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domenica 8 novembre 2009

Io Sono la Porta di Paul Ferrini (Macro edizioni)

In Io Sono la Porta la capacità di espressione dell’autore, sempre potente e mistica, è ancora più intensa e coinvolgente. In queste pagine, dove Gesù si rivolge direttamente al lettore, scopriamo come aprire la porta più importante del nostro cuore. Una volta aperta la prima porta, sarà ancora più semplice aprire le altre.
Il portatore di luce non nega il buio, lo attraversa.Molti anni fa Paul Ferrini cominciò a sentire una voce interiore che gli parlava. È la stessa voce che anima le pagine di questo prezioso libro. È la voce di Gesù. Gli insegnamenti del Maestro giungono a noi diretti, senza intermediari, semplici e attuali come se Lui fosse qui, adesso. Tutti gli ambiti della vita vengono illuminati dalla visione profondamente spirituale degli antichi insegnamenti cristiani, svuotati da ogni riferimento a chiese e dogmi, ma fondati sul cuore e sull’amore. Cercare la gioia non è egoista. In realtà, è l’azione più altruista che puoi intraprendere. Il tuo dono è necessario, e lo spirito degli altri non può essere sollevato se non hai piena fiducia nel tuo dono e non lo condividi … Non trattenere il tuo dono, non fare l’errore di pensare che non hai doni da offrire. Tutti hanno un dono. Ogni persona è portatrice di un dono: questo libro ci insegna a riconoscerlo e a farlo emergere, con gioia e semplicità, per se stessi e per gli altri. Ognuno di noi può accedere alla propria meravigliosa realtà spirituale e la soglia da attraversare è nel profondo di ognuno. Io Sono la Porta indica il cammino da compiere per raggiungere e attraversare quella soglia. Io Sono la Porta è la parola di Gesù che permette di divenire quella porta!

Paul Ferrini
è l’autore di 28 libri ricchi di ispirazione sulla compassione, la guarigione, e il self-empowerment. E’ un ministro consacrato, un oratore esperto e un leader di workshop. Negli anni 80 Ferrini divenne molto famoso come insegnante di A course in Miracles. Successivamente fondò e curò l’edizione della rivista Miracles Magazine, una pubblicazione trimestrale internazionale dedicata al raccontare storie, alla trasformazione e al perdono. La rivista, ora articolo da collezione, si è resa famosa anche grazie alle profonde interviste di Paul con i più importanti guaritori del nostro tempo. In questi tempi Paul ha iniziato a tenere le Conferenze dei Miracoli in tutti gli Stati Uniti. Questi eventi attirano migliaia di persone da tutte le parti del mondo, in cerca di un’esperienza diretta di compassione, grazia e comunione con il divino. Questo lavoro continua poi ad un livello più approfondito tramite workshop e ritiri che Paul organizza in chiese e centri spirituali in tutti gli Stati Uniti. Nonostante sia nativo del New England e abiti nel Massachussetts, Paul Ferrini ha vissuto per 6 anni a Santa Fe e per anni a a Kaaawa, nelle Hawaii. Egli possiede una laurea in Educazione dell’università di Antioch e un diploma di laurea del Marlboro College, dove ha studiato letteratura, psicologia e religione. Prima della sua carriera come scrittore e oratore spiritualista, Paul ha diretto progetti finanziati dal Ufficio dell’Educazione degli Stati Uniti e dall’Istituto Nazionale dell’Educazione, e ha lavorato come editore di un giornale per educatori già inseriti. Ha insegnato in college, scuole superiori e in una prigione di stato e ha lavorato come consigliere ad una serie di progetti all’interno di comunità. La sua esperienza include anche la proprietà della sua compagnia, la progettazione e la costruzione di edifici illuminati e la trasformazione della terra in comunità residenziali innovative.

ISBN: 9788862290753

Prezzo € 10,97
invece di € 12,90 (-15%)


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The Secret: trance and power

Installa The Secret
Installa The Secret
installathesecret.com
La trance Installa the secret e' stata creata da Mark J. Ryan. Mark e' un socio di Joe Vitale, il quale ha una predominante presenza nel libro e nel film di Rhonda Byrne, The Secret. Joe Vitale e' l'autore di The Key (La Chiave), Attractor Factor e molti, molti altri. Mark J. Ryan e' contributore in tre libri di Joe Vitale, The Key, Inspired Marketing e Hypnotic Writing. Questa trance e' la versione Italiana, narrata da Mark J. Ryan, del trance incluso nel programma The Missing Secret di Joe Vitale, il quale e' il programma piu' venduto da Nightingale-Conant. Questo video avanzato di 20 minuti e' ipnotico con messagi subliminali che agevolano l'installazioe dei concetti descritti nel film The Secret e accellera la tua intesa applicazione sul manifestare.

Tony Sozzo intervistato da Marco Montanaro

Se cercate qualcuno che lo fa per status – intendo: scrivere romanzi – cliccate altrove. E’ pur vero che ho curato nonricordobene cosa del secondo romanzo di Tony Sozzo, e che lui ha pubblicato due libri con una casa editrice a me molto cara, ma: Tony Sozzo è un autore da leggere. A partire da Facebook – si capirà in seguito perché dico questo – o da quest’intervista. Mi piace il suo spirito. Quello dei suoi personaggi. C’è una battuta nel suo Nolente che ricordo bene e mi fa ancora morire di risate. E il titolo del suo primo romanzo, L’eterna cosa peggiore, ha suscitato in me un’invidia che fatico a smaltire. Avanti.

Partiamo dalla fine. Progetti futuri? So che stai scrivendo un altro romanzo, forse è già pronto. Sarà sullo stesso genere dei due precedenti?

Sì, in un certo senso. Non c’è poi tanto di nuovo sotto il mio sole. Un personaggio che racconta le sue impressioni. Sono un prosatore lirico, se mi passi questa definizione. Ho sempre adorato il concetto di autore, più che quello di narratore. Nel cinema (Moretti, Allen) come negli altri settori artistici. Mi piace essere una personalità che dice sulle cose, che lascia i suoi atteggiamenti ad essiccare davanti ad occhi estranei. I miei futuri romanzi saranno la prosecuzione di quelli passati. È questo il mio bisogno artistico, per il momento. Per questa vita, probabilmente. E se teniamo conto di quello che faccio di solito, nella prossima vita mi reincarnerò in un panda stanco di essere sempre il simbolo degli animali più sfigati. I miei romanzi sono delle poesie un po’ prolisse, scritte con un linguaggio non del tutto elevato che ha bisogno di una serie di opportunità per raggiungere la decenza.

L’eterna cosa peggiore e Nolente, come titoli, spiegano bene la natura dei tuoi personaggi. Io li vedo come isole che usano una ironia stellare per autodifesa.


Sono… penisole. O forse galleggianti. Non direi che la mia ironia serva come difesa, perché dovrei sbarazzarmene, visti i risultati. Credo che in generale serva poco. È un atteggiamento che mi porto dietro. Mi dispero, ma in fondo mi viene da ridere. Poi però mi chiedo cos’ho da ridere. E via così. L’ironia è comunque un grande strumento. È come avere una pistola in giro per la stanza. Se si è in due e l’altro non ti guarda come dovrebbe, meglio cercare di portarla dalla propria parte. Ma alla fine di tutto, anche se ne sei uscito vivo, trovi tutti i negozi chiusi e i treni non partono. Per quanto riguarda il mio grado di tranquillità, di sicuro il mondo che ho intorno non mi rilassa così tanto da farmi buttare sul mio divano preferito ad aspettare un’altra sua carezza. Ma non credo di avere poi tanta più paura di un uomo medio.

C’è molto Woody Allen, per tua stessa ammissione, nelle battute dei tuoi personaggi. Sembrano caratteri immobili, destinati a cucinarsi nella propria incapacità. Immagini mai un’evoluzione diversa per loro?

Credo in un nichilismo inetto privo di slanci. In fondo, al mondo non c’è poi tanto da fare. C’è abbastanza amarezza, anche se raccontata con delicatezza infantile. Non è stata una mia idea quella di incarnarmi. Come non lo è stata dei miei personaggi. E allora, cosa dovrei fare? Intonare inni? Faccio il possibile, canto qualche canzoncina bislacca tanto per non farmi additare come quello che rovina sempre la festa. La vita non è né bella né brutta: fa quel che può. Ma io non sopporto eccessivamente le improvvisazioni. Ho pensato ai miei protagonisti che diventano qualcos’altro. Ma non mi pare che mi possano dare più soddisfazione. È nell’inciampare la poesia. Nel tremare per ogni svolazzamento.

Lo stile. Al di là delle citazioni – ce n’è di tutti i tipi – nei tuoi romanzi la lingua è semplice, limpida. Eppure io lo so, che riscrivi parecchio, che c’è molto studio, dietro. Quanto ci hai messo per arrivare su questa strada molto personale?

Tanto per darmi un tono, in effetti c’è molto labor limae. Sono un Orazio pelle ed ossa. Le tante influenze si sommano in un’espressione ripulita ma non per questo semplificata. Questo stile è la risultanza delle mie letture, ascolti, incontri, esperienze culturali e non, forse dell’indifferenza che molti aspetti della vita mi procurano. È da anni che scrivo. Ormai un certo ritmo arriva meccanico a depositarsi sulla carta. Avevo lo stesso procedimento nel tradurre le versioni, al liceo. Traducevo come veniva, fino alla fine. E poi stavo lì ad aggiustare, sempre quando ci riuscivo. Credo nel lavoro, nel rifinire, nel ritornare indietro. Sono d’accordo con chi ha detto (e deve essere stato uno importante) che un’opera d’arte non è mai finita. Però ad un certo punto mi dico: basta, adesso smetti di strofinare, prima di arrivare dall’altra parte.

Credi sia l’unica, per te, questa strada? Così come per il genere – a proposito, come definiresti i tuoi libri? – troverò mai un fantasy di Tony Sozzo in libreria?

Credo che questa sia la mia strada, perché questo sono io, è la cosa che mi piace scrivere, perché sarebbe quella che mi piacerebbe leggere. Magari potrò scrivere qualche libro di altro genere, ma con questo stile che mi ritrovo si ricadrebbe nei soliti vizi. Magari un giallo in cui il cadavere rimane solo mentre il protagonista se ne va per i fatti suoi. Di fantasy non se ne parla: è l’unico genere che non sopporto. Tutti quelle bacchette in giro per il mondo! Poi, gli elfi non li preferisco certo ai gatti. Gli altri possono anche andarmi bene. Non posso racchiudere i miei romanzi in un genere: cerco di fare letteratura. Cercando di fare le cose seriamente. Ecco, il concetto di serio mi sta molto a cuore. Scrivo perché devo, senza aspettarmi niente. E per il momento, mi pare proprio, sono accontentato. Tra l’altro, ho una certa incapacità di essere fluido nell’inventare una trama decente. E sono troppo pigro per sforzarmi. Così non invento. Lascio che le cose avvengano nella loro monotonia. Le mie storie non sono eccessivamente movimentate. Come la mia vita, e la vita della maggior parte della gente. Una trama più variegata sarebbe per me sempre e comunque un pretesto per parlare di quello che più mi interessa. E non sarebbe giusto, nei suoi confronti. Si è scomodata così tanto!

Mi interesserebbe molto sapere del tuo rapporto con la lettura (ma anche, perché no, col cinema e con la musica, che tipo di influenze hai, se ne hai di questo tipo).

L’arte è la mia vita, soprattutto la letteratura e la musica. Credo che non si possa scrivere senza conoscere e comprendere bene quello che si è fatto prima. Leggo perché mi piace e per migliorare come scrittore. Secondo me è necessario per scrivere. Ho letto abbastanza, nel corso della mia vita, al di là dei miei studi umanistici. Anche la musica è una compagna di cui non posso fare a meno. Mi piace qualsiasi genere, però di qualità, dal jazz all’elettronica. Dai Beastie Boys a Miles Davis, dai Paviment ai Basement Jaxx, da Sergio Caputo agli Stereolab. L’unico rimpianto è perdere tempo a fare altro, e non poter passare tutto il tempo addosso alla musica e alla lettura. Le mie letture seguono il corso della critica. I libri che scelgo sono rigorosamente dei classici. La vita è troppo breve ed ho bisogno di quello che vale. Se leggo Cervantes o Proust vado sul sicuro, e dopo qualche pagina non comincio a sudare perché ho paura di aver perso tempo. Virginia Woolf, Sartre, Saroyan, Bellow, Svevo, Canetti, Kafka e tutti gli altri. Siamo fortunati noi uomini ad avere scrittori del genere. Magari in qualche altra galassia sono più scarsi. Amo anche i fumetti. Meglio Paperinik di Moccia o qualcuno un po’ più decente. Di cinema so quel po’. L’accostamento Woody Allen e Indiana Jones è quello che mi viene di getto e non capisco come possa accadere.

Torno allo stile per la mia ultima domanda. Ogni periodo dei tuoi libri è isolabile, quasi un aforisma. Credo sia conseguenza di questo la tua abilità nello scrivere status di Facebook. Sono tra i più belli che io abbia mai letto. Lo status di Facebook (o di Twitter) può diventare un genere letterario? Adesso sembra che io sia fissato coi generi, ma è solo per fare il simpatico.

Grazie per il tuo apprezzamento. In questi due romanzi in effetti c’è molto gusto per l’aforisma. È stata una forma che ha preso la mia ispirazione. Ma non potrà essere sempre così. Forse nemmeno è la cosa migliore da fare. Vedremo. Credo nell’arguzia. Ma è un po’ sterile, se c’è solo il gusto fine a se stesso. Forse i miei futuri romanzi saranno meno ricchi di aforismi. Noto che i tanti aforismi scritti in questi miei romanzi non hanno migliorato la mia vita pratica. Il che è un po’ scocciante. Sembra che mi metta a fare il gradasso con quelle frasi così perentorie, e poi sto lì ad aver paura della mattina successiva. I miei status su Facebook sono un esercizio divertente. Ma non più di questo. Magari inseriti all’interno di un romanzo… Li ho sacrificati, mandandoli in avanscoperta.

Una domanda di un tuo lettore. Di un mio amico, insomma, che ti ha letto e si ritrovato in ciò che scrivi. Ami qualcun altro, oltre te stesso? Se non ti va, puoi anche non rispondere.

Da un po’ di mesi ho conosciuto una donna che amo tantissimo. La donna che voglio sposare. E che sposerò. Ho sempre amato molto le opere dei grandi uomini, ma l’amore per l’uomo… Adesso il sentimento verso questa donna mi ha aperto nuovi scenari, e mi ritrovo a far confluire in me altre percezioni senza stare lì a fare troppi controlli. Ho trovato la mia anima gemella e il gusto di fare del bene per vedere nell’altro un sorriso. Adesso per esempio mi verrebbe di scrivere pagine e pagine su di lei, ma credo che andrei fuori traccia. In effetti, l’amore è un sentimento intenso e sorprendente. E talvolta, ti fa fare delle figuracce, se non la smetti di parlare.

powered by Il malesangue (www.malesangue.wordpress.com)

sabato 7 novembre 2009

Iaia Caputo con il suo "Le donne non invecchiano mai" (Feltrinelli) alla Gutenberg di Lecce

Come si invecchia in una società cullata nel mito dell'eterna giovinezza? E le donne, come invecchiano nell'età della chirurgia estetica, delle creme anti-age e del lifting di massa? Tra i tanti diritti acquisiti che sono stati rimessi in discussione in questi anni, non staremo per caso perdendo anche il diritto di invecchiare in pace, di lasciarci alle spalle con serenità gli splendori del tempo che fu? Tutto è cambiato rispetto al recente passato. Per la prima volta nella storia, quella che un tempo era la "terza età" è diventata un'età di progetti, impegni, passioni, slanci. Una stagione della vita con lo sguardo rivolto a ciò che si può ancora realizzare anziché soltanto a quello che ci si è lasciati alle spalle. Eppure questa nuova libertà genera anche nuove forme di disorientamento e insicurezza, nuove paure sconosciute alle generazioni precedenti. Come se improvvisamente, soprattutto per le donne, fosse diventato "vietato invecchiare" in una società dove il vecchio è accettato solo se fa finta di essere giovane.

Iaia Caputo è nata a Napoli (1960) e vive a Milano. È stata a lungo giornalista; ha collaborato con Il Mattino di Napoli, con la Rai, con Repubblica. Redattrice di Marie Claire per dieci anni, si è poi occupata di libri, come titolare della rubrica per Flair, e scrivendo per Il Diario, Il Mattino, e per D. di Repubblica. Ha pubblicato diversi saggi, tra cui Mai devi dire, sul tema degli abusi sui minori in famiglia, Conversazioni di fine secolo, una raccolta di interviste a scrittrici italiane e straniere; Di cosa parlano le donne quando parlano d’amore, e il romanzo Dimmi ancora una parola (Guanda), appena tradotto in Spagna. A settembre 2009 sarà in libreria il suo nuovo libro, Le donne non invecchiano mai (Feltrinelli): un saggio sul tema del tempo e dell’esperienza di invecchiare, tra nuove libertà ed eterni stereotipi.
Da alcuni anni svolge come libera professionista il lavoro di editor di narrativa italiana.

venerdì 13 novembre 2009, h. 20.00 alla Libreria gutenberg
via cavallotti 1/e a Lecce

Il Potere Invisibile della Visualizzazione di Genevieve Behrend (Bis edizioni)

Le parole di Genevieve Behrend, unica studentessa del maestro della filosofia di Scienza della Mente Thomas Troward, ben sottolineano l’importanza della visualizzazione quotidiana, non solo per ottenere ciò che vogliamo quanto per creare una mente ordinata in grado di sfruttare appieno il proprio potenziale. Usare il potere di visualizzazione è come avere la lampada di Aladino: per attivare il suo potere devi prima di tutto sapere cosa vuoi veramente. Il tuo successo personale dipende da come usi correttamente il potere di visualizzazione e l’uso che ne fai dipende dal fatto se riconosci o meno che TU sei un centro particolare per il quale e nel quale lo spirito creatore sta cercando una nuova espressione attraverso le potenzialità che già esistono dentro ciascuno.“Tutti noi possediamo più potere e maggiori possibilità di quanto immaginiamo, e visualizzare è, di questi poteri, uno dei più grandi. Apre la porta all’osservazione di altre possibilità da parte nostra. Quando ci fermiamo per riflettere, ci rendiamo conto che, affinché esista veramente, un cosmo deve essere il risultato di una mente cosmica”. Il potere invisibile della Visualizzazione è un’efficace quanto semplice guida, un best-seller di fama mondiale fin dalla sua prima edizione che continua ad essere considerato una lettura indispensabile per tutti coloro che desiderano ottenere il meglio dalla propria vita. È il libro più famoso della scrittrice francese, successivamente trapiantata negli Stati Uniti, che è riuscito a infervorare gli animi di migliaia di studenti che, in tutto il mondo, sono rimasti affascinati dalla Scienza della Mente.

Your invisible power
ISBN: 9788862280563

Prezzo € 7,23
invece di € 8,50 (-15%)


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NA NOITE DO VENTRE, O DIAMANTE - Moacyr Scliar. Recensione di Adriana Maria Leaci

Descobrir Scliar foi uma grande surpresa. Desejar ler a língua portuguêsa do Brasil me levou à uma procura, e o fruto dessa procura foi NA NOITE DO VENTRE, O DIAMANTE. “Só inspiração não é suficiente!” E’ assim que Moacyr Scliar, autor que pertence à Academia Brasileira de Letras já há seis anos, conclui o raciocínio sobre o dom da escritura. Naturalmente o seu dom é evidenciado neste livro, editado em 2005, que se inspira no sonho extraordinário de uma pedra preciosa que percorre um caminho fantástico, mas não improvável. Como não são improváveis os valores que seguem o diamante: a vaidade, a inveja e todos os seus anexos, a traição, o preço de um tesouro e o preço da liberdade. Este autor consegue surpreender muito. Não é possível ler com pressa e com vontade de saber o final. Muito pelo contrário. Deve-se ler com atenção e sem a preocupação de entender o personagem principal. Também não é necessário seguir o movimento histórico onde se vive o romance. Basta seguir a pedra. Na história bem articulada de Scliar, que assume quase a forma de uma matrioska, de onde saem mil relacionamentos que acompanham a pedra preciosa desde o início, o homem, como indivíduo, é transformado num objeto a serviço do diamante. Scliar, dotado de grande ironia – presente em todas as suas obras - , com muita maestria, neste livro foi capaz de descrever os pontos históricos mais intrigantes da época das Bandeiras, num Brasil invadido de personagens de várias origens, de várias crenças, de várias filosofias e de várias políticas, que leva o leitor a refletir sobre a humanidade, inclusive no atual contexto da globalização. Pois existe sempre um objeto que passa a ser um meio para obter o bem estar pessoal de cada ser humano, e que, ao contrário, se esquece a importância de ser simplesmente humano.

NA NOITE DO VENTRE, O DIAMANTE - Moacyr Scliar, Coleçao – CINCO DEDOS DE PROSA, EDITORA OBJETIVA, LITERATURA BRASILEIRA – ROMANCE

venerdì 6 novembre 2009

Trilogia dell'Io Sono a cura di Arcangelo Miranda con testi di A. M. King e del Conte di Cagliostro (Bis edizioni)

IO SONO, testo attribuito alla leggendaria figura del Conte di Saint Germain è, da molti anni, un successo editoriale. Anno dopo anno nuove generazioni di lettrici e lettori si sono nutriti del potente messaggio di liberazione spirituale che questo testo propone. Per l’ampiezza dei temi e del pubblico interessato, la Trilogia può essere affiancata a Siddharta di Herman Hesse. Dagli insegnamenti di questo prezioso libro è nato anche un movimento spontaneo che riunisce persone il cui scopo è apprendere ad essere se stessi al di là dei condizionamenti. Arcangelo Miranda ha rivisitato il testo di Saint Germain e l’ha integrato con altri due classici del pensiero, realizzando una Trilogia di opere davvero importanti e autorevoli: a fianco del Conte di Saint Germain troviamo A.M. King, un illustre filosofo contemporaneo e un breve testo del Conte di Cagliostro, famoso adepto perseguitato e incarcerato come eretico. La "Trilogia dell’Io Sono" è un libro da usare, un percorso che ci permette di dare una risposta alla domanda: è questa vita tutto quello che c’è? La Trilogia è tra i più importanti testi spirituali resi pubblici e IO SONO DIO, testo inedito di A.M. King, appare come la naturale continuazione degli scritti di Saint Germain e di Cagliostro. Io sono un Uomo libero, di nessuna epoca e di nessun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio il mio Essere spirituale vive la sua eterna esistenza e, se m’immergo nel mio pensiero, se proietto il mio Spirito verso un modo di vivere lontano da quello che voi regolarmente percepite, io divento Colui che desidero. Conte di Cagliostro. “Io sono un Uomo libero, di nessuna epoca e di nessun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio il mio Essere spirituale vive la sua eterna esistenza e, se m’immergo nel mio pensiero, se proietto il mio Spirito verso un modo di vivere lontano da quello che voi regolarmente percepite, io divento Colui che desidero.” Conte di Cagliostro
Di cosa parla. È possibile cambiare la nostra realtà? È questa vita tutto quello che c’è? Nell’IO SONO si legge: “Nell'Eterno non vi è tempo, né spazio, né individualità ed è solo per il fenomeno del pensiero, nato dalla matrice della mente nel mondo della materia, che sorgono le illusioni del tempo, dello spazio e dell'individualità...” Gli autori dei testi hanno come intento la volontà di mostrare la realtà delle cose come realmente è, interrogando il vero IO, al di là delle apparenze o della realtà conosciuta e, per questo, passivamente accettata.
A chi si rivolge. Il libro si rivolge a tutti coloro che hanno sete di conoscenza oppure che sono in cerca di un’illuminazione. Si tratta di un testo potente che tratta argomenti capaci di cambiare per sempre la visione della realtà.
Chi l’ha scritto. Il curatore dell’opera, Arcangelo Miranda, raccoglie tre testi che costituiscono un ideale percorso. Il Conte di Saint-Germain, la cui biografia sfuma nella leggenda, il Conte di Cagliostro, famoso alchimista, e il misterioso A.M.King, autore del terzo trattato e ideale compimento degli altri due testi, parlano all’io più profondo del lettore invitandolo ad un risveglio alla vera essenza delle cose.
Cos’ha di particolare. In questo libro sono trattate argomentazioni potenti: la Trilogia è, probabilmente, il più importante testo spirituale reso pubblico e IO SONO DIO è un testo del settimo livello di comprensione, il più alto esistente. Il curatore Arcangelo Mirando ha corredato i tre saggi con un’appendice ampia e esplicativa, completa di un approfondimento su Matrix e il Conte di Saint-Germain.

Io sono - Io sono Dio - Io sono Colui che è
ISBN: 9788862280020

Prezzo € 12,00


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Vito Antonio Conte sulle note di Dario Congedo

Non sono un critico musicale. Non sono un critico di niente. Potrei andare avanti dicendo tutte le cose che non sono. Tante cose non sono. Molte cose non sono. Troppe cose non sono. Potrei dirvele una a una. Oppure, far prima, dicendo quel che sono. Semmai dovesse interessare a qualcuno. Ma, dubitandone, mi limiterò a dirne una, che ne riassume -contenendole- altre. Sono uno che ama dire (com'è capace) quel che sente. Sono uno che ascolta musica. E ama il jazz. Jazz, una parola ch'è dire tutto e dire niente quando si parla di musica. Come le definizioni che si sprecano per questo, quello e quell'altro. Come per tutto. Qualcosa di pertinente rimane: Sud, un altro: quello degli Stati Uniti, dove questa musica folklorica degli afro-americani è nata, senza incorrere nell'errore di cercare una data e un luogo precisi. Un riferimento ci vuole e allora penso all'inizio del secolo scorso nel basso Mississippi. Poi, quel che ho ascoltato di Sidney Bechet, Louis Armostrong, Duke Ellington, Count Basie, Django Reinhardt, Billie Holiday, Charlie Parker, Ella Fitzgerald, Thelonius Monk, Sarah Vaughan, Dina Washington (l'elenco potrebbe continuare...), evocano infinite cose e poche parole per trattenere più di qualcosa della voce jazz. Prudenza e misura mi fanno dire, con Marshall Stearns, che il jazz è “una musica americana semi-improvvisata caratterizzata da un'immediatezza di comunicazione, un'espressività tipica del libero uso della voce umana, e da un complesso, fluente ritmo; è il risultato di una commistione attuata negli Stati Uniti nel corso di tre secoli delle tradizioni musicali dell'Europa e dell'Africa occidentale; e i suoi ingredienti predominanti sono un'armonia di origine europea, una melodia euro-africana e un ritmo africano”, ma ciò è vero per i musicisti sopra citati, per quelli che li hanno preceduti, per chi li ha seguiti e all'unica condizione possibile quando si parla di musica: che si tenga sempre conto della continua, rapidissima trasformazione che ogni genere subisce siccome muta la cultura di cui è espressione. Il jazz è espressione della cultura dei neri americani e, successivamente, di quella di due gruppi etnici -ebrei e italo-americani- che con loro, in un circoscritto periodo, hanno condiviso emarginazione sociale fisica e psicologica. Non farò di questo pezzo un saggio sulle origini e sull'evoluzione del jazz. Né su altro. Voglio soltanto cercare di tracciare -per grandissime linee- una memoria per dire d'una musica d'oggi, come farò tra poco. E non posso, per far ciò, non ricordare la musica folklorica nera, dai “calls” (richiami) ai “cries” (grida) agli “spirituals” (canti religiosi), densissimi tutti di quell'africanità che, poi, incontrandosi e scontrandosi con culture diverse, ha prodotto quell'ibrido ch'è il jazz. Come non posso ignorare che se New Orleans è per antonomasia la culla del jazz, Chicago e New York l'hanno visto crescere e esplodere prima del buio e che Kansas City l'ha adottato quando altrove era in declino. E non posso non spendere parola su tutti i suoi figli, legittimi e non, come lo swing, il bebop, l'hard bop, il free jazz, per non dire di tant'altro, sino al rock di Bob Dylan (ispirato da Woody Guthrie e dal folklore americano) e oltre. Una vicenda lunghissima. Sino a oggi. Sino a Lecce. Dove, tra gli altri e con gli altri, c'è Dario Congedo. Nato a Galatina nel 1983, iniziato alla batteria all'età di tredici anni, drummer, percussionist, composer, diplomato presso il Conservatorio Tito Schipa di Lecce nel 2005; perfezionato in batteria con Maurizio Dei Lazzaretti; con un passato a New York, dove ha approfondito lo studio delle percussioni afro-cubane; e vari corsi di perfezionamento con celebri batteristi di fama internazionale; vanta varie collaborazioni e diversi premi. L'ho incontrato una sola volta Dario Congedo. Il tempo di stringergli la mano e scambiare poche parole. All'inaugurazione dell'ultima libreria (“Gutemberg”) nata a Lecce. Ho perso varie occasioni per sentirlo suonare dal vivo. Ho ascoltato, a lungo, il suo ultimo progetto: “NADAN”. Ch'è un luogo o un nome proprio. Che sta a Nord-Ovest fuori Italia, se lo cerchi. O a Oriente, se lo pronunci. Nadan è il CD che uscirà il 7 novembre prossimo, in concomitanza con un concerto alle ex Officine Cantelmo. Nadan è oltre il jazz, è la visione del jazz diretto da Dario Congedo e da lui reso note armonia battito disarmonia e storia, insieme a tre validissimi musicisti: Raffaele Casarano (sax), Giorgio Distante (tromba) e Marco Bardoscia (contrabasso). È un lavoro in cui ho trovato tutto quel che detto sopra sul jazz (con l'aiuto di Arrigo Polillo), passando per i giorni nostri, in una proiezione di quella libertà primordiale oltre ogni umana ignoranza che schiude all'uomo la conoscenza delle radici dell'essere e ne fa sudato sogno quotidiano. Il CD s'apre con “Le Strade E I Clown”, l'elettronica sposa il ritmo sincopato dell'andare comico e tragico in queste vie e racconta la pesantezza di occhi scolorati dall'umido di mille tristezze ma anche la visione di un sorriso che si svela sotto occhi tristi. Il secondo pezzo, “Skippy”, è pura ricerca che s'innesta su un motivo facile da trattenere alla maniera di Dizzy Gillespie (mi è venuto in mente, anzi all'orecchio, “A Night In Tunisia”); improvvisazione e ritorno. “Prospect Park” è un lento svogliato risveglio, che restare nel momento precedente avrei voluto, ma tant'è, e allora alba sia, carica di fumi impenetrabili, densa di costruzioni che sfiorano il cielo senza toccarlo davvero, e quella rada che spalanca le braccia, come un altro mattino, dopo un cerchio alla testa che un caffè bollente fatica a spezzare, pieno, con la lentezza ch'è da sempre nelle cose e comunque sbadigliando s'affaccia sul nuovo giorno, lo saluta con cenno, ché parlare è difficile a quell'ora, poi ci si butta dentro in un crescendo che culmina in un'esplosione di vita. Il quarto pezzo, “Il Viaggio Dell'Eroe”, narra di un'altra vita, tra genti epiche -sin dall'incipit: come di notte squarciata da una luce violenta d'apocalisse-, liberata dalla visione onirica di una lunga traversata fitta fitta di ostacoli, che li senti tutti nel suono della tromba, e di riposi, fatti a ogni nota di contrabasso, sul filo costante e invisibile delle bacchette sulla pelle e nell'infierire poi su quel tondo che fa a gara col sole al tramonto e non importa chi vince ché ciò che importa è mai smettere di andare. “Brezza” è quel che resta del the sul fondo della tazzina vuota, è aroma diffuso, è granello di zucchero da leccare... “Drum Solo?”, il sesto pezzo, è uscire un giorno qualsiasi ché non se ne può più, muovere passi e respiri, incontrare tanti e fottersene di salutare, abbracciare tutta la solitudine che c'è, la migliore compagna che viene quando vuole lei, è sperimentazione che evoca un'altra solitudine, quella di “King In The Court” dei King Crimson. E se così è non puoi far altro che trovare l'origine di tutto, l'Africa, nel ritmo de “La Pietra Bianca”, prima della fine. L'ottavo pezzo, che non so come cazzo si chiama (ché il CD esce il 7.11.2009 e io ho solo la registrazione... e l'ho annotato male e non ho voglia di ritelefonare, né di errare...), mi riporta all'inizio di un'altra fine, è l'onda che si placa e si stende sull'arenile, sulla riva dei sogni perduti e delle speranze infrante, ma come di acqua rigeneratrice dona nuova forza. “Parole Inutili” è l'ultimo pezzo, quello che chiude questo progetto: è tutto quel che sarebbe potuto essere e non è stato, è quel che resta (ché resta sempre qualcosa), è tutto quel che non ha un nome, è tutto quel che un nome ce l'ha ma nessuno l'ha mai pronunciato davvero, è quel che non appartiene a nessuno, è superfluità, quella che con leggerezza contiene ogni profondità, ch'è bene lasciarla dov'è... diversamente dal mio superfluo... Se ne può parlare, ma soltanto dopo averla conosciuta.

sabato 7 novembre 2009, in anteprima nazionale, negli spazi delle Officine Cantelmo a Lecce, il concerto di presentazione del disco Nadan di Dario Congedo. Start ore 22,00

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giovedì 5 novembre 2009

Dan Brown, Il Simbolo perduto e la fisica quantistica del New Thought

Robert Langdon, l’ormai celeberrimo professore di simbologia ad Harvard, che abbiamo avuto modo di conoscere nei precendenti lavori di Dan Brown ovvero “Il Codice Da Vinci” e “Angeli e Demoni” sempre editi in Italia da Mondadori, è stato convocato d'urgenza a Washington dall'amico Peter Solomon, massone, filantropo, scienziato, storico, e multimilionario, per parlare al Campidoglio sulle origini occulte della capitale americana. Un inquietante fanatico, ricoperto sul corpo di tatuaggi tutti aventi significati legati all’alchimia e alla magia (il cui ruolo sarà inquietantemente chiaro ai lettori man mano che entreranno nel vivo dell’opera), che vuole servirsi di lui per svelare un segreto tenuto nascosto per secoli da sette segrete, e che sarebbe in grado se rivelato, di sconvolgere l’intera umanità. Langdon scopre la reale portata della posta in gioco quando all'interno della Rotonda del Campidoglio viene ritrovato un messaggio - a lui diretto - singolare, ma orribile e oscuro: una mano mozzata col pollice e l'indice rivolti verso l'alto. Come in alto, così in basso ovvero il principium individuationis della tradizione ermetico-esoterica del pensiero di Ermete Trismegisto. Si pensi pure ad un’opera d’arte di un grande personaggio caro all’autore americano, come il San Giovanni Battista di Leonardo Da Vinci. Ma ritorniamo alla storia! L'anello finemente lavorato, con tanto di emblemi massonici all'anulare non lascia malversazioni di alcun tipo: è la mano destra di Solomon. Scatta la concitata corsa contro il tempo ricca di colpi di scena mozzafiato di Langdon, che ha a disposizione solo poche ore per ritrovare l'amico, attraverso un labirinto di tunnel e oscuri templi, dove si celebrano antichi riti iniziatici. Il professore di Harvard dovrà mettere a frutto tutta la propria sapienza per decifrare i simboli che i padri fondatori hanno disseminato tra le architetture della città. Fino ad un finale sconcertante. Questo è il nuovo capitolo de "Il Codice da Vinci", un thriller dalla trama che definire avvincente è riduttivo, e che si snoda a ritmo sostenutissimo in una selva di codici enigmatici e luoghi misteriosi. Le vicende narrate hanno come obiettivo quello di parlare del ruolo della massoneria nella costituzione degli Usa: massoni furono non solo i fondatori della patria americana, ma anche alcuni presidenti come Roosevelt, Truman e Ford. L’enigma da sciogliere riguarda un oscuro pittogramma cifrato che è impresso sulla Chiave di Salomone: quest’ultimo potrebbe scatenare i demoni e le forze degli inferi, un’arma invincibile che in mani solo assetate di potere e vendetta, sarebbe in grado di mettere a rischio l’intero pianeta. Dopo aver letto le 604 pagine di quest’opera, se dovessimo limitarci ad un semplice giudizio di superficie, non solo si avrebbe l’impressione di trovarsi dinanzi ad un lavoro strutturalmente perfetto, ma si avvertirebbe impellente l’esigenza di avvicinarsi a tutta quella serie di rimandi che vanno dalle scienze occulte sino alla storia dell’arte con riferimenti a personaggi del calibro di Leonardo Da Vinci e Albrecht Dürer, per poi passare alla numerologia di Pitagora e a quella del calendario Maya che annuncia la fine del mondo, e ancora le teorie del controllo sul mondo da parte di super-poteri che si tramandano segreti incoffessabili di generazione in generazione, e le ultime scoperte iper-tecnologiche del più grande sistema d’intelligence internazionale: la C.I.A (Center Intelligence Agency). Un testo non molto ricco di citazioni, ma per quel poco che viene sapientemente riportato tra le pagine de “Il Simbolo Perduto”, questa volta Dan Brown pare proprio che abbia studiato. Ora si potrebbe obiettare che magari i personaggi hanno la rigidità di marionette, che non vi sia nessun approfondimento psicologico, che la trama è scontata e la semplicità con cui è scritto sia quasi da terza elementare. Di contro si potrebbe asserire che sotto nessun aspetto questo thriller appare debole o poco convincente, e forse proprio perché la sua scrittura è così piana, e il ricorso all’esoterismo è così presente che il successo di questo libro è già annunciato oramai da tempo. E qui chiudo le mie considerazioni sul valore della letterarietà del lavoro in oggetto. Adesso si va oltre. Talvolta mi ritrovo a pensare, proprio come in qualche occasione ha sostenuto Roberto Pinotti (U.F.O notiziario, C.U.N.) nei suoi ambiti di competenza, che esista una sorta di accordo tra diversi sistemi di potere e d’intelligence, di “acclimatare” gradualmente la popolazione mondiale su certi argomenti “sensibili” come abduction, Area 51, Massoneria, Templari, Priorato di Sion etc. Questo perché la gente non ha ancora raggiunto – dicono “i grandi savi” - quel grado di cultura ed emancipazioni tali da poter recepire certe verità. Ora se qualcuno ha letto “Il Simbolo Perduto” non penso sia sfuggito il ramo di studi in cui è esperta la sorella di uno dei protagonisti ovvero Katherine Solomon: la Noetica. Così come viene spiegata da Dan Brown per bocca della scienziata, si tratta di una nuova branca del sapere che sarebbe in grado di dimostrare come l’uomo abbia poteri sovrumani quasi divini: non è forse stato creato a Sua immagine e somiglianza? Non è forse vero che così come Sopra, così Sotto? Poteri che addirittura consentirebbero all’uomo con la sola forza del pensiero di modificare la Realtà! Sono concetti che da qualche anno alcuni studiosi diffondono sotto il nome scientifico di Fisica Quantistica, ma che hanno legami talvolta espliciti talvolta segreti con il cosiddetto New Thought (in italiano Nuovo pensiero) che altro non è che un insieme eterogeneo di organizzazioni, chiese, scrittori, filosofi e pensatori che ha avuto origine negli Stati Uniti nella seconda metà dell'Ottocento e continua ancora oggi. Le sue idee chiave riguardano la visione di Dio come onnipotente, onnisciente e, soprattutto, onnipresente, la natura al tempo stesso immanente e trascendente della divinità, la divinità della natura umana, l'origine mentale delle malattie del corpo e l'uso della preghiera affermativa per raggiungere la guarigione e il miglioramento delle proprie condizioni socio-economiche. Un movimento che oggi ha il suo “motore di ricerca e sviluppo” nel pensiero della Legge dell’Attrazione ovvero nelle strabilianti promesse fatte da Ronda Byrne e il suo The Secret. Nello specifico la Noetica di cui parla Dan Brown è la fisica quantistica di scienziati del New Thought ovvero: William Arntz, Betsy Chasse, Mark Vicente, Fred Alan Wolf. Che Dan Brown sia un seguace di questa novella Scientology? Che ci sia il New Thought come garante del successo di questo autore? Meditate gente, meditate!

ISBN: V0002057

Prezzo € 24,00


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Anteprima: Dietro il Simbolo Perduto di Tim Collins (Età dell'Acquario Edizioni).

«Sono affascinato dal potere. Specialmente dal potere nascosto. La CIA... L’Opus Dei... I massoni... Mi affascina l’idea che tutto accade per ragioni che noi non conosciamo. È una cosa che mi ricorda un po’ la religione. Ti dicono che niente accade per caso. Se c’è una tragedia nella mia vita è perché Dio mi sta mettendo alla prova o mi sta mandando un messaggio. Non è ciò che i cospirazionisti dicono...?»
DAN BROWN

• Perché Il simbolo perduto è la novità editoriale più attesa dell’anno. Lo straordinario successo di vendite in America e in Gran Bretagna conferma che DanBrown ha fatto di nuovo centro.
• Perché questa guida ha le stesse caratteristiche di quelle dedicate a I segreti del Codice da Vinci e I segreti di Angeli e Demoni, entrambe vendute in molte decine di migliaia di copie dalla nostra casa editrice.
• Perché la massoneria – al centro del plot del romanzo – è un soggetto di per sé misterioso e affascinante.

Il simbolo perduto promette di essere un successo planetario, rinverdendo i fasti del Codice Da Vinci, con una trama serrata e ricca di colpi di scena. L’ambientazione americana e l’evocazione della più importante società «segreta» esistente al mondo accrescono ulteriormente l’appeal del romanzo. Il pubblico già sterminato dei suoi lettori troverà nel libro di Collins una preziosa fonte di notizie, essenziali per apprezzare in pieno la storia ideata da Dan Brown. Il libro fornisce ai lettori del thriller di Dan Brown le informazioni necessarie per meglio comprendere i rituali, i simboli, i gruppi, i personaggi che vi sono descritti. Attraverso una struttura per voci, chiara ed esaustiva, il libro di Collins fa luce sul ricco retroterra storico ed esoterico che costituisce lo sfondo delle imprese di Robert Langdon (già protagonista del Codice da Vinci e di Angeli e demoni), alle prese con l’oscuro e sinistro mondo della massoneria, in lotta con la Chiesa di Roma, la CIA e varie organizzazioni segrete.

disponibile da dicembre 09

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Guida non autorizzata a fatti, personaggi e misteri del romanzo di Dan Brown
ISBN: 9788871363257

disponibilità: Dicembre 2009

Prezzo € 9,80


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In distribuzione il numero autunnale di UnduetreStella (Lupo editore)

E’ in distribuzione il numero autunnale di UnduetreStella, la rivista-laboratorio che periodicamente bandisce un concorso di scrittura e illustrazione per l’infanzia legato ad un topos letterario delle fiabe d’ogni tempo. Il tema di questa nuova uscita, che raccoglie i più bei racconti e le più belle immagini giunte in redazione, è dedicato agli animali parlanti, protagonisti assoluti delle favole antiche e moderne, da Esopo a Fedro fino ai giorni nostri. Gli animali incarnano vizi e, soprattutto, le virtù degli uomini: la prepotenza, l’astuzia e l’ipocrisia, l’ingordigia e la rapacità, la vanagloria, la servilità, la ferocia, la crudeltà, la vendetta trovano espressione allegorica nel leone, nel lupo, nella volpe, nel cane, nell’aquila, nel pavone, nel corvo, nella pantera, nel coccodrillo, nel serpente: non c’è animale domestico e selvatico dei più comuni che non figuri nella ricca galleria favolistica a rappresentare un certo tipo di umanità e a richiamare la riflessione moralistica.

In questo numero:


L’ora del the! | illustrazione di copertina di Maddalena Gerli
A Lucciole spente | parole di Barbara Pizzo
È tardi! È tardi! | illustrazione di Daniela Volpari

Fiabastrocca di Balì |parole di Lino Ottomano
No more fish | illustrazione di Cristina Amodeo

PENNA & MATITA


L’AUTORE | Fedro
L’ILLUSTRATORE | Arianna Papini

POSTER

Tea time | illustrazione di Philip Giordano

La gabbia dei conigli | parole di Mauro Scarpa
I conti non tornano | illustrazione di Martina Merlini

La storia che non c’è | parole di Eleonora Bellini
Vieni a star da me | illustrazione di Giovanna Lopalco

La storia della gallina Pina | parole di Samuele Larocchia
Ti va di parlare? | illustrazione di Cecilia Botta

STELLARIUM / FRAMMENTI DI LIBRI E TEATRO

mercoledì 4 novembre 2009

Carenze di futuro di Roberto Saporito (Zona editrice)

Si potrebbe definire un romanzo breve o un racconto lungo, ma se ci si affida alle definizioni certo potremmo smarrire la strada, visto che l’ultimo lavoro di Roberto Saporito, dal titolo “Carenze di futuro, non si presta ad un’adesione solida rispetto ad un genere letterario particolare, e dunque per incamminarci su un sentiero più certo e sicuro almeno per noi, dovremmo ricorrere alla migliore ipotesi ermeneutica dell’ibridazione o del meticciamento, in quanto non è un giallo e non è un noir, non è un lavoro carico di oscurità esistenzialista, ma senza ombra di dubbio contiene tutti e tre questi elementi in maniera superba. Partiamo dalla storia: gioco e debiti conducono un uomo alla deriva, una scelta forse fatta con metodo perverso, e in questo viaggio “agli inferi” sceglie una soluzione “comoda” quanto efficace: l’auto-esilio in Francia. Non ha più un soldo, avendo dilapidato l’intero patrimonio ereditato dal padre, non ha alcun tipo di sostentamento economico poiché ha perso un posto di lavoro invidiabile, e come ciliegina sulla torta, si fa scivolare dalle mani la sua stessa famiglia in un vortice obliquo di disperazione grigia, quasi come un male latente e subdolo che nasconde persino le sue sintomatologie. Praticamente in mutande! Solo due amici gli restano fedeli, lo aiutano a fuggire da se stesso, dai suoi incubi peggiori, tra i campi e le coste della Francia meridionale. Poi un raggio di sole, forse: Sophie, che è mistero e silenzio, una donna sola, che vive in una chiatta col suo cane Didier. Anche lei fugge e alla fine si ritrovano a risalire fiumi e canali, diretti a Parigi. Ma ... c’è un ma! E qui forse comincia il punto di non-ritorno dell’intera vicenda narrata: non ci arriveranno insieme. Roberto Saporito, con questa sua prova di grande forza, ci spiattella in faccia quanto sia inutile lottare nelle nostre vite, quando circostanze, persone, cose che abitano il nostro presente ci rifiutano, con modi che a combatterli produrrebbero nella migliore delle ipotesi ulcere e nevrosi.. L’uomo “senza nome” protagonista della storia, fa di tutto per essere “ a pelle” sgradevole, non solo all’interno del multiverso raccontato tra le pagine di questo libro, ma anche agli occhi del lettore, benevolo o meno che sia. Già perché parliamo fondamentalmente dell’incarnazione tangibile da un punto di vista scritturale di un retroterra culturale vacuo e osceno a cui appartiene questo “anti-eroe”, di una borghesia piccola piccola, tradizionalista e fatta di subvalori legati al buon nome, in società e sul lavoro, alla casa di proprietà e all’ipocrisia. La questione dell’identificazione dell’Altro come Atroce (alter – a(l)ter) è fondamentale per tutto il libro, dove alterità è sinonimo identificante nel lavoro di Saporito di Maturità, ovvero ultima fermata oltre la quale scompare qualsiasi speranza e dove il Vuoto, Il Silenzio, la Morte e la Non-Morte di una vita vissuta come un gigantesco bluff, vengono assorbiti in un black hole cieco e primordiale. Un’opera “Carenze di Futuro” che si lascia leggere facilmente, con grande agilità e soprattutto carico di innumerevoli spunti di riflessione circa tutte quei nostri “piccoli” smarrimenti che ogni giorno viviamo, e che scegliamo talvolta inconsapevolmente di vivere sulla nostra pelle, altre volte per paura, di evitare.

“Carenze di futuro“, Roberto Saporito, Zona Editrice, € 12,00, 9788864380261

SORRY di Zoran Drvenkar (Fazi editore)

Selezionato al Festival del Cinema di Berlino come uno dei 12 migliori libri candidati a una trasposizione cinematografica, il thriller di Zoran Drvenkar ha venduto in Germania oltre 50.000 copie nei primi due mesi dall’uscita in libreria. I diritti di traduzione sono stati acquisiti da Knopf negli Stati Uniti, Seix Barral in Spagna e Sonatine in Francia, oltre che in Olanda, Corea e Turchia. “Ogni cosa ha inizio con una bugia e si conclude con una scusa”. Sembra non ci sia mai il tempo di fermarsi e chiedere perdono. Le responsabilità mancate finiscono così col languire nella nostra zona grigia, pronte a mordere quando crediamo siano finalmente prescritte, dimenticate. «Sorry» è il nome di un’agenzia che offre un servizio proprio in questi casi: un servizio che fa sì che qualcun altro bussi alla porta delle vittime delle nostre piccole crudeltà e per nostro conto chieda scusa, risarcisca, chiuda la partita ancora in corso. La parcella andrà pagata poi a Kris, Wolf, Rauke e Tamara, quattro giovani berlinesi che, in una sera come tante, hanno confezionato l’idea. Un pensiero banale ma che risveglia la cattiva coscienza di molti. In breve, le richieste si moltiplicano e la vita cambia: i quattro entrano in un giro d’affari che permette loro di acquistare un’ elegante villa ai margini della capitale, sulle sponde di un lago. Ma non ci si può liberare per conto terzi di una colpa; né è possibile capire da dove, realmente, quella stessa colpa abbia avuto inizio. Nell’attimo stesso in cui i quattro si ritrovano davanti al corpo martoriato di una donna sono già in trappola, costretti in un percorso orchestrato per confonderli e farli cadere; e in cui ogni mossa è già un errore, ogni tentativo di liberarsi una morsa che non dà pace. Dalla necessità di capire chi sia l’artefice di una tale violenza, perché abbia ucciso e perché abbia bisogno dei loro servizi “d’agenzia”, parte un filo che si snoda lungo un labirinto costellato di impossibili vie d’uscita. Sorry è un impeccabile, agghiacciante gioco di scatole cinesi nel quale ogni personaggio smarrisce il confine tra quel che è e quel che appare; e la linea di distinzione tra la vittima e il carnefice diviene labile e ingannevole, come un riflesso d’acqua.

«Veloci cambi di prospettiva – e uno stile incredibilmente efficace». Die Welt

«I fan dei thriller di Mo Hayder, Kathy Reichs o Stieg Larsson possono contare adesso su Zoran Drvenkar... una trama fittissima che vi terrà col fiato sospeso fino all'ultima pagina. Der Spiegel

«Zoran Drvenkar, autore tedesco con radici serbo-croate, ha scritto il thriller di quest’anno. Il romanzo di Drvenkar è potente ed emozionante. Una storia che conferma come il genere può essere creativo quando dietro c’è una mente intelligente, ostinata e fertile». Ulrich Noller, WDR

«Bisogna avere coraggio per affrontare “Sorry”. Coraggio per un esperimento stilistico, che non ha simili in questo genere. Il vortice dell’eccellente thriller di Drvenkar non lascia scampo». Berliner Zeitung

ZORAN DRVENKAR «Tutto è iniziato in una terra lontana, che un tempo si chiamava Jugoslavia. Un bimbo nacque all’alba. Era in piena estate, il 19 luglio 1967, e nella mia città natale cadde la neve. Per circa dieci minuti. Poi sono nato e la neve era già svanita». Dopo tre anni la famiglia di Zoran si trasferisce da Križevci, in Croazia, a Berlino. Autore di libri pluripremiati per bambini e ragazzi, tra cui il bestseller Die Kurzhosengang (scritto sotto pseudonimo), nel 2003 Drvenkar ha pubblicato il thriller Du bist zu schnell. Vive in un antico mulino nei pressi di Berlino.

Traduzione: Vincenzo Gallico, Fabio Lucaferri, Violeta Bruno

La Chiave della Legge di Attrazione di Jack Canfield e D.D. Watkins (Edizioni L'Età dell'Acquario)

«Questa è la chiave del vero successo. Questa è la chiave per vivere la Legge dell’Attrazione. Il tuo viaggio inizia proprio qui, proprio adesso. Questi sono gli strumenti giusti. Usa questa chiave, apri il cancello e inizia il cammino che ti propongo. Io ti guiderò passo dopo passo lungo la via. Vivere la Legge dell’Attrazione in modo conscio e deliberato cambierà la tua vita, e cambierà il modo in cui partecipi alla comunità globale. Tu puoi cambiare il tuo modo di pensare, puoi cambiare la tua vita, e puoi cambiare il mondo. Inizia a vivere la vita per la quale sei nato. Sei qui per una ragione, e il mondo ha bisogno di quello che tu hai da offrire. Immagina il futuro che desideri. Crea la vita dei tuoi sogni. Vedi, senti, credi.» Jack Canfield

Jack Canfield è il coacher più famoso al mondo, da trent’anni è un punto di riferimento nel campo della formazione e della crescita professionale e personale. Co-autore della serie di best seller «Chicken Soup for the Soul» (in italiano «Brodo caldo » o «Una tisana calda per l’anima»; 200 titoli pubblicati, più di 112 milioni di copie vendute in circa cinquanta paesi), Canfield è uno degli ispiratori del fenomeno mediatico The Secret. Vive con la moglie Inga Marie a Santa Barbara, California.

D.D. Watkins ha sempre ritenuto che non ci fosse nulla di impossibile. È una mamma che lavora, un’imprenditrice di successo e un’artista che riconosce apertamente di non avere paura delle sfide. Amante delle parole, del sapere, dei libri e della bellezza, al momento sta esplorando i campi della scrittura e della pittura all’aperto. Vive a Santa Barbara, California.

Il metodo Canfield per creare la vita dei tuoi sogni

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martedì 3 novembre 2009

"La dimora unica" di Sandro Dell'Orco, Manni (San Cesario, 2009). Recensione di Nunzio Festa

Dell'Orco da Kafka a Beckett, passando per la sua stessa Delfi. Il narratore Sandro Dell'Orco, pregevole penna, va ricordato, ha deciso con “La dimora unica” di misurarsi con la sceneggiatura teatrale. E il risultato, va subito specificato, e dei migliori; nel senso che da un tentativo, o meglio da una sperimentazione più bellezza di questa forse non sarebbe potuta uscire. Non a caso, il testo comunque si legge come un breve romanzo. Con inquietudini, ha ragione Muzzioli, che sanno per esempio di Franz Kafka. Ma che non dimenticano di ricordare l'opera dello stesso autore, Delfi, con rimandi ideali a essa, quindi. Il gioco della e con la metafisica, se pur non l'avesse sottolineato sempre Muzzioli, è chiaro e lungo. L'incidente bello avviene, poi, fra realtà e allucinazione, insomma tutto per fantasia. Lo sperimentalismo, in un certo senso, è la dose principale che esce dal testo. Una prova letteraria, questa, da provare sul palcoscenico per comprendere se il lato grottesco del buio e l'irrisione dell'idea di complotto sono pensati quali elementi carichi di forza attrattiva. Che però, pure, sono capaci di far ragionare in continuazione sulla involontaria abitudine di certe donne e uomini, e i casi sono davvero tanti, di rimanere soggiogati da un'idea o idee più pressanti oppure restare vittime della giornaliera confisca della capacità d'autonomia critica. Insomma, La dimora unica è un testo fortemente attuale, come un classico, quando allo stesso tempo è un'opera che lo scrittore Sandro Dell'Orco affida a questa modernità per dare al teatro pezzi di novità e alle novità parole di saggezza. Il potere attuale, d'altronde, non è altro che il potere di sempre. Nonostante la gestione di questo cambi di mano e piede. Ecco allora che prendendo dalla “dimora unica” si legge sempre il presente.

L'influenza Suina A/h1n1 e i pericoli della vaccinazione antinfluenzale del dott. Roberto Gava (Macro edizioni)

Tutto quello che devi sapere per tutelare davvero la tua salute e quella dei tuoi cari:
● l’influenza A/H1N1 è molto contagiosa ma poco pericolosa;
● i vaccini antinfluenzali sono praticamente tutti inefficaci e comunque meno utili delle più comuni e banali misure di igiene personale;
● i vaccini antinfluenzali e i farmaci antivirali possono essere molto pericolosi per alcuni soggetti;
● il vaccino contro l’influenza A/H1N1 è totalmente inaffidabile, sia perché non è stato sufficientemente sperimentato, sia perché la sua efficacia è del tutto teorica, sia perché la sua innocuità è completamente ipotetica e infine perché sarà un vaccino che conterrà alte dosi di mercurio e di un adiuvante tossico che è stato aggiunto per cercare di accrescerne la bassissima efficacia;
● l’irremovibilità con cui l’OMS porta avanti la sua politica pro-vaccinazione di massa è tanto sospetta quanto antiscientifica e molti ricercatori si chiedono cosa si nasconde dietro questa vaccinazione. Già da alcuni anni i mass media trasmettono notizie allarmanti su possibili infezioni pandemiche che dovrebbero provocare milioni di morti. In questi ultimi mesi anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha preso una posizione più definita del solito nei confronti dell’influenza A/H1N1, detta “Suina”, che ha inspiegabilmente e fin da subito chiamato “Pandemia 2009”. In realtà, se si va alle fonti delle varie notizie, se si analizzano obiettivamente i dati scientifici disponibili confrontandoli con quelli della comune influenza stagionale e se si interrogano gli esperti di virologia e di epidemiologia, emergono subito molte evidenti contraddizioni. Ogni persona ha non solo il diritto, ma anche il dovere, di informarsi adeguatamente su questo argomento, sia per dare il proprio vero “consenso o dissenso informato” alla vaccinazione, ma anche per consigliare i propri familiari che non potranno né informarsi né proteggersi: i bambini e gli anziani. Questa pubblicazione nasce da un attento e approfondito studio di tutta la letteratura scientifica sull’argomento e, in particolare, è il frutto della consultazione dei ricercatori che sono notoriamente indipendenti dalle spinte commerciali che muovono i grandi interessi sanitari. Oggi non possiamo più credere a priori ai mass media, ma neppure ai grandi enti governativi che dovrebbero salvaguardare il nostro bene. Noi siamo i primi responsabili della salute nostra e dei nostri figli e se demandiamo ad altri il compito di salvaguardarla, rischiamo di perderla, talvolta anche in modo irreversibile.



Criteri scientifici di orientamento - Tutto quello che devi sapere per tutelare davvero la tua salute e quella dei tuoi cari

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lunedì 2 novembre 2009

Figure della Conoscenza in Horcynus Orca di Ignazio Licata














Né si deve trascurare quest'altro, cioè che la Sfinge fu vinta da un uomo dai piedi bucati, infatti gli uomini in genere procedono troppo velocemente e con troppa furia a risolvere gli enigmi della Sfinge; onde avviene che,avendo la Sfinge la meglio su di loro, essi si lacerino l'animo e l'ingegno in dispute, invece di dominare sulle opere e sugli effetti.
Francis Bacon - De Sapientia veterum (1609).


La discussione di una curiosa anomalia è una premessa necessaria per trattare i temi epistemologici di quello che è forse, per natura e destino, uno dei più complessi e singolari testi della letteratura contemporanea, “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo (1919-1992), libro il cui mito aumenta in proporzione misteriosamente inversa al numero di lettori che ne accettano davvero la sfida. L’anomalia rilevata in questa premessa, la sottovalutazione dei complessi rapporti tra letteratura e conoscenza, potrebbe contenere un indizio di spiegazione della proporzione inversa. Si può discutere all’infinito (e lo si è fatto!), sul rapporto tra il cosiddetto “crollo delle ideologie” ed i mille rivoli di quella che ormai il mercato identifica come “letteratura contemporanea”, ma è innegabile che la trasformazione del sospetto in critica e poi della critica in processo ermeneutico illimitato, hanno favorito una convergenza asintotica tra “filologia” e furbizia mercantile, processo analizzato ad esempio dalle argute pagine di H. Bloom (Bloom 2008). Nel sistema contemporaneo autore e testo sono una palestra d’addestramento per l’esercito di “note a margine” che ha sostituito il confronto tra autore e lettore. Il “critico” non è più il mediatore culturale i cui strumenti favoriscono l’incontro tra il testo e il tempo, ma è piuttosto il funzionario che ammanta di pre-testi ( in senso letterale!) la definizione dell’opera, del suo lettore e le precise modalità d’incontro tra i due. E’ un gioco delle “perle di vetro”, un sapere la cui apparente pervasività è scambiata per ricerca di connessioni ed aspirazione all’onnicomprensività, situazione lucidamente analizzata da Hesse nella sua migliore ( e dunque meno conosciuta) opera. Pagine troppo “attuali” per non essere tentati di citarle brevemente qui. Nella “cultura della terza pagina (…) alimento principale dei lettori bisognosi di cultura”, saggi e libri vengono prodotti “su scala industriale” (…) gli autori di quei futili giochetti (…) spesso avevano persino nome di poeti, ma pare che molti di loro fossero anche scienziati e addirittura professori universitari di gran fama. Gli articoli trattavano di preferenza aneddoti tratti dalla vita di uomini e donne celebri e i loro carteggi ; s’intitolavano per esempio ‘Friedrich Nietzsche e la moda femminile intorno al 1870’ o ‘I cibi preferiti dal musicista Rossini’(…) Erano pure ricercate le considerazioni storiche su argomenti attuali nella converazione dei benestanti (…) ci si meraviglia non tanto che esistessero uomini i quali le trangugiavano come lettura quotidiana, quanto piuttosto che autori di grido, di alta levatura e di buona preparazione culturale contribuissero a fare ‘servizi’ (…) per sopperire al gigantesco consumo di quelle interessanti futilità:il termine, del resto, indicava anche il rapporto fra l’uomo e la macchina.(…) la grande massa che a quel tempo sembra sia stata avida di letture accoglieva senza dubbio tutte queste cose grottesche con serietà e in buona fede”(H. Hesse, “Il Giuoco delle perle di vetro, trad. E.Pocar, Mondadori, 1955). Che tipo di bisogno soddisfa questa “letteratura”? Sicuramente quello di gratificare l’ “io” costruendo intorno ad ogni sua scelta operata per gusto, condizione sociale ed economica, vezzo, pigrizia, noia, paura, una rete di consensi tale da poter essere barattata con un “noi” abbastanza omogeneo da offrire una sensazione di appartenenza, ed insieme sufficientemente “significativo” da individuare una “collocazione” culturale “importante”. E tutto questo indipendentemente da ciò che si legge: il lettore deve avere l’illusione che ogni testo scelto nell’universo ipersferico del mercato contemporaneo sia “qualificante” ed attesti una perspicacia intellettuale rara. Una “notte” hegeliana illuminata al neon dove tutti i libri sono buoni, almeno per una stagione.
In questo panorama si inscrive lo sviluppo impetuoso della divulgazione scientifica come genere culturale autonomo, dove l’accezione di “autonomo” va intesa nella maggioranza dei casi come narrazione promozionale intorno ad un piccolo nucleo di scienza. Anche in questo caso, “scrivere di scienza” non ha nulla a che fare con quello che effettivamente fanno gli scienziati e con la complessità artigianale del loro lavoro, ma è piuttosto il veicolo per passare al pubblico un “messaggio” esiziale di conoscenza “oggettiva”, l’evocazione della dimensione lontana ed un po’ infantile del “codice cosmico” decifrato, immagine rassicurante in un mondo di certezze vaghe ed identità “liquide”. (una bella descrizione delle false immagini della scienza è contenuta in Zbilut & Giuliani, 2009).
Inevitabile che i contatti tra arte, letteratura e scienza diventano occasionali e contingenti, legati più ad incroci puntuali di “contenuti” o mimesi di forme simboliche che feconde inseminazioni di strategie cognitive e visioni del mondo. A vegliare sull’assegnazione dei ruoli il luogo comune, dunque efficace, che la creazione artistica è espressione della più radicale soggettività, mentre la scienza è applicazione di un metodo indifferente all’osservatore ed all’osservato.
La cosa non è strana soltanto per il paese di Leopardi, - ossia, uno dei pensieri più raffinati sull’immagine meccanica della scienza del ‘700, che riconosce in Galileo uno dei padri della lingua italiana-, ma lo è ancora di più se la si considera dal punto di vista di quelli che una volta si chiamavano classici, quei testi insomma che resistono alla riduzione a capriccio interpretativo generazionale. Ci si accorgerà allora che a ben guardare la grande letteratura ha sempre riconosciuto il problema della conoscenza come un suo elemento costitutivo fondamentale, ed una parte considerevole di intere opere non tratta soltanto degli eventi emozionali di X o di Y al più in un periodo storico specifico, ma sviluppa l’analisi di queste vicende all’interno di una visione della conoscenza, spesso con temi epistemologicamente espliciti e rilevanti. Un’analisi accurata uscirebbe fuori dalle nostre intenzioni , ma per non andar troppo lontano è impossibile non accostare, se si accetta questa prospettiva, Proust ed Husserl in un comune recupero di quella fenomenologia che era stata tagliata in due dalla dicotomia cartesiana, oppure non riconoscere nel periodo d’oro che va da T.Mann a R. Musil la parabola culturale borghese del neo-positivismo fino alla sua crisi in bilico tra “l’anima e l’esattezza”. E per venire a tempi più recenti, la filosofia quantistica della Trilogia di Beckett che liquida con l’indistinguibilità di Molloy dall’uomo che ne segue le tracce, o con gli stati di sovrapposizione tra vita e morte, prima e dopo, qui e là dell’Innominabile, gli ultimi residui di un’immagine ingenuamente realistica del mondo. Sono cronaca dei nostri giorni, poi, le mirabolanti ed immaginifiche pagine di David Forster Wallace, figlio dell’entropia di Pyncon e delle perizie di Gaddis, soprattutto in Infinite Jest, ultimo ritratto di un tempo in cui anche la scienza è solo una delle tante narrazioni e metafore possibili in un universo singolarmente ricorsivo. La sfida più ardua di D’Arrigo, oggi, non è certamente né quella della lunghezza -che sembra diventata piuttosto il viatico esteriore del libro-mondo e dell’intrattenimento “infinito”-, né quella del magma linguistico della prima versione (I Fatti della Fera: FF), spianato poi in sintesi mirabile nella stesura definitiva Horcynus Orca: HO) dove le arcaiche sonorità di ciò che fu il “dialetto” diventano il seme sapienziale e musicale di una lingua antichissima e totalmente nuova, a riprova che ogni autentica acquisizione di conoscenza si rivela nella forma della descrizione del mondo, non troppo diversamente da ciò che avviene con i linguaggi scientifici. In molti si sono abbeverati segretamente alla fonte di D’Arrigo per poterlo accusare di difficile leggibilità (per le origini e la struttura dell’opera vedi l’ottima introduzione di S. Sgavicchia, 2005). Uno dei nodi concettuali più complessi, che in questa sede possiamo soltanto indicare, è l’intento del D’arrigo-a nostro parere esplicito-, di recuperare il senso primigenio della filosofia naturale identificando i suoi esiti estremi, in ogni tempo, con i confini della vita e della morte di ogni uomo, che in quanto tale è soggetto e portatore di conoscenza. Non soltanto dunque “arcaico” come ispirazione di una tensione al conoscere che trova in un modello presocratico la sua affinità più naturale, ma come ricerca di un legame tra passioni, desideri e conoscenza, tentativo di coniugare ciò che sappiamo del mondo “esterno” con i riti “magici” di svelare/ingannare il destino ultimo ed inevitabile di ognuno. All’inizio del romanzo, il 4 ottobre del 1943, ‘Ndria Cambrìa , nocchiero semplice della fu Regia Marina, ha un problema assai pratico ed urgente quanto le misurazioni della terra da cui si sviluppò la geometria prima delle astrazioni greche : attraversare lo stretto di Messina, incrocio di due mari, prosciugato dalla guerra di ogni traccia di navigazione “normale”. Non sa ancora ‘Ndria, come non lo sa nessun uomo, che il destino, nella scrittura del suo demiurgo-puparo, ha in serbo per lui ben altro, e sulle sue spalle duramente provate pesa già l’eredità di Gilgamesh, di Ulisse, della coppia Achab-Ismaele, di Prometeo e di Edipo. I 4 giorni di tempo reale in cui si svolge l’intera vicenda di impianto neorealista nascondono un tempo avviluppato estremamente dilatato che corrisponde al tempo non dei “fatti” - che della visione del mondo sono gli inconsapevoli puntelli-, ma della memoria e della conoscenza, quel viaggio interiore sin nelle profondità dell’esistenza, quella sua e dunque di tutti, che sfuma ogni residuo realista in respiro epico. Il modo per attraversare lo stretto è riuscire ad entrare nelle grazie delle femminote, indomite contrabbandiere che in questo commercio hanno reinventato il loro essere donne di mare, non appartenenti a nessuna terra ed a nessun uomo. L’irriducibilità incomprensibile del femminile è una delle chiavi epistemologiche forti dell’opera: le figure femminili sono infatti emanazioni della Natura. La “Mezzogiornara”, la feretta che compariva con il sole alto, dolce amica dei giorni lunghissimi della prima giovinezza del padre di ’Ndria, Caitanello, è il rapporto felice ed utopico con i fenomeni e le creature, che viene spezzato nel momento in cui il richiamo del bambino la conduce inconsapevolmente alla morte. Ciccina Circè, capa di fatto delle femminote, mezza puttana e sciamana, è descritta non attraverso una sua inaccessibile “vita interiore” ma per l’impatto formidabile e possente che ha sul mondo: può amare non soltanto torme di marinai come ape regina, ma cavalcare letteralmente bastimenti interi ricordandoli affettuosamente poi per nome e disposizioni erotiche, mentre la tenera Marosa, innamorata di ‘Ndria è donna “civilizzata”, tenera e di terra, unica donna che non dà al nostro eroe lo smarrimento dell’incommensurabilità, e che infatti lui ricambia con affetto, senza alcun richiamo irredimibile. E poi, naturalmente e sempre, la fera, presenza costante che attraversa lo stretto e la vita di ‘Ndria, figlio di pescatori, che dunque la vede con gli occhi di questi. La fera è preda, pericolo, viscere e carogna di impossibile fetore, guerra aperta di sopravvivenza. Come le balene per i marinai del Pequod e per il secondo in comando Starbuck, la fera non ha alcuna valenza oltre le categorie della caccia e delle sue necessità economiche. La conoscenza è tutta rivolta a risolvere i problemi pratici del vivere in mare e con il mare, e non è mai staccata dal suo contesto e da quelli che sono i modelli cognitivi dell’osservatore. ‘Ndria se ne accorgerà proprio servendo la patria in marina, quando l’ufficiale fascista e vagamente d’annunziano Broggini darà del delfino una descrizione che il nocchiero faticherà a far coincidere con la fera dell’esperienza di casa sua. Non gli sfuggirà invece l’analogia tra lo “sparare” con l’obiettivo della macchina fotografica e lo scoccare delle fiocine: in entrambi i casi lo strumento cattura un aspetto della “cosa” che è quello che si ritiene importante, a ricordarci non soltanto che la natura non è “lì”, con una forma definita una volta per tutte, ma dipende criticamente dai nostri filtri osservativi e dunque dal nostro bagaglio culturale e storico (Licata 2008).
Qual’è l’elemento primario di una scienza che vuole indagare il mondo? In H.O. D’Arrigo si rifà ad un modello empedoclino, fondato sulla forza primordiale del ‘perché?’, così evocata dal vecchio professore che indaga sul mistero delle uova d’anguilla. Non ci sono misteri nella vita, sembrano misteri. Dove e quando abbiamo l’impressione d’un mistero basta fare un piccolo sforzo e domandarsi: perché? e il cosiddetto mistero subito si risente,non è più tanto fitto e impenetrabile, la visiera, in altre parole, gli comincia a tremolare sulla faccia, al signor mistero. Eh, il perché… Il perché è parola magica, è specie d‘Apriti ,sesamo e non c‘è porta di mistero che gli può resistere. Il perché se li mangia vivi, i misteri, e quando a una data cosa, a un dato fenomeno, voi gli levate l‘apparenza strana, enimmatica, quello che resta è la natura, tutta semplice e chiara e spiegata davanti agli occhi, tale che pure un muccusello la intende e signoreggia. Basta fare quel piccolo sforzo,e domandarsi perché. Ma quello è niente, amici miei, quello di domandarselo con le labbra. Lo sforzo grande è difficile, amici miei, è che bisogna domandarselo sempre, ogni volta come fosse sempre la prima volta. Il professore è la fede nell’ordine “oggettivo” del mondo e nella sua fondamentale decifrabilità, l’operatività fattiva della scienza, la stratificazione costitutiva del suo metodo per accrescimento ordinato dei risultati in catena teorica che si pensa amplissima ma finita. Vedremo che il “positivismo” del vecchio professore, che pure ha una eccezionale forza etica, trova il suo limite nel significato della ricerca e nelle trasformazioni che essa opera in chi la persegue. Diverso sarà invece il modello di scienza che compare nel successivo Cima delle nobildonne, dove la purezza del “perché” di sapore ottocentesco diventa invece l’incubo scintillante ed ipertecnologico della scienza contemporanea, che trasforma in intervento sulla natura la conoscenza, a dispetto di ogni ordine tradizionale, con il carico di speranze e rischi connessi ad operazioni di questo genere. Ci limitiamo qui soltanto a ricordare la profetica sequenza d’inizio al luccicare di bisturi della trasformazione sessuale del bellissimo ermafrodita in donna nella clinica ipermoderna di Stoccolma, in quegli anni -il romanzo è del 1985- ancora città-modello di socialdemocrazia e scienza all’avanguardia, contrapposizione della Messina di HO. Il perché passa attraverso tre fasi essenziali, il compito di descriverle è affidato invece allo spiaggiatore con cui ‘Ndria fa un pezzo del suo cammino e che gli rivelerà l’esistenza delle femminote. Questo personaggio ha come il Professore un ruolo epistemologicamente significativo nell‘opera, ma diversamente da quello il suo parlare rivela nelle allusioni erotiche sempre più esplicite una singolare e tutt’altro che casuale contiguità tra il satiro ed il ricercatore, facendo emergere quello che a nostro parere è l’aspetto decisivo del romanzo, l’affinità tra le dimensioni del desiderio e della conoscenza, l’impossibilità esistenziale di tenere sempre netta la distinzione tra oggetto e soggetto, in un eros della scienza che trova ad esempio nell’astrologia di Keplero o nell’alchimia di Newton un segno rivelatore (Pesic 2006). Le tre fasi sono il “sentitodire“, il “vistocoglioocchi” e il più raffinato “vistocogliocchidella mente”. La doxa è il raccogliere dati in modo disordinato, senza separarli e classificarli, fase necessaria ma ingannevole del conoscere, dove i frutti genuini del perché sono mischiati ancora ad interessi e paure, distorsioni e credenze, immersi nel gioco sociale dell’intendere ed usare i frammenti della conoscenza. E venendo a noi, al vero gioco della scienza al tempo del suo appiattimento mediatico, anche la “narrazione” di intere teorie come strumento che pilota le relazioni sociali ed il consenso. Il visto cogli occhi è più onesto, e chiaro, e naturalmente la sua natura è “maschia”: Voi sapete la differenza che passa fra il sentitodire e il vistocogliocchi? E la stessa che passa, figuratevi, fra la notte e il giorno. E la notte, non so se lo sapete, è femmina e fa chiacchiere, mentre il giorno è maschio, piscia al muro e porta il fatto...
Einstein sarebbe stato d’accordo con lo spiaggiatore: il visto con gli occhi “porta il fatto”, ma di per sé il fatto non è scienza, perché una teoria è sotto-determinata dai dati, ed è piuttosto una libera creazione della mente umana, essa è “vista con gli occhi della mente”, mai regalata dai semplici e nudi “fatti di natura”. E’ ormai leggendaria la cura meticolosa della documentazione di D’Arrigo nella costruzione del suo edificio letterario: cartine dettagliate ed annotate su terre di Calabria e Sicilia, latitudini e longitudini marine, documenti storici, riviste naturalistiche, di quelle che si potevano trovare durante la lunga fase di lavorazione, quando ancora la fantasia del disegnatore e del fotografo supplivano alle manchevolezze di un’autentica documentazione scientifica in diagrammi ed immagini “trattate” da complesse griglie interpretative. Non stupisce perciò che il problema che fa da sottodominante al libro, quello delle uova d’anguilla, è un problema che attraversa il mito ed arriva in qualche modo fino alla ricerca contemporanea, quello che si definisce dunque un “problema esemplare”. La questione è inseguita da anni, senza successo, dal professore di Messina, che non riesce a trovare l’ anello di congiunzione che lo porterebbe dalle uova d’anguilla ai piccoli sciami di cicirella familiari ad ogni pescatore. L’immagine dell’embrione d’anguilla è forse la forma più poetica che sia mai stata data al problema delle origini del Tutto, metafora marina di quell’Uovo Cosmico la cui natura ed evoluzione vengono oggi sondate con acceleratori potentissimi e formidabili sequenze di equazioni. E’ noto infatti che le anguille hanno dato non pochi problemi ai naturalisti: dalla convinzione di Aristotele che fossero asessuate come i lombrichi, alla credenza diffusa che si accoppiassero come i serpenti dei vari fiumi e laghi locali per spiegarne poi l’intero ciclo migratorio. La forma contemporanea di questi enigmi antichi sono le domande ancora aperte sulla variabilità genetica delle popolazioni di leptocefali. Mistero dunque di vita e non di morte, come l’altro tema che percorre il romanzo e che riguarda il destino ultimo delle fere: Ora, il fatto di scomparire era forse morire matematico?Che ne potevano sapere loro se scomparivano perché morivano o solo perché partivano, partivano epoca fissa come anguilla e pescispada? L’avevano mai vista con gli occhi loro una carogna o una carcassa di trentenaria?Questo era, e l’ultimo enimma di quella faccia smorfiosa di sfinge, ultimo eppure primo. I due motivi dell’anguilla e della fera si fondono per assumere la consistenza dell’Inconoscibile, quella estrema resistenza del mondo ad ogni sforzo conoscitivo che pure è il fondamento della conoscenza e la sua spinta. L’apparizione dell’Orcaferonte, -“l’animalone, il ferone, l’espressione estrema delle potenze naturali-, attaccata, scodata, dilaniata dalle fere e ridotta ad un “subbuglio di schiuma e sangue”, ha in H.O. un ruolo simile a quello dell’apparizione del biancore finale di Moby Dick; anzi persino più radicale: mentre la Balena bianca sopravvive alla sfida di Achab e degli uomini del Pequod lasciando Ismaele testimone della sconfitta umana e dell’immortalità di Moby Dick, in D’Arrigo è la stessa morte dell’Orcaferonte attaccata dalle altre creature marine a testimoniare davanti agli occhi increduli dei pescatori l’immutabilità eraclitea del ciclo che tutto comprende e supera, e sfugge persino al visto con gli occhi della mente. Più la Natura si rivela più si nasconde al perché dell’uomo. Wittgenstein ha concentrato la questione nella sua scrittura lapidaria e sottilmente emozionale: il perché dell’uomo non si limita a chiedersi com’è fatto il mondo, ma tende inevitabilmente a interrogarsi sul perché il mondo è, a sancire definitivamente uno scacco perenne tra le forme parziali della scienza e le più radicate ed intime tensioni della conoscenza umana. Sarà infatti il sogno di ‘Ndrja sulla spiaggia di carcasse e cenere a dargli una paradossale visione dell’Inconoscibile, di ciò che sta nelle terre estreme della sua vita di figlio del mare: le fere anziane muoiono gettandosi nel vulcano, tornando in un magma primordiale precluso ad ogni vista umana.Come a dire che ogni conoscenza non ha un termine ultimo, ma è sempre lo spostamento ultimo di un termine, qualunque sia il suo oggetto. L’inesauribilità del mondo rimanda inevitabilmente al tempo limitato in cui il singolo uomo può contribuire a questo processo. L’unica reale possibilità che ci è offerta non è quella di Faust né quella di Prometeo, ma piuttosto la magra consolazione del destino di ‘Ndrja, che ci appare all’inizio della narrazione opaco per acquistare progressivamente una dolorosa e cristallina chiarezza. Come ogni vero cercatore non resiste agli eventi, se ne lascia attraversare ed impregnare; alla fine passerà lo stretto e sarà arricchito da mille esperienze, ma l’unico uso inconsapevole che ne farà sarà quello di andare verso la sua morte, futile ed inevitabile come alla fin dei conti è ogni morte, senza essere indifferente alla vita. Il resto è un segno a parabola, simbolico e reale, indecifrabile e intimorente. Si narra che la curiosità spinse Empedocle a gettarsi nel vulcano. Ma, puntualmente, il vulcano ne sputò il sandalo.

Stefano D’Arrigo I Fatti della Fera, a cura di W. Pedullà, Rizzoli Milano 2000
Stefano D’Arrigo Horcynus Orca, a cura di W. Pedullà Rizzoli, Milano 2003
Stefano D’Arrigo Cima della nobildonne, a cura di W. Pedullà Rizzoli, Milano, 2006
Siriana Sgavicchia Il folle Volo, Ponte Sisto, Roma, 2005
Harold Bloom Il Canone Occidentale, Rizzoli, Milano 2008
Samuel Beckett Trilogia, a cura di A. Tagliaferri, Einaudi, Torino 1997
Ignazio Licata La Logica Aperta della Mente, Codice Edizioni Torino 2008
Alessandro Giuliani, Joseph P. Zbilut, L’Ordine della Complessità, Jaca Book, Milano 2009
Peter Pesic Labirinto - Alla ricerca del significato nascosto della scienza
Bollati Boringhieri, Torino 2006


Ignazio Licata - Institute for Scientific Methodology, Palermo
ignazio.licata@ejtp.info

tratto da (L'Illuminista, Rivista di Cultura Contemporanea diretta da Walter Pedullà, n 25/26, anno IX, Speciale Stefano D'Arrigo,pp.189-197)

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