha una piccola macchia nel suo curriculum: pluricondannata per attività sovversive. La società in cui vive (non molto lontana dalla nostra nel tempo) sembra la perfetta incarnazione di tutto il significato di un’opera del secolo scorso straordinaria: “Sorvegliare e punire” di Michel Foucault: controllo totale sul corpo e sulla sicurezza a scapito di altri valori indispensabili per una società civile, che voglia definirsi come tale. La colpa di Mia? Rifiutarsi di venire inglobata nel METODO, una ragnatela di obblighi totalmente pervasivi nella vita di ciascun individuo. - Non lo aveva “profetizzato” Noam Chomsky (ndr)? – Mia vuole scagionare il fratello morto suicida dopo l’omicidio di una donna, e lo vorrà fare vestendosi da Thomas More e proponendo un’alternativa plausibile: un’Utopia! Insomma un vero e proprio capolavoro tra thriller e fanta/teoremi. Eccovi un estratto: "Sfiducio una politica che basa il consenso solo sulla promessa di una vita priva di rischi. Sfiducio una scienza che sostiene l’inesistenza del libero arbitrio. Sfiducio un amore che si considera il prodotto di un processo di ottimizzazione immunologica. Sfiducio genitori che definiscono 'rischio di caduta' la capanna su un albero e 'rischio di allergia' un animale domestico. Sfiducio uno Stato che sa meglio di me ciò che è bene per me... Sfiducio me stessa, perché mio fratello è dovuto morire prima che capissi cosa significa vivere."
lunedì 23 agosto 2010
Il libro del giorno: I servizi e le attività di informazione e di controinformazione. (Rubbettino). Di Francesco Cossiga
(dalla presentazione di Mario Caligiuri)
Il rumore della terra che gira di Roberto Saporito (Perdisa Pop)
Alberto Perdisa guida un gruppo di grande tradizione nel mondo dell’editoria e della cultura nazionale. Il nonno paterno, Luigi Perdisa, fondò il gruppo Edagricole-Calderini, leader europeo nelle edizioni agricole, nonché preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna. Il nonno materno, Carlo Alberto Cappelli, fu invece alla guida della storica casa editrice Licinio Cappelli e sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna e dell’Arena di Verona. L’esempio ad Alberto viene da loro. Oggi il Gruppo Perdisa Editore ha all’attivo quattro marchi editoriali, fra loro autonomi, ma integrati nel progetto di riportare la città di Bologna e la sua cultura fra i protagonisti delle dinamiche editoriali nazionali e internazionali. Dalla casa editrice ricevo un’anteprima (dal momento che uscirà il 22 settembre) piuttosto gustosa e di una mia vecchia conoscenza: mi riferisco a Roberto Saporito che per Perdisa Pop uscirà con “Il rumore della terra che gira”. “Sospiro, sbatto gli occhi, deglustisco lentamente col pomo di Adamo che va su e poi va giù. Sposto lo sguardo lateralmente e sopra due cavalletti riposa una tela un metro e cinquanta per un metro e cinquanta sulla quale sto dipingendo l’interno di una stanza dove un uomo si sta iniettando una dose di eroina nel braccio sinistro, una stanza dallo sfondo blu spesso di colore a olio, una poltrona amaranto spesso di colore a olio. Il resto del quadro è ancora in abbozzo, in divenire. Quattro piani più in basso passa rombando una moto. Che tipo di moto? Una Harley, forse? Chiudo gli occhi che riapro dopo pochi secondi quando Albertine Scomparsa, la mia enorme gatta certosino grigia, mi salta sulle cosce facendo le fusa e accoccolandosi proprio all’altezza del mio cazzo.”
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