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giovedì 2 settembre 2010

Teledurruti - Stefano Bonaga suggerisce cinque libri di filosofia

PERCHÉ PROPRIO A NOI? di Alessia e Michela Orlando



















Non sappiamo come tutto sia potuto accadere. Da dove nasce davvero l’acqua e la sua necessità di scendere a valle, raggiungere il mare, poi evaporare e riavviarsi a vivere inconsapevolmente una esperienza simile, ma mai uguale? Da dove nasce la forza di coesione che lega ogni atomo della roccia? E c’è differenza tra questa forza e quella che lega gli atomi che formano il corpo di una donna? E da dove nasce la potenza esplosiva della nitroglicerina? È una serie di domande che ruotano intorno alla esigenza di arrendersi, talvolta, alla evidenza, senza tentare di capire come certi fenomeni accadano. Tuttavia, lo si sa, tutto si evolve. Se è così nel mondo fisico, senza aggiungere, ad esempio, nulla di drammatico alla evoluzione del carbonio che si fa brillante e di questo che via via degenera sino a ritornare volgare materia, accade lo stesso nel mondo delle relazioni umane. Accade lo stesso nel mondo delle comunicazioni interpersonali. Tutto si evolve. È stato ed è il destino dell’essere umano; è stato ed è l’evoluzione della comunicazione, della stessa parola. Sappiamo di termini non più usati; di lingue che ogni giorno si estinguono; di altre lingue parlate da così poche persone che al loro morire cessa di esistere quella linfa vitale che lega un popolo, una tribù, una famiglia. Ciò ti induce a tornare a qualche interrogativo. Come mai i giovani di oggi inventano nuovi modi per comunicare? Che senso ha essere rasta o praticarsi piercing? Che senso ebbe essere capellone? Qui tutto pare più facile: è la ricerca della propria identità che ti motiva. Indossare una divisa ti agevola. E tutto sembra muoversi dentro confini precisi; e tutto sembra avere delle frontiere; e tutto sembra rispondere alla logica dell’acqua, della sua evoluzione, irregimentata in un itinerario immodificabile. Certo, vi è chi ha parlato dei giovani chiamandoli bamboccioni. Ma esistono davvero? Quanti sono? E come mai nessuno dice di centinaia di migliaia di giovani che si muovono con ogni mezzo verso altri Paesi europei, verso il mondo in genere? Negli ultimi due mesi abbiamo lavorato a Parigi, Eurodisney: sono tredicimila i giovani che vi lavorano. Provengono da ogni Paese europeo, anche dall’Est; e ve ne sono molti che sono stati pure in U.S.A.. E come mai nessuno si accorge che molti di essi non hanno nella mente alcun cavallo di Troia, nessuna idea di trappola da tendere ad altri, nessun pregiudizio, nessuna idea belligerante? E ci chiediamo nuovamente come ciò sia potuto accadere. Non c’è stata una regola fissa a determinare la cancellazione delle frontiere mentali. Immaginiamo che ognuno potrebbe raccontare la propria vicenda. La faccenda resterebbe priva di regole: non c’è una grammatica da spiegare e fare apprendere per coniugare la voglia di libertà e di stare bene. Ciò significa mangiare i ciib della nazione che ti ospita, parlare la sua lingua, vivere normalmente le sue consuetudini. Raccontiamo qualche vicenda per rendere appena appena meno misteriosa la faccenda. Avevamo sei o sette anni quando ci portarono a Neviano. Fummo ospitati da un signore di quel paese, dove pare che avesse nevicato di agosto, e da ciò il nome: la moglie era napoletana. E che ci faceva lì, come ci era capitata? A noi sembrò normale, anche se Napoli era molto lontana. E quando a dodici anni andammo a Parigi, non ci sembrò di notare alcuna differenza fisica, alcun muro, alcuna frontiera, con l’Italia. Così accadde andando in Grecia, in Spagna

Si torna a porsi domande che non devono essere riscontrate da risposte: cosa fece Guido Piovene quando scelse di viaggiare per l’Italia e raccontarla? Tenne forse presente il luogo dove era nato o volle liberarsi della propria storia, per essere più libero di narrare le altre, quelle in cui di certo si sarebbe imbattuto? E cosa fece Pasolini nel suo proprio viaggio? E cosa fecero lo stesso Pasolini e Moravia nel viaggio in Africa? E cosa fecero Mogol e Lucio Battisti nel loro viaggio a cavallo? Possiamo solo opinare, alla luce di ciò che hanno scritto, ripreso, cantato, che fecero il vuoto mentale, aprendosi alle nuove suggestioni. Era l’unico modo per dire parole nuove attraverso vari strumenti artistici. E, tralasciando le solite categorie, ovvero se questi viaggiatori fossero di destra o di sinistra, c’è chi potrebbe negare che abbiano prodotto una visione innovativa, ampia, chiara del mondo? Ancora: cosa fece Leonardo da Vinci coltivandosi sia come scienziato che artista e letterato? Non allargò forse i confini della mente umana cancellando barriere, confini. E cosa fece Giorgio Bassani aprendo vari fronti polemici per salvare boschi, strade, monumenti, senza badare al luogo geografico dove si trovassero. Per lui era assurdo che la Certosa di Padula (SA), ben lontana dalla sua Ferrara, dopo essere stata impiegata come certosa, caserma, campo di concentramento, crollasse irrimediabilmente verso una condizione di rudere. E cosa fece Zanotti Bianco quando ci fu lo tsunami di Messina e Catanzaro, lasciò che tutto si estinguesse definitivamente o intervenne personalmente rimboccandosi le mani, così come fece anni dopo per la zona di Paestum? Eppure era piemontese! Sembra, ormai, meno rilevante la domanda del titolo: come mai sia accaduto a noi. Ma sia accaduto cosa? Beh, è semplicissimo: ci è semplicemente accaduto di vedere luoghi bellissimi in zone che ci ostiniamo a chiamare Italia, Francia, Spagna, Grecia e così via, dimenticando che tutto si colloca sulla e nella Madre Terra. Altre ce le hanno narrate e sono in Germania, in Ungheria, in Colombia, in mille altri posti. E, come era inevitabile, ci è accaduto di incontrare gente bellissima in ogni luogo. E non parliamo, ovviamente, del solo contenitore, dei corpi fisici. Altre persone bellissime ce le hanno raccontate. Purtroppo il vero limite è quello fisico in genere che non ti consente di mantenere i rapporti a cui tieni, se non al prezzo di estenuanti levatacce: il fuso orario, ad esempio, è un problema serio. È un problema che si affronta, ad esempio, per mantenere i rapporti con Maryury Useche. È una bellissima ragazza colombiana, di Bogotà. È stata in Europa, a Grenoble, per insegnare il suo bellissimo spagnolo-castigliano ai francesi. Così come noi abbiamo insegnato il nostro Italiano, una nella stessa Grenoble e l’altra ad Ajaccio. Grenoble e Ajaccio: due luoghi che non potranno essere dimenticati. Ritornando a Maryury Useche: 22 anni e una anima tanto ampia da non poter essere narrata. Eppure della Colombia si dice peste e corna; di quella nazione si dice solo dei fatti di cronaca peggiori, nessuno che dica mai della sua storia, di una occupazione spagnola cruenta che ne minò finanche la cultura. O tentò di farlo, giacché Maryury è anche la storia dei suoi avi. Con la stessa Maryury Useche compariremo nel libro Mahayavan-Racconti delle terre divise. Si tratta di un nuovo Universo letterario, dove sono confluiti i racconti dei migliori specialisti di genere (i nomi sono sulla bellissima copertina illustrata da Luca Oleastri). Si tratta di narrativa Heroic fantasy. Il nostro racconto si intitola FIGLIO DEL FUOCO; quello di Maryury lo abbiamo tradotto dallo spagnolo-castigliano: si intitola PANDEMONIUM ed è bellissimo. Crediamo ci sia tutta la bellezza dell’autrice, della sua terra, della sua gente. Ci siamo chieste come mai Edizioni Scudo abbia inventato questa opportunità. Abbiamo scoperto come è andata la faccenda: una notte Luca Oleastri, illustratore e specialista di fantasy noto in tutto il mondo, si sveglia e telefona a Giorgio Sangiorgi. Sono i titolari di Edizioni Scudo. Noi non c’eravamo, ovviamente, ma sappiamo che il primo dice più o meno: Giorgio, in questo mondo va tutto a rotoli. Che ne dici se inventiamo un nuovo Universo e lo facciamo riempire di tutto ciò che hanno in mente gli scrittori che vorranno farlo? L’altro, che non si adira facilmente, deve aver tratto un respiro profondo e: Va bene. Qualche giorno dopo Giorgio Sangiorgi aveva già predisposto il regolamento (le poche diritte da rispettare) e una mappa dell’Universo da inventare a cura degli scrittori. Inutile dire che gli stimoli offerti da questa vicenda, intriganti quanto misteriosi, ci indussero a scrivere. Lo facemmo con tanta irruenza da sbagliare tutto: avevamo scritto, in non più di un giorno, un racconto che distruggeva il mondo neppure nato. E lo spedimmo. Ci arrivò immediatamente una mail di Giorgio Sangiorgi, per noi un perfetto sconosciuto in quel momento: Stelle, apprezzo molto la buona volontà, ma avete già distrutto un mondo ancora non formatosi. Che ne dite di riprovarci? Cosa era accaduto: avevamo scritto senza leggere le idee guida. C’era da superare una serie di problemi: su quelle terre divise, dalla struttura diversa tra loro (vi era il mare, fiumi, zone aride, zone caldissime, zone gelide, caverne, popoli di diverso grado culturale, un cielo da riempire…) dovevamo sviluppare la loro vita genti per noi sconosciute, inventate da altri autori, ben diverse da quelle la nostra Terra ci ha finora esposto; e tutto sarebbe poi stato ricondotto a unità da raccordi scritti dallo stesso Sangiorgi. Dopo qualche giorno il nostro racconto era pronto. Neppure un’ora dopo la spedizione Giorgio Sangiorgi ci comunicava che andava bene. Ma noi non eravamo contente: è stato poi integrato con altre vicende, altre sette-otto pagine, corretto, riveduto, rispedito, sottoposto a editing. Alla fine di settembre sarà pubblicato. Ripensando, poi, alla storia da noi narrata, ci siamo accorte che non è facile sganciarsi dal nostro mondo. Su questa terra sono accaduti troppi fatti tragici e altrettanti bellissimi, per pensare a un mondo nuovo liberandosi del tutto di quelle esperienze. E perché si dovrebbe farlo? Non è forse meglio conoscere ciò che è successo e costruire un mondo migliore? Quante vicende mai narrate si potrebbero raccontare? Forse che gli indiani di America non hanno fatto la stessa fine di tanti altri popoli di cui non si è detto nulla? E sugli stessi indiani di America è stata detta tutta la verità? E perché ciò è accaduto e accade? Ci siamo date una risposta: solo per ragioni economiche, perché spesso quei popoli vivono in territori ricchissimi di materie prime. È quello il peccato originario che devono pagare: essere nati su falde petrolifere, su bacini diamantiferi, su montagne d’oro o di rame. Ultima domanda: non era più semplice, non saremmo stati anche culturalmente più ricchi, se avessimo capito che tutto ciò che è sulla e nella Madre Terra appartiene a tutti coloro che l’abitano?


PERCHÉ PROPRIO A NOI?

Come può nascere un racconto di genere Heroic fantasy

MAHAYAVAN-Racconti delle terre divise.

Figlio del fuoco (Alessia e Michela Orlando) e Pandemonium (Maryury Useche)

mercoledì 1 settembre 2010

Einstein secondo me a cura di John Brockman (Bollati Boringhieri, da domani in libreria)









Un Einstein inedito, i mille volti che non ti aspetteresti di un genio. Tutti conosciamo Einstein, o pensiamo di conoscerlo: il vecchietto geniale e bizzarro che scorrazza in bicicletta per i viali di Princeton, con i suoi capelli bianchi e scarmigliati, o che fa irriverenti linguacce ai fotografi. Ma cosa c’era dietro questa superficie ormai cristallizzata, come per altre icone del Novecento, in migliaia di gadget, poster, magliette, tazze, magneti per il frigo, pupazzi? Chi era davvero Einstein e soprattutto che cos’è stato per quelli che l’hanno conosciuto o le cui biografie si sono indirettamente incrociate o sovrapposte alla sua? Ventiquattro scienziati, o meglio ventiquattro intellettuali, ci raccontano in questo libro che cos’ha significato Einstein per loro, come ha influenzato le loro esistenze, le loro vite professionali e personali, ci portano a conoscere l’Einstein privato, quello molto lontano dall’aura del saggio che circonda la sua immagine più diffusa. Questo libro è un’autentica testimonianza del potere che può avere un lascito scientifico ed è una lettura entusiasmante, alla portata di tutti.

John Brockman (1941) è scrittore, agente letterario e animatore di Edge, il sito web della «Terza Cultura», dove scienziati e intellettuali di primo piano condividono le loro ricerche con il pubblico. Tra i saggi tradotti in italiano: I nuovi umanisti (2005) e 135 ragioni per essere ottimisti (2009).

Il libro del giorno: Il ministro anarchico di Fulvio Abbate (Baldini e Castoldi Dalai)



















Questo è il racconto dell'irripetibile avventura umana e politica di Juan García Oliver (1902-1980), ministro anarchico della Giustizia nella Spagna della guerra civile. In realtà, l'uomo nella vita conobbe anche altri ruoli. Ma soprattutto, in un particolare momento della storia del Novecento, divenne "l'idolo di Barcellona proletaria"; così infatti lo definì Carlo Rosselli. Il libro custodisce descrizioni di personaggi, immagini, frammenti di documenti e discorsi, come furono scritti o pronunciati a voce da molti suoi protagonisti, sopralluoghi necessari alla narrazione: Barcellona, Madrid, Tolosa... Non una biografia, non un saggio storico, piuttosto un "documentario" dedicato alla memoria della rivoluzione spagnola.
"Oggetto ne è l'anarchico Juan García Oliver, ministro della Giustizia nelle fasi iniziali della guerra civile spagnola. Le sue vicende politiche e umane rinviano, sotto vari aspetti, al topos del ribelle maudit, il cui destino – quando i riflettori della Storia si spengono – si fa d'improvviso misterioso. Maledetto, García Oliver, fu non solo per chi gli era manifestamente nemico (i franchisti, gli stalinisti, i fascisti italiani), ma anche per molti suoi compagni d'ideale, i quali non gli perdonarono né l'accettazione di un incarico governativo che collideva con il tradizionale antistatalismo libertario, né la successiva resa di fronte all'avanzata militare del Caudillo. Per questa doppia maledizione, nonostante l'importanza del suo ruolo in quella che fu tragica anteprima della seconda guerra mondiale, di lui si sono conservate tracce relativamente labili, sia degli anni trascorsi in Spagna, sia del successivo esilio a Guadalajara, dove abbandonò la politica per una vita "borghese". Merito di Abbate averle qui raccolte e ordinate con efficace disordine." Roberto Giulianelli (da L'Indice dei libri del mese)

De Bello Cibico di Antonio Vacca (Plectica Editrice). Intervento di Alessia e Michela Orlando











Da pagina 47 di De bello cibico:

Rovisto dentro la mia anoressia psicosociale, urto i fantasmi d’un passato cibico indefinito, sento ovunque il tanfo della produttività ad ogni costo,, vedo coorti di bimbi indottrinati a mangiar bene e subito dopo ne rivedo, a frotte, o magrissimi e già impomatati profeti d’una bellezza sinuosa che fa crudelmente tendenza oppure obesi già come si fossero mangiati il globo in una notte. Mi stupisce questa fase di educazione alimentare (?) che attraversa la popolazione col tramite di lodevoli tentativi volontaristici, embrionali progetti d’istituzione per finire alla summa del messaggio mediatico. Dove il cibo diventa tavola imbandita e assortita, sgargio patinato, luminescenza virtuale. È questa la situazione, Antonio Vacca la fotografa e ce la restituisce quasi in chiave poetica. E da ogni parola trasuda il senso di sconfitta. Dalle stesse parole, però, emerge una luce; indicano una strada; in filigrana ci fanno di nuovo sentire l’odore di pane appena sfornato; di olio extravergine di oliva che non ha fatto neppure in tempo a lasciare le fibre dell’oliva ed è già sul calore del grano ormai trasformato. Ed è nella tua bocca, nella tua anima. È un miracolo forse? È un mago Antonio Vacca? Non possiamo giurarci, ma di certo ha buone intenzioni, ha dentro di se la cultura eno-gastronomica tanto in voga e ci trasferisce sentori antichi. Se anche dicesse demonio o strega, riandremmo al medioevo, che non doveva certo essere epoca fortunata e profumata, ma almeno non si sentiva la puzza dello smog. E torneremmo a sentire i profumi delle minestre e di nuovo quello del pane e di nuovo quello del formaggio e di nuovo quello del rosolio e di nuovo quello delle patate arrostite sotto la cenere… Il sottotitolo, dai potenti sentori angustianti: Cronaca di una sconfitta gastrosofica, si trasforma ben presto in un paravento non capace di fermare totalmente la luce. Sembrerebbe un preludio al dramma, poi, però, funge da trampolino di lancio verso la consapevolezza, e conoscere un problema, sapere che esiste, significa poterlo risolvere. C’è la massificazione dei sapori; c’è il problema della mitizzazione di sapori, contadini o artigianali, che nascondono insidie; c’è il luogo comune che porta alla demonizzazione dei fast food; e c’è De bello cibico che ti apre la mente.

lunedì 30 agosto 2010

Il libro del giorno: Zero maggio a Palermo di Fulvio Abbate (Baldini e Castoldi Dalai)





















Sono i primi anni Settanta e Ale e Dario sono due adolescenti alla scoperta del mondo, con qualche ideale di rivoluzione. E questo ideale ha per loro un solo nome: comunismo. Ci credono con l'entusiasmo di chi ha ancora tutta la vita per veder realizzati i propri sogni, ci credono senza considerare neppure alla lontana l'eventualità di una delusione o addirittura la stessa fine del PCI. Si rimboccano le maniche, filtrando il quotidiano attraverso memorie e proiezioni, critiche e fantasie, in una Palermo animata da personaggi come Salvatore Cuore di Zundapp, i sei Salvatori anarchici, le cugine Silvì e Vartan, la cagnetta Laika, ma anche i cattivi: i fascisti. Conclude il libro una nota dell'autore, a tredici anni dalla prima uscita edita da Theoria.

Libertà e determinismo a cura di Mario Signore (Pensa Multimedia)












La ragione dell’attualità e problematicità del cortocircuito libertà-determinismo va certamente ricercata nella doppia tensione dell’intelligenza umana 1) a investigare senza tregua la struttura effettiva della realtà, ovvero la “natura”, per costringerla a rivelare le regole, le ricorrenze e la loro finalità, il telos, insomma che si nasconderebbe a vista d’uomo, per rivelarsi almeno sotto la pensabilità di una forma logica, o di conformità ad una “legge”, definibile come “legge naturale, 2) a interrogarsi sul ruolo dell’uomo in un mondo tutto legalizzato, che nel principio di causalità e nel finalismo interno trova il suo irrevocabile fondamento, rendendo irrilevante qualsiasi pretesa di libertà.
Quasi sempre, per attenuare l’insopportabilità di questa doppia tensione, che finisce non solo col dilacerare il pensiero, ma anche col rendere non comprensibile l’identità dell’uomo, divisa tra il determinismo del suo essere naturale e la responsabilità del suo essere attore di storia e libero promotore di eventi, la filosofia ha scelto la via, per cosi dire, del doppio binario, preferendo riservare alla natura, e allo studio di questa, la ricerca dell’andamento determinato e dello scire per causas, che si acquista solo nella totale rivelazione delle cause in stretta connessione con gli effetti, e al pensiero e allo studio di questo esercizio di libertà che si ritiene irrinunciabile come garanzia di movimento, pur all’interno di un mondo che è dato nella sua struttura tutta determinata.
Le proposte, come si conviene ad una questione così controversa, non potevano e non possono, a questo punto, essere univoche, né definitive. La particolarità critica di questa situazione la si coglie già dalle diversificate impostazioni speculative che i giovani studiosi discutono all’interno dei loro testi, dopo averlo fatto attraverso l’intenso e fecondo confronto nel seminario di studio proposto dal Dottorato di ricerca e al quale tutti gli autori hanno partecipato sottoponendo al crogiolo del dibattito le diverse tesi avanzate.
Al di là delle certezze rassicuranti, dei Leibniz e degli Hegel, dei Kant e degli Apel, che i giovani autori hanno privilegiato come riferimento delle loro analisi, almeno come orizzonte regolativo, si propone qui la via dell’intenzionalità della coscienza, cioè la via di quell’alterità che obbligandoci ad uscire dalla nostra autoreferenzialità ci chiede di rispondere, liberamente e responsabilmente, alla grande domanda di senso esplosa, paradossalmente, proprio a fronte della presunta egemonia della visione deterministica, che pretende di imporsi anche al regno umano e alla sua storia.

Teledurruti - Nella sala Freccia Alata dell'aeroporto di Roma con Tobia Zevi

Per il 213° compleanno di Mary Shelley: Frankenstein (Edizioni Clandestine)




















Pubblicato per la prima volta nel 1818 e ormai annoverato tra i classici della letteratura, Frankenstein ha gettato le basi non solo della moderna fantascienza, ma perfino del thriller. Il giovane Viktor Frankenstein si reca all'università di Ingolstadt coltivando l'utopia della creazione di un essere umano più intelligente e longevo. Dopo notti insonni, ripetute ricerche negli ossari e frenetici esperimenti, origina un essere più grande del normale, con sembianze deformi, da cui rifugge non appena quegli prende vita. Colto dal rimorso per quanto generato, Frankenstein cade in preda a un violento esaurimento, rasentando la follia. Tornato a casa, scopre che il fratellino William è stato ucciso proprio dal mostro, deciso a vendicarsi di colui che, pur responsabile della sua sorte, lo aveva cacciato, lasciandolo solo e ignaro del proprio destino. Nella speranza di liberarsene definitivamente, Viktor gli promette di creare un essere femminile a lui eguale, così da far cessare il tormento della solitudine, ma poco prima di ultimare la sua opera, terrorizzato dalla progenie di mostri che la coppia avrebbe potuto generare, decide di distruggerla. Scoperto l'accaduto, il mostro giura vendetta e Viktor è costretto ad assistere, impotente, all'uccisione dei suoi cari, per poi inseguire il demone fino al Polo, senza mai riuscire a trovarlo. Il dramma di uno scienziato che oltrepassa il limite umanamente consentito e l'indicibile solitudine della creatura da lui generata, che sfoga nella violenza.

Il libro del giorno: Sul conformismo di sinistra di Fulvio Abbate (Gaffi editore in Roma)

"Il conformista assume la forma dei contenitori esterni. Sinonimi possibili: conformazione, taglie conformate, conformità, copia conforme, cominform... Il conformista di sinistra ha le idee molto chiare: difende "d'ufficio" i film di Benigni e di Moretti ritiene che l'ex modella Carla Bruni sia "una compagna", non va a Genova durante le giornate del G8... Il conformista di sinistra se cita Machiavelli lo fa soltanto per immaginare Donatella Versace testimonial per la "futura umanità". Magari al governo." (Fulvio Abbate)

Questa città che sanguina di Alex Preston (Elliot)


















Wall Street, film splendido del 1987. Nella New York dell’alta finanza ciò che conta veramente è il potere dei dollari. Bud Fox (per gli amici Buddy) è uno splendido quanto anonimo broker con un solo imperativo categorico al di là del bene e del male: “Il successo si condensa in pochi attimi”. Il destino di Buddy cambierà radicalmente dopo l’incontro con lo spietato e spregiudicato finanziere d’assalto Gordon Gekko. Il film è una bella panoramica sul mondo della finanza negli anni ottanta, intriso di yuppismo, avidità, e scelleratezze varie dove il grande Michael Douglas rappresenta l’incarnazione del rampantismo e del “self-made man” degli anni ottanta, che sacralizza il libero mercato e ne sfrutta le più evidenti incongruenze.

Siamo nell’ambito della cinematografia contemporanea, anzi siamo nell’orizzonte degli eventi che appartengono alla storia del cinema, forse cosa ben più diversa. Diciamo che ora, ai nostri giorni, i tempi erano maturi perché qualcuno realizzasse, in questo nuovo millennio, un romanzo ambizioso, riuscito, che raccontasse una storia dove il ghiaccio rovente dei mercati finanziari e la dura realtà si fondessero in un’alchimia originale, ovvero in un prodotto in grado di avere un’alta resa di stile, e allo stesso tempo dotato di eleganza e brutalità. Ad oggi l’unico in grado di operare questo miracolo è un esordiente: Alex Preston. Classe 1979. Ha lavorato nel settore della finanza a Londra, dopo la laurea ad Oxford e aver ottenuto la CFA designation in economia. “Questa città che sanguina”, in Italia pubblicato da Elliot, in Inghilterra è stato un vero e proprio caso letterario e considerato uno dei migliori esordi narrativi dell’anno.

La storia: Charlie Wales vuole conquistare “il mondo” della finanza. Comincia la sua carriera finanziaria nella City, e con tanto di “resistenza sovietica” fa lo slalom tra le mille difficoltà iniziali, dal rapporto travagliato che lo lega alla splendida Vero, alla vita di ogni giorno nel lavoro e con gli amici e inquilini. Ma … c’è un ma! La scalata al successo a Londra per Charlie vuol dire investimenti ad alto rischio, e operazioni ai limiti della legalità proprio mentre fuori dal suo ufficio dove è come se fosse “sepolto vivo”, sta per esplodere la peggiore crisi economica mai conosciuta… La forza di questo lavoro sta nel rigore con cui Preston coniuga un alto valore letterario con i tecnicismi propri di un guru dell’economia, riuscendo a esprimere in maniera drammatica la perdita di senso e valore della nostra vita contemporanea, schizofrenicamente divisa tra modelli “glocali” economici avanzati e un senso di spaesante provvisorietà

domenica 29 agosto 2010

Teledurruti - Perdere sì, ma con fantasia! Fulvia Abbate per Situazionismo e libertà

Teledurruti - Gemma Politi per Fulvio Abbate alle primarie del centrosinistra

Il libro del giorno: Reality. Come ci sentiamo in questo momento di Fulvio Abbate (Cooper)





















Come in un vero e rispettabile "reality", l'autore ha osservato fatti e personaggi dell'attualità, italiana e non solo. Nell'elenco si assiepano ma soprattutto sfavillano in ordine doverosamente sparso: le facce di circostanza di Bush, le mani di Che Guevara, i tormentoni di Celentano, le traversie esistenziali del cantante Al Bano, l'apoteosi post-mortem di Pasolini, le Smart, il wrestling, i cacciatori di reliquie di santi su eBay, le fabbriche di giocattoli in crisi, le fiamme della banlieu parigina e quelle al fosforo bianco di Falluja, e perfino il cugino aspirante "tronista" in televisione da Maria De Filippi. Materiali per raccontare un certo stato generale delle cose.

Metamor di Vittorio Bodini (Besa editrice)








Night II

Se bere un whisky è versarlo/ sull'arso terriccio della propria tomba/dove l'oscenità canticchia assassinata/dall'ombra d'un cane o dalla furia della ragione/trofei d'occhi inespugnati/come fregi di antiche stamperie/ si scioglieranno nell'alcool tra i sadici archivi/ di una notte tradita da strambi propositi./ Una finestra morrà./ Morrà sul Bosforo un ferro di cavallo.

Metamor (1967), ultimo libro poetico edito vivente l’autore, accentua, anche con scrittura automatica, il surrealismo della sua poesia. “E' un’inchiesta sulla materia e sull’essere”, e al titolo sono affidati “ben tre significati: metamorfosi, meta-amore e metà-morto”. Un anno prima di morire (1969), coinvolgendo altri inediti, egli aggiungeva trattarsi di “un libro traumatico, sostanzialmente e disperatamente teso a denunziare il totale smarrimento del reale o la sua ricerca senza fede”.

Vittorio Bodini (Bari 1914 - Roma 1970), oltre che poeta tra i più originali e significativi del Novecento, è stato anche narratore, critico, operatore culturale. È considerato inoltre uno tra i maggiori interpreti e traduttori italiani della letteratura spagnola.

sabato 28 agosto 2010

Il libro del giorno: Roma. Guida non conformista alla città di Fulvio Abbate (Cooper)




















Si può prendere una città e sezionarla, sfagiolarla, sgranarla: voce per voce, via per via, faccia per faccia? Anzi, meglio: si può prendere Roma e sezionarla, sfagiolarla, sgranarla: voce per voce, via per via, faccia per faccia? Fulvio Abbate l'ha fatto. Ne è nata una guida dissacrante dove tra l'Altare della Patria e il Colosseo s'infilano i tassisti e i cani dei Parioli, dove Roberto D'Agostino e Barbara Palombelli fanno capolino fra un salotto radical chic e una chiesa sconsacrata. Ne è venuto fuori un dizionario in cui l'ordine alfabetico cede il passo alla vicinanza emozionale, dove i versi di Pasolini commuovono e la miniatura di via del Corso fa ridere di gusto. Ne è venuto fuori un libro dove dentro c'è tutta Roma: la Roma strillata e quella sussurrata. Prologo di Alberto Arbasino.

Inganni di Giulio Palmieri (Lupo editore). Intervento di Luigi Scorrano



















Quale sorte attende il dio che ha contravvenuto alle leggi dell’universo facendo della finzione un’arte per gli uomini? Quale sarà l’esito di un’impresa la cui stazione di partenza è una desolata landa infeconda dove la vita degli uomini è bruciata dal sale amaro del fallimento? Quale la mèta che un uomo solitario si propone di raggiungere elaborando enigmi destinati al gioco ma attingendo, oltre il gioco, ad un enigma solo per lui intravisto o appena svelato? Una fantasia legata alla remota mitologia mesopotamica; un fatto storico nella cornice di un Medioevo al tramonto; il paesaggio senza luce della città moderna e le oscure vicende di un uomo come tanti: sono, in sintesi, il teatro delle storie messe in scena da Giulio Palmieri nella sua, già notevolmente matura, prova d’esordio in campo narrativo. Siano, i protagonisti, uomini o divinità, li unisce un comune destino: soggiacere all’inganno della vita, vivere sul confine incerto che divide vita e morte, luce ed ombra, cognizione sicura delle cose e balbettante approssimazione nata dal considerare saldo quanto è solo ombra, labile la durezza di esperienze contro le quali si può urtare tragicamente. Tutto è immerso, per loro, in un universo che vacilla di continuo, s’addensa e si scioglie, nella «vaga deformità di ciò che non esiste»: in ciascuno di loro si compie il destino ch’è del protagonista di uno di questi racconti, e cioè vivere una vita «spogliata di sé stessa e invasa dalla propria parvenza». All’insegna dell’inganno, quello che l’uomo stesso si costruisce, la vita affonda in un’illusione in cui i fantasmi della mente acquistano o perdono consistenza e le segrete paure spingono ad erigere difese contro il disfacimento, contro la morte. L’azione gloriosa sognata si sfalda in una beffa atroce; Luigi IX di Francia sarà giocato dalla morte, il signor Pampuja dal suo inconfessabile segreto, l’innominato protagonista de Il demone da una legge che egli non può piegare alla sua volontà o ai suoi giochi crudeli. Sembra soggiacere alla uguaglianza numerica e all’ambientazione di ogni racconto una sorta di struttura flaubertiana: anche i Trois contes dello scrittore francese (Un cœur simple, La légende de saint Julien l’hospitalier, Hérodias) sono ambientati uno nell’età moderna, uno nel Medioevo della Legenda aurea, l’altro nel paesaggio e nel clima delle narrazioni bibliche. Calcolata o casuale, la corrispondenza è suggestiva. Altrettanto suggestivo il profilo dei protagonisti, tutti e tre intesi a mettersi alla prova sfidando o lo strapotere dell’autorità o un esercito da aggredire e vincere o quello che si definisce il senso comune. In realtà sono pulsioni profonde quelle che li guidano all’azione. Quale che sia il posto che essi occupano nel consorzio umano, tutti sono vittime di un’aspirazione a uscire dalla imprigionante condizione che è stata loro data per compiere, agli occhi degli altri o solo di se stessi, un’impresa alla quale affidare il proprio nome e attraverso la quale affermare la propria individualità. Questo non si compie, o resta un desiderio frustrato dall’impatto con una realtà che non corrisponde a quella che ognuno di essi per sé vagheggia e pensa di dominare. Una storia comune, infine; perciò non ci sorprende vedere il signor Pampuja del racconto La bambola come un fratello dell’innominato protagonista di una famosa novella pirandelliana, La carriola. Là, il personaggio narratore afferma l’identità della propria tragedia con quella di «chi sa di quanti!». Non si vogliono indicare corrispondenze tra differenti vicende, ma l’affinità che le connota, l’ansia di un sogno vano, la coscienza infelice di nascondere dietro una facciata di rispettabile normalità ciò che risulterebbe diverso a chi non vi sapesse leggere se non un’anomalia o una stravaganza. Palmieri racconta le sue storie in una prosa di classico nitore, attenta alla cura del particolare, cesellato e rifinito. È, la sua, una scrittura larga, ariosa, ricca di annotazioni nessuna delle quali risulta superflua. Proprio la scrittura dà suggestivo corpo alle ombre che si aggirano nello spazio della pagina, ai fantasmi cui la letteratura infonde vita e consistenza. Diverse le storie per contenuto e ambientazione, affini per ritmo e tono. Le salda in unità la sottile inquietudine che domina la pagina tramata di meraviglia, di gusto dell’invenzione, di gioco apparente fatto per trascinare il lettore nella fascinazione del racconto.

venerdì 27 agosto 2010

Teledurruti - Vuoi sapere perchè Berlusconi piace? Te lo dice Fulvio Abbate

Il libro del giorno: Quando è la rivoluzione di Fulvio Abbate (Baldini e Castoldi Dalai)




















Roma, anni Settanta: i militanti dell'Unione dei comunisti italiani, conosciuti come il gruppo di Servire il popolo, occupano L'Antico Girarrosto, ristorante dove sta per avere inizio la festa nuziale di due ragazzi di borgata, Serena e Canio, tra i cui invitati c'è anche Drupi, idolo della sposina. La voce di Claudio Villa con la sua versione di "Bandiera rossa" è il segnale dell'improvvisata rivoluzione. Ma presto ai commensali - tra cui Stelvio Perilli, papà di Serena, la maga etrusca Lady Ferocia, Padre Maurilio Ancona (che travestito da cameriere si getterà nell'impresa impossibile di trovare soccorsi a Castelgandolfo bussando alle porte del Papa), il dobermann neofascista Athanor - si uniscono altri personaggi. Prima fra tutti Marinella Cacciavillani, dama di un prestigioso salotto dove è di casa persino Moravia (reduce dalla realizzazione di un reportage sulla Cina di Mao), oltre a Mario Schifano, al fantasma di Ornella Muti. Una storia comica, che culminerà quando l'intera comitiva traslocherà negli stabilimenti di Cinecittà, dove nel frattempo giunge persino il Papa...

Giuseppe Cristaldi Belli di papillon verso il sacrificio (Edizioni Controluce). Il book trailer



In una Taranto della mente, un ragazzo erige un monumento al padre morto. Cozzaro, contrabbandiere, corista, teatrante, uomo dalle mille risorse, don Papà, come lo chiama il figlio, è uno della razza dei ddritti, nato e cresciuto nel quartiere Tamburi dove ha alimentato favole e racconti sulle proprie gesta. Spinto alla disperazione da un’ingiunzione di trasloco, l’uomo farà a pezzi, nel tempo di una notte frenetica, con l’aiuto del figlio, la casa, prima di compiere il suo ultimo capolavoro, un suicidio esemplare come estrema ingiuria verso i potenti e riaffermazione della vita fin dentro la morte, lasciando al ragazzo il compito di tradurre in una scrittura di rara potenza visionaria la vitavissuta. Belli di papillon verso il sacrificio (con una nota di Teresa De Sio) non è soltanto un romanzo sulla città di Taranto, è molto di più: romanzo di formazione, romanzo sui padri, su come e chi eravamo, su come siamo adesso sotto il cielo di nubi tossiche. Giuseppe Cristaldi sprovincializza il linguaggio plastificato dai media, con una scrittura nervosa, espressionista, barocca nella quale l’urgenza di comunicare assurge a vera liturgia della parola.

Giuseppe Cristaldi (1983) vive e lavora a Parabita (Le). Dopo la sua prima opera Storia di un metronomo capovolto, ha pubblicato Un rumore di gabbiani in cui traspare tutta la sua sensibilità verso problematiche di carattere civile.

giovedì 26 agosto 2010

Teledurruti - Contro ogni realismo! Viva l'impossibile! (Abbate alle primarie del centrosinistra)

Teledurruti - Mai più cattocomunismo! Così Fulvio Abbate candidato alle primarie

Il libro del giorno: Manuale italiano di sppravvivenza. Come fare una televisione monolocale e vivere felici in un paese perduto di Fulvio Abbate





















Un libretto di volo sulla terra della libertà d'informazione, quasi di autogestione mediatica, per diventare padroni assoluti delle nostre idee, della nostra fantasia, della nostra vita. Grazie alla televisione monolocale. Capitolo dopo capitolo, Fulvio Abbate racconta in che modo realizzare felicemente la propria tv, dal nome da dare all'emittente a come arredare gli "studi", dalle soluzioni telematiche ai contenuti, fino a una varietà di modelli cui ispirarsi e alla motivazione. Una su tutte: sfuggire al pensiero unico televisivo, all'omologazione e sentirsi finalmente liberi. Un manuale pratico e poetico capace di sorvolare i tetti dei ricordi familiari e personali del suo autore, come quelli della storia d'Italia, dei suoi artisti, della sua televisione, della sua politica, e pure dei suoi morti e dei suoi gatti. Senza freni. Un modo per dire: puoi raccontare le ingiustizie che vuoi, da quelle di Stato e mondiali a quelle rionali e condominiali. Un libro senza precedenti. Un'Italia senza precedenti.

Manuale italiano di sppravvivenza. Come fare una televisione monolocale e vivere felici in un paese perduto di Fulvio Abbate (Cooper edizioni)

Brasarsi di Max Cabrerana (Cut-Up edizioni)



















Cut-Up Edizioni ha pubblicato da poco “Brasarsi”, la raccolta di racconti dello scrittore di Viareggio Max Cabrerana. L’autore vive in Italia, ha scritto racconti che sono stati pubblicati su diverse riviste letterarie e ha sceneggiato brevi fumetti. Una cosa devo dirla prima di scrivere di questo lavoro. Più volte sono stato tentato di chiuderlo, gettarlo via … ma non certo per una mancanza di capacità o proprietà di tenuta di stile dell’autore. Pervasivo è stato un forte senso di nausea, che ho provato pagina dopo pagina, quella stessa nausea che ho avuto guardando il remake di “The Texas Chainsaw Massacre”. Sono dieci racconti che definirli duri, spietati è poco: il tentativo di Cabrerana di potenziare scene, storie, e contesti attraverso un’iper/surrealismo (che ad alcuni potrebbe risultare addirittura comico) non fa altro che trasformare il tutto in una poltiglia terribile … e a me il pulp piace! A mio avviso il libro da un punto di vista narratologico rende concreto un discorso su quelli che sono gli aspetti cruciali della sofferenza mentale sociale nell'angoscia e nella paranoia, nella disperazione e nella dissociazione, nell'ossessività e nell'euforia, vale a dire i tracciati emozionali di ogni esperienza neurotica o psicotica che oggi viene indotta dalla Matrice dei contesti in cui ci troviamo a vivere. In una parola Max Cabrerana descrive la perdita di direzionalità dell’individuo, ovvero il senso di smarrimento del soggetto quando la sua vita si trasforma in un colabrodo, in cui le falle sembrano aprirsi in successione inarrestabile, senza che si possa avere il tempo di porre dei rimedi. Mettendo a rischio la stessa qualità della vita, ma anche l’equilibrio mentale. Ed ecco che attraverso una carrellata piena di malvagità e pura cattiveria, prendono corpo tra le pagine di questo libro, mostri di ogni genere, depravati, omicidi, malati mentali, in poco più di 148 pagine. Dunque dieci racconti duri, spietati. Ad esempio, che cosa potrebbe accadere ad un gruppo di animalisti “cazzuti” che irrompono in un orrido laboratorio dedito alla vivisezione? Che soluzione potrebbe trovare un mimo che scopre di essere affetto dal morbo di Parkinson e non vuole rinunciare al suo lavoro? Che ruolo può avere di così interessante da raccontare un telefono che assiste ai ripetuti e squallidi tradimenti di un marito insoddisfatto e patetico? Che ci fa l’attore di una soap opera con il cadavere della fidanzata uccisa in un raptus di follia? Cos’hanno da spartire Adolf Hitler e Sigmund Freud che si incontrano casualmente in una sordida birreria nella Vienna asburgica. Le risposte non sono poi così tanto ovvie, e Cabrerana lo dimostra inequivocabilmente. Consiglio, mentre si legge questo lavoro, come sottofondo il gruppo STASI (Cristina Puia, Ruggero Ruggeri, Luana Barnabà, Chiara Vidonis, Francesco Merenda) con il loro ultimo lavoro IDENTITA’. Il loro sito è : http://www.gruppostasi.it/home.html


Max Cabrerana è nato nel 1975 e vive in Italia. Ha pubblicato racconti comparsi su Antologie come Humorotica e Ciao come sto? (Ed. Liberodiscivere), Frammenti di cose volgari (Ed. BooksBrothers) e riviste (UndergroundPress, Toilet). Ha scritto sceneggiature per fumetti (Prof. Rantolo vol.2 Ed. IlFoglio).

Questa è la sua prima raccolta monografica.

mercoledì 25 agosto 2010

Teledurruti - L'eros è politico! Con Tiziana Della Rocca per Fulvio Abbate candidato alle primarie

Il libro del giorno: Il fuoco segreto di Martin Langfield (Nord editrice)




















New York, 2007. L'ex agente dei servizi segreti Katherine Reckliss viene convocata a Londra per far luce su un evento apparentemente inspiegabile: la radio usata da sua nonna durante la seconda guerra mondiale all'improvviso ha iniziato a trasmettere, in alfabeto morse, un messaggio in codice e una data: 30 giugno 1944. Tuttavia, poco prima di partire, Katherine viene rapita e suo marito, sconvolto, si rivolge all'unica persona in grado di aiutarlo, il suo vecchio amico Horace Hencott. Per loro è l'inizio di un incubo, un incubo lontano nel tempo e nello spazio, eppure vicinissimo... Londra, 1936. Sotheby's mette all'asta "I tre fuochi misteriosi", un manoscritto inedito in cui Isaac Newton descrive i suoi rivoluzionari esperimenti alchemici, sui quali ha sempre mantenuto un assoluto riserbo. Il testo se lo aggiudica un libraio, che viene derubato e ucciso pochi minuti dopo... Parigi, 1944. Ci sono voluti otto anni di lavoro, ma adesso il collaboratore più fidato di Himmler è riuscito a creare un'arma così potente da rovesciare le sorti della guerra: il Fuoco Segreto. In una calda notte di giugno, però, una squadra speciale dell'esercito inglese, capitanata dal giovane Horace Hencott, riesce a sabotare il piano nazista, ma non a distruggere quel devastante congegno... Due epoche distanti, un pericolo comune: perché quando è il presente a determinare il passato, la Storia può essere riscritta.

Nacquero contadini, morirono briganti di Valentino Romano (Capone editore). Intervento di Paolo Zanetov


















La nuvola di polvere all’orizzonte che tra grida lontane annuncia l’approssimarsi della selvaggia cavalcata dei briganti, il fumo degli spari, lo schioccare delle pallottole e il balenio delle sciabole snudate della cavalleria – sequele classiche delle cronache brigantesche – riconducono il nostro immaginario agli scontri, agli agguati, alle scorrerie ed ai colpi di mano che abbiamo visto scorrere sul grande schermo nelle pellicole d’oltreoceano dedicate alla conquista del West, da Ombre Rosse al Piccolo grande uomo. Analogamente a quella degli indiani, la minacciosa presenza dei briganti aleggia e si percepisce senza mai entrare nello specifico di una umana concretezza, atta a rendere visibili sentimenti, emozioni e sofferte ragioni dei protagonisti di quelle drammatiche vicende. All’atto del loro sparire nella lontananza di un intravisto crinale o in impenetrabili selve ci si chiede ragione della voluta assenza dei loro profili, pronti a ricomparire tragicamente nelle foto dei loro corpi sconciati o, fittiziamente, in quelle d’abusato repertorio che li ritraggono in simulate pose guerresche o, pensosi e sviliti, in catene. A questa ideologica assenza rimedia finalmente il libro di Valentino Romano che, al contrario, ha volutamente deciso di indagare questa dispersa umanità nelle carte d’archivio. Le sofferenze, l’emotività e le miserie persino di queste vite traboccano fuori dalle pagine ingiallite di quei documenti, restituendoci – in un insolito e inaspettato candore – le certe figure di concretissime e a noi umanamente vicine esistenze.

Il volto del brigante, e con esso quelli di una dolente umanità comprimaria alle sue gesta, balzano vivissimi dalle pagine proponendoci un inedito ritratto della società contadina che li espresse. Bramosa di giustizia assoluta, vendicativa quanto misteriosa e antica nel suo modo di intendere relazioni e avvenimenti, la popolazione del Sud ci appare ansiosa di ripresentare consumate ragioni che, irrisolte, vengono da molto lontano. Una epopea minore quella qui raccontata che, con le speranze, gli odi e gli abbandoni che la animano, trova profonda ragion d’essere nel suo percepirsi perennemente offesa e dimenticata. Ad onta di ogni visione di parte nessuno dei suoi attori – sia detto per gli invasi e gli invasori, i vinti e i vincitori – esce da questa storia con la coscienza netta.

Non hanno il “senso della storia” i vinti, così come – a ben vedere – i vincitori, subito prigionieri di un ferreo meccanismo di potere ad essi antecedente che impedirà nel prosieguo dei fatti una sensata assimilazione del Regno appena conquistato nella, dai molti sognata, “ Nuova Italia”. Il brutale urto con la Storia segnerà per decenni l’inanità di questo scontro. Mutuando un acuto giudizio di Lamberti Sorrentino sull’humus della resistenza russa all’invasione tedesca nella seconda guerra mondiale – ben adattabile al consimile sentire dei “briganti”: “… Confuso, sinistro, cieco, inintelligente, il partigiano porta con se la realtà, e spera di poter divellere ostacoli, contrasti, barriere, limiti … Esemplari al di fuori delle razze, gente della specie nel senso dell’elementarità più assoluta. Spesso ho pensato che costoro sparino soltanto perché un istinto più forte di qualunque paura ve li obbliga. Sbrindellati e convulsi, uccidono perché nel raggio delle loro armi non è giusto che viva nessun estraneo … Esistiamo, vogliamo esistere, esisteremo sempre, andatevene”. Nello svelare inediti retroscena (come nei casi di Ninco Nanco, dei Rago, dello stesso Crocco), così come nel tratteggiare semplici quadri di vita materiale, l’abilità dell’autore sottolinea un qual certo disincanto che anima tutte le storie, suggerendo la fatalità nell’accettazione del destino di un popolo “incappato – sono parole sue – suo malgrado, nel bel mezzo di uno scontro epocale tra vecchio e nuovo”; fatalità ben espressa – a nome di tutta la sua gente – dalla brigantessa Peppinella che, rispondendo a Michele Di Gè che la esortava a desistere dalla lotta (“meglio che ve ne andate, altrimenti la vostra vita è poco”), rifiutò, lasciandosi sfuggire uno sconfitto “dove corre corre la mia pianeta …”. (dalla prefazione al volume)

info: info@caponeditore.it

martedì 24 agosto 2010

Il libro del giorno: Mi chiamo Cassandra. Arguzie, giudizi e vaticini di un profeta incompreso. Di Francesco Cossiga (Rubbettino)




















"Un personaggio nel teatrino della politica italiana". Ecco come spesso Francesco Cossiga si è definito. Questo volumetto raccoglie le battute che il Presidente Emerito della Repubblica ha "recitato" sui giornali in interviste o articoli di proprio pugno: un copione paradossale e spesso contradditorio fatto apposta per un personaggio che può interpretare la giovane Cassandra, profetessa condannata a non essere mai creduta, e la vecchia Pizia, nota veggente che molto fiuto ebbe nel predire le disgrazie dei potenti dell'antichità. E i potenti italiani? Riuscirà davvero il nostro "ex" per eccellenza a indovinarne il futuro? Postfazione di Fulvio Abbate

Corpus Delicti di Juli Zeh (Ponte alle Grazie)















Juli Zeh ha frequentato la scuola «Pädagogium Otto-Kühne Schule» di Bonn dove ha conseguito la maturità, poi ha studiato legge a Passavia, a Lipsia dove ha unito i corsi di giurisprudenza a quelli di studi di letteratura e scrittura creativa presso il «Deutsches Literaturinstitut Leipzig». Juli Zeh ha sempre utilizzato la sua fama letteraria per esprimere le sue opinioni su questioni politiche come quando, ad esempio, nel mezzo delle elezioni del 2005 ha sottoscritto insieme ad altri intellettuali tedeschi la richiesta di Günter Grass di sostenere la coalizione Rosso-Verde. Nella maggior parte dei suoi lavori l’autrice è solita affrontare temi da un punto di vista teorico e morale come l’antagonismo di ordine e caos, giusto e ingiusto, con la consapevolezza inoltre che è una realtà concreta e terribile la questione della perdita di validità della legge e quella dell’esistenza in una società individualista e globalizzata dove non è più possibile ravvisare una responsabilità collettiva per il futuro della società.

Ho avuto il piacere di leggere con grandissimo diletto "Corpus delicti" (in Italia per Ponte alle Grazie) dell’immensa Juli Zeh (libro giunto nelle mie mani attraverso una serie di coincidenze e incroci pari solo alle avventure del Barone di Münchhausen. Pertanto non vi tedierò oltre…). La scrittura magnifica di questa scrittrice è così straordinaria da riuscire a raccontare i "fantasmi" che percorrono la mente dei protagonisti, e far sospendere al lettore qualsiasi altra attività che non sia leggere quest’opera . Splendida trentenne Mia Holl, biologa, indipendente e fascinosa, ha una piccola macchia nel suo curriculum: pluricondannata per attività sovversive. La società in cui vive (non molto lontana dalla nostra nel tempo) sembra la perfetta incarnazione di tutto il significato di un’opera del secolo scorso straordinaria: “Sorvegliare e punire” di Michel Foucault: controllo totale sul corpo e sulla sicurezza a scapito di altri valori indispensabili per una società civile, che voglia definirsi come tale. La colpa di Mia? Rifiutarsi di venire inglobata nel METODO, una ragnatela di obblighi totalmente pervasivi nella vita di ciascun individuo. - Non lo aveva “profetizzato” Noam Chomsky (ndr)? – Mia vuole scagionare il fratello morto suicida dopo l’omicidio di una donna, e lo vorrà fare vestendosi da Thomas More e proponendo un’alternativa plausibile: un’Utopia! Insomma un vero e proprio capolavoro tra thriller e fanta/teoremi. Eccovi un estratto: "Sfiducio una politica che basa il consenso solo sulla promessa di una vita priva di rischi. Sfiducio una scienza che sostiene l’inesistenza del libero arbitrio. Sfiducio un amore che si considera il prodotto di un processo di ottimizzazione immunologica. Sfiducio genitori che definiscono 'rischio di caduta' la capanna su un albero e 'rischio di allergia' un animale domestico. Sfiducio uno Stato che sa meglio di me ciò che è bene per me... Sfiducio me stessa, perché mio fratello è dovuto morire prima che capissi cosa significa vivere."

lunedì 23 agosto 2010

Teledurruti - Tutti via dalla Mondadori di Berlusconi. Subito.

Download:
FLVMP43GP

Il libro del giorno: I servizi e le attività di informazione e di controinformazione. (Rubbettino). Di Francesco Cossiga





















Un libro da leggere per vendetta, contro i luoghi comuni che intessono la storia della nostra Repubblica. Lo ha scritto un politico anomalo, che ha ricoperto le massime cariche istituzionali. Francesco Cossiga è fatto così: dice quello che pensa e pensa a quello che dice. Singolare per un uomo politico che è da 50 anni sotto i riflettori dell'opinione pubblica, anticipando anche oggi avvenimenti e tendenze. Con questo saggio ci fa capire che ogni Stato, qppunto perchè democratico, ha necessità di "servizi speciali" che si confrontino almeno ad armi pari, nell'interesse generale, con i criminali ed i nemici della Patria. Si tratta di un 'Abecedario', cioè delle nozioni elementari per fare comprendere il mondo dell'intelligence, che nello stesso tempo, in Italia ma anche altrove, affascina ed impaurisce. Cossiga dedica questo lavoro a "principianti, politici e militari, civili e gente comune" e lo firma da "dilettante", quale evidentemente non è, intendendo evidenziare la necessità costante di apprendere, di studiare, di conoscere. In poche ma densissime pagine, risultato di decenni di studi, riflessioni, esperienze istituzionali e confronti ai più alti livelli mondiali, Cossiga offre un contributo originale per realizzare una democrazia più piena. Negli anni passati, un importante servizio segreto estero ha dato a Cossiga il nome in codice di "Cesare". Adesso, con questo 'Abecedario', "Cesare" propone e rilancia l'intelligence come tema centrale del dibattito politico nazionale, nella consapevolezza che le informazioni rasentano il motore della sicurezza e dello sviluppo del XXI secolo.
(dalla presentazione di Mario Caligiuri)

Il rumore della terra che gira di Roberto Saporito (Perdisa Pop)












Alberto Perdisa guida un gruppo di grande tradizione nel mondo dell’editoria e della cultura nazionale. Il nonno paterno, Luigi Perdisa, fondò il gruppo Edagricole-Calderini, leader europeo nelle edizioni agricole, nonché preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna. Il nonno materno, Carlo Alberto Cappelli, fu invece alla guida della storica casa editrice Licinio Cappelli e sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna e dell’Arena di Verona. L’esempio ad Alberto viene da loro. Oggi il Gruppo Perdisa Editore ha all’attivo quattro marchi editoriali, fra loro autonomi, ma integrati nel progetto di riportare la città di Bologna e la sua cultura fra i protagonisti delle dinamiche editoriali nazionali e internazionali. Dalla casa editrice ricevo un’anteprima (dal momento che uscirà il 22 settembre) piuttosto gustosa e di una mia vecchia conoscenza: mi riferisco a Roberto Saporito che per Perdisa Pop uscirà con “Il rumore della terra che gira”. “Sospiro, sbatto gli occhi, deglustisco lentamente col pomo di Adamo che va su e poi va giù. Sposto lo sguardo lateralmente e sopra due cavalletti riposa una tela un metro e cinquanta per un metro e cinquanta sulla quale sto dipingendo l’interno di una stanza dove un uomo si sta iniettando una dose di eroina nel braccio sinistro, una stanza dallo sfondo blu spesso di colore a olio, una poltrona amaranto spesso di colore a olio. Il resto del quadro è ancora in abbozzo, in divenire. Quattro piani più in basso passa rombando una moto. Che tipo di moto? Una Harley, forse? Chiudo gli occhi che riapro dopo pochi secondi quando Albertine Scomparsa, la mia enorme gatta certosino grigia, mi salta sulle cosce facendo le fusa e accoccolandosi proprio all’altezza del mio cazzo.”

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