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martedì 3 luglio 2007

Mozart di Atlantide: il romanzo di fantascienza di Simone M. Navarra











Mozart di Atlantide è il titolo del thriller fantascientifico scritto da Simone Maria Navarra.

Attraverso il sito Lulu.com chiunque lo desideri può richiedere la stampa di una singola copia del libro che gli verrà poi recapitata direttamente a casa (da qui appunto il termine Print on demand, stampa su richiesta). Grazie a questo sistema gli autori emergenti (questo il caso di Simone Maria Navarra) e anche i piccoli editori possono ridurre al minimo i costi di stampa e distribuzione così da pubblicare un libro a fronte di un investimento economico ridotto. Un metodo nuovo, insomma, per promuovere e diffondere nuovi autori in un settore difficile come quello dell'editoria.

Il romanzo Mozart di Atlantide ci racconta di un futuro ipotetico in cui le persone vivono all'interno di enormi città costruite nello spazio. Grazie alle tecnologie più moderne, inoltre, gli esseri umani possono essere memorizzati e duplicati come se si trattasse di semplici documenti digitali, ed eventualmente anche risvegliati (questo il termine usato nel libro) nel caso perdessero disgraziatamente la vita (magari in seguito a un omicidio, come accade al protagonista della storia). Partendo da queste premesse già di per sé originali, Navarra ne approfitta per descrivere un un futuro plausibile e per riflettere allo stesso tempo sugli interrogativi che l'uomo moderno si trova ad affrontare di fronte alle nuove possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnologia.

Come già altri ebook di Simone Maria Navarra, Mozart di Atlantide è rilasciato sotto una licenza Creative Commons, ed è reperibile oltre che sul sito dell'autore anche attraverso le reti Peer to Peer o di file sharing normalmente utilizzate per la condivisione di documenti attraverso Internet.

Simone Maria Navarra gestisce inoltre un blog dedicato agli autori emergenti e attraverso il quale racconta la sua attività di scrittore all'indirizzo http://simonenavarra.blogspot.com

at luglio 03, 2007 Nessun commento:
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sabato 30 giugno 2007

Gianni Golfera nello spazio


Gianni è stato selezionato tra i membri dell'equipaggio che il prossimo ottobre 2007 decollerà dalla pista Landing Facility presso il Kennedy Space Center della NASA a Cape Canaveral, Florida, a bordo di un Boenig 727 appositamente modificato per riprodurre in volo l'assenza completa di gravità (Gravità Zero o Zero-G).

In collaborazione con la Me.Re.As. (Memory Research Association), associazione senza fini di lucro sorta per fare luce sul funzionamento, mantenimento e sviluppo della memoria, Gianni Golfera sarà sottoposto per la prima volta in condizioni di gravità zero a test mnemonici per verificare l'efficacia delle tecniche mnemoniche in condizioni di particolare stress psico-fisico.

L'esperimento, che è stato denominato Zero-G Memory, ha l'intento di comprendere meglio se e quanto le tecniche di memoria, che da anni Golfera utilizza ed insegna, siano la soluzione anche per addestrare i piloti e gli astronauti ad affrontare situazioni di forte tensione, stress ed emergenze, che proprio secondo uno studio della NASA sono la principale causa degli incidenti aerei.
at giugno 30, 2007 Nessun commento:
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martedì 26 giugno 2007

Shooting Silvio


Due serate di cinema di qualità a Palazzo Lanza
Si inizia con Shooting Silvio, ovvero come uccidere Silvio Berlusconi.

Due chicche del cinema italiano, due lungometraggi notevoli e interessanti, due circuiti di distribuzione alternativi a quelli gestiti dalle grandi major, in sintesi, alcuni ottimi motivi per sostenere il cinema indipendente di qualità.

L'Associazione Architempo, in collaborazione con l'Associazione Macchina da Presa, ha infatti deciso di sostenere le coraggiose iniziative delle piccole produzioni cinematografiche del nostro Paese, che molto spesso propongono film degni d’attenzione. È questo il caso di “Shooting Silvio” di Berardo Carbone e de “L'estate di mio fratello” di Pietro Reggiani, il primo verrà proiettato a Capua, nel magnifico Palazzo Lanza, giovedì 28 giugno alle 21, e si tratta al momento dell’unica proiezione nella nostra provincia.
“Shooting Silvio”, che sta girando la penisola grazie al sistema dell’autodistribuzione, annovera nel cast attori come Federico Rosati, Melanie Gerren, Sofia Vigliar, Alessandro Haber, e racconta la storia di Kurtz, un giovane scrittore, orfano, molto ricco, eccentrico e senza centri di gravità che si ispira al personaggio di Marlon Brando in Apocalypse Now, che dopo lunghe meditazioni decide di radunare nella sua villa tutti gli amici per proporre loro la stesura di un libro collettivo. Cento capitoli, scritti da altrettanti voci, per escogitare un modo che annienti lo strapotere di Silvio Berlusconi, reo di aver portato in Italia la decadenza dei costumi, il consumismo volgare delle pubblicità, simbolo di un paese ormai alla deriva. Dopo aver rimediato solo pacche sulle spalle e risatine, decide di persistere solitario nel suo progetto. Fino a portarlo a una drastica decisione: uccidere Silvio Berlusconi.
Alla proiezione capuana saranno presenti il regista Berardo Carbone e l'attore protagonista Federico Rosati, che, coordinati da Francesco Massarelli, responsabile area cinema dell’ass. Architempo, risponderanno alle domande del pubblico.
Il prossimo appuntamento con l’Estate Cinema a Palazzo Lanza è per giovedì 5 luglio, sempre alle 21, con “L'estate di mio fratello” di Pietro Reggiani, film premiato in numerosi festival internazionali, è che sarà a Palazzo Lanza di Capua in anteprima regionale. Il film, con gli attori Davide Veronese, Tommaso Ferro, Maria Paiato, Pietro Bontempo e Beatrice Panizzolo, ruota intorno alle paure e alle colpe che un problematico e fantasioso ragazzino deve affrontare dopo l'annuncio dell'arrivo di un fratellino. Alla proiezione interverranno il regista Pietro Reggiani e il responsabile per la Campania di Self Cinema Antonio Napoletano.
Per informazioni e prenotazioni è possibile rivolgersi alla Libreria Guida Capua, in corso Gran Priorato di Malta 25, tel/fax 0823.622924; oppure contattare il responsabile dell'area cinema dell'Associazione Architempo all'indirizzo mail frmassarelli@libero.it .
(fonte iconografica da www.shootingsilvio.com)
at giugno 26, 2007 2 commenti:
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domenica 24 giugno 2007

Il (fanculopensiero) di Maksim Cristan


























Per diverse volte, ma invano, ho tentato di tracciare un percorso critico, per poter parlare di un libro a me particolarmente caro: (fanculopensiero) di Maksim Cristan uscito per Feltrinelli nella serie bianca. Una difficoltà non strettamente legata a qualche particolare complessità del testo, quanto da un difetto personale di prospettiva nei confronti dell’autore, che ho frequentato, imparato a conoscere, e ad apprezzare. Con Maksim, ci siamo ritrovati nel dicembre 2006 a dover lottare per un piccolo spazio indipendente, una “fanculopensiero T.A.Z.”, alla fiera della piccola e media editoria Più Libri Più Liberi (ringrazio a posteriori Agra editrice produttrice della splendida rivista Leggere:Tutti che ci ha sostenuto nella lotta), l’ho intervistato nell’ambito della trasmissione Radio Days condotta da Silvia Famularo sull’emittente televisiva salentina RTS, ci siamo abbracciati fraternamente alla Fiera Internazionale del Libro di Torino 2007, quando acquistai nello stand Feltrinelli il libro uscito solo da qualche giorno. Oggi nell’odierna letteratura contemporanea ci sono molte menzogne, parecchi dei suoi odierni protagonisti si riempiono la bocca di impegno e roba simile. “ … io sono impegnato e che cazzo!!!”. A questi signori, come a tutti gli amanti delle buone letture, consiglierei di leggerlo, perché è un vero e proprio manuale di sopravvivenza dalle paranoie e psicosi urbane e metropolitane, un vademecum indispensabile per riconoscere e amare gli altri (una spiritualità da proto-cristianesimo), una lente d’ingrandimento per cogliere tutto un mondo che ci sfugge, perché troppo vicino ai bordi del marciapiede. Già perché Cristan è uno che mollato tutto (un diversamente adattato) nel suo paese, la Croazia, dove era un facoltoso manager, scopre attraverso la strada, come liberarsi dai fardelli di un ego ormai in cancrena e ritrovare la vita e la poesia in ogni sua bellezza e difficoltà . Maksim Cristan è un U.F.O, un guru come Osho, forse è il più grande “paraculo”della storia della letteratura contemporanea, ma state certi che non vi racconterà mai delle bugie. Vi ritroverete in (fanculopensiero) OnThe Road di Kerouac, Charles Bukowski, e naturalmente Maksim Cristan.








at giugno 24, 2007 5 commenti:
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venerdì 22 giugno 2007

Il Legame di Fabio Omar El Ariny a Lecce


In occasione del FESTIVAL NEGROAMARO, "L’Oriente del Pensiero, il 28 giugno 2007 alle ore 19,00 presso San Francesco della Scarpa a Lecce verrà presentato il romanzo IL LEGAME di Fabio Omar El Ariny della Besa editrice. Incontrerà l’autore Luciano Pagano

Esiste un collegamento, nascosto, forse volutamente occultato, tra l’attentato alle Torri Gemelle a New York l’11 settembre 2001 e l’incidente avvenuto all’aereoporto di Milano Linate poche settimane dopo. Silenzi, complotti e inganni si intersecano in questo thriller mozzafiato, il cui ritmo incalzante non ha nulla da invidiare a maestri del genere, come Robert Harris e Ken Follett.
Il Legame è il romanzo d'esordio dello scrittore italo-egiziano Fabio Omar El Ariny e presenta una tesi a dir poco audace: l’esistenza di un legame tra l’attentato alle Torri Gemelle e l’incidente avvenuto appena tre settimane dopo all’aeroporto di Milano-Linate.
Il protagonista, Adel Kawdry, un imprenditore in carriera , accusato di essere un terrorista, viene perseguitato da una cellula deviata della Cia, ed è costretto a iniziare un folle viaggio con diverse tappe da Milano, Viterbo e Il Cairo, nel tentativo di salvare se stesso e la propria reputazione.
Consigliato a tutti gli amanti di thriller.


FABIO OMAR EL ARINY, trentadue anni. Nato a Milano e cresciuto in Egitto a cavallo tra due culture, ha sempre considerato la sua doppia «identità» come un valore da cui trarre ispirazione.

at giugno 22, 2007 4 commenti:
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giovedì 21 giugno 2007

I milioni di luoghi di Carla Saracino





Venerdì 22 giugno alle ore 20.00, presso il Fondo Verri di Lecce in via S. Maria del Paradiso, Michelangelo Zizzi presenta “I milioni di luoghi” (Lieto Colle) raccolta di poesie di Carla Saracino, i suoni della serata saranno a cura di Sara De Giorgi. C’è una finestra aperta su di un cielo azzurro, in copertina, un fregio di quelli che fittamente scrivono la nostra pietra lo contorna, denso ed essenziale come la scrittura che il libro contiene.
Sospesa nel tempo, lieve e in cerca di una vita che non assomiglia a questa nostra, della consuetudine, “incastro di un ritmo indisciplinato, sottile, lungo a capirsi”, “il cui punto di inizio e di fine è ordinato fuori”: questa è la poesia. Il dono dell’interrogazione che inventa suoni con le parole e apre, sfonda, il senso, ogni significazione, in un “oltre” generativo, sempre in-cinta.

Carla Saracino è nata a Mareggio nel 1980, questa con Lieto Colle è la sua opera prima. Sue poesie sono apparse su Lo Specchio de la Stampa e L’immaginazione (Manni). E’ presente con sue sillogi in Poeti Circuì (Poiesis), Tabula rasa (Besa), Da Napoli, verso… (Kairòs).
at giugno 21, 2007 Nessun commento:
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mercoledì 20 giugno 2007

Mihai Mircea Butcovan a Treviso


Lo scrittore rumeno Mihai Mircea Butcovan sarà ospite al "Caffè delle Lanterne", Giàvera del Montello (TV) , lo spazio letterario dedicato alla letteratura migrante ed interculturale all'interno della 12^ edizione di "Ritmi e danze dal mondo", sabato 23 dalle ore 17 fino alle 21 e domenica 24 dalle 16 alle 20; presenterà e leggerà alcuni brani delle sue opere ("Allunaggio di un immigrato innamorato" della Besa editrice e "Borgo farfalla") e si intratterrà con il pubblico. All'interno del Caffè delle Lanterne sarà presente domenica dalle 16 alle 20 anche la scrittrice eritrea Ribka Sibhatu ("Canto-poesia dell'Eritrea") e altri mediatori culturali migranti che, assieme ad amici italiani, a melodie d'altrove e sorseggiando kafa (caffè etiope) intrecceranno scambi di letteratura e di vita con le persone che visiteranno il Caffè.
at giugno 20, 2007 Nessun commento:
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lunedì 18 giugno 2007

Il demone nero di Isabella Santacroce


















Abbiamo cercato di tratteggiare nello scorso numero della nostra rivista una piccola approssimazione di percorso critico circa lo stile, il linguaggio, la simbologia di una delle più discusse e discutibili scrittrici contemporanee italiane: Isabella Santacroce. A dire il vero impresa non del tutto facile, sia perchè il trend scritturale preso in considerazione è ancora troppo esiguo sia perchè appare arduo poter dare dei punti saldi di analisi ai lettori assidui o meno di quest'autrice, al fine di comprenderne l'estetica. E allora tutta quella produzione che va da Fluo a Destroye a Luminal, sino a Revolver e Dark Demonia, sarebbe oggetto o di critica superficiale o tutt'al più di effusioni psico-empatiche il cui contenuto non andrebbe oltre i giudizi di valore soggettivo. Sul numero 22 dell'agosto 2005 della celebre rivista Rolling Stones nella rubrica Review/ Cultura, leggiamo una simpatica dedica a Isabella Santacroce, a firma Kiara Zocchi: “ ( ...) Ma Isabella Santacroce, che ha un bellissimo nome, un bellissimo rossetto, una bellissima veletta, non ha ancora messo in atto - secondo il mio modestissimo ma estenuatissimo parere – la speranza che mi aveva innescato sin dalla sua prima editaparola. Manca d'ironia. Come si fa a essere così convinti? A parte ciò, le mando un grande bacio, prima che venga a calpestarmi, con takki a spillo Pulp.” Sarebbe stato più opportuno un riferimento colto alle Underscore Sister di 2005 D. C. della premiata ditta Babette Factory? Quando facciamo critica, o tentiamo di farla, proviamo innanzitutto a tener bene a mente che l'eccessiva sinteticità o di contro, la dirompente energia promanante da un acume critico, potrebbero risultare con un'equa distribuzione di pro e di contro, infastidente su qualsiasi testata che si occupi di letteratura e poesia. Ma ... esiste un Ma! Ora potrebbe anche darsi che Isabella Santacroce rientri nel genere lettarario del Pulp, o che sia perfettamente percepita come una cannibale, o addirittura una creatura nata dall'universo del Trash, che possa essere Pop, Avant-Pop, o Meta-Pop, ma di certo occorre avere tanta pazienza da dedicare alla lettura, non solo dei suoi libri, alla metabolizzazione testuale ed eventualmente grafica, al contesto dell'edizione insomma, alla redazione di una recensione, per chi vuole fare questo mestiere, soprattutto come rispetto verso i lettori. Come mai quindi tanta parsimonia quando si parla di libri? Alcune risposte potrebbero arrivare da taluni studi sulla percezione e acquisizione dei linguaggi e delle nuove grammatiche di qualche anno fa, alcuni nati all'interno delle cattedre di linguistica del M.I.T e in Italia (più recentemente) notevoli spunti di riflessione ci vengono da Stefano Cristante e Giuseppe Granieri, dove si sosteneva che l'eccessiva sovra-produzione di immagini nate dai mezzi di comunicazione di massa, produce una sorta di analfabetizzazione di ritorno tra i fruitori delle stesse. Per farla breve non riusciamo a concentrarci su più di tre quattro pagine di fila di un libro. Cosa resterebbe da fare al critico se non ridurre all'osso, un suo intervento a proposito di questo o quell'altro autore? Lo spettro dell'essere brevi, concisi e d'effetto si trasforma in una sorta di imperativo categorico. Andiamo oltre ... Dark Demonia, si presenta innanzitutto come un catalogo d'arte: il volume sprovvisto della consueta numerazione a piè di pagina, si costituisce di impianto testuale e iconografico, quest'ultimo a cura di Talexi. Prima novità: Isabella Santacroce abbandona qualsiasi legame scritturale che la colleghi in qualche modo alla realtà (metropolitana, paranoica) e sfocia nel gotico perlomeno sul piano della resa simbolica delle sfumature e atmosfere. Seconda novità: una singolare capacità di costruzione sintagmatica che la porta a sperimentare le forme di una prosa poetica. “Quest'ala d'uccello sul fianco all'altezza dell'altra diversa e più umana m'affligge da sempre. Un arto sinistro consueto a partir dalla spalla la mano conclude. All'opposto mancante di tutto s'installa il piumaggio dell'ala maestosa il cui peso mi piega. Dimoro in un luogo in cui m'hanno rinchiusa nel giorno del parto. In un cubo serrato posto al centro dell'ottogonale castello dei mostri. Mi ha portato qui dentro nascosta in un cesto la levatrice dalle dita di metallo. E' stata lei a condurmi nel bosco. E' stata lei ad estrarmi dal ventre”. Quest'ultima opera della Santacroce è un canto, proprio come i canti della Divina Commedia di Dante, quello di un angelo partorito nell'ombra e condannato a vivere negli oscuri gironi di un inferno, tra le anime di maledetti da Dio e dall' uomo, per l'eternità costretti a osservare atrocità, le cui sofferenze nemmeno potrebbero immaginarsi. “Nella terza stanza il custode s'inclina sul cazzo del signore in stoffa. Glielo prende in bocca e succhia. Recide il membro ingordo e sbocca. Trionfalmente aperto da tiranti in gomma l'uomo dal cotone in faccia sborra. M'appendo ai ganci infilando. Vagina stuprata da un braccio. E' stato il custode a donarla a me stessa. L'ha staccata dal busto di quel povero matto. L'ha gettata qui dentro. L'ha strappata gridando. E' un membro reciso di pezza rigata e mi fotte. E mi fotto. E mi fotto. Mi manco rimani. Alla coppia incestuosa ha decapitato la testa. E' arrivato con una lama lucente colpendo più volte quei crani piccini gridando. Sono a terra abbracciati nel sangue come due amanti sorpresi. Li amo”. Un canto di disperazione dove il lutto non conosce fondo e la separazione non troverà giammai una rimarginazione. Ma l'orrore comincia quando l'occhio si ferma sulle immagini del volume. L'autore è Alessandro “Talexi” Taini, nato a Genova nel 1973, illustratore, grafico e appassionato di cinema. Non so sinceramente da che parte cominiciare. Da riferimenti letterari? Se dovessimo dare dei rimandi a degli autori che hanno scandagliato le dimensioni dell'orrore, dovremmo escludere H. P. Lovecraft, Edgar Allan Poe e includere Stephen King e Clive Burker. Se dovessimo paragonare l'opera di Talexi alla produzione di qualche regista contemporaneo del genere, sicuramente non sbaglieremmo nel citare George Romero e Peter Jackson. Naturalmente per facilitare le cose. Se siete però deboli di cuore, allora allontanate l'idea di acquistare questo volume. La strabiliante abilità di Talexi, nel dare vita a mutilazioni, decapitazioni, aberrazioni di ogni tipo, dal necro-erotismo alla devastazione masochistica della carne, rende talvolta il tutto insopportabile. Tanta dedizione alla carne da macello, non l'avevo mai vista. Non è questione di morale o di cattivo gusto, ma senza dubbio ci troviamo di fronte ad un salto di paradigma nella percezione del limite narrativo dell'orrore, quello ancestrale, che proviene da altre dimensioni. In tutto il libro è uno scorrere senza mezzi termini di abominii, creature a cui è negata la luce, non solo perchè osceni nel corpo, ma perchè non più in grado di portarsi sula strada della redenzione, perchè non la vogliono, perchè non l'hanno mai conosciuta. Creature che hanno vissuto osservando in catene solo l'ombra della realtà, forse una sorta di condanna alla follia, alla demenza che Altri hanno deciso per loro. Ed ecco in rassegna la Levatrice, il Custode, la signora Corrosa, i Bambini Immortali, l'Uomo di Stoffa, la Coppia Incestuosa. “Stanca di un buio accecante immagina adesso che fuori che fuori c'è il mare. T'alzi svestita per bene e camminando ti immergi. Adesso mi taglio la gola e l'ascolto. Adesso mi taglio la lingua e la sputo. Se solo arrivassi mi girerei un momento e di scatto. Se solo arrivassi ti colpirei all'improvviso sul cuore. Stronzo merdoso del cazzo nessuno lo sa ma io ti ho sognato. Strappavi quest'ala coi denti e mi liberavi. Fanculo la quiete”. Non è un caso forse che questi due artisti si siano trovati bene nel collaborare a questo progetto. Da parte mia, ormai l'ho preso quasi come un obbligo morale, continuerò a esortare gli assidui frequentatori di librerie ad acquistare le opere di Isabella Santacroce, perchè nel bene e nel male vale la pena di tenerle in biblioteca. Forse però in questa specifica occasione dovrò essere ancora più fermo nel consigliarvi Dark Demonia. Non oso dire se ne vale o non ne vale la pena. Posso solo dire, e non era un film splatter, che dopo averlo letto e osservato con attenzione , alcuni conati di vomito non sono riuscito a trattenerli. Compratelo. Magari a qualcuno verrà spontaneo cercare il vero senso della vita. (da www.musicaos.it)
at giugno 18, 2007 1 commento:
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venerdì 15 giugno 2007

Lovers















Qualche mese fa, gli assidui frequentatori del mensile patinato e macho-pop Max , hanno potuto fare la conoscenza semi-biblica della scrittrice Isabella Santacroce, apprezzandone di sicuro non solo la bellezza, ma l'eleganza e la decadenza di un portamento (chissà perchè viene spontaneo pensare a Patrizia Valduga) senza veli, da far accapponare la pelle. Ma l'interesse verso questa autrice sembra non estinguere mai il suo fuoco, tanto che sul numero dell'11 -24 ottobre 2005 del quindicinale Stilos, Gianni Bonina traccia con segno marcato in una splendida intervista, una mappa della produzione scritturale, dello stile, dei tratti distintivi della più discussa, ambigua, dolcissima, infernale, protagonista femminile nel variegato universo della letteratura contemporanea italiana. Prima cannibale, poi pulp, poi - a detta dello stesso Bonina - capostipite del genere nevroromanticismo, la Santacroce, nel maggio 2001, pubblica prima nella collana Strade Blu, poi nel maggio 2002 nella P.B. Mondadori, Lovers, (amanti). Affermare che si tratti di una scansione narrativa per paragrafi, sarebbe non esatto, dal momento che vuoi per l'imprinting formalmente vicino alla poesia, vuoi per un peculiare ritmo vicino alla prosa poetica ( una scelta che la Santacroce adotterà per il suo ultimo lavoro "Dark Demonia") riteniamo che l'esatta definizione dei 94 momenti in cui è divisa l'opera, sia di stanze. Vorremmo utilizzare, ci sembra più appropriato, il termine stanze non nell'accezione comune utilizzata nella metrica italiana di strofa come parte della canzone, ma come componimento autonomo. Non perchè esista in Lovers una schizofrenia congenita nello sviluppare l'intreccio, non perchè si tratti di singoli episodi autoconclusivi, ma perchè l'autonomia di ogni singola parte di quest'opera viene a trovarsi nelle condizioni di esprimere un dolore intenso, rinnovato e rinnovabile per ogni singolo momento, tanto da amplificarne la potenza simbolica pagina dopo pagina, episodio dopo episodio. Per fare un esempio: "Diventarono indivisibili vite. Dal niente al tutto con un battito d'ali. Nemmeno un istante da respirare lontane. Sincronizzando il pulsare del cuore "(pag.15). E troviamo senza dubbio, alquanto singolare, che dopo due scelte formali di questo tipo (sia per Lovers che per Dark Demonia), la Santacroce non abbia tentato di raccontarsi in poesia. Ovviamente che la poesia non entri nei modi espressivi della Santacroce, potrebbe risultare questione scontata, anche per sua stessa ammissione. Ma di certo se un giorno dovesse uscire una sua raccolta di versi, siamo certi che il risultato sarebbe più che positivo. In Lovers lo spazio della narrazione si divide tra Roma e Positano, in un arco di tempo di una sola stagione. Elena e Virginia, le protagoniste, amiche per la pelle, saranno vittime inconsapevoli di quello strano e caotico gioco che si chiama Amore, gioco in cui il ruolo delle parti, la categoria del Ruolo stesso che ciascuno di noi può inconsapevolmente trovarsi ad interpretare, gioco crudele, gioco delle lacrime il più delle volte, diviene un'incredibile partita a scacchi da Settimo Sigillo. Virginia si innamora del padre di Elena, la quale, tenuto a gran fatica il segreto, è a sua volta innamorata di Virginia. La storia, una delle tante da raccontare, magari come quelle che possono nascere nella più desolante provincia italiana, come in una qualsiasi capitale del mondo, si trova a essere costruita dalla Santacroce, al di là della scelta lessicale, del suo stile oramai inconfodibile, con un unico filo conduttore, il dolore, il dolore lancinante della scelta, del non sapere a chi affidare le proprie attenzioni, l'indecisione cronica nata dal turbinio adirezionale generato dai diversi detentori e gestori di potere relazionale (il padre di Elena ed Elena stessa), l'amarezza di sentirsi imbozzolata in storie di ordinaria follia quotidiana, asfittica nel 99% dei casi, dove anche un raggio di sole può tagliare come lama di un coltello, percependo sempre come appetito infinito la voglia di sentirsi amati, ed amare, e poi di nuovo voler fuggire via, da se stessi, da tutto, voler essere uomo e donna, o un ibrido, cambiare pelle come i serpenti sperando in un catartico perdono dei peccati: " Quando una nuova alba affilata le graffiò il viso si ricordò che il giorno prima aveva avuto voglia di morire. Era durato un istante. Palpebre che si abbassano per ritornare alla luce. Frazioni di secondo più profonde di un taglio. Elena le aveva raccontato di un furioso litigio. Genitori arrivati alle mani. eppure Virginia della madre conosceva solo il sorriso. Credeva non sapesse far altro quella donna all'apparenza serena. Credeva realmente che il padre di cui parlava non fosse più suo. Lei ne piangeva. Diceva ci sarà un'altra vita. Diceva tu ci sarai. Devi rimanere. Magari vivremo insieme. Nella stessa casa. Elena troppo sincera. Insopportabile. Durò un istante. Una porta che sbatte e non si riapre. Stesso rumore. Desiderò morire" (pag. 50). Che la Santacroce abbia diversi lati oscuri, o meglio che viva nell'ombra come creatura blasfema e demoniaca (è questo che fa più cool una scrittrice del suo calibro?), sembra in qualche modo aver indotto a travisare l'intero meccanismo della sua produzione. Al di là delle definizioni, o del voler ad ogni costo controllare in maniera ospedalizzante anche le diverse modalità della narrativa o della poesia, basterebbe non lasciarsi ingannare dall'alone pop che ruota intorno a Lei. E se poi si scoprisse che anche lei soggiace al ruolo ambiguo dell'opera d'arte nell'era della riproducibilità tecnica? Potrebbe essere assolutamente inattendibile chi definisce questa autrice come una nichilista passiva che distrugge per distruggere, o che vuole rimanere negli annali dei profeti letterari dello shock per lo shock? E se il suo fosse un eterno sì alla vita? Leggete Lovers, e ne riparleremo!

da www.musicaos.it


at giugno 15, 2007 Nessun commento:
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domenica 10 giugno 2007

Carte Segrete




















Tracciati di pelle e gola, e sudore, riempiono le pagine di quest’avventura editoriale perennemente in bilico tra il senso dell’oblio e la ricerca di un’identità corporea, sciolta e ricomposta incessantemente dalla parola, quasi in un’estasi orgasmica che brucia i ricordi, gli attimi, i non-detti, che solo il gesto orgasmico, per l’appunto, è in grado di realizzare, architettare. Carte Segrete, edito da Besa nella collana Lune Nuove, a cura di Alessandra Bianco, costruisce “more geometrico” un dialogo multi-sessuale che scavalca la dimensione del ruolo amplessico, nel senso prototipico dell’uomo penetrativo e della donna accuditrice/acclusiva, ma trans-avvalora un ulteriore spettro di interazione sessuale esponente una campionatura di binomie e polinomie dell’atto dermico-unitivo donna-donna, uomo-donna, alle quali si aggiungono sguardi e corpi Terzi, post-identificativi. L’Erotismo e la pornografia talvolta anche nel gesto meccanico- naturalmente non nel caso specifico di Carte Segrete - , narrativamente parlando, bilanciano la melancolia auto-distruttiva geneticamente insita nello struggersi ticchettante del m’ama non m’ama!!! Un’antologia quella creata e voluta dalla Bianco, che fa venire voglia di affermare perentoriamente la necessità di approfondire quelle che sono le nuove spinte della letteratura erotica contemporanea italiana. Acquistate questo libro, godetevelo e godete di tutta l’umoralità che trasuda da ogni rigo di quest’opera corale. Non troverete nulla che ha a che fare con quello che sino ad ora pensavate fosse letteratura erotica. E’ molto meglio e molto di più! Carte Segrete vi offre una seconda chance definitiva e assoluta: trasgredire o soccombere!

Le autrici: Agata; Ersilia Cacace ; Maddalena Capalbi ; Cavalla golosa ; Cristina Contilli ; Demily ; Marianna De Lellis ; Anais De Nerey; Eliselle; Euridice; FFLuna ; Gabidolores; M. Maddalena Iovene; Antonella Lattanzi ; Cristina Leti; Marina Pasqualini; Marina Priorini ; Rosewood; Tinta .


fonte iconografica da www.clisse.splinder.com
at giugno 10, 2007 7 commenti:
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sabato 9 giugno 2007

Per una telepatia della comunicazione
















Io e Giuseppe Goffredo comunicavamo telepaticamente sullo stato della letteratura italiana in occasione della dichiarazione del vincitore della Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo ad Alberobello il 7 giugno 2007 presso MiseriaeNobiltà. The winner is ... Agata Spinelli!
at giugno 09, 2007 Nessun commento:
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E se ...

E se...

Così doveva essere
quando silenzio era
quando luce era
senza suoni
e il volvere d’asfalto
scricchiava

allora

la ruota e il passo
stompavano pietrisco.

Luce d’umido brilla, schiara
viene incontro col farsi del giorno
odori e piccoli fumi
fanno l’ulivo al cogliere
e secca la vite.

Domani sarà festa.
Respira largo!
Domani avremo mani libere
già a gustare in un sorso
quel che della vita serve

solo quello
solo quello

ci sono parole
fresche… sai?

Soltanto! Il fresco di parole.
Rimani
provo il racconto, la tessitura di me,

e quel clima intorno che se sfuochi strugge
perde il tempo, il carico.
Luce soltanto…
Soltanto di luce, quella magnifica, di qui
col suo mutare…
...
Se
mi viene
voglio farlo lento questo gioco
un po’ per celebrare.
Un po’ per far doni allo sguardo
al mio e di chi viene

E se
è l’enigma, il non so
il disatteso.

E se
mi domando.
Continuamente interrogo il non so
il desiderio
la conferma delle mani
lo sguardo perso e la ferita
…

Mi sembra sempre
d’avere intorno
la vanità
che non coltiva
e disperde
senza economia
ogni fare
-
Sciatta è la scelta
provvisoria
sempre
nel bilico del nulla.
Non la regalità della leggerezza
che accoglie al dare.
Ma, “il tanto per”d’un fare
senza progetto
senza obiettivo
senza il calibro della bellezza.
Senza attenzione!
-
L’arte non è l’uno
il chi fa!
E’ il suo annullamento,
il suo non esserci,
il suo accompagnare ogni atto.
-
E se invece…
tutto si filtrasse in umiltà,
in gioco di scambio
in ardito osare
senza tema d’apparire e se…
rifuggissimo dalla banalità, dall’ammiccamento,
dal “guardate qui…”
…

Io guardo i millimetri del mondo!


…


Guardo la città
colgo immagini con lo sguardo
e i suoi riverberi di senso
le nostalgie mischiate alla consuetudine
ai ‘soliti’ ritmi.
E le stravaganze, i silenzi lunghi, dedicati ai morti
e quelli maturi che custodiscono le parole.
E, l’amore, poi
entra ed esce dai versi
nascosto, inquieto lo stupore per la bellezza
con gli incanti del sapersi vivi.

versi di Mauro Marino

at giugno 09, 2007 Nessun commento:
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giovedì 7 giugno 2007

La verità vi prego su Isabella Santacroce!

E’ già accaduto in poesia nel 1976 con Il Pubblico della Poesia, per i tipi di Lerici ( Eros Alesi, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Cesare Viviani, Valentino Zeichen), poi nel 1979 con La Parola Innamorata a cura di Antonio Porta per i tipi di Feltrinelli nel 1979, e ancora nel 1983 con l’Io che brucia sempre per Lerici dove troviamo nomi come Valerio Magrelli oppure nel 1989 Poesia della contraddizione/L’Avanguardia dei nostri anni/ 43 poeti per i tipi di Newton Compton. Giorgio Manacorda nel suo Per la Poesia, Manifesto del pensiero Emotivo, edito per Editori Riuniti nel 1993, racconta uno spaccato della produzione poetica tra la fine degli anni ’70 e la fine degli anni ’80, esponendo un rigoroso percorso critico, individuando voci, simmetrie e asimmetrie della parola poetica, polisemie del raccontare e fare Poesia, come scandaglio di esigenze individuali o collettive, volte a offrire uno spettro quanto più esaustivo possibile dei cambiamenti e delle necessità di far luce su quanto realmente è accaduto in quegli anni. Nell’ambito della narrativa italiana, quella per intenderci più vicina ai nostri tempi, e per la precisione a partire dalla seconda metà degli anni ’90, sembra che ci sia stato un attacco frontale alla gestione del raccontare la quotidianità ai margini, quelli fittizi da nichilisti della porta accanto, dello spaesamento urbano, metropolitano, o meglio le licenze dell’andare oltre, di ragazzoni citrulli, e girls dal residuo bagaglio neuronale, gruppi di adolescenti ( lo si è sino a trent’anni ?!) neo radical chic della medio-alta borghesia che chiudono le loro seratine a base di sangue e merda : parliamo di Gioventù Cannibale a cura di Daniele Brolli per i tipi di Einaudi Stile Libero (1996), una raccolta di contributi in prosa di autori come Caredda, Nove, Ammaniti, Massaron, la cui vettorialità di senso si riduceva a ben poca cosa, pasto misero condito da elementari effetti la cui peculiarità rimaneva lo shock per lo shock. Un’operazione che comunque ha fatto scuola, anche se talvolta con risultati non sempre soddisfacenti, e non possiamo non fare riferimento ad altre esperienze similari come ad es. Joe Arden ( uno che ama i Ramones, Jim Thompson, Tim Barton e che odia il 70% della popolazione e ama il restante) nel 1997 per i tipi di Sperling e Kupfer, nella collana Serial, con il suo Tagli e Tatuaggi, del quale riportiamo un estratto: “ Sono rigida rigida rigida. La punta di un iceberg; un giro di basso di Jhonny Ramone; il tipo del Pavlov’s dopo la cura di piombo. Pronta al peggio. Non succede niente. Ma è questione di un attimo. Metallo contro metallo: le pastiglie dei dischi, a puttane. Puzza di fumo: cristo iddio, che non siano i miei anfibi. Idea di scintille. Il van che da mezzogiorno e mezzo segna di colpo le tre meno un quarto. Pioggia di confetti. Grandini di parole, confuse. Incomprensibili. Cranio sul volante. Crack accompagnato da fitta alla tempia. Pistola contro l’ombelico: altro dolore.” (pgg. 18, 19).
Ma come dopo una serie di esperimenti nel campo della bio-ingegneria letteraria, nella maggior parte riusciti male, ecco che sempre a partire dal 1996, dopo il mediocre Fluo, fa capo sul panorama dell’intellighenzia italiana, una scrittrice che darà tanto filo spinato da torcere: Isabella Santacroce. Nella prima edizione de “I Canguri” Feltrinelli, esce il suo Destroy, con tanto di manifesto programmatico-teorico sbattuto come un mostro in prima pagina, attraverso le parole di Ian Curtis, Billy Corgan, Friedrich Nietzsche: 1) Non so che cosa è giusto o sbagliato (l’anarchia vitalistica nel relativismo etico);2) The World is a Vampire ( consapevolezza dell’esistenza triadica capitalistica produzione, consumazione, morte del soggetto all’interno della circolazione dei beni di consumo di massa); 3) Io sono il primo immoralista: con ciò sono il distruttore par excellence ( il nichilismo passivo come machine de guerre). E Destroy rappresenta la sintesi in vitro di una cronaca di una morte annunciata: quella del linguaggio che soggiace dolente o nolente all’assuefazione iperconsumistica (dai musicali Massive Attack, agli Smashing Pumpkins a Nick Cave, alle cartacee Tank Girl e Vampirella, alla schizofrenia allucinata semantica, alle immagini dei manga e dei comics americani, dei vestiti post-atomici in latex, alla trance indotta tramite superalcolici: in altre parole la storia di Misty, venticinquenne che lascia l’Adriatico per Londra, dove si guadagna da vivere seguendo la sua discesa agli inferi tra voyeurismo, fetish esibizionismo hard-core e assistenza domiciliare a masochisti schizzati e solitari. Un'opera questa della Santacroce che vede l’autrice impegnata a giocare disinvoltamente coi fili dell’alta tensione, quella di una paranoia autodistruttiva, di chi si lascia scarnificare dal vortice della devastazione per la devastazione, usando spezzare i periodi in maniera sincopata, slangando l’inslangabile, e trasformando i dialoghi in monologhi da casa di cura manicomiale: “Amore, amore non sei in casa? Sono io amore, rispondi, lo so che ci sei farfallina mia! Cazzo Mary rispondi, porca troia non fare storie! Mary se non rispondi giuro che quando torno a casa ti ammazzo di botte … brutta stronza … cazzo ma che vuoi? Cosa vuoi dimostrare? Schifosa puttana, me la pagherai! Giuro che ti riempio di calci e ti ficco la testa nel water e ti sfiguro quella faccia di merda e ti sbatto giù dalla finestra troia di una troia … cazzo, rispondi …cazzoooooooo!”. (pag. 18). Isabella Santacroce poi continua con la sua operazione chirurgica senza alcuna anestesia, sul corpo della letteratura partorendo Luminal per i tipi di Feltrinelli nella collana “I Canguri”. Non basta aver mandato in tilt il sistema nervoso centrale dei suoi lettori con le sue due precedenti produzioni, deve procurare (in primis attraverso l’insulto reiterato del tipo “Leccatemi bastardi non talentuosi lecatemi”) una frattura esposta lobo-parietale, facendo friggere i neuroni con un desiderio ostentato di ripetizione mantrica delle esperienze ontologiche dei protagonisti, attraverso questo REW (Rewind ) quasi su ogni pagina, perché il dolore si sublimi in autocompiacimento da eterno ritorno. Luminal è la storia di due amiche diciottenni, Demon e Davi, tossicomani del sesso off-limits, che usano vaginalmente la loro energia come un abissale Si’ alla vita., lungo irradiazioni esistenziali che attraversano come in un sogno città come Zurigo, Berlino, Amburgo. “Esposte al suo furore piano piano si accende. In diverso modo vedo. Il mattino dominare. Capovolte nuovamente d’isterico possedute noi siamo. Pesci rossi volteggianti fuori dell’acqua. Guardami con rabbia. Non riesco a respirare. Battendo palpebra mi incendio di solare abbaglio. Lascio fare mentre si alza in ore che da tempo addormentata ho conosciuto. Rallentando consapevolezze di un esserci a metà. Ho cercato il sonno. Affascinata dalla magia dell’assenza nelle costellazioni sono entrata come una stella. Con Davi accanto. Ho annusato odori di luna sopra. Il nostro brillare nel buio allontanava l’impotenza. Guardaci con rabbia. Capovolte nuovamente non riusciamo a respirare da raggi trafitte. Baciamo saliva. Mangiando Luminal eccediamo attenuando il violento eccediamo”. (pag.100). Sia in Destroy che in Luminal pare che la Santacroce non riesca a rimarginare uno iato consistente tra la sua etero e introdiegesi narrativa. Il Dasein della o nella realtà tra le pagine di questa scrittrice, sembra trovare collocazione come un corpo estraneo in sé, non metabolizzabile, da espellere o attraverso la defecazione o la minzione. La realtà per la Santacroce va vissuta come in uno stato di ipnosi autoindotta, non perché ne venga percepita la bestialità, la crudezza, l’atrocità, ma più che altro perché non è controllabile il flusso degli eventi. Le scelte sono arbitrarie, non si può dare nessuna lezione di vita, è inutile, tutto accade perché deve accadere, anche la distruzione di se stessi. Nel 2004 la Santacroce, pare spingersi un pò più oltre i confini dell’abbandonico autocompiacimento nichilistico, quasi a sentire come un obbligo il desiderio di osservare quello che accade intorno a sé, a volerci vedere chiaro, a diradare la cortina di fumo nero che avvelena i polmoni nella vita di ogni giorno. Non è una rivolta prometeica. La Santacroce non è in grado di proporre alternative perché sa che non ci sono rivoluzioni da fare, che forse le rivoluzioni non sono mai esistite, se non nell’accettazione della sconfitta e del lutto. Revolver per la collana Strade Blu di Mondadori è un capolavoro. Abbandonate talune farneticazioni meta-pop da mercato spettacolare, lo stile della Santacroce si fa meno paranoico, più fluido, di un’intensità delirante che non conosce più confini. Revolver è la storia di Angelica, ventottenne, che nel mezzo del cammin della sua vita, comincia un viaggio attraverso i gironi della solitudine (eccola che incolla occhi di plastica sulle bambole) mentre accudisce una zia affetta da paralisi e lavora in una fabbrica, che conosce il volto possessivo dell’amicizia nella sua relazione con Angelica, una che è pronta a darla al primo che capita, pronta a farsi sbattere come un ovetto dentro la ciotola. Due solitudini che tentano il salto di paradigma nella stabilizzazione di una vita normale, ma che risulta insostenibile, ulcerante come l’acqua santa sul corpo di un indemoniato. Non c’è dolcezza che tenga, neanche l’anestetico della quotidianità di una vita a due, quella da pubblicità del Tegolino Mulino Bianco, perché il meccanismo perverso del male, dell’imprecazione, della richiesta d’ascolto puntualmente ignorata la fanno da padroni, in una vita veramente infernale: “Sei strana. Non lo sono. Sì lo sei. Perché dovrei esserlo. Perché lo sento. Da quando senti. Tu non senti. Sono stanca. Stanca di cosa. Di noi. Non mi avevi mai detto di esserlo. Non me l’avevi mai chiesto. Non mi chiedi mai niente. Perchè me lo hai chiesto oggi. Perchè stai male. Tu non stai bene. Io sto benissimo.No. Non è vero. Sei malata Angelica. Non sono malata. Siamo andati dal medico ricordi. Certo ricordo. Devo essere paziente. Chi lo ha detto. Lo psichiatra l'ha detto”.(pag.66). Senza alcun timore di possibili fraintendimenti, occorrerà dire che per tutti coloro che hanno seguito la Santacroce, sicuramente non ci sarà stata alcuna eventulità di sottrarsi al fascino della capacità di quest'autrice di architettare nei suoi intrecci, universi dall'alta consistenza nichilistica, quella passiva, della distruzione per la distruzione, come sopra abbiamo più o meno accennato. Ed è un modo abbastanza collaudato questo di sfruttare i malumori della gente, i lettori in fondo pagano tutti indistintamente le bollette del telefono, della luce, del gas, vanno al lavoro, si godono le ferie meritate, hanno i loro alti e bassi, tentando quindi di far vivere loro situazioni estreme che distraggono o perversamente inducono un senso di sollievo rispetto alle situazioni descritte nelle pagine di questa scrittrice, facendo sentire tutti un pò più fortunati, per non parlare del solletichìo indotto tra tutti gli adolescenti, ai quali viene indicata una via alternativa (o meno poco importa) alla normalizzazione, alla stabilizzazione emotiva, alle sollecitazioni ospedalizzanti che la società attorno utilizzerebbe per il Controllo di Massa ( pensando a Foucault). Il che talvolta potrebbe anche risultare positivo. Il vecchio gioco del frutto proibito! Ma al di là di queste cialtronesche delucidazioni pseudo-psicanalitiche da salotto, la Santacroce è riuscita a mantenere nel corso della sua esistenza editoriale uno stile che si è mantenuto nel tempo, una capacità di rendere, con spessore forse un pò pop o metapop, a tinte ben marcate, i profili dei protagonisti delle sue opere, studiando la modalità espressiva delle patologie perfino nella strutturazione dei dialoghi, a trattenere nel bene e nel male saldo il rapporto con gli oggetti del mercato, non solo procedendo ad una loro semplice elencazione, ma addirittura sfociando nella mistica del consumo, e nella bioingegneria capitalistica. Di una cosa però siamo certi ... Potrete non provare simpatia per un'autrice di questo tipo, odiare quello che scrive o come lo scrive, potrete cercare di mettere all'indice i suoi libri, ma non dovrete fare a meno di acquistare e leggere le sue opere, dal momento che uno spazio nella vostra biblioteca, per Lei, occorrerà per forza trovarlo!
(da www.musicaos.it)
at giugno 07, 2007 Nessun commento:
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mercoledì 6 giugno 2007

La mostra del fuoriluogo


"Avete pagato per partecipare ad un esperimento, appartenete a questoluogo per tutta la durata dell'esperimento, al termine del qualetornerete a professare una o più idee morali credendole universali... Buona visita"
Inizia così il secondo lavoro video-teatrale di Lorenzo Pietrosanti "Lamostra del fuoriluogo". In uno pseudo-laboratorio di sperimentazione sociale, due inservienti (Alessia d'Errigo e Stella Novari) partecipano alla messa in scena di un vero e proprio esperimento psico-sociale: unaspietata e sconvolgente messa in discussione del concetto di morale. La morale nel "fuoriluogo" non esiste, ed ogni fatto di cronaca, ogni immagine, oggi certezza mediatica, viene rimescolata e riformulataattraverso un nuovo significante.
La durata del lavoro è di un'oracirca, numerosi i video e le sequenze video firmate da Pierpaolo DeSanctis e dallo stesso Lorenzo Pietrosanti. Di forte impatto i materiali audio, totalmente improvvisati dalle due attrici e missati da SimoneMammucari. Gli eroi del fuoriluogo sono i bambini, vittime nel mondo reale, uniciesseri puri nella visione a-morale presentata dal giovane regista romano.
L'evento videoteatrale, dopo essere stato selezionato alla Mostra Mercato Teatri di Vetri di Roma, andrà in scena al CineTeatro( www.cineteatro.it ) il 9 e 10 giugno ed il 23 e 24 giugno alle ore 21.15.Prenotazione Obbligatoria, infoline 3478311350 - 068175275. Via Valsolda 177 Roma, costo 5 euro + tessera (2 €),
www.lamostradelfuoriluogo.it.L.P.
CINETEATROVia Valsolda 177 (P.za Sempione, Roma)06 8175275
www.cineteatro.it visionivisioni@gmail.com
at giugno 06, 2007 Nessun commento:
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sabato 2 giugno 2007

Slow

slow sex
slow art
slow emotion
slow money
slow kiss
slow truth
slow emotion
slow black
slow pink
slow travel
slow play
slow orgasm
slow
slow
slow in the word
slow in the world
slow in peace
slow in love ....

dedied to Carl Honorè (www.inpraiseofslow.com)
at giugno 02, 2007 1 commento:
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mercoledì 30 maggio 2007

Giulio Andreotti e Leonard Guaci

LEONARD GUACI
I GRANDI OCCHI DEL MARE
BESA EDITRICE

30 maggio 2007
h.19,00

Libreria Arion
Piazza Montecitorio n.59
Roma

Interverranno il Senatore Giulio Andreotti
Oliviero La Stella, giornalista de Il Messaggero
Modera Aldo Papa, giornalista Rai
Il poeta Visar Zhiti


Mezzo secolo di storia dell’Occidente visto attraverso la televisione con gli occhi di un gruppo di ragazzi di Valona. Costretti dalla dittatura a un lungo isolamento fisico e morale, Mao, Stalin, Lenin Gramshi, Partizan (i loro nomi) si attaccano ogni giorno al piccolo schermo. È così che conoscono Adriano, Gianni, Corrado, La Tigre di Cremona, Pippo, Lucio, Eros e altri miti, i nomi dei quali danno il titolo a ogni capitolo, ma anche le Brigate Rosse, il commissario Calabresi, i Beatles, la Juventus, il Vietnam, Kissinger, Coppi, la Thatcher, Aldo Moro, Ustica, la P2, Paolo Rossi, Chernobyl, il muro di Berlino e tanti altri personaggi ed eventi che hanno fatto la storia del secolo scorso. La televisione italiana diventa una grande finestra da dove poter guardare il mondo e cercare di capirlo.
Parallelamente a tutto ciò scorre la loro vita quotidiana che si svolge fra mille difficoltà e divieti, arresti, scontri generazionali. Ma c’è anche la loro voglia di non soffocare dentro quel grande bunker nel quale è stata trasformata la loro patria. Imparano a parlare italiano, a suonare la chitarra, organizzano concerti clandestini, leggono libri proibiti, combattono a modo loro la dittatura. Sognano di scavalcare un giorno la linea dell’orizzonte che li separa dalla libertà. E dopo il crollo del regime qualcuno riesce ad andar via.
Tensione, colpi di scena, ironia, poesia accompagnano costantemente il romanzo, che si legge tutto d’un fiato.

LEONARD GUACI è nato a Valona (Albania) nel 1967. Ha iniziato la sua attività letteraria con numerosi scritti sui giornali albanesi. Nel 1990 si trasferisce a Roma dove vive e lavora. Da allora ha collaborato con i periodici «Lo Stato» e «Il Borghese» e con il TG1. Con Panciera Rossa nel 1999 ha vinto il premio internazionale di letteratura «Antonio Sebastiani».
I grandi occhi del mare è il suo secondo romanzo.
at maggio 30, 2007 Nessun commento:
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domenica 27 maggio 2007

Le voci della città

Fiesole (FI) – Basilica di Sant’Alessandro 7-10 giugno 2007
meeting delle scritture e dei giovani scrittori
(laboratori di scrittura/poetry slam/reading/tavola rotonda)

LE VOCI LA CITTÀ
La scrittura per ripensare spazi e accessi

Il Comune di Fiesole, nell’ambito del progetto “GiovaniLibri” promosso da ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), Ministero delle Politiche Giovanili e Ministero per i Beni e le Attività Culturali, organizza per il prossimo mese di giugno un meeting dedicato alla scrittura e ai giovani scrittori.

L’iniziativa è dedicata ai giovani scrittori e alla scrittura come occasione per ripensare e reimmaginare i luoghi e gli spazi di vita, di incontro, di interazione. È gratuita e aperta a tutti gli aspiranti giovani narratori e poeti. Si articola in appuntamenti formativi e performativi: due laboratori di scrittura - uno di narrativa (racconto breve), uno di poesia (per l’oralità); un poetry slam; un reading di racconti; una tavola rotonda sul tema “le voci la città”, un modo per riflettere sul mondo a partire dagli immaginari che sa modellare la scrittura.

Il meeting si svolgerà dal 7 al 10 di giugno presso la Basilica di Sant’Alessandro. I racconti e i testi poetici che saranno letti e performati durante i quattro giorni del meeting, insieme agli atti della tavola rotonda, saranno pubblicati da Cadmo in un libro più CD.

***

Programma
(tutti gli eventi si svolgono presso la Basilica di Sant’Alessandro):


• Giovedì 7 giugno 15.30-19.30 e venerdì 8 giugno 15.30-19.30:
laboratorio di scrittura narrativa - racconto breve (docenti Gabriele Frasca e Gianmaria Nerli).


• Sabato 9 giugno 10-13 e 14.30-19.30:
laboratorio di scrittura in versi – poesia orale (docenti Lello Voce e Luigi Nacci).


• Sabato 9 giugno 21.30:
poetry slam.
EmCee della serata: Lello Voce.
Partecipano: Vincenzo Bagnoli, Dome Bulfaro, Luigi Nacci, Adriano Padua, Furio Pillan, Marco Simonelli, Sara Ventroni e i migliori allievi del laboratorio.


• Domenica 10 giugno 17.00:
reading di racconti – tavola rotonda.
Partecipano: David Bargiacchi, Marco Candida, Gianmaria Nerli, Luciano Pagano, Laura Pugno, Alessandro Scotti, Catalina Villa e i migliori allievi del laboratorio.
Alla tavola rotonda saranno presenti l’architetto Lorenzo Romito, il critico letterario Andrea Cortellessa, il Sindaco di Fiesole Fabio Incatasciato, l’urbanista Gianni Pettena, l’antropologo Marcello Archetti.

***

Progetto a cura di Gianmaria Nerli e Luigi Nacci.


Per le iscrizioni - gratuite e aperte fino al 6 giugno
si può chiamare al numero 055/5961227-25
oppure scrivere a segreteria.sindaco@comune.fiesole.fi.it
www.comune.fiesole.fi.it
at maggio 27, 2007 Nessun commento:
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sabato 26 maggio 2007

L'invito del poeta Pietro Berra per ricordare Salvatore Toma

Cari amici,
lunedì 4 giugno alle 20.45, nell’ambito degli “incontri primaverili di poesia” ospitati dalla nuova (e splendida, per chi non avesse ancora avuto occasione di visitarla) biblioteca di Brunate, farò una serata su Salvatore Toma, poeta salentino che visse su una quercia, che morì a 36 anni di cirrosi epatica, che nei suoi testi ha lasciato prove notevoli di vitalità e di ironia, che amò molto gli animali e anche la moglie e i figli (un po’ meno l’umanità in genere), che una filologa rigorosa come Maria Corti dovette far passare per suicida per riuscire a pubblicarlo postumo da Einaudi. Il suo libro, Canzoniere della morte, è tornato a circolare “a furor di popolo”, in seguito a una petizione che ha unito due estremi di Italia, il Lario e il Salento, e che ha spinto la casa editrice torinese a ristamparlo. L’incontro del 4 giugno sarà anche un’occasione per effettuare un viaggio culturale e fotografico nella terra cui la vita e la produzione poetica di Toma sono legate a doppio filo: la penisola salentina.

Siete tutti invitati!

Pietro Berra

at maggio 26, 2007 Nessun commento:
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giovedì 24 maggio 2007

Donato Valli e la Storia e letteratura nel Salento

Ciclo di seminari del Prof. Donato Valli su "Storia e Letteratura del Salento". Il ciclo di seminari avrà inizio a partire da venerdì 25 maggio alle ore 17:30 e potrà essere seguito in diretta interattiva in tutte le aule del Campus Satellitare del Salento.
PROGRAMMA
Venerdì 25 maggio 17:30 - 19:30
La provincia salentina nel secondo '800: ideologia, cultura, rapporto conla nazione. Il Gazzettino Letterario, Lo Studente Magliese, la crisi di fine secolo.
Giovedì 31 maggio 17:30 - 19:30
Poeti, strutture e ideologie del secondo '800 salentino: il giornalismo, l'istruzione,la stampa, la poesia. Letture da Vincenzo Ampolo e Giuseppe Gigli.
Giovedì 7 giugno 17:30 - 19:30
Il '900. I due aspetti del '900, tra conservazione e avanguardia.La figura, il mondo, la poesia di Girolamo Comi.
Giovedì 14 giugno 17:30 - 19:30
Il secondo dopoguerra: la rinascita, l'esplosione della cultura, l'università.Vittorio Bodini e il Sud.
at maggio 24, 2007 Nessun commento:
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martedì 22 maggio 2007

Luisella Carretta

IL MONDO
IN UNA VALIGIA

Atelier nomade 2

Campanotto Editore

con

Luisella Carretta

artista scrittrice



Venerdì 25 maggio’07, ore 21.00


INGRESSO LIBERO


Per informazioni:

CENTRO CULTURALE ARCI
DISCIPLINE ORIENTALI ED OCCIDENTALI
SCUOLA INTERNAZIONALE DI SHIATSU - ITALIA
Mantova – Via Daino 1
(zona anconetta)
at maggio 22, 2007 Nessun commento:
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lunedì 21 maggio 2007

Luciano Pagano e il suo Re Kappa


Se di esordio dobbiamo parlare, in questo caso occorre andarci con i piedi di piombo, perché Luciano Pagano, l’autore di “Re Kappa” edito dalla Besa editrice, con la scrittura ha un rapporto di osmosi pulsionale portato avanti da anni con metodo e rigore. Non solo ha prodotto interventi di carattere poetico, ma anche sul piano della saggistica ( facciamo riferimento al suo intervento nel libro “La transe dell'artista”a cura di Vincenzo Ampolo e Luisella Carretta con la prefazione di Georges Lapassade per i tipi di Campanotto Editore) e della critica letteraria sia come redattore della rivista “Tabula Rasa” sia come direttore del sito www.musicaos.it. E “Re Kappa” rappresenta un’operazione editoriale coraggiosa sia dal punto di vista linguistico, con un procedere periodale fortemente pausativo, secco e incalzante, sia per ciò che concerne strettamente l’intera architettura della trama. “Re Kappa”, romanzo di Luciano Pagano, di cui si parlerà molto, non analizza tanto la realtà editoriale salentina, che è pur presente nella storia ma si capisce che è solo un pre-testo, quanto il vivere una determinata realtà ( non importa se centro o periferia) sincopata, quasi claustrofobica, ricca di personaggi grotteschi, carichi di un’umanità velenosa, attraverso le relazioni esistenti tra tre personaggi chiave: l’io narrante, un giovane scrittore alle prese febbrili con il suo percorso di ricerca, Gastone Gallo, editore inquieto, sempre con nuove idee da condividere con maniacale dovizia di particolari ai suoi collaboratori, e Michel Benoit, un critico di origini francesi, un imbroglione, un – per utilizzare un’espressione di Pagano – batonga di una dimensione culturale d’avanspettacolo. E Benoit viene descritto dal nostro autore in maniera brillante, con grande stile, mettendo in luce le zone d’ombra di un personaggio degno di essere chiamato “losco figuro”, un critico che non ha mai fatto pubblicazioni degne di portare questo nome. Il suo unico merito, forse, è quello di avere nelle sue grinfie, il manoscritto del leggendario “Volonté du roi Krugold” di Louis-Ferdinand Céline, testo di oltre novecento pagine sul quale l’autore di “Viaggio al termine della notte” lavorò per molti anni, senza che lo stesso potesse mai veder la luce, in quanto trafugato da mani maialesche strumento di una volontà carica di livore nei confronti di un genio come Celine in grado di produrre un’opera d’arte come “La volontà del Re Krugold”.
Ad ogni modo Pagano rende in punta di penna, un mondo cancrenoso e canceroso, in cui Benoit, rimandando continuamente la consegna dell’edizione critica del manoscritto in questione, tiene in paranoico stand-by l'editore Gallo, facendosi elargire gustose somme di denaro per organizzare i suoi Festival di Poesia da cartolina nel Salento. L’odio profondo del protagonista nonché il desiderio di poter avere un rapporto onesto, sano e collaborativo con il suo editore, lo spingono a compiere l’impensabile. Un gesto che sa di grande valore prometeico. E sarà proprio la ricerca del manoscritto misterioso a far compiere alla narrazione la sua fuga verso un insolito ma affascinante finale.
Pagano utilizza il romanzo per descrivere le meccaniche sociali, quelle della realtà di ogni giorno, con occhi che sanno guardare al buio, che sanno vedere spettrograficamente quello che sta prima di tutto questo.
Ne viene fuori una narrazione metaletteraria, un monologo che ha una voce senza filtri, e che possiede la forza del desiderio, anzi di un unico desiderio … quello metaletterario, meta-etico, meta-pop, della verità a ogni costo.
Re Kappa – dice Elisabetta Liguori in suo intervento critico al volume di Pagano – è un lavoro che comincia proprio quando la letteratura contemporanea italiana sembrerebbe fermarsi. “Pagano in via preliminare tratteggia il suo ambiente: l’inquietante mondo pop delle lettere salentine. Ambiente del quale intravede strani bagliori alla fine del canale attraverso il quale è costretto a strisciare per arrivare a vedere alla luce.
Ma Re Kappa è questo e molto di più!

(da coolclub)
at maggio 21, 2007 Nessun commento:
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domenica 20 maggio 2007

salentopoesia: Salento

salentopoesia: Salento
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giovedì 17 maggio 2007

Danza Lenta

E' un canto di gioia, e di lode alla vita di una ragazzina speciale che presto lascerà questo mondo a causa di una malattia incurabile.
A questa ragazzina rimangono pochi mesi di vita e come ultimo desiderio ha voluto mandare una lettera per dire a tutti di vivere la propria vita pienamente, dal momento che lei non potrà farlo.
Accolgo l'invito a diffondere questa semplice ma toccante costruzione in versi, del Prof. Alessandro Cicognani, Direttore dell'Unità Operativa di Pediatria presso l'Università degli Studi di Bologna.


Hai mai guardato i bambini in un girotondo?
O ascoltato il rumore della pioggia
quando cade a terra?
O seguito mai lo svolazzare
irregolare di una farfalla?
O osservato il sole allo
svanire della notte?
Faresti meglio a rallentare.
Non danzare così veloce.
Il tempo è breve.
La musica non durerà.
Percorri ogni giorno in volo?
Quando dici "Come stai?"
ascolti la risposta?
Quando la giornata è finita
ti stendi sul tuo letto
con centinaia di questioni successive
che ti passano per la testa?
Faresti meglio a rallentare.
Non danzare così veloce
Il tempo è breve.
La musica non durerà.
Hai mai detto a tuo figlio,
"lo faremo domani?"
senza notare nella fretta,
il suo dispiacere?
Mai perso il contatto,
con una buona amicizia
che poi finita perché
tu non avevi mai avuto tempo
di chiamare e dire "Ciao"?
Faresti meglio a rallentare.
Non danzare così veloce
Il tempo è breve.
La musica non durerà.
Quando corri cosi veloce
per giungere da qualche parte
ti perdi la metà del piacere di andarci.
Quando ti preoccupi e corri tutto
il giorno, come un regalo mai aperto . . .
gettato via.
La vita non è una corsa.
Prendila piano.
Ascolta la musica.




at maggio 17, 2007 Nessun commento:
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mercoledì 16 maggio 2007

Un particolare augurio allo scrittore Luigi Caricato


Lo scrittore Luigi Caricato, autore per Besa Editrice del romanzo L'olio della conversione, è stato insignito lunedi 14 maggio a Spoleto del titolo di accademico dell’olivo e dell’olio, in virtù di quanto ha dedicato, con i suoi libri e articoli, e ora anche con il romanzo sulla vita di Giuseppe da Copertino, alla formazione e alla diffusione di una cultura dell’olio in Italia e all’estero.
La prestigiosa Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio, fondata nel 1960 a Spoleto, ha avuto come presidenti il sen. Giuseppe Salari (1960 – 1979) e il prof. Nestore Jacoboni (1979 – 1998), mentre, a presiedere attualmente il sodalizio dei saggi, vi è, dal 1998, il prof. Gianfrancesco Montedoro.
at maggio 16, 2007 Nessun commento:
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lunedì 14 maggio 2007

Parole Invadenti

Parliamo in questo caso di un’esordio. E quando si ha a che fare con un’opera prima, soprattutto poi se si tratta di poesia, occorre avere soprattutto orecchio, e munirsi di pazienza, tanta pazienza, a maggior ragione se per proprio costume si sceglie la via più dura, difficile, aspra che è quella di chi scrivendo intorno ai libri, li legge, li smonta, rimonta, e ne discute. La questione dell’onestà intellettuale, lasciamola ammuffire, risulterebbe una questione annosa, noiosa, e archeosemantica. In fondo nessuno è esente dalle logiche del mercato editoriale. Elena Cantarone, si fa conoscere con questo suo libretto dal titolo Parole Invadenti, nella collana Poet/bar diretta da Mauro Marino per i tipi di Besa editrice, ed è già un modo per esprimere al mondo in maniera inequivocabile, la propria vocazione. Ma scrivere dei versi oggi, sembra veramente alla portata di tutti. Magari un attento lettore di versi, chi ha macinato magari le opere di Ungaretti, Montale, sino a Pasolini, Sanguineti, Erba, Luzi, è in grado di assorbire lessico, ritmo, e una certa abilità da prestigiatore nel combinare musicalità e scelta semantica, tanto insomma da scoprire quei “tre/quattro trucchi”, da confezionare un discreto prodotto da immettere nel mercato. Non trascurando poi l’habitus del poeta, curarlo come nella migliore tradizione teatrante, prendendo il cipiglio del vate, che fulmina, saetta e sbraita, non sdegnante nemmeno la derisione, la facile battuta denigratoria, o peggio rivelando una rabbia inaudita, con la bava alla bocca, chiunque professi ingenuamente in sua presenza, di aver pubblicato un libro di poesie. E la prima opera poi bene o male inganna, e talvolta anche l’occhio più attento. Non rimane quindi che uscirsene in punta di piedi, quasi vergognandosi di esprimere frasi del tipo “… non ci resta che aspettare la prova successiva…”. Fortunatamente non è un discorso che vale per Elena Cantarone. Lei non vuole svelare con i versi, la sua vita, non vuole raccontarla, portarla alla luce, ma desidera legare le sue emozioni, attraverso un nodo saldo che non la faccia scendere in un profondo dis-equilibrio, in bilico perenne tra stabilità e oscillazione. L’obiettivo primario di questa raccolta sembra essere una gioiosa ricerca del ritmo, della parola giusta, non sublimante, ma deflagrante, quasi materia molecolarmente instabile. “Ci sono parole leggere/ svolazzanti, invitanti/ parole irruenti/ scattanti, taglienti/ parole che arrivano/ in volo radente/ parole che giocano/ e finiscono in niente. Ci sono/ parole puntute/ parole pennute/ parole grottescamente biforcute/ parole banali/ parole come tante/ parole miserevoli/ dietro un bel sembiante/ parole ingannevoli/ da commediante. / Ci sono parole vecchie, usurate/ parole nuove, non ancora scartate/ parole affilate, ruffiane marrane/ parole scontrose, infingarde riottose/ parole dense, vischiose parole lievi, smorfiose/petulanti, accidiose.”. Mi piacerebbe però provare a spiegare come tanta leggerezza e ludica/lubrica voluttà nel sentire la parola come non propria, funzioni a meraviglia nel corpo poetico di Parole Invadenti. La Cantarone, abolisce l’io, divertendosi a rendere sempre più elastico e variabile un Me poetico esuberante, che è palesemente richiesta di incontro verso l’Altro. E’ un sorriso grande, largo, generoso, mai da intendersi come soggetto di enunciazione monodirezionale, ma un Me plurale, festa musicale, pura solarità, invenzione senza condizioni: “Lo scriteriato scricciolo scriveva strane storie con strappi strappalacrime/ e straordinarie baldorie strabiliando straziato l’intero uditorio./ A maggio, sotto il faggio, l’odore del foraggio misto a quello del formaggio./ Sul poggio, un pigro scarafaggio è colto da un miraggio: / davvero ha visto un raggio che insieme a un vecchio saggio/ tentava un ammaraggio? Che gaggio!/ A luglio, in mezzo al loglio, ho trovato un capodoglio,/ leggeva un vecchio foglio che parlava di uno scoglio/ sul quale c’è un coniglio che rumina del miglio e ammalia una maliarda che…”. Elena Cantarone, percepisce la Poesia, e la piega a suo piacimento, come Tempo che non divide, che sa assaporare la dimensione del domani, che non si incendia per un perduto amore, ma perché l’Amore congiunge come azzurro stordimento, che non azzittisce mai, che nutre come una dolce canzone, che fa venir voglia di tremare, che schiaccia le faglie notturne del silenzio e dell’attesa, che grida a gran voce le sue parole invadenti, mai mormorio, ma profumo che porterai sempre addosso. Scrive bene Teresa Ciulli nella nota introduttiva: “C’è una logica pensa, anche così. È nello stordimento che provoca. Le cose sono unite da ragioni di contiguità di prossimità e niente altro. Dal loro fisico fortuito incontro e dal gesto che li ha abbandonati solo un poco. Sono quelli, sono loro quegli sfridi accumulati negli anni a ridosso di una parete a costituire l’opera poetica di Elena Cantarone. Cosa accumula una persona che si allena per anni, costantemente, tutti i giorni, come una impiegata dell’arte all’esercizio della voce della parola da mettere in bocca a un attore più importante di te in una sala di doppiaggio? Cosa accumula un’attrice nel corso della sua esistenza dentro i testi degli altri? Certamente l’abitudine a vestirsi rapidamente e a svestirsi con più velocità ancora. In cosa consiste alla fine il corpo di un attore? Mi viene in mente una conchiglia vuota. Tu l’avvicini all’orecchio e quel corpo anche quando è muto, suona. Di tutta la risacca del mare di tutte le onde anche di quelle che sono state prima molto prima di lui, tanto prima. E questo libro di poesia è come il guscio di una conchiglia se lo accosti al tuo orecchio senti le molteplici voci e l’ingorgo di parole che tuttavia cercano di organizzarsi prima di risalire la spirale di questa ripida scala. È solo l’inizio lo sai vero? Perché tocca a te adesso farle scendere”. Elena Cantarone, custodisce per i suoi lettori, una splendida analisi del Soggetto poetico, dei diversi soggetti comunicativi che contribuiscono per tutto questo libro, a creare una sequenza simbolica, un nucleo di sentimento, veramente delizioso e godibile. Un esordio che merita di essere letto e apprezzato.

Elena Cantarone, Parole Invadenti, collana Poet/bar, Besa 2006 (da www.musicaos.it)

at maggio 14, 2007 Nessun commento:
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domenica 6 maggio 2007

La Besa editrice alla Fiera del libro diTorino 2007

La Besa editrice per la nuova edizione 2007 della Fiera Internazionale del Libro di Torino, propone un percorso di scrittura che unisce con un unico filo rosso una serie di tematiche di grande attualità, portando all’attenzione del pubblico diversi autori, nell’ambito della narrativa (Luciano Pagano con il suo “Re Kappa”) e della saggistica (Ferdinando Boero con la sua opera dal titolo “Ecologia della Bellezza”). A questi appuntamenti che si terranno nello Stand della Regione Puglia (pad. 3 stand s86t67), rispettivamente giovedì 10 maggio 2007 alle 15,30 e venerdì 11 maggio 2007 alle 16,00, si aggiungono delle ulteriori proposte che riflettono un impegno della Besa stessa portato avanti da anni, nell’ambito di una ricerca editoriale degli incroci inter-etnici e multiculturali: nell’ambito ad esempio dell’appuntamento dal titolo Lingua Madre sarà presente dall’Algeria Maissa Bey che per Besa ha pubblicato “La notte sotto il gelsomino” lunedì 14 maggio ore 14,30; nello Stand della Lituania (Paese quest’anno ospite alla Fiera del Libro di Torino, stand d02 ,c01) verrà presentato il volume “La terra, Dio e il Diavolo: miti e racconti lituani” sabato 12 maggio alle 15,00 la cui traduzione è stata affidata al prof. Guido Michelini; mentre domenica 13 maggio alle ore 11,00 Fabio Omar El Ariny autore de “Il Legame” incontrerà i suoi lettori nello stand della casa editrice Besa e sempre nello stesso giorno alle 13,00 (stand della Lituania) verrà presentato il volume di Romualdas Granauskas “La vita sotto l’acero” un romanzo molto bello e significativo per i suoi contenuti, in quanto tocca tematiche "scottanti" per la Lituania del periodo sovietico, che era tabù toccare prima della perestrojka di Gorbaciov. Tra gli interventi previsti negli appuntamenti della Besa editrice quelli di Stefano Donno, Guido Michelini, Birutė Žindžiūtė-Michelini, Rosella Santoro, Claudio Martini, Emilio Balletto, Isabella Camera d’Afflitto. Uno spettro piuttosto ampio di appuntamenti che testimoniano come la Besa sia divenuta una realtà che oramai interloquisce attivamente con l’appuntamento più importante a livello internazionale come la Fiera Internazionale del Libro di Torino. La Besa editrice, aspetta in Fiera tutti i suoi lettori, allo Stand B35.

at maggio 06, 2007 Nessun commento:
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giovedì 3 maggio 2007

Il libro di Egon

A quanti ritenevano di essersi lasciati debitamente alle spalle spleen e simili, mi permetto di consigliare il lavoro di Stefano Zangrando dal titolo Il libro di Egon, per i tipi di Greco e Greco editori di Milano (www.grecoegrecoeditori.it), nella collana Meleusine diretta da Vittorio Orsenigo. Egon Ventura, approda a Berlino per la prima volta, alla veneranda età di venticinque anni, dove l’attende un corso di tedesco al rinomato Goethe Institut e un tirocinio da portare a termine in apposite “gabbie d’apprendistato” individuate dal medesimo ente. Il protagonista, che misura il suo soggiorno attraverso categorie dermografiche di eichendorfiana memoria (Vita di un perdigiorno), si troverà a non reggere il peso di una metropoli cosmopolita e plurisemantica, i cui codici azzerano qualsiasi possibilità di costruzione di dialogo. Il riconoscimento dell’altro avviene nella trasformazione/trasmutazione del termine latino alter (altro per l’appunto) in ater (aggettivalmente atroce), la cui voracità cannibalica, riduce di fatto all’osso qualsivoglia presenza agente nelle vicende narrate. Non è un caso che ad esempio il lettore di quest’opera non venga debitamente fornito di coordinate temporali per potersi più agevolmente muovere nel lento dipanarsi delle vicende narrate. E non è una questione di sublimazione di categorie emozionali. Per di più la scelta di condensare gli attimi, o meglio cristallizzarli, o ancora museificarli per la precisione, aumenta l’atmosfera asfittica che permea l’intero libro, dove la tendenza alla sopravvivenza viene resa ancora più greve, da una sorta di cecità nella costruzione di un incontro autentico possibile, venendo quindi a inficiare una potenziale apertura individuale, soggettiva alla conoscenza. Egon, è pieno di dubbi e inquietudini, gode del dubbio stesso nella ricerca della verità, o in maniera più puntuale di una via di fuga dalla certezza di una verità dove il respiro dell’intuire ha buon gioco, mentre intorno tutto è nausea. In Egon (per sottostima e per inettitudine, decadente ma non troppo, pulp ma non troppo, tendente al pop con scarso successo) vengono a sintetizzarsi quelle peculiarità proprie di vecchi personaggi, a tutti noti da tempo, della storia della letteratura italiana: Emilio Brentani, Alfonso Nitti, lo stesso Zeno. E come Svevo l’autore lavora su una materia di selezione stilistica, lessicale, deliberatamente incolore, talvolta banale, spregiudicatamente dimessa, arida, strumentale però allo svelamento di un’ironia melanconica, che permette al lettore di osservare gli ingranaggi degli alibi mistificatori, le false convinzioni, i vicoli ciechi dei drammi personali. Il fatto è, in tutta sincerità, che l’espressività di Zangrando, trasparente e malleabile, tattile sulle cose da dire, sugli accadimenti immiserenti della quotidianità, senza alcun guizzo o accensioni di sano egoismo, non risponde a quei parametri indispensabili ad un miniaturiale intarsio argomentativo circa una plausibile anche se scialba materia autoanalitica, non in dolby surround, o in technicolor, né tanto meno in bianco e nero. Egon in fondo si muove su una tensione fondamentale che è quella della “riuscita”, del self-made-man, alla ricerca nel capoluogo teutonico, della pepita d’oro che lo trasformerà nella caricatura di uno zio Paperone (per paradossi naturalmente). L’imprinting ontologico è quello del salotto borghese di provincia, dove la nuova progenie deve riscattare col successo, il fallimento degli avi. E giù pesante allora, con croniche insoddisfazioni, gelosie, dissidi, rancori, tutto l’armamentario per allestire un teatrino delle oscenità, dove ciascuno recita la parte di una vita che non gli appartiene ( non solo Egon, ma anche altre comparse come Laura, Zoe, Selene, Chantal, Weber e altri), nell’inesorabile piattezza del giorno dopo giorno in cui hanno ampia libertà l’urto di malesseri, di ipocrisie, di capricci (mai autentiche passioni), veleni dell’anima a cui non si può trovar alcun rimedio, frutto dell’incapacità di riassumere sulle proprie spalle il peso di responsabilità o scelte, e quindi di rigor d’analisi, che produce dinamicità e forza. Zangrando pare compiacersi nel farsi portavoce di quella pesantezza che Nietzsche attribuiva al popolo tedesco per quella sua incapacità genetica di reggere il dionisiaco, e che in questa sede si manifesta in tutto il suo fulgore. E Berlino (eccetto una sua congenita pretesa “egon-centrica” di essere Storia) diviene oltre che pre-testo di scambio ecolalico di relazioni, tensione endoscheletrica di Egon a percepire la città come visione, al di là delle leggi immediate della realtà che la contraddistinguono, di un movimento che è Eros, dimorante in ogni dove. Al di là di qualche ovvietà, come la vita di uno studente fuori dai confini della madre-patria molto simile a quelle dei college americani ( sesso, alcool e rock’n’roll, e singolari bravate), il libro in oggetto ha un suo pregio fondamentale, che è quello di rimanerti dentro per lungo, lungo tempo. Custodirai il malessere di Egon con una strana morbosità, e non mancheranno occasioni di fermare lo sguardo sulla sua copertina, mentre passi in rassegna i libri della tua biblioteca, con una malcelata voglia di rileggerlo, perché Zangrando ti sembrerà di conoscerlo da chissà quanto.

Stefano Zangrando, Il Libro di Egon, Greco e Greco editori, pp.244, 2005 (da www.musicaos.it)

at maggio 03, 2007 Nessun commento:
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