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lunedì 20 agosto 2007

Le luci gialle della contraerea di Mario Desiati




















Mario Desiati, è nato a Locorotondo (Bari), nel 1977. Vive attualmente a Roma dove è redattore della rivista Nuovi Argomenti per i tipi di Mondadori. Fa parte dell'antologia "I poeti di vent'anni" (Stampa 2000), il suo primo romanzo "Neppure quando è notte" é uscito nel 2003 per i tipi di peQuod di Ancona. Di recente pubblicazione alcuni suoi contributi poetici nell'antologia "Nuovissima Poesia Italiana" a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi per la Mondadori. Le luci gialle della contraerea, è il suo ultimo lavoro poetico. Sono convinto del fatto che questi versi non possano essere oggetto di un'accurata analisi per ciò che concerne strettamente la ricerca stilistica dell'autore, le modalità di gestione e strutturazione fenomenologica dei codici poetici o il loro iscriversi in una precisa configurazione ghestaltica! Considerazioni che nascono dall'esiguo spettro di scrittura presente in questo prezioso libretto della Lietocolle, e che mi auguro sia seguìto a breve da un'opera più corposa dove non ci si lascerà trascinare da considerazioni superficiali dettate dal piacere e dall'amore per la poesia in se stessa. Per il momento però cercherò di provare a dire come questi versi di Mario Desiati siano catapultati nel mondo, nel suo mondo e in quello di chi scrive versi e legge poesia, cercherò di specificare qual'è il caratteritisco esserci di questa raccolta. Mario Desiati parte da un'accurata descrizione dermografica dei ricordi, di quegli orizzonti vicini ad una memoria localizzata ai luoghi inscritti geneticamente nella sua esistenza, quella della terra natìa fatta di odori, umori, paranoie misticheggianti, e ossessioni generate da paure ancestrali. Si vedano ad esempio i versi a pag. 9, 10, 12,13. "Il ricordo delle nenie d'infanzia/ s'inerpica per angusti palchi/ la messinscena dell'oblio/ negromanzia ispirata dall'alto/ Ed era in lontananza Valona/ Durazzo, i monti celesti dell'Albania/ seppelliti al contrario sulla cortina/ dietro la coda del miraggio"; "L'incrocio perfetto è intimo bersaglio/ il segreto dei vetri trasparenti/ di un parroco anziano in preghiera/ dei riti della Sant'Anna, con terribili profezie per chi ci creda o no (...)"; "C'è qualcuno che mi vuole uccidere/ senza saperlo con le grida, le maledizioni/ i gesti semplici della giornata/ una posata incrostata, un tovagliolo malmesso/ uno squillo inopportuno". Questo trincerarsi dietro un microcosmo di ciò che resta sospeso nel limbo del passato viene percepito come scarsa lucidità di possesso della propria esistenza, ed è così che che l'autore lancia una sfida a se stesso, che rompa gli argini di un'ingombrante claustrofilìa fine a se stessa e che non permette di assaporare anche l'oblìo del perdersi nell'asettica quotidianità. Percepire quindi la dimensione dell'assenza di punti nodali di riferimento, non diviene mera rassegnazione, ma sospensione, attesa di orizzonti carichi di nuove possibilità. Ad esempio si leggano a pag. 16 questi versi: "Siamo fuori dal mondo/ sospesi nel giudizio, incoscienti attendiamo/ certi passi crepitano sulle foglie ...". Per Mario Desiati ancora tutto questo non è sufficiente, perchè la lotta diviene impari rispetto alla massiccia presenza della cosalità che schiacchia ogni istinto, ogni slancio, ed è neccessaria una reiterazione interiore come un mantra di queste particelle indistrubili di realtà : "Gli oggetti servono per essere amati/ inghiottiti, frantumati, oppure dimenticati/ il pendolo, il cane parlante, i libri mangiati/ un orologio di grande valore/ i fiori di legno/ le stelle allo zucchero/ Gli oggetti sono idee/ come lucenti/ di notte immagino assomigliarli: / non invecchiare" (pag. 18). In questo pasto pantagruelico, il verso non risolverà l'angoscia di non avercela fatta a portare agli uomini la fiamma che rischiarerà l'oscurità di un'esistenza quotidiana cristallizzata nel non-colore, dove un rumore bianco di delilliana memoria, é più angosciante perchè ce l'hai a portata di mano, tra le mani, nelle orecchie riducendosi a ronzìo: "Avrete avvertito almeno per una volta, il ronzìo/ delicatissimo nel cerchio d'aria circostante/ con la campagna che faceva da cuscino/ alla sigla finale e poi la voce rotta della pubblicità." Ecco che allora l'assedio alla parola diviene estenuante " ... odiare l'occorrenza, il limare delle parole/ il sottintendere precipitosamente/ poggiando la lingua sotto il palato/ sino a rimuovere delicati/ il gusto verbale della collisione/ l'impasto che si fa termine/ fiorendo sul dente e poi sul labbro" (pag. 20), e talvolta appare necessario deporre le armi e aspettare ... aspettare forse di rvolgere lo sguardo al cielo ... " ... A volte non ci resta che pregare" (pag 24). In tale immensa solitudine solo il nome di una donna compare ripetutamente ... Claudia! A lei sono rivolti gli sguardi, e le carezze che sembrano non scalfirla, perchè lei forse, angelo della morte, sogno archetipico di una confusio linguarum preferisce il silenzio di chi la spia con gli occhi del cuore : " Claudia è soffice con il viso pallido del chiaro d'uovo/ S'impossessava dello spazio alla fermata oscillando sulle gambe lunghe, con le dita che sanno/ di tabacco, occhi freddi come compresse effervescenti/ il collo che sale come ortica e i capelli che scendono come la barba del papavero, profumata di gelo/ i seni ingombranti sotto il giubotto come incubatrici/ le riaffiorano come residuo di civiltà babelica ...". Questi sono i versi di Mario Desiati, versi metropolitani, versi malinconici, aspri e amari, versi lasciati a se stessi su un tram!

da www.musicaos.it

venerdì 17 agosto 2007

Noam Chomsky: linguaggio e libertà oltre le illusioni necessarie












La più grande patologia del mondo occidentale, è la creazione di sistemi di controllo del comportamento della gente, ad opera delle grandi corporation della pubblicità e di quelle inserite a pieno titolo nel mare magnum del libero mercato. Un controllo creato appositamente da autorevoli editorialisti, intellettuali, accademici, manager, grazie ad un pressante e stritolante lavoro di sottrazione o distorsione dogmatica (vedasi i casi di Herman Khan nel suo libro On Thermonuclear War, e l’analisi di Gabriel Jackson nella sua opera The Spanish Republic and the civil war: 1931/1937) delle informazioni circa tutte quelle questioni che l’establishment non vuole in nessun modo far trapelare dalla “stanza dei bottoni”, in modo che magari si venga a creare una vasta porzione di popolazione che sappia argomentare da specialisti su argomenti come le scelte messe in campo dal coach dei Los Angeles Lakers su chi far giocare o meno magari nei play-off dell’NBA, anziché magari sul fatto che gravi violazioni dei diritti umani, con il sostegno diretto o indiretto degli U.S.A., si siano verificate poco più in là dei “cortili dello zio Sam”: in Nicaragua (la serpe filo-sovietica cresciuta in seno alla grande madre America), in Salvador (dove i commandos degli Atlacatl hanno ucciso migliaia di civili innocenti) o il Plan Colombia voluto da Clinton per la Colombia come sostegno economico per il paese, in realtà una sorta di embargo “gentile” a favore degli investitori americani, tanto per fare qualche esempio più vicino ai nostri tempi. Per non parlare poi dei casi più eclatanti di orrore e persecuzione nella storia della politica estera degli Stati Uniti, da paragonare alle più terribili atrocità naziste, come i devastanti bombardamenti del Laos settentrionale e la Cambogia nel 1969 o l’invasione del Vietnam del Sud (concetto assolutamente inesistente per le categorie mentali dei politici e politologi statunitensi, pena l’essere tacciati di follia o di spalleggiamento al comunismo terroristico internazionale) . Una modalità operativa propria della fabbrica del consenso creata appositamente per la nascita delle cosiddette illusioni necessarie, quelle che hanno lo specifico compito di rendere una popolazione spaventata dal pericolo costante di un’invasione da parte di demoni russi, o di orde di fondamentalisti provenienti dal Terzo Mondo. La logica è sempre la stessa. Un esempio, a sostegno di questa affermazione, lo si può trarre dal libro di Noam Chomsky Illusioni necessarie, ovvero le versioni modificate di cinque conferenze radiofoniche tenute da Chomsky alla Canadian Broadcasting corporation nel 1989, (Elèuthera), ad esempio alle pagg. 183 e184 : “Gli obiettivi a lungo termine dell’Amministrazione Reagan in Centro America sono stati chiari fin dall’inizio. Shultz, Abrams, Kirkpatrick e compagnia rappresentano l’ala estremista dello spettro politico, con il loro entusiasmo per il terrore e la violenza, ma gli obiettivi generali della sua politica sono convenzionali e profondamente radicati nella tradizione e nelle istituzioni statunitensi; ed è per questo che hanno ricevuto scarsissime critiche da parte della cultura dominante. Ed è sempre per il medesimo motivo che ci si può aspettare che proseguano. Quello che serve è annientare le organizzazioni popolari che lottano per difendere i diritti umani fondamentali (arcivescovo Romero) ed eliminare il pericoloso ultranazionalismo nelle democrazie in fasce (…)”. Complementare l’altro lavoro di Noam Chomsky, Linguaggio e libertà, che raccoglie interventi risalenti agli anni ‘60 e ’70 e una bella intervista introduttiva al volume di James Peck, (NET- MarcoTropea editore) in cui vengono affrontate una serie di tematiche riguardanti importanti episodi della storia contemporanea internazionale americana e non solo, tra cui la splendida analisi sulla rivoluzione anarchica in Spagna tra il luglio 1936 e il maggio 1937, secondo alcuni tra i più autorevoli punti di vista, da chi la rivoluzione l’ha vissuta come Orwell, e da chi la rivoluzione l’ha saputa raccontare teoricamente e non solo, come Rudolf Rocker. Anche se in termini di abbozzo,viene sviluppata teoreticamente una condizione necessaria per scavalcare tutte quelle logiche di controllo e potere, per cui in teoria tutti sono detentori di diritti, ma in realtà nessuno è in grado economicamente di acquistarli. Sembra un paradosso, ma non lo è! Una condizione emancipativa per l’uomo che parte dal linguaggio, strumento indispensabile per costruire e migliorarsi in una costante azione non solo dialettica ma di prassi interattiva all’interno del sistema-mondo, con alla base quattro pilastri fondamentali per arrivare a pensare e costruire il Bene Comune: onestà e sincerità, responsabilità e sollecitudine. Il linguaggio può divenire fenomenologia della liberazione umana!

martedì 14 agosto 2007

Andrea Di Consoli. Il padre degli animali


Andrea di Consoli, ha poco più di trent’anni, nato a Zurigo, da genitori lucani emigrati. Quando aveva all’incirca dieci anni, i Suoi ritornano in madre patria. Di Consoli oggi vive a Roma, dove collabora con diverse testate nazionali come il Messaggero e L’Unità. L’ultimo suo lavoro è “Il Padre degli animali” edito da Rizzoli nella collana 24/7. Le vicende narrate parlano di una Lucania primitiva, selvaggia, quasi oserei dire spietata, con molta probabilità individuabile temporalmente negli anni ’80, anche se in verità, ci troviamo dinanzi ad una precisa volontà dell’autore, di ridurre a zero qualsivoglia categoria spazio-temporale, come a voler preservare una dimensione mitologica del Sud, del Meridione. L’intero romanzo sembrerebbe ( il condizionale è d’obbligo perché c’è molto, molto di più!) solo incentrarsi sullo sviluppo di un dialogo, quello tra il padre (emigrato in Svizzera e rientrato in Italia distrutto e sconfitto da una serie di insuccessi esistenziali) e il figlio. Un figlio che chiede continuamente al padre, pone domande, lo incalza sino allo sfinimento, perché le domande sul mondo, sulla vita, sugli innumerevoli come e perché dell’ordinario e cannibalico scorrere dei giorni e dei mesi, non si possono esaurire in pochi interrogativi e soprattutto meritano un certo tipo di risposte, piene, autentiche, risposte che alla fine possano servire perlomeno alla sopravvivenza. E questo il padre lo sa, perché dinanzi al figlio sente non solo un tipo di responsabilità pedagogica, educativa, formativa, quella propria insomma del mestiere di genitore, ma avverte anche la necessità di dover fornire ad ogni costo strumenti utili alla sua progenie, per fare in modo che impari a saldare, sempre a testa alta, i conti che la vita con inesorabilità, presenta ad un uomo, a tutti gli uomini. Ad esempio leggiamo a pag. 84: “ Ci lasciano così, le persone, lentamente, e nessuno è preparato, nessuno sa cosa c’è di là, quando la luce si spegne. Tutte le persone del mondo, le persone dell’India, della Russia, dell’Egitto, che di colpo lasciano le cose a metà, e non entrano più in casa, non accendono più il fuoco, non baciano più i figli prima della mezzanotte, ignorano l’oltrevita, il senso di tutta questa paura prima di lasciare il mondo”; e ancora a pag. 92: “ (…) Il mondo perso e crudele parla, ma parla inutilmente, perché le parole cadono per terra, si sciolgono come neve al sole”. Un titolo emblematico accompagna questa ultima fatica di Andrea Di Consoli: “Il Padre degli animali”. Ebbene … Il padre diviene “Il Padre degli animali” sentendosi messo alle strette da una dimensione vitale soffocante, grigia e opprimente, comprendendo che per rimanere a galla, non gli resta altra scelta che smerciare frutta, facendo l’ambulante, unica via praticabile, da un uomo tornato al Sud, con le ossa rotte, per stare vicino al Suo di padre, che usava costantemente fare violenza alla madre Sua, recuperando delle radici malate quindi nella Sua terra. Ma ancor di più sembionticamente fondendosi alla naturale linearità e coerenza degli animali delle sue terre, quelli sotto la sua “giurisdizione” per la precisione, esenti dalla gramigna della disonestà e della cattiveria. Questo romanzo, non è certo da affrontare a cuor leggero, perché parla di persone imbestiate nella mediocrità più profonda, nella bassezza morale più sordida, disgraziati costretti a chiudere gli ultimi anni rimasti, soli, abbandonati, perché i figli non ci hanno pensato due volte a fare i bagagli e andarsene al Nord, o in qualunque altro posto per non rimanere lì, pur di dimenticare, e dimenticarsi immemori di un destino troppo pesante da portare sulle spalle in una terra che ha la malevola aura di una maledizione: “Questa terra è un tranello del demonio”. Non è quello di Di Consoli, un romanzo tranquillizzante, e meno male, perché di superficiali amenità letterarie il mondo dell’editoria italiana è piena sino all’orlo. L’autore è abilissimo a riversare sulle pagine uno stile dialogato, quasi febbricitante, con estesi squarci di grande lirismo che spesso scivolano nell’oracolare, necessario passaggio tecnico però, al fine di scomporre, rimontare e in-formare la dimensione del dolore e dell’assenza, e di un improbabile eterno ritorno. Un romanzo necessario, un’opera da far leggere e da discutere, proprio oggi, quando tra gli scaffali delle nostre librerie, il pop viene scambiato per idolatria dell’evanescenza.

Andrea Di Consoli, Il padre degli animali, Rizzoli 24/7, pp.193

da www.musicaos.it

lunedì 13 agosto 2007

1977 Fantasmi armati di Roberto Saporito su YouTube



Millenovecentosettantasette, fantasmi armati rappresenta un’attenta e lucida analisi narrativa realizzata in punta di penna su quanti hanno vissuto in presa diretta esperienze legate al terrorismo negli anni ’70. Un gruppo di ex-terroristi, ognuno dei quali ha intrapreso una nuova vita a distanza di quasi trent’anni, si incontra nuovamente con l’esplicita intenzione di organizzarsi ancora una volta, appoggiando idealmente un gruppo di giovani sovversivi che vede in loro la vecchia generazione del movimento. Uno di essi è un poliziotto che è stato fatto fuori dalla polizia. Un altro un docente universitario. Un altro ancora un latitante, soprannominato il ‘fantasma’. Le vicende vengono descritte in maniera incalzante, rapida, tagliente da Albino, Fabio, Franco che rappresentano i tre volti della narrazione. Un romanzo che mette a nudo una porzione della storia d’Italia, della nostra storia, che ha lasciato aperte ancora molte ferite.

ROBERTO SAPORITO, classe 1962, è autore di libri cult come Harley

Davidson (racconti) e H-D/ Harley Davidson, deserti e nuovi vampiri.

Ha pubblicato suoi interventi narrativi sulle più prestigiose riviste del settore.

Millenovecentosettansette, fantasmi armati (Besa editrice) è il suo ultimo lavoro.

Ora su YouTube. Book Trailer di Nick Tambone

domenica 12 agosto 2007

I cortili dello zio Sam. Il nuovo ordine mondiale visto da Noam Chomsky


“Noi possediamo circa il 50% delle ricchezze del globo, ma solo il 6,3% della sua popolazione… In questa situazione, non possiamo che essere oggetto di invidie e di risentimenti. Il nostro vero compito nell’immediato futuro consiste nell’individuare uno schema di rapporti che ci consentano di mantenere tale posizione di disparità…Per poterlo fare, dovremo rinunciare a tutti i sentimentalismi ed i sogni ad occhi aperti; la nostra attenzione dovrà concentrarsi, sempre ed in ogni caso, sul nostro immediato obiettivo nazionale…Dovremo smetterla di parlare di obiettivi vaghi … e irreali come i diritti umani, l’innalzamento del livello di vita e la democratizzazione. Non è lontano il giorno in cui dovremo agire in termini di potere diretto.Meno saremo intralciati dagli slogan idealistici, meglio sarà per noi” (Studio n.23 del 1948, di Pianificazione Politica di George Kennan per il Dipartimento di Stato – pp.19/20).

Gli obiettivi della politica estera americana dal Vecchio al Nuovo Ordine Mondiale sono gli argomenti trattati nel volume I cortili dello zio Sam di Noam Chomsky, a cura di David Barsamian, per i tipi di Gamberetti editrice. Sembrerebbe che ad impegnarsi nell’analisi di tutte le strategie politiche sul piano internazionale, portate avanti dagli Stati Uniti d’America, ci si troverebbe coinvolti nel fornire un quadro non solo disorganico, ma alquanto caotico e disordinato del tutto, quasi non vi fossero delle strategie politiche sufficienti a stabilire una serie di regole puntuali tali da dare solidi punti di riferimento per affrontare la questione. In realtà questo accade ad un’analisi superficiale. Dalla seconda guerra mondiale gli Stati Uniti d’America sono usciti come il paese economicamente e militarmente più forte al mondo, e col passare del tempo tale forza e potenza non solo è andata ad aumentare, ma si è rinforzata, portando a far assumere all’establishment governativo americano, un eccesso di euforia, con non poco delirio di onnipotenza. Non solo è plausibile pensare all’uso preventivo della forza, e giustificarlo, contro i continui nemici dell’America che sono sempre sul punto di attaccarla ( con il costante terrore mediaticamente somministrato alla società civile dai media americani collusi con le forze governative) , laddove gli interessi economici degli investitori americani nel mondo sono minacciati da “tentativi democratici” di cultura del progresso per la gente (il Fondo Monetario Internazionale è un gigantesco racket internazionale delle estorsioni che offre finanziamenti ingenti ai paesi del Terzo Mondo in cambio della liberalizzazione selvaggia degli investimenti delle corporation americane a solo beneficio di quest’ultime e a scapito dell’economia del paese “saccheggiato”) , ma è altrettanto possibile osservare come una prassi costante di volontà di dominio nel mondo, proceda secondo uno schema ben consolidato: si fa uso della polizia, in quanto sono agenti spettacolari di controllo del sorgere del malcontento in grado di eliminarlo sul nascere, prima delle operazioni chirurgiche su larga scala, ovvero attraverso l’utilizzo dell’esercito interno al paese che si è in procinto di “colonizzare”. Se questo nemmeno risulta essere un’operazione utile, allora si utilizza le risorse militari proprie, cercando di ammortizzare quanto più possibile i rischi e i costi. Ulteriore modalità d’azione consolidata è il controllo di territori strategici, per risorse naturali, economiche o semplicemente perché geograficamente utili come postazioni di monitoraggio su obiettivi internazionali sensibili, attraverso il sostegno occulto, nella storia come sino ai giorni nostri, a sanguinari terroristi (fino a quando ovviamente non pestano i piedi al governo statunitense) come Somoza in Nicaragua, Marcos nelle Filippine, Duvalier ad Haiti, Saddam Hussein in Iraq, ed altri tra i quali Mobutu e Ceausescu. I cortili dello zio Sam, sono uno spazio vitale che tende ad allargare sempre più i suoi confini, arrivando a “macinare” qualsiasi cosa si trovi sul suo cammino. E quando lo zio Sam dice “I want you” dice io voglio il mondo!

sabato 11 agosto 2007

Gli atti della Tribù dei blog


Sono disponibili in formato PDF sul sito dell’associazione BooksBrothers gli atti del convegno “La tribù dei blog”. Buona Lettura qui.

venerdì 10 agosto 2007

Noam Chomsky: anarchia e libertà


Anarchia e libertà di Noam Chomsky, pubblicato da DataNews, contiene una serie di scritti del famoso linguista americano sul concetto storico di anarchia, e sul cammino del movimento anarchico nella sua storia sino ad oggi. Interessanti inoltre le interviste contenute nel volume, sempre riguardanti il medesimo argomento sopra menzionato, a cura di Tom Lane, Peter Jay, Tomas Ibanez, Kevin Doyle. L’intera operazione editoriale che presento in questa sede, ha il merito di fare un po’ di chiarezza intorno a ciò che concerne le peculiari caratteristiche che occupano i diversi passaggi storicamente e teoreticamente fondanti il pensiero anarchico, come Bakunin, Diego Abad de Santillan, Daniel Guerin, Adolf Fischer. Chomsky, che si dice non anarchico ma compagno di viaggio degli anarchici, parte da una significativa citazione dando voce a Rudolf Rocker, che illustra cosa non possa definirsi anarchia, e dichiara che l’anarchia non è un sistema sociale fisso, ma una chiara tendenza dello sviluppo storico dell’umanità che (…) aspira a che ogni forza sociale e individuale si sviluppi liberamente nella vita. Vengono passati in rassegna i passaggi più salienti della Storia, in cui un pensiero anarchico ha cercato di costituirsi come azione e prassi rivoluzionaria, facendo ad esempio riferimento, all’episodio della Comune di Parigi (1871), quando i lavoratori della capitale francese decisero di abolire la proprietà privata, che era la base della “civilizzazione” portatrice della dominazione oligarchica dei possessori dei mezzi di produzione sui lavoratori oppressi, per portarne un’altra, nuova, più forte, dove i mezzi del sistema produttivo si trasformavano in strumenti di lavoro libero e collettivo. E ancora, l’esimio professore del M.I.T., prende in considerazione le vicende della guerra civile spagnola: “ La Guerra civile spagnola è forse l’esempio più importante; dobbiamo però sottolineare che la rivoluzione anarchica che avvenne in buona parte della Spagna, nel 1936, e che assunse varie forme, non fu repentina e spontanea, ma preparata in decenni di lavoro, di organizzazione, di lotte, di sconfitte, e a volte di vittorie. Fu molto significativa. Abbastanza per suscitare l’ira di tutti i grandi sistemi di potere: lo stalinismo, il fascismo, il liberalismo occidentale, la maggioranza delle correnti intellettuali”( pag.41). Perché oggi si possa realizzare nella realtà un progetto di sistema anarchico, sembra alquanto difficile, ma non impossibile secondo Chomsky. E’ vero che si procede per intuizioni in quanto non conosciamo sino in fondo i meccanismi di una iper-complessità sociale come quella in cui oggi ci muoviamo, ma è fuor di discussione che una progressiva azione di discussione, teorizzazione, riflessione portate avanti per un certo lasso di tempo, sui modelli da sviluppare concretamente perché una società anarchica viva e sopravviva sia nel suo interno, che nei rapporti con ciò che è al di fuori del suo sistema, è possibile e plausibile. Abbandonando qualsiasi tentativo revisionista di matrice marxista o socialista, per un’anarchia contemporanea, è necessario pensare ad un tecno-anarchismo sindacalista, di matrice social-volontarista. La liberazione dell’uomo dalle logiche di forza lavoro oppressa e annichilente, portata, attraverso la collettivizzazione dei mezzi di produzione automatizzati, ad una nuova dimensione di sviluppo libero individuale. Il tempo viene liberato dalle logiche del produci-consuma-crepa (come cantava Giovanni Lindo Ferretti) e rimesso fattualmente in una posizione non più costringente ma accogliente la ricerca, lo sviluppo, la comune cooperazione sia nella stretta sfera produttiva,che nell’ambito delle scelte e direzioni politiche da intraprendere collettivamente.

N.B.

I testi pubblicati in Anarchia e libertà , sono tratti dalla Biblioteca virtual Chomsky , sito libertario Spagnolo, che raccoglie saggi, articoli e interviste di Chomsky:
(www.galeon.com/bychomsky/textos.html).

Oltre che su ZMag ovviamente.

La traduzione è a cura di Manuela Palermi

giovedì 9 agosto 2007

Noam Chomsky. Il Bene Comune


Dare la definizione di bene comune, o anche solo di bene, oggi risulta particolarmente difficile. In un primo momento perché viviamo in un caotico sistema-mondo in cui la vita di valori o categorie che sino a questo punto della storia dell’umanità venivano considerate come acquisite (tutela dei diritti umani, pace, libertà etc) vanno a estinguersi sotto le violente rappresaglie di nuove tendenze che non hanno a che fare né con il relativismo etico, né con fondamentalismi religiosi o culturali, ma con un mercato che assume la consistenza di un gigantesco Leviatano che tutto divora e tutto annichilisce. Come secondo elemento problematico, e non certo di secondo ordine, è che si sono perse completamente le coordinate per muoversi in una realtà iper-complessa che conducendo l’uomo sempre più alla deriva, lo fa brancolare nel buio. Il bene comune di Noam Chomsky a cura di David Barsamian, per i tipi di Piemme, rappresenta una luce salda e forte per chi volesse avventurasi nell’oscurità, una piccola bussola a cui non si può davvero rinunciare. Innanzitutto Chomsky parte da un elemento fondamentale per aprire qualsivoglia dibattito sul destino dell’uomo, che è quello della democrazia, termine più abusato e usato, poco conosciuto in tutti i suoi aspetti, e quasi mai realizzato (basti pensare a quello che è accaduto a Timor Est, ad Haiti, in Guatemala, Messico solo per fare sporadici esempi). Le diverse tendenze politiche internazionali, globali sono direttamente influenzate dalla politica pressoria militaresca e belligerante degli Stati Uniti d’America, un modello che tende a far crescere con la propria forza e in qualunque modo il suo potere in favore di una sparuta minoranza ai danni dei più. Un esempio, storicamente parlando, lo troviamo a pag. 42 e a pag. 43: “Se la gente cerca di prendere il controllo di alcuni aspetti della propria vita, e non sembra esserci alcun modo per fermarla, una delle risposte storiche standard è stata quella di dire, lasciate a noi ricchi il compito di farlo per voi. Un esempio classico è qualche avvenne a Flint, Michigan,una cittadina dominata dalla General Motors, intorno al 1910. Nell’area c’era una forte presenza di organizzazioni socialiste dei lavoratori, ed erano stati sviluppati progetti per assumere effettivamente il controllo della situazione e fornire dei servizi pubblici più democratici. Dopo qualche esitazione i ricchi uomini d’affari decisero di seguire la linea progressista. Essi dissero: Tutto quello che state facendo è giusto, ma noi possiamo farlo molto meglio perché abbiamo un sacco di soldi.. Volete un parco pubblico? Bene. Votate il nostro candidato e lui vi realizzerà un parco pubblico. Le loro risorse economiche minarono ed eliminarono le nascenti strutture democratiche e popolari. Il loro candidato vinse e a quel punto si ebbe realmente un capitalismo sociale … fino al momento in cui non ce ne fu più bisogno, e a quel punto venne messo da parte”. Continuando poi a scorrere le pagine di questo prezioso contributo chomskyano, ci si imbatte nella riduzione a pura formalità e vane parole di operazioni governative degli Stati Uniti d’America come l’affirmative action (Azione anti-discriminatoria positiva. Il termine viene applicato all’uso di preferenze su base razziale, etnica o di sesso nella distribuzione di benefici e ruoli sociali, partendo dal presupposto, che alcune fasce della popolazione siano state in passato vittime di sistematica discriminazione), un Paese dove la struttura della criminalità sembra essere stata progettata in modo tale da produrre un sistema giudiziario che utilizzi due pesi e due misure: per i colletti bianchi di grandi corporation (come la Nike e la Walt Disney che sfruttano manodopera a basso costo, anzi “fuori costo” in paesi sottosviluppati o in via di sviluppo) le sanzioni giudiziarie sono di qualche migliaio di dollari, mentre per le minoranze etniche (ispanici, latino-americani, afro-americani – la massa inutile) le pene più severe. E’ un caso che l’architettura carceraria stia avendo uno sviluppo così incredibile, che non solo il Pentagono appalti a industrie militari la realizzazione di sistemi di sicurezza per le carceri, e che queste ricevano finanziamenti pubblici per ammortizzare i costi? Le carceri in america sono i contenitori, o meglio le gabbie il cui pavimento non si può allargare, dove finiscono poveri, e minoranze etniche. Leggiamo a pag. 53: “ Prima di tutto deviare, in modo che non si accorgano che la società è ingiusta e cerchino di cambiarla, e il miglior modo per distrarre la loro attenzione è spingerli ad avere paura e ad odiarsi gli uni con gli altri. Ogni società coercitiva fa propria immediatamente questa idea, che ha due ulteriori vantaggi: riduce il numero di gente superflua (con la violenza) e fornisce luoghi dove sistemare i sopravvissuti (le prigioni)”. Lo stesso dicasi per il degrado presente nelle periferie per ciò che concerne la pubblica istruzione, le scuole sono in uno stato di semi-abbandono, i giovani professori universitari sono costretti ad avere una rotazione lavorativa che scavalca qualsiasi definizione di precariato selvaggio, dove le biblioteche sono lasciate a se stesse, quasi sempre vuote, e con non più di qualche centinaio di libri . Per Chomsky è comunque possibile cambiare questo stato di cose. Naturalmente non mettendosi davanti alla TV, dopo aver messo una x, su qualche scheda elettorale.

mercoledì 8 agosto 2007

L'altra storia?


"C'era, sulle tracce di Kammler, un corpus crescente di prove che i nazisti, disperati di non poter vincere la guerra, avevano fatto degli esperimenti con una forma di scienza che il resto del mondo non aveva mai neppure remotamente preso in considerazione. E che in qualche parte di questo calderone di idee, era nata una nuova tecnologia. Una tecnologia che era così avanti rispetto ai tempi, da essere stata poi tenuta ben nascosta per oltre mezzo secolo" (Nick Cook, The Hunt for Zero Point)
da
Joseph P. Farrell , Hitler, i dischi volanti e le altre super-armi del Terzo Reich
Profondo Rosso edizioni, Roma, 2007

fonte iconografica da www.naziufos.com

martedì 7 agosto 2007

L'11 settembre di Noam Chomsky






























L’11 settembre 2001 rappresenta per l’attuale storia contemporanea internazionale, il giorno in cui si è verificata la più grande catastrofe psico-cosmica (parafrasando Manlio Sgalambro) per l’umanità: gli Stati Uniti d’America subiscono la distruzione del loro simbolo economico più grande, ovvero il World Trade Center, e del loro simbolo militare più importante ovvero il Pentagono. Noam Chomksy nei suoi due lavori, 11 settembre – le ragioni di chi e Dopo l’11 settembre – potere e terrore editi per i tipi della Marco Tropea editore, riflette e cerca di cucire una fitta trama di riflessioni sulle possibili cause che hanno determinato un atto ad alta densità terroristica come quello, tentando di esaminare tutta quella politica estera americana degli anni passati, provando inoltre a far comprendere ai suoi lettori come mai, una nazione così potente come gli U.S.A, che più volte istituzionalmente si è professata portatrice di grandi ideali, come giustizia, uguaglianza, pace, in realtà non riesca a riscuotere grandi favori nel mondo. Innanzitutto, dice Chomsky, è la prima volta dal 1812 ( si fa riferimento alla guerra anglo-americana combattuta ai confini con il Canada quando la Casa Bianca venne incendiata) che gli Stati Uniti sono stati sotto attacco esterno. Qualcosa di certo non è andata per il verso giusto. E’strano… i migliori servizi di intelligence come la C.I.A e l’F.B.I , non erano stati in grado di disporre di una serie di informazioni, con largo anticipo, utili per sventare l’attacco? E’ strano … possibile che nessuno dei loro informatori, distribuiti come infiltrati nei più svariati ambienti legati al “mondo del terrore” internazionale, magari anche da loro ben pagati, non abbia perlomeno fatto suonare un piccolissimo campanello d’allarme che qualcosa di grosso bolliva in pentola? Di certo non è il momento di fare banali supposizioni, peraltro da tempo messe nero su bianco sulle più importanti testate nazionali e internazionale, a tutt’oggi. Quello che sostiene Chomksy, fondamentalmente, è che pur se in molti in America e non solo hanno con rabbia gridato alla vendetta, contro Al Qaeda e il suo capo Osama Bin Laden, adducendo tra l’altro deboli prove riguardo ad uno suo coinvolgimento diretto, ricordando che comunque Al Qaeda risulta essere un’organizzazione terroristica piuttosto decentralizzante tutti quei “lavori” di coordinamento per possibili attacchi o azioni terroristiche, l’America si è puntualmente comportata come sempre ha fatto nel corso della sua storia: sul banco degli imputati espone le sue tesi, costruisce delle prove, fa la sua doverosa distinzione tra buoni e cattivi, utilizza tutti quei mezzi di comunicazione di massa ( un esempio potrebbe essere la MSNBC) in qualche modo legati al governo per iniziare una lavoro di controllo delle coscienze (la tecnica usuale nel produrre terrore e angoscia nella gente è che occorra essere i primi ad attaccare - guerra preventiva, ndc - prima che un nemico terribile distrugga la nazione), dare un nome roboante e che instilli in chiunque la sottomissione al dogma dell’uso della forza contro chi odia la civiltà, la pace e la giustizia ( penso a “Infinity Justice” chiamata poi per questioni più politicamente corrette di propaganda “ Enduring Freedom”) e chiedere sostegno ad altri paesi amici ( la Gran Bretagna in prima linea, la Turchia subito dopo) nella lotta contro il Male (Afghanistan, Iraq, Iran etc). Peccato che ad esempio l’Iraq di Saddam Hussein sia stato prima oggetto di aiuti e “cure” da parte degli Stati Uniti nel periodo in cui commetteva orribili stragi contro i curdi, e peccato che la famiglia Bin Laden abbia fatto grandi affari con la famiglia Bush ( basterebbe guardare il film di Moore, 9/11 per rimanere senza fiato per quello che viene dichiarato e per ciò che si vede), oppure che gli stessi terroristi di Al Qaeda provengano dalle fila di quei fondamentalisti addestrati circa vent’anni fa dalla Cia per contrastare l’Unione Sovietica in Afghanistan . In verità i due libri analizzati in questa sede, aprono veramente gli occhi a quanti vogliono sapere perché ad esempio Israele, da quando ha costituito per gli U.S.A una solida barriera in quella regione contro i paesi fondamentalisti arabi, goda di tanta protezione, nonostante la costante pressione militare ( terroristica?) sulla Palestina, o perchè magari nonostante le diverse risoluzioni dell’Onu contro l’impiego della forza per la soluzione dei conflitti, proprio in quella sede ci sia stata sempre l’astensione di Israele e degli stessi Stati Uniti. Si sa ad esempio che numerose accuse di terrorismo internazionale sono state rivolte agli Stati Uniti da altrettanto numerosi paesi nel mondo (uno di questi è stato il Nicaragua), anche in sedi legali internazionali come la Corte Suprema dell’Aia? Ad ogni modo Chomsky insiste sulla necessità di scavalcare qualsiasi forma di protesta nei confronti del potere costituito, creando momenti di incontro orizzontali tra la gente, di discussione, proposizione e azione, ricordando come sia inutile dire al Potere, la Verità, che già sa e che ciecamente e volutamente ignora.

lunedì 6 agosto 2007

Anelli deboli


Mi piacerebbe partire da due considerazioni. La scrittura è qualcosa per cui vale la pena attendere. La redazione di una rivista è qualcosa di permanente. Entrambe sono sicurezze cui ci si può volgere in momenti di momentaneo offuscamento della realtà, sociale o politica. La condizione della debolezza, al di là di un richiamo possibile alla filosofia recente, costituisce un cenno alla forza insita nell'inizio, nell'origine, che non contengono - è vero - la verità, ma che tuttavia per il loro anelito quasi disperato all'esistenza celano una promessa di verità che va oltre il semplice esordire. Le riviste sono i luoghi preferiti dove tutto ciò viene accolto e dove, si spera, viene coltivato. Ecco perché da qualche tempo su Musicaos.it - grazie soprattutto ad un nucleo 'forte' di collaboratori - preferiamo recensire libri interessanti non necessariamente usciti con grandi case editrici. A questo si aggiunge un altro elemento, quello cioè di sganciare l'idea di critica militante da quello della forsennatezza con cui si rincorre, troppo spesso, l'ultimo libro, l'ultima uscita, il tritaprezzi. Anche perché non esiste nessun libro che sia unico né tantomeno ultimo. Un'idea di critica per cui il libro e l'autore siano oggetti parlanti posti come lente tra il critico e il lettore. Un'idea di lettura critica degli eventi mediata dalle letture che si sedimentano nel tempo.
Nella sezione interventi ho deciso di ritornare a parlare di un esordio importante, Neuropa, di Gianluca Gigliozzi, un libro uscito nel 2005, insieme a questo mi occupo di altri romanzi, tra i quali "Gustavo", di Carlo Bordini, che ebbi modo di presentare nel settembre scorso a Palazzo Gallone a Tricase e poi "Actarus", di Claudio Morici (edito per Meridiano Zero), e poi "La mania per l'alfabeto" (Sironi Editore) l'esordio di Marco Candida e "Il legame" (Besa Editrice) dell'italo-egiziano Fabio Omar El Ariny, romanzo costruito a partire da un'ipotesi interessante sui fatti immediatamente seguenti all'11 settembre 2001; infine la recensione di un libro di critica letteraria dedicato ad una delle figure più importanti della letteratura contemporanea, Philip K. Dick, uno dei mappatori dell'immaginario contemporaneo, il libro in questione, edito da Agenzia X, è scritto da da Antonio Caronia e Domenico Gallo:“Philip K. Dick, la macchina della paranoia, enciclopedia dickiana”. Elisabetta Liguori, non nuova al reportage (vedi "Zerinol a Istambul"), ci ha consegnato il suo viaggio a New York compiuto nel giugno scorso (sezione testi). Per restare in tema di USA, Stefano Donno, che uscirà in autunno con una monografia su Chomsky, ci regala in anteprima una nano-intervista ottenuta da Noam Chomsky nel 2005, tuttora inedita, insieme ad un'anticipazione poetica, Mirella Floris.
Enrico Pietrangeli recensisce una monografia di Sandro Montalto (Edizioni dell'Orso) dedicata al rapporto tra Samuel Beckett e Buster Keaton, i due diedero vita a Film, opera filmica del drammaturgo irlandese. Chi fosse interessato a vedere questa opera sconcertante lo può fare su youtube a questi link:[ Film by Samuel Beckett - part 1 (5:49 min)][Film by Samuel Beckett - part 2 (5:49 min)][Film by Samuel Beckett - part 3 (5:28 min)]. "L'eretico e il cattolico" è un libro intervista scritto da Mauro Daltin, di cui si è occupato lo stesso Pietrangeli; sempre per restare in tema di media editoria dopo le Edizioni dell'Orso e le Kappa Vu Edizioni, ecco Disorder (Edizioni Il Foglio) di Gianfranco Franchi, e "Sopra e Sotto" (Sovera) di Roberto Casalena. Bianca Madeccia, ha pubblicato la sua raccolta (qui recensita da Simonetta Ruggeri) per i tipi di Lietocolle Edizioni; in questo numero di Musicaos.it si occupa con un interessante e denso intervento di uno degli artisti visivi più rappresentativi di questo secolo Roberto Sebastian Matta Echaurren. Simone Olla, uno dei 6 opificisti del Gruppo Opìfice (del quale ci occuperemo nel prossimo numero di Musicaos.it) pubblica un'intervista a Antonio Pennacchi, autore de "Il fasciocomunista", dal quale è stata tratta la pellicola "Mio fratello è figlio unico". La sezione degli interventi termina con tre testi dedicati ad altrettante raccolte poetiche, il primo è di Sante Maurizi, che ha recensito l'ultima raccolta di Gianni D'Elia, "I trovatori", gli altri due sono a firma di Giacomo Cerrai, che si è occupato di due testi editi da Manni Editori, "Diario inverso" di Lucianna Argentino e "Stato di vigilanza" di Gianfranco Fabbri.

Nella sezione testi sono ospitati racconti e poesie inedite. Silla Hicks, pubblica un racconto lungo dal titolo "Un uomo come gli altri", abbiamo ritenuto opportuno renderlo scaricabile direttamente in formato PDF per renderne semplice la lettura, una delle migliori cose che ho letto di recente insieme ai racconti degli altri esordienti che sto ricevendo negli ultimi mesi, penso a Marco Montanaro, Federico Fascetti, Riccardo Lionello e Francesca Roccasalda, Alessandro Milanese, Luisa Ruggio, Maria Luisa Fascì Spurio, Martina Campi; è proprio a loro che mi riferivo quando all'inizio di questo articolo scrivevo la frase "La scrittura è qualcosa per cui vale la pena attendere", attendete i loro frutti futuri e cominciate a interessarvi di ciò che troverete su queste pagine elettroniche. In questo numero pubblico un mio racconto intitolato "Protesi". Grazie a Flavia Piccinni, che ha esordito con "Adesso tienimi" (Fazi), si continua a parlare di Taranto in un momento di forte bisogno e attenzione, nel prossimo numero ci occuperemo del suo esordio, nel frattempo pubblichiamo una poesia speditaci da Francesca Roccasalda dedicata proprio alla sua città. Buona lettura.

l'editoriale del nuovo numero di www.musicaos.it di Luciano Pagano

venerdì 3 agosto 2007

Noam Chomsky: Due ore di lucidità

Veramente difficile poter iniziare un discorso su una delle figure intellettuali più interessanti al mondo: Noam Chomsky. Alcune delle letture che ho portato avanti da un pò di tempo a questa parte (Dal Vietnam all’Iraq, colloqui con Patricia Lombroso per i tipi di Manifesto Libri, Democrazie e Impero per DataNews, Democrazia e Istruzione per i tipi di Edup, America: il nuovo tiranno per Rizzoli, Lezioni di potere sempre per DataNews) mi hanno aperto a una serie di riflessioni sulla plausibilità di un governo mondiale unificato, che va al di là delle logiche di cronaca politica internazionale fatta dai media più o meno accreditati, più o meno istituzionali, più o meno oggettivi. Un “super ente governativo”, rappresentato dagli Stati Uniti d’America. L’unica realtà politica che nel corso della sua storia attraverso i suoi rappresentanti (da Kennedy, Nixon sino a Ronald Reagan e George W. Bush senior e junior) ha portato avanti una strategia di politica interna lesiva dei più elementari diritti umani (riduzione drastica delle spese sanitarie e previdenziali, tagli agli investimenti per la pubblica istruzione, pratiche ostruttive e violente nei confronti delle organizzazioni sindacali, e delle associazioni che si occupano della tutela delle minoranze etniche in favore di spropositati investimenti in favore delle industrie belliche) ed esterna, di violazione delle norme internazionali con la teorizzazione della guerra preventiva, ovviamente nei confronti di entità politico-territorial-militari non in grado di essere bellicamente offensive in maniera totale e altamente pericolosa (ad es. Afghanistan o Iraq). Con il placet delle più importanti fonti di informazione americana, o sarebbe meglio dire di “intelligence americana”(visto che i media americani sono strutturalmentee funzionalmente strutturati per il controllo mentale di massa) citando un esempio per tutti il Wall Street Journal , dove giornalisti funzionali alle logiche del potere economico delle grandi corporation militari e della propaganda, ripetono ciò che il potere vuole si diffonda alla società civile operando la distopia comunicativa di Lippman il quale sosteneva in soldoni che la gente deve starsene per conto suo e lasciare che i burattinai decidano delle loro sorti impunemente e senza ostacoli di sorta. In Due Ore di Lucidità, conversazioni con Denis Robert e Weronika Zarachowicz per Baldini e Castoldi, si legge a pag 116: “ (…) per l’industria della pubblicità e della propaganda commerciale nel suo insieme, il mondo ideale dovrebbe poggiare su due elementi: la televisione innanzitutto, ognuno davanti al televisore, senza rapporti con gli altri e nemmeno con i propri familiari, se possibile. Il secondo è un ideale verso il quale tendere: che la gente non costituisca più una minaccia per i ricchi e i privilegiati, perché non ci siano più crisi della democrazia,come intendono le elites (…)”. Ulteriore esempio eclatante fatto da Chomsky in quest’opera, sulla gigantesca macchina della propaganda americana, unico corpo sembiontico con i gangli bio-politici e militari del Pentagono e delle sue forze di controllo come la CIA e l’FBI, è stato il bombardamento della Libia nel 1986, il primo della storia fatto coincidere con l’ora di massima audience televisiva, proprio all’inizio del telegiornale nazionale delle tre grandi televisioni americane. Un libro, questo del quale ci stiamo occupando, che parla inoltre di come la globalizzazione sia nata da un progetto occulto che smantella l’ipotesi che il mercato operi secondo regole casuali, e che si attesti invece in maniera più marcata, su un delirio di onnipotenza turbo-capitalistica, per avvicinare i modelli economici del resto del mondo a quello americano.

giovedì 2 agosto 2007

Altro che vita precaria e amore eterno

Sono una donna di 34 anni, sposata da circa due, e un lavoro da precaria.
La mia vita si riassumerebbe qui, ma che dire oggi sono veramente indignata per quello che ho ascoltato al tg5. I signori ministri ( e lo scrivo minuscolo perché non sono degni di nessun rispetto questi loschi figuri) hanno pensato bene di AUMENTARSI

lo stipendio di 815euro… il mio salario mensile quando mi viene accreditato. E dico, quando mi viene accreditato, perché la ditta per la quale lavoro paga ogni 2/3 mesi. Forse non ci rendiamo conto delle enormi difficoltà che posso avere io e mio marito per arrivare a fine mese. E so che siamo in tanti a vivere una situazione del genere…certi momenti mi guardo, e penso quando potrò avere un figlio… anche quello ora è un lusso.

Non si va al cinema, altrimenti la rata dell’ICI non la paghi… e dopo si sa come va a finire: non vai a mangiare fuori (non parlo dei super ristoranti, ma di un semplice pub… un panino e una bibita) altrimenti la bolletta della luce chi la paga??? Mi confesso … non compero un paio di pantaloni in un negozio come Benetton o Sasch non so più da quando… vado al mercato, anche per le scarpe. Non parliamo poi per l’acquisto degli alimenti quotidiani… si fa la caccia al tesoro sui depliant che arrivano nella buca della pubblicità… e così all’Eurospin per prendere quella cosa in offerta oppure vai al Carrefour per prendere qualcos’altro… Sono esausta di rincorrere un pezzo di carne in offerta e di inventarmi un pasto giornaliero che costi meno di 5euro. Non si può avere il desiderio di ospitare qualche amico perché anche quello è un costo non indifferente, bhè un ospite lo devi portare a visitare un posto caratteristico… non sempre puoi mangiare a casa… le specialità gliele devi fare apprezzare in luoghi tipici… e così tra un pasticciotto , un caffè al latte di mandorla e pezzetti di carne di cavallo alla salentina, in una sola giornata ti partono 200euro ( la benzina la devi mettere nella macchina… non è che resti in un posto solo per ammirare le sue bellezze!).

Ecco è così, uno rinuncia a vivere… perché non è possibile permettersi di acquistare niente di extra (avrei bisogno di comperare un paio di occhiali da vicino… per ora non è possibile… poi ci penserò più in là quando avremo meno spese). Devi pagare le bollette, il condominio e come sempre l’imprevisto… cose che non mancano mai. Da quando ci siamo sposati stiamo pagando una rata per dei lavori fatti per la facciata del condominio… e tra le tasse che aumentano… e si prevede un rincaro per fine settembre, gli stipendi che arrivano in ritardo, il conto corrente è sempre a un filo dall’essere in rosso. Per quanto ancora tutto questo vivere come una funambola? Sono/siamo davvero stanchi … spero di non avervi tediato, ma in qualche maniera volevo sforgarmi…

D.P.

fonte iconografica da www.almenoquantolacrema.ilcannocchiale.it
(urlo_silvia by Fata Zucchina)

martedì 31 luglio 2007

Gian Carlo Fusco: Duri a Marsiglia


Il nero. In grado di assorbire tutte le radiazioni ottiche che riceve, tanto da non rimandarne alcuna che ecciti l’occhio. Proviamo su un altro piano. Simbolo del lutto, della disperazione, della separazione, di cattivo augurio, di pessimismo, di monotonia, di ostilità cupa, di grave preoccupazione, di paranoia, associato all’inferno o ad una coscienza macchiata dal peccato, o ancora dagli scheletri nell’armadio che tutti (chi più chi meno) ci portiamo dietro e che talvolta di notte fanno tirare tardi prima di lasciarci addormentare tranquilli. Il nero. È una dimensione del simbolico che non difficilmente si lascia trasportare su latitudini di senso che fanno riferimento al losco, al clandestino, al criminoso. Leggendo Duri a Marsiglia, di Gian Carlo Fusco, si rischia di camminare alla cieca lungo gli impervi sentieri dell’oscurità. In essa, come quando si è al buio, quando ovunque non c’è nemmeno un tenue barbaglio, quando non si ha nessun appiglio per rendere più sicuro il passaggio nell’ignoto, ovvero in tutto ciò che deve ancora accadere, e che non può essere previsto, che atterrisce quindi perché inevitabile, ogni cosa diventa condizione di una tensione verso il lecito e l’illecito, come tendenza appetitiva, vorace, assolutamente da soddisfare. Si può diventare facile preda dell’angoscia, è quasi ovvio. O si decide di proseguire il cammino, o ci si toglie di mezzo! A pag. 17 dell’introduzione a cura di Tommaso De Lorenzis, - a detta di Genna è un libro che vale la pena di acquistare non fosse altro che per il contributo introduttivo (non è questa a mio avviso la valenza parametrica che stabilisce il valore di vendibilità di un libro, semmai il pregio dell’introduzione di De Lorenzis è che ti fa venire l’acquolina in bocca spingendoti a scivolare, e con una certa impazienza anche, con gusto tra le pagine di Duri a Marsiglia), si può leggere: “ Il Nero non si esaurisce nella meccanica di un attacco allo stato di cose presenti, bensì si agita sopra e sotto la realtà, sviluppando in una riscrittura insaziabile i contenuti del surrealismo”. Sintesi fenomenologica di una piccola machine de guerre, dove gli ordigni delle traiettorie oniriche e delle maledette eccedenze portano un assedio feroce alla vita. Come controparte però questo meccanismo marziale, per inversione, può trasformarsi in uno scudo efficace contro la durezza della realtà, come antidoto alla perdita del proprio centro di gravità permanente mentre si è nell’occhio del ciclone, nella quiete assoluta prima della destinale soluzione distruttiva inevitabile, di un individuo che lotta contro la grande bonace. Ma quello che più mi ha impressionato è stata un’espressione, per me da qualche tempo quasi mantrica, sempre alla stessa pagina, sempre nel contributo introduttivo di Tommaso De Lorenzis, talvolta basta una parola per indicare quello che accade tra l’inferno e le nuvole … l’espressione è croque-soi-meme … mangiare se stessi … la follia dell’autodistruzione, l’apice di un’autofagia nichilistica, oppure la degna conclusione di una vita come opera d’arte. Proprio come alcuni personaggi di dannunziana memoria. Ma procediamo con ordine. Per chi volesse approfondire le sue conoscenze circa l’autore di Duri a Marsiglia, Gian Carlo Fusco, utili soprattutto per avere delle coordinate più puntuali sul retroterra non solo scritturale ma anche umano che sovrintendono a quest’opera, rimandiamo ad alcune considerazioni, splendide, eleganti, in punta di penna, di Giovanni Arpino, impossibili da non riportare, a pag. 183 e 184 : “ Italiano anomalo per destinazione, figlio di radici composite, ballerino di tip tap, quasi pugile e quasi cantante, Gian Carlo Fusco ci arriva direttamente dalle grandi cronache del Tre-Quattrocento, così come lo si potrebbe paragonare ai poeti e ai cronisti sulle strade dell’America di frontiera o ai personaggi spagnoli di Alemàn , per non citare Rabelais. La sua fedina letteraria e giornalistica lo comprova perfettamente, una rilettura ci riporta le dimensioni eroico farsesche ( e puntigliosissime, come capita al buon chronique) d’un mondo estraneo a ogni molle snobismo elitario. Amico di tanti ma anche nemico per eccessi umorali di troppi, Gian Carlo Fusco – il buono e il bilioso, il generoso e l’insolente, l’innamorato e il sognatore malavitoso – è sulla scacchiera delle testimonianze letterarie italiane , un pedone hors catègorie, non catalogabile”. Per la cronaca Fusco (1915-1984) ha collaborato a Kent, Abc, Playboy, e nel ’58 Einaudi ha pubblicato Le Rose del Ventennio. Duri a Marsiglia ( prima edizione nel 1974), è la storia di un anarchico di diciotto anni, nato da una famiglia borghese, che scappa dall’Italia fascista, siamo nel 1932, e scopre in Marsiglia, la città dalle mille avventure e della guerra dei clan, dove in un turbine di accadimenti si intrecciano storie dal sapore di brillantina, di ghette, di sparatorie, o regolamenti di conti come si preferisce, le prime ad avere come protagonisti i mitra di Al Capone, importati a Marsiglia dai trafficanti mafiosi italo-americani, degli amori impossibili per donne intoccabili, storie di avanzi di carriera e incontri con avanzi di galera, la lotta quotidiana con lo spleen maledetto e biforcuto, e nomi, soprannomi, come Pilù, Vincenzo Parasole, la Carpe, Don Raffaele Spirito, o Patatrac Tozza, che forse non ricorderai mai, perché tanta è la maestria di Fusco nel catturarti lungo le sue narrazioni, che non ci badi se la pellicola è un po’ graffiata in alcuni punti. Il protagonista di questa storia è Charles Fiorì, che così viene descritto mirabilmente, da Luigi Bernardi a pagina 189 e poi alla successiva : “ (…) e Charles Fiori, il destino se l’è scelto da solo, la sua ribellione l’ha portata a buon fine e, quanto alla noirceur, non sa neppure cosa sia. Non è neanche un duro tanto duro, a dire la verità. Qualche cazzotto quando serve, raramente. Una pistolettata se non se ne può fare a meno, e benedette quelle due ostriche infette che gli hanno sciolto gli intestini, altrimenti col cavolo che si sarebbe opposto al trio di rapinatori della bisca clandestina, guadagnandosi sul campo una promozione che altrimenti ben difficilmente sarebbe arrivata. E neppure è un tipo che si lascia infinocchiare dalle prime dark lady che incontra per strada. Se non fosse per Michèle, la trentottenne infermiera nativa di Sanremo con la quale sostiene di aver passato delle belle mezz’ore, il fascino femminile fa scarsa presa su Charles Fiori “. Insomma un individualista, uno che non crede in nessuna delle società che l’uomo ha creato, in nessuna delle consustanziali istituzioni, ipocrite, false, meschine. Tutte trappole per fregare i poveri e favorire i ricchi. Ma anche un poeta, di quelli atipici forse ma sempre un poeta, un tipo come questo che tra una sparatoria e l’altra, o tra l’accudire la carriera di qualche mignotta, prende un sospiro di sollievo leggendo i Fiori del Male di Baudelaire, un poeta di strada però, di vita, non militonto ovviamente, ma militante arguto nel sapersi destreggiare tra qualche scazzottata e un agguato, che conosce le dure leggi della giungla e che sa che anche la poesia ha i suoi limiti : “ I poeti, come si sa, passano, con un salto solo, dalla fraternità, all’inimicizia. Dall’abbraccio al morso”. Meraviglioso, non c’è che dire! Un libro che vale la pena leggere, perché ti da delle dritte su tutte quelle sintassi del corpo che appartengono a domini della società che sono fuori portata, lontani dagli occhi della brava gente, regole che istruiscono sul fatto magari che se accendi una sigaretta ad uno del milieu, tenendo l’accendino in orizzontale con la fiamma che disegna una traiettoria ellittica prima di fare il suo dovere, ti peseranno subito come un infame, o ancora che una tregua stipulata tra due clan di FAMIGLIE d’onore, va regolata in territorio neutrale, davanti a testimoni, con una stretta di mano della durata di più di dieci secondi, e così via. Vogliamo anche trovarci anche un piccolo compendio di come si veste uno del milieu per le grandi occasioni? Eccolo a pag. 122 ad es. : “ Aveva in dosso un completo grigio ferro a rigoline blu, giacca a doppio petto e gilè. Attraverso il gilè, messa a festone, gli brillava la catena dell’orologio mucho pesada. Le scarpe di camoscio grigio, con la mascherina blu, come le rigoline del vestito, dovevano essere nuovissime, perché crujivan a ogni passo”. Per chi ha amato ogni fotogramma di films come C’era una volta in America di Sergio Leone, o La Stangata, un libro come Duri a Marsiglia, non potrà non entrargli nel cuore, fosse anche con la stessa violenza di un colpo di pistola sparato a bruciapelo, da una distanza ravvicinata. Un libro che ti fa riflettere … conviene darsi alla macchia, conviene attraversare il bosco … forse sì … chi lo sa!!


giovedì 26 luglio 2007

Contattismi di massa

Non trovo parole per descrivere le inquietanti rivelazioni fatte da Stefano Breccia nel suo libro dal titolo Contattismi di Massa edito da Nexus. Ebbene ci troviamo dinanzi ad una splendida testimonianza, redatta in uno stile impeccabile e secondo tutti i parametri di una seria indagine scientifica, con tanto di appendice fotografica, sul caso di Amicizia (Amitiè in Francia e con altri nomi nel resto d'Europa) e della presenza in Italia (e ribadisco non solo) di una razza aliena chiamata W56. Vi imbatterete in uno degli attori principali Bruno Sammaciccia, attivo cooperatore con questa intelligente presenza eso-biologica, al quale hanno rivelato segreti non solo di carattere tecnologico, ma anche filosofico e spirituale da lasciare a bocca aperta. Rivelazioni che farebbero vivere il genere umano in una nuova età dell'oro. Uno di questi W56 è stato anche fotografato. Assolutamente da non perdere.

lunedì 23 luglio 2007

Vedute sul mondo reale di Gurdjieff


La Storia, come pluriverso di eventi, personaggi, intrecci mitopoietici complessi o meno, dispone sul suo palcoscenico ciclicamente personaggi che nel bene e nel male lasciano una loro impronta ... indelebile! In un'epoca come la nostra di incalzante relativismo etico, parafrasando Frankena, pare neccessario, oramai da copione per ogni cambio millennio, tentare di dare un equilibrio sempre più decisivo alla figura dell'uomo, che lentamente scompare ( scomparsa da intendersi nel senso di una perdita dei contorni categoriali di Soggettività), come giustamente rilevato da Franco Berardi (Bifo) nel suo Il Sapiente, il Mercante, il Guerriero per i tipi di DeriveApprodi, nel magma di società ipercomplesse dalla possente vettorialità caoide. Chiunque voglia capire qualcosa di se stesso, e voglia farlo lasciando tutto e inseguendosi attraverso le pagine di un libro, abbandoni definitivamente tutta quella produzione falso politically correct per lo spirito, da Coelho, a Bach, Bambaren, a Willy Pasini. Palliativi a buon mercato per chi soffre da stress per super-lavoro! George I. Gurdjeff, (1877-1949), nato nella Russia meridionale, da un ricco allevatore di pecore che godeva grande fama come narratore popolare, fu educato da prima alla grande tradizione orale propria delle regioni del Caucaso dove si incrociano culture diverse e antichissime, poi a rigorosi studi scientifici ed a una profonda educazione religiosa da sacerdoti armeni. Dopo aver viaggiato in Africa, Medio Oriente, Asia Centrale per raccogliere frammenti delle antiche tradizioni di saggezza, si dedicò a ricostruire organicamente la conoscenza della verità perduta e a trasmetterla agli occidentali attraverso l'insegnamento e più tardi, una serie di libri ancora oggi fondamentali per tutti coloro che sono interessati alla ricerca spirituale. Vedute sul mondo reale rappresenta un vero e proprio manuale di sopravvivenza per l'uomo contemporaneo. Gli insegnamenti di Gurdjieff si possono ritrovare "tra le righe" nella mistica musicale del grande cantautore italiano Franco Battiato, o nelle pagine del grande maestro Illuminato Osho. "Dove sei? chi sei? Cosa vuoi? Dove vuoi andare? Ti attende un viaggio lungo e difficile e non sai se ti potrai riposare. Ricordati dove sei e perchè sei lì. Non avere troppa cura di te, e rammenta che nessuno sforzo viene fatto mai invano". E ancora " ... se vuoi tutto devi sacrificare tutto, ma non per sempre!". Ogni parola, ogni sintagma, ogni proposizione di Gurdjieff nel suo Vedute sul mondo reale, ha la pesantezza di un macigno. Lo stile forse individuabile solo nella dimensione di un vocabolario proprio della Dogmatica, non appesantisce la lettura di questo sistema fondato sulla Legge dell'Ottava. Un percorso deduttivo e induttivo, quasi a circuito chiuso, che trova il suo principium individuationis nella Volontà dell'uomo. Parrebbe semplicistico, ma non lo é. Parliamo di un percorso ad ostacoli. Il lettore verrà catturato da strane tipologie di esercizi spirituali come quello dello STOP, o in dialoghi che hanno come oggetto la forza incommensurabile del cambiare le nostre abitudini. La Volontà di ciascuno di noi, può smuovere le montagne. Vedute sul mondo reale, é un libro particolare in quanto é il frutto di una serie di testimonianze di incontri tra Gurdjieff e i suoi allievi nei momenti più inattesi e nei luoghi più disparati. Il Lavoro sull'uomo comincia proprio attraverso questo libro!


sabato 21 luglio 2007

Alessandro Piperno. Con le peggiori intenzioni


Vs - Prima di leggere Piperno dovrete per lo meno esservi imbattutti in Mario Adinolfi con il suo "Email. Lettera dalla generazione invisibile"; Tommaso Pellizzari e l'ultima sua fatica "Trenta senza Lode"; l'interessante saggio di Marina Piazza in "Le Trentenni" sulla difficoltà ai nostri giorni di riuscire a conciliare, per una donna, la voglia di avere un figlio con la carriera; e dulcis in fundo l'indagine socio-antropologica di Pierfrancesco Majorino in "Giovani anno zero". Se non avete letto Proust, Dostoevskij, se non possedete quelle adeguate cognizioni di storia dell'arte e di estetica che vi possano dare i giusti strumenti di sopravvivenza anche per la più banale delle conversazioni tra gli amici, magari avendo diligentemente studiato (ma non troppo) Argan, Hauser, Anthony Julius, se non avete mai avuto l'ebrezza di possedere una Visa Oro credito illimitato, scegliendo senza remore e inibizioni i vostri "bersagli morbidi" da colonizzare tra le tante leccornie del mercato voluttuoso della moda, esposte nelle vetrine di Max Mara, Burberry's, o un Rolex Daytona al polso, se non vi siete mai posto il problema di come arredare la vostra casa seguendo i consigli di AD con l'autorevole ausilio di Alessandra Quattordio o Alessandra Valli, se non avete mai provato l'incandescente esperienza di vita di guidare una Porsche in estate lungo le vie di Positano assaporando l'odore e il colore dei soldi nei luoghi cult dell'establishment vacanziero radical chic da V. I. P. , se non avete mai vantato tra i vostri avi almeno un conte, un barone o un principe, insomma se queste significanti esperienze di vita non rientrano nel vostro background ontologico, allora sconsigliamo vivamente la lettura dell'ultimo lavoro di Alessando Piperno dal titolo "Con le peggiori intenzioni" per i tipi di Mondadori. Piperno racconta l'epopea dei Sonnino, ricca famiglia di ebrei romani, dai tempi memorabili dello pseudo super-uomo Bepy e del suo socio Nanni Cittadini tra gli anni sessanta e settanta, ai giorni più modesti dell'ipocrita e disperato adolescente Daniel Sonnino negli anni ottanta, in una Roma che vede i suoi protagonisti vivere in uno spazio vitale che va dal Caffè Parnaso zona Piazza delle Muse, al Tea For Two e al Jackie O' zona Piazza di Spagna. E la storia finisce entro gli angusti termini di questo striminsito intreccio... forse! La critica si è letteralmente spellate le mani a furia di applaudire al nuovo Proust della letteratura italiana, coniando termini come pipernismo, creando leggende metropolitane di folle oceaniche esultanti alle sue presentazioni. Ma si tratta semplicemente dell'ennesimo gigante massmediatico creato a tavolino, una macchina da guerra per fare soldi, come potrebbe essere benissimo un Dan Brown e il suo "Codice Da Vinci", ma anche come è accaduto nel 1996 con "Gioventù Cannibale" e i suoi araldi come Nove, Ammaniti, Caredda e company. Non per questo penso che la narrativa dovrebbe parlarci delle più recenti leggi approvate in Parlamento in materia di lavoro, o di altre tematiche inerenti al sociale, nè identifico Segrate con Berlusconi. Per trecentotrepagine non ci ho trovato nulla che possa definirsi nichilistico, nessun tentativo di ricerca nè stilistica nè linguistica, i personaggi sembrano uscire dalla voce di un eterno immaturo, viziato, figlio di papà, a cui non hanno regalato l'ultima vacanza studio in Inghilterra, o l'ultimo modello di macchina da sfoggiare nel branco, che non gliene frega niente se due aerei si schiantano sulle Twin Towers in una gigantesa catastrofe, come direbbe Sgalambro, psico-cosmica se non con la falsa costernazione di chi non ha tempo da perdere su sciagure che tanto sono capitate ad altri mentre c'è ancora tanto da fare per scegliere l'ultimo capo alla moda o l'ultima festa cool a cui partecipare, figuriamoci poi rivolgere lo sguardo ai più bisognosi (ricordiamo che per come stiamo messi in Italia oggi, non poche famiglie anche di impiegati statali non arrivano a fine mese). Ma cerchiamo di essere più franchi e precisi. Piperno sembra voler a tutti costi proporre la vecchia logica del "se hai, sei! " ( Ad es. leggiamo a pag. 285 queste poche righe: <>). Non importa quanto possa costare in termini di infelicità altrui, che se ne vadano a fare in culo anche i precetti di vita matrimoniale se trovi una neo-maggiorenne che voglia pisciarti in bocca durante un amplesso pur di fare carriera accontentandoti in tutto e per tutto, o le normali relazioni di coppia tra un ragazzo e una ragazza fondate sul romantico "ti amerò per sempre", o perchè no, di auto-lobotomizzazione a furia di dimostrarsi sempre in grado di avere i denti più affilati degli altri. Leggiamo a pag. 27 : <<>>. E per di più anche maschilista della serie " ... donna schiava, zitta e chiava". Ma non è ancora finita qui! Il novello Proust, il grande erede del Parini che si erge a pseudo-moralizzatore della società bene, come quello ne Il giorno, questo in "con le peggiori intenzioni", si abbandona in un'elegante elegia con argomento la sega, la pippa! A pag. 75 ad esempio, possiamo leggere : <<>>. Potremmo passare sopra anche su questo, potrebbe farlo anche la critica più severa, ma non dinanzi a espressioni di questo tipo, da far venire i brividi: <<>>. D'accordo, forse stiamo andando un pò sul pesante, forse si tratta di una zona d'ombra insignificante, nell'intero complesso della narrazione orchestrata da Piperno, nulla di cui preoccuparsi se in più di qualche occasione utilizza il termine ariano/a, che rievoca anche se solo flebilmente, le atroci kultur kampf sulla superiorità della razza fatte dai nazisti. No, non c'è nessun legame, assolutamente! Poi all'improvviso, così su due piedi, mentre tranquillo procedi nella lettura dell'opera di Piperno, strabuzzi gli occhi a pag. 203: <<>>. Peccato, per citare un modello bibliografico a caso, che Noam Chomsky nei Cortili dello Zio Sam, per i tipi della Gamberetti editrice, riveli come lo stesso Reagan e la sua amministrazione abbia avuto stretti legami con gerarchi come Gehelen e Barbie per questioni concernenti l'addestramento di eserciti segreti da mandare nell'America centrale. Come Umberto Eco con il suo " Il Nome della Rosa" aveva con la sua immensa erudizione e cultura colmato il vuoto delle succitate categorie, tra gli attenti lettori della medio-alta e piccola borghesia, desiderosi di sfoggiare qualche dotta citazione, così consiglio Alessandro Piperno, perchè grazie alla lettura delle sue pagine, possiamo per un momento scordarci e stordirci, da quanto in realtà stiamo attraversando, in un contesto storico-socio-economico italiano davvero triste! Anche se queste mie ultime considerazioni potrebbero in qualcuno far sorgere il sospetto di voler evocare per la letteratura contemporanea italiana il fantasma dell'irrealismo tendenzioso, con un sottofondo di socialismo reale o meglio di stalinismo critico letterario!

Pro - Come ci illumina Antonio D'Orrico sul Corriere della Sera Magazine del 10/03/05, " Con le peggiori intenzioni stava per essere pubblicato dalla casa editrice Quiritta. La cosa sfumò. E' stato rifiutato, e questa è una primizia assoluta, da Adelphi (con lettera firmata dalla signora Marchi che scriveva all'incirca <>. Alla fine c'è stato un testa a testa Rizzoli-Mondadori, che ha bruciato l'eterna rivale sul traguardo grazie a un colpo di reni della coppia Franchini-Colorni". Questo in parole povere, il backstage del romanzo di Piperno. Come sostiene Giuseppe Genna in suo intervento pubblicato on-line su "I Miserabili" l'11 aprile 2005, " va riconosciuto a Piperno il tentativo di storicizzare attraverso la narrazione, la merda degli anni Ottanta". Un corpo narrativo, quello di Piperno, dove campeggiano figure a tutto tondo come nonno Bepy, personaggio dalla vitalità e dal vitalismo sfrenato che sperpera e gode sino al parossismo nello sperperare, proprio come colui che è consapevole, accompagnato in ogni suo passo dall'ombra amica della Signora con la Falce, che ogni giorno in più è guadagnato e per tanto va succhiato sino al midollo. La sua monomania di liberarsi del denaro in maniera sado-masochistica lo porta a trascinare la ricchissima famiglia Sonnino, al collasso economico, dal quale non potrà più sollevarsi. Splendida la caratterizzazione di Daniel Sonnino, voce narrante per tutta l'opera delle intere vicende, che si ritrova a gestirsi maldestramente, tra i ricordi di famiglia risalenti agli anni '60 sino alla realtà dei giorni nostri: arco spazio-temporale di recupero o perlomeno di tentativo di recupero della perdita di senso e identità. Sfolgorante poi, l'immagine di Gaia, che potrebbe avere la stessa dignità di una Laura o di una Beatrice, in grado di attirare su di sè gli sguardi del mondo, di canalizzare le fantasie più sfrenate in ogni ambito, perchè possederla per Daniel equivarrebbe ad avere il Graal tra le mani! E poeta lo é sicuramente Alessandro Piperno, quando per bocca di Daniel lascia i suoi sentimenti fluire in un ode alla donna amata, che chiunque avrebbe voluto scrivere e offrire alla propria dolce metà. Mi riferisco al brano di pag. 229 : <<>

da www.musicaos.it

giovedì 19 luglio 2007

Le particelle elementari di Houellebecq


Michel Houellebecq, classe 1958, si rivela nel panorama della letteratura contemporanea internazionale, un personaggio di indubbio valore, degno della massima considerazione, in grado nella sua opera di rendere il Nulla che serpeggia nell’odierna società e ci divora, con uno stile inconfondibile, riuscendo ad illustrare un ampio spettro di individui sguazzanti nel cosmo del post-umano all’interno delle categorie più prossime al post-moderno, attraverso pagine provocanti, a volte demoralizzanti, mai banali. Si è fatto conoscere al grande pubblico, a partire dal 1991 con un suo scritto teorico, Rester vivant, poi nel 1998 con l’opera poetica La porsuite du bonheur. Il suo primo contributo apparso in Italia è la poesia La Fessura in Panta n.18, rivista curata da Elisabetta Sgarbi. Per i fan di Lovecraft, nel 2001 ha pubblicato H. P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita. Leggendo Le particelle elementari, si viene toccati da oscure sensazioni che giungono dalle profondità dell’essenza umana, desiderose di prendersi, tangersi, sfiorarsi, lungo l’inferno del Tempo che le spazza. Umori grumosi, amorfi, tendenti gli uni verso gli altri, senza mai però trovare un punto di contatto neppure per un attimo. Quello di Houellebecq è un inconoscibile alfabeto che trapassa la sapienza della specie. L’autore in quest’opera pare oscillare tra l’utilizzo di sintassi vicine alla pura Visione e la Puntualità Ragionativa dove spunta inesorabilmente il particolare, la cosa di estrema concretezza, corporea, carnale, tanto da esibire in tutta la sua crudezza il mondo così com’è, perché Houllebecq vuole essere “osceno”, al punto da divertirsi con il suo lettore, rompendo gli argini del piccolo, del ristretto, del meschino. Ci troviamo dinanzi alla palpabile mortificazione, mai senza insania critica, della condizione culturale babelica che ci avvolge, in cui tutte le epoche della Storia possono situarsi nella discronia della Compresenza, dove ogni livello viene sollecitato dal Rumore, dalla Perturbazione all’unisono con tutti gli altri, dimostrando come sia difficile la produzione e la ricezione, senza le quali non è possibile alcuna semiosi, di un segnale. La sua scrittura si piazza dentro una situazione di tal sorta, con tutta la forza della disperazione e dello sgretolamento in atto, guardandosi dal tracciare qualsivoglia tipologia di linee di fuga. Il titolo dell’opera in questione fa riferimento ai costituenti più semplici della materia, quelli che secondo Michel Djerzinski, biologo molecolare vicino al Nobel, sarebbero i rivelatori della meccanica propria della vita. Michel ha quarant’anni, è figlio di una hippy che l’aveva abbandonato per fuggire in California, ed è uno scienziato del tipo ice man, refrattario a qualunque emozione. Il suo sogno è clonare gli esseri umani, al fine di assicurare loro un’esistenza di perfezione ed immortalità. Lascerà, ai posteri, la più grande scoperta scientifica di tutta la storia della Scienza: “ La pubblicazione nel giugno del 2009, in un supplemento della rivista Nature, sotto il titolo Prolegomeni alla replicazione perfetta di ottanta pagine che sintetizzavano gli ultimi lavori di Djerzinski, era destinata a provocare nella comunità scientifica un’istantanea e immane onda d’urto. Dovunque nel mondo decine di ricercatori in biologia molecolare si precipitarono a ritentare gli esperimenti proposti da Djerzinski, a verificarne il dettaglio dei calcoli. Nel giro di pochi mesi cominciarono ad affluire i primi risultati, che poi continuarono ad accumularsi settimana dopo settimana, tutti e ciascuno a conferma della validità delle ipotesi di partenza. Alla fine del 2009 non poteva più sussistere alcun dubbio: i risultati di Djerzinski erano validi, si potevano considerare scientificamente dimostrati. Le conseguenze pratiche, evidentemente, erano vertiginose: qualsiasi codice genetico, di qualsivoglia complessità, poteva essere riscritto sotto una forma standard, strutturalmente stabile, inaccessibile alle perturbazioni e alle mutazioni. Ogni cellula poteva dunque essere dotata di una capacità infinita di replicazioni successive. Ogni specie animale, per quanto evoluta fosse, poteva venir trasformata in una specie affine, riproducibile per clonazione, e immortale…”(pp. 307,308). L’intreccio porta i lettori nella Francia tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70, in una parabola temporale discendente che culminerà il suo viaggio alle soglie del Terzo Millennio: “Ovunque sulla superficie del pianeta l’umanità stanca, stremata, diffidente di sé e della propria storia, si apprestava bene o male a entrare in un nuovo millennio” (pag. 294) . Una Francia aperta alla libertà sessuale, al potere di una Sinistra forte e libertaria, una Francia dove agli inizi degli anni ’70 si prendeva coscienza dell’esistenza di una classe, quella dei servi (ed ecco poi spiegata la virata simil-rivoluzionaria a sinistra anche di parte della borghesia illuminata seppur centrorsa), a tutto un mondo neo-hippy le cui icone sono Francesco Di Meola e Aldous Huxley, guru psichedelici delle nuove frontiere New Age, i padri ispiratori dei più contemporanei Stuart Wilde e Lee Coit. Poi c’è Bruno Clèment, il fratellastro di Michel, insegnante di lettere, razzista, morbosamente attratto dal sesso, in tutta la sua intera rosa fenomenologica, dal pompino a ingoio, alle orge, al semplice autoerotismo. Sono fratelli, nulla in comune, se non l’essere creature destinate all’infelicità, simboli del fallimento culturale dell’Occidente. Le particelle elementari, apoteosi scritturale della nascita e mutazione di una Metafisica che travolge i sistemi economici, politici, infinitamente procedente eccetto che per una nuova mutazione metafisica, oltre ad un opera di pura fantasia, deve essere considerata un vero e proprio manuale di fisica antropo-biologica … quella rientrante nella Fisica della Dominazione. Un animale Alfa per sopravvivere, domina e annichilisce l’animale Beta che a sua volta deve dominare e annichilire l’animale Gamma, e così via sino alle forme più elementari di virus. E’ una legge dinanzi alla quale non si può scappare. In essa troviamo non solo De Sade in tutta la sua filosofia del diritto naturale, ferino e bestiale, il cui maggior esempio lo si può facilmente individuare nella celeberrima Filosofia nel boudoir, ma anche in Darwin e la sua selezione eugeneticamente naturale, in Comte e il suo Positivismo infallibile, e in tutto quell’universo che spazia dal Dogmatismo al Fanatismo. Già…perché anche il fanatismo nella scienza, nell’amore per il sapere può generare dei mostri, nel senso più letterale del termine, ovvero di creature straordinarie, inarrestabili dinanzi all’idea del progresso, più che mai decise nel progetto di dominazione globale. Fenomeni riscontrabili anche nella prassi politica internazionale, di qualsiasi paese si parli, al di là di plausibili ovvietà. Houllebecq non usa mezzi termini, sapendo che solo la verità è scandalosa, e che senza di essa non c’è nulla che valga. Ma a quale costo e soprattutto fin dove può ci si può spingere… In fondo comunque lo sappiamo con certezza dove ci stiamo dirigendo, noi che su uno sfondo completamente nero, senza il benché minimo appiglio e senza vedere il fondo, giochiamo a fare i funamboli intellettuali, noi cresciuti a Vic 20, Commodore 64, Sega Mega Drive, Playstation, televisione e ipermarket, che abbiamo studiato Foscolo, D’Annunzio e Pasolini, e poi divorato per i fatti nostri, Colombati, Wu Ming, Lagioia, Mozzi, Evangelisti, noi esperimenti del liberissimo mercato. Ovvio che Houllebecq, doveva instillare nel libro sentimenti dominanti come vergogna, inadeguatezza, il maledetto vuoto, anche se si rischia di scivolare in una specie di autocompatimento narcisista. L’unica ricetta che l’autore pare darci ha quasi il sapore degli I-Ching. Aspetta sulle rive del fiume il cadavere del tuo nemico, poi in silenzio continua ad attendere finchè non diverrai anche tu cadavere!


Michel Houellebecq, Le particelle elementari, Bompiani, pp.324

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