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venerdì 1 febbraio 2013
giovedì 31 gennaio 2013
Giuseppe Calogiuri con il suo Tramontana (Lupo editore) al Cibo per la mente di Taranto
Venerdì 1 febbraio 2013 alle ore
19.00 al “Cibo per la Mente”
Caffè Letterario a Taranto (Via Duomo, Palazzo Gennarini), è prevista la
presentazione del nuovo libro di Giuseppe Calogiuri “Tramontana” edito da Lupo
editore. Dialogherò con l'autore.
Una inquietante sequenza di
oscure morti e sparizioni agita le acque di una tranquilla cittadina del sud
coinvolgendo indistintamente rampolli di buona famiglia, onesti professionisti
e modesti lavoratori. L’apparente gratuita casualità dei fatti mette in allerta
il fiuto di Michelangelo Romani, giornalista del Messaggero Quotidiano, e di
Sandro Gennari, direttore di TeleCittàUno, che decidono di investigare
nonostante la servile prudenza dei rispettivi editori quando l’indagine sembra
infastidire le poltrone di politicanti affaristi o turbare antiche coscienze.
Affiancati dalla fedele Carla, i due amici si mettono ostinatamente in cerca di
polverosi “scheletri” negli armadi più insospettabili, seguendo l’esile filo di
una traccia che appare sempre più sfuggente, in attesa del segnale anomalo
rivelatore. Cosa sa il vecchio colono Antimo? E chi è il cinico giustiziere? Un
giallo tutto salentino in cui lo studio delle atmosfere d’ambiente si sposa con
la scrittura elegante e il gusto della suspense.
Giuseppe Calogiuri - Nato a Lecce
e qui vive e lavora come avvocato specializzato in diritto d’autore e degli
artisti. Già cronista e reporter per quotidiani e riviste locali,
all’avvocatura associa l’attività di chitarrista blues e jazz. Scrittore sin
dall’età giovanile, ha esordito nella narrativa nel 2005 (premio “Corto
Testo”). Scrive su ogni pezzo di carta gli capiti tra le mani. Tramontana è il
primo romanzo della serie con protagonista il giornalista Michelangelo Romani.
Taranto (Taranto)
Cibo per la mente
ore 19:00
ingresso libero
Info. 099/4007520
Novità: “GoodMooning!” di Stefano Saldarelli (Phasar Edizioni)
La missione spaziale che portò
l’uomo sulla Luna nel luglio 1969 non fu la prima. Anche se di pochi mesi, fu
preceduta da un’altra. Assolutamente top secret. Poiché la posta in gioco era
altissima e gli imprevisti inimmaginabili, fu deciso di inviare alcuni
volontari sulla Luna per preparare lo sbarco ufficiale. Questo libro raccoglie
i diari di missione del programma spaziale più segreto al mondo, oggi
conosciuto grazie al contributo di alcuni testimoni chiave che hanno messo a
rischio la loro vita per far luce sul caso di insabbiamento più importante
della storia. Questa missione fu battezzata GoodMooning! ed oggi voi
conoscerete la verità.
Stefano Saldarelli è nato a
Firenze il 21 settembre 1969,
in pieno programma spaziale Apollo.
Da sempre è appassionato di
fantascienza e missioni spaziali. Vive e lavora a Prato dove svolge l’attività
di grafico freelance (www.achrom.it). Nell’inseguire i propri sogni, nel 2006
progetta e realizza l’allestimento dell’ambiente di lavoro nel quale svolge la
propria attività, prendendo ispirazione dal design della serie televisiva
“Spazio1999” (www.studio1999.it). Alla fine del 2009 studia e realizza il logo
GoodMooning! e l’astronauta John Doe. All’inizio del 2012 il sogno GoodMooning!
prende vita attraverso la realizzazione di alcuni disegni che vengono poi
riprodotti su t-shirt e “mug”. Nascono parallelamente anche alcune brevi storie
che cominciano ad essere raccolte in un blog (www.goodmooning.it). Queste
storie si sviluppano e a dicembre 2012 diventano un libro, questo libro…
"GoodMooning!", Stefano Saldarelli, Phasar Edizioni, 2012,
€11, ISBN: 978-88-6358-167-6, pp. 122
Visita il sito dell’autore.
Scarica l’anteprima del libro in formato PDF
Info:
Vedi il BookTrailer di "GoodMooning!" su YouTube
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mercoledì 30 gennaio 2013
Prove di libertà di Stefano Dal Bianco (Mondadori). Intervento di Nunzio Festa
Decorato a suo tempo d’alloro dal
critico Mengaldo, il poeta Stefano Dal Bianco, dopo oltre un decennio
dall’ultima opera letteraria, ridiscute la sua poesia con “Prove di libertà”.
Scandito dalle sette note del pentagramma, il libro si rasserena solamente
nelle brevi prose poetiche poste quasi a far da pausa al navigare. Nell’agire,
invece, è più che compulsivo. Anche quando, pure senza dimostrarlo
sfacciatamente, parla dei doveri sentimentali. Esplorando le grazie dell’esser
padre. Le cadute arrivano molto prima dei passaggi che intercettano le dolci
violenze dedicate all’Io. Debolezze che san di canzonetta battistiana, per
giunta. Eppur l’imperfezione, allora, condisce il Prove di libertà dell’olio
dell’arte. Il meglio e il peggio di Dal Bianco è tutto comunque in questi
versi: “Qui davanti alla finestra bellissimo / c’è un arcobaleno ogni tre
giorni / che canta la gloria di Dio, e io / che me ne faccio?”. La Fede ‘anti-retorica’ assicura
la forza della parola. Mentre il frugare nelle tasche del semplice ammorbidisce
il Tono. In “Arcobaleno”, questo il titolo esemplare della composizione,
abbiamo Dal Bianco. Per intero. Prima di mischiare, invece, il verso
impareggiabile con il male del petto a petto con la poesia stessa, anzi
solamente con la parola “poesia”. (E’ necessario che ci si sbatta? E l’han
fatto i più grandi, - e lo fanno e faranno i minori). Le poesie destinate agli
sguardi dal finestrino della vita, invece, partono lentamente. Ma per divenire
frenesia pura. Non serve, in effetti, farsi afferrare dalla chiusa. Per
capirlo. Ché le chiuse portano i puntini di sospensione alla ricerca. Non
terminano. Saluta il mondo Stefano Dal Bianco. Quando s’inabissa nella propria
dimensione personale. Dove la navigazione si tiene ferma nei contrappunti del
parlare. Non è parlato, quello del poeta. Comunque. Però la voce dice. Il metro
tutt’altro che antico si ricopre di nudità allevando negli scatti facili la
semplicità dell’errore dovuto all’incedere. I cambi di passo, ritmo, lo
testimoniano. Il poeta Dal Bianco si scrolla di dosso le regole dell’accademia.
In quanto vuole fidarsi ciecamente di se stesso, affidarsi a sé stesso. Come se
il mondo fosse piccolo. Consapevole, di contro, della sua vastità. Ascoltata.
martedì 29 gennaio 2013
Nel vento di Emiliano Gucci (Feltrinelli). Intervento di Nunzio Festa
"Nel 1992 mio padre uccise
mio fratello nella neve. Nel 2007 ho perso Caterina per sempre. Io per questi
motivo corro". L'incipit infuocato, a dir poco lampante, del romanzo
scritto dal libraio part-time toscano, Emiliano Gucci, attacco camusiano e
decisivo, soccorre il titolo dell'opera, "Nel vento". E definitiva è
la corsa del protagonista del libro. Alla stregua del colpo lanciato dal
giudice di gara delle gare vitali del centometrista estraniato e gelido. Un
centrometrista che vuole, dopo dolori immani e fortificanti assai, la gara
perfetta: una vittoria nell'albo dell'eterno secondo; mentre scorrono nella
testa fantasie che sono molto più lancinanti della realtà, addirittura. Il
narratore autodiegetico del libro si concrentra e, allo stesso tempo, non evade
che sui blocchi di partenza. Dai quali deve darsi lo slancio, per scappare.
Perennemente. Correre via dal passato, in ogni caso. Ben conscio che sopravvive
in un mondo di steroidi e altre sostanze stupefacenti - utili alla corsa
sportiva. Ma, soprattutto, elementi che devono alimentare il fuoco delle
scommesse clandestine e di tutto il resto del giro d'affari del suo sport. Tra
falso e non vero. Mentre sa bene il protagonista di Nel vento, che l'irreale
certo che ha in testa lo porta a citare i suoi avversari con nomi che non sono
nomi. UNO, DUE, CINQUE. Persone identificate solamente con le postazioni che
coprono in pista. Dove il pensiero del fratello morto ammazzato dal padre,
crollato sulla neve fresca sotto i suoi occhi e l'abbandono senza remissioni di
peccato dell'unico amore della sua vita, lo tengono in stato di sana pazzia.
Davvero dunque "non ci si deve fermare a pensare". Gucci, autore tra
le altre cose dell'indimenticato "Donne e topi" (Fazi), ha fatto
proprio un "romanzo esistenzialista", come è stato definito dal
concittadino e anche lui giovane scrittore, Vanni Santoni. La lingua è
perfetta. Dalla quale, insomma, apprendiamo tutti i tormenti del protagonista
del romanzo. Perché non ci si può inzuppare dell'acqua della pioggia che lo
terrà sotto scacco. Ma uscendo da quella, riprendere l'ansia da 'prestazione'
della voce. Nel vento abolisce la presenza dei riflettori. Che pur ci sono.
Però li fa oggetto, al pari d'altri, della trama. Il discorso è attualissimo.
Eppure stravolge le regole della modernità che vorrebbero confini netti tra i
momenti della narrazione. Qui, infatti, il romanzo diventa imperdibile.
lunedì 28 gennaio 2013
CELEBRATION DAY, Led Zeppelin. Intervento di Giuseppe Calogiuri
Era il 1999 o giù di lì. Stavo
lavorando ad una serie di articoli sulla storia del rock e quello che narrava
la nascita dell’hard rock principiava così “Due accordi. In MI minore, suonati
da una Gibson diavoletta”. A distanza di quindici anni torno sul luogo del
misfatto parlando sempre di quelle due, stramaledette, note. Maledette, perchè
tutta la tiritera sul rock satanico parte essenzialmente da lì.
uuuuuuUUUUHHH!!!
rock sataaaaAAAHHHNICOOOOooooo
Ecco, questo dovrebbe aver fatto
allontanare i benpensanti.
Si diceva, due stramaledette note
in MI minore che ieri aprirono “Good Times, Bad Times” primo solco del
monumentale “Led Zeppelin” e che oggi, a distanza di oltre quarant'anni, aprono
il lussuosissimo Celebration Day, ricco cofanetto di ciddì e divvuddì con la
fedelissima ripresa audiovideo del concerto tenutosi nel 2007 alla londinese O2
Arena dal quartetto che ci ha insegnato le scale pentatoniche minori sul quinto
tasto.
Che, poi, diciamolo. Abbiamo
spulciato iutùb, torrent ed emiùl alla ricerca di una ripresa audiovideo
decente che potesse testimoniare quel che sei anni fa è accaduto in quella O2
che vibrava di feedback ad otto ohm e di Plantiani gridolini femminei
dell'appollineo dio del falsetto rock. Niente di niente, solo ripresine con
quei cellulari che ci han fatto dimenticare gli ustionanti accendini di
SanSiriana memoria. Sono stati parchi, gli Zep. Come sempre. Ci han fatto attendere, e
parecchio, con l'usuale giochetto del no, ci mancherebbe, ma forse chissà. E il
tempo che si è dovuto attendere è stato benedetto.
Ops.
Maledetto.
Maledettissimo.
Dall'onnipresente Cornuto del
Rock.
Novità: “Panni sacri” di Roberta Pilar Iarussi, ebook 06 Musicaos.it
disponibile qui:
“Ho stretto con forza il mio
sesso giovane e l’ho spinto fuori da me. Ho chiuso le gambe. Ho irrigidito
tutti i muscoli fino a sentire dolore. Ho serrato la bocca. Mi ha sporcato
l’inguine di liquido giallastro senza seme, andava fiero del suo pesce morto
come fosse un trofeo di guerra. Prima dell’orgasmo che non è arrivato più, ha
sussurrato alcune parole in disordine, sbattevano nell’abitacolo della macchina
e nella mia pancia e da tutte le parti…” (Panni sacri)
In un piccolo centro del nostro
sud, decadente e insieme rassicurante, un prete anziano, socialmente impegnato
e sensibile alle ferite dell’umanità, incontra casualmente una bellissima
ragazza. La giovane donna è sola e anche il prete, a suo modo, lo è. Tra i due
nasce subito una forte intesa. L’uomo e la donna avviano una strana
frequentazione, a metà strada tra la voglia ingenua della donna di affidarsi
completamente e la smania dell’uomo di impastar le mani nelle vite degli altri.
La storia segue così un doppio filo narrativo: se nella vita vera, la ragazza
si confronta con un uomo maturo, spirituale, distante dai nodi carnali che
sempre complicano le relazioni, nella realtà virtuale, condita di chat erotiche
notturne e veloci sms, la donna ‘frequenta’ un “Ragazzo” giovane, desiderante e
lubrico. Evidentemente, però, le cose sono diverse da come appaiono. Il
racconto Panni sacri è parte di una mini raccolta che mette insieme tre diverse
storie accomunate dall’elemento di uno ‘strappo’. Il medesimo strappo in forme
differenti. L’Amore, non solo erotico, quindi, e quell’inevitabile lacerazione
che si porta appresso, quasi come se le due cose, piacere e ferita, fossero
inscindibili.
[dalla postfazione a "Panni
sacri", Luciano Pagano]
‘Due che fanno sesso virtuale,
come si chiamano?’. La prima domanda che compare in ‘Panni sacri’ di Roberta
Pilar Jarussi, è di una semplicità disarmante, eppure nasconde quello che sarà
uno degli atteggiamenti ricorrenti in tutta la narrazione, ovvero sia il
contrasto continuo tra sacro e profano, tra ingenuità nell’amore e esperienza
del sesso, tra conoscenza dei profondi anditi della psiche umana e ricerca
ossessiva della verità corporea, quando due, tre persone, hanno a che fare con
l’innamoramento e con la totale miscredenza delle reazioni che l’amore può
indurre, d’improvviso. La protagonista di questo racconto vive due storie
contemporaneamente, più esatto sarebbe dire che vive diverse storie, dato che
la schizofrenia amorosa, ad esempio nel rapporto con Ragazzo, si identifica con
il duplice rapportarsi all’immagine virtuale, digitale, web-voyeuristica e
all’immagine fisica, materiale, a quel verbo ricorrente con cui di denota
l’incontro e l’atto insieme, cioè il “prendersi”. Una realtà fatta di gesti,
atti, sequenze di prendere, stringere, abbandonare. Roberta Pilar Jarussi, in
questo suo trittico di storie che si intrecciano, presenta una vera e propria
fenomenologia dell’amor ‘intrapreso’, per tentativi, approcci, manovre lontane
che si appressano e diventano vere e proprie sospensioni di gravità. La cosa
che colpisce di più il lettore è sempre questo correre su un crinale, da una
parte la purezza della carne e dall’altra la (presunta) falsità di uno spirito
che ambisce a qualcosa di impossibile, salvare le capre e i cavoli, avere
tutto, possedere la carne e dominare il pensiero, carpire, se c’è, l’amore
cerebrale. Come se ciò non bastasse Celso, il francescano narcolettico esperto
in mercatali pesche miracolose e avances etoromani, è brutto e con la pancia,
mentre Ragazzo è bello, punto e basta. La protagonista del racconto sembra
oscillare come un pendolo tra entrambi, ed è come se la virtualità dell’amore,
a tratti, concedesse un po’ di stupore in avanzo al fatto che la forma fisica,
forse, non importa granché quando c’è di mezzo il desiderio.
Una lettura, quella di “Panni
sacri”, che procede rapidamente, come scorrendo delle polaroid, una dopo
l’altra, anticipando ciò che sarà, ripetendosi che no, la protagonista non
cadrà nel tranello, per poi scoprire che è come se questi tranelli, in fondo,
fanno parte di un gioco meditato, una partita a scacchi dove la regina è
circondata, per scelta, da una manciata di minuscoli pedoni. Fino al culmine
del suo personale viaggio al termine della notte, in un ‘solito’ pomeriggio,
sudicio e afoso, col finestrino abbassato per respirare, in attesa di un
afflato che non è spirito, perché lo spirito oramai se l’è squagliata…chissà
che fine ha fatto, da questo quadro così perfetto, lo spirito.
Roberta Pilar Jarussi ha
pubblicato il romanzo “Nella casa” (2003, Palomar – collana Cromosoma Y,
diretta da Michele Trecca e Andrea Consoli) e Dal vivo, racconti (2002 ,
zerozerosud). Nell’ottobre 2003, è selezionata a ‘Ricercare’
convegno-laboratorio per nuove scritture (Reggio Emilia), con un brano
dell’allora inedito romanzo “Nella casa”. Collabora con BooksBrothers, sito e
laboratorio letterario, che ha prodotto l’antologia “Frammenti di cose volgari
– Acqua passata – Volume Uno 2006/08”, a cura di Maurizio Cotrona e Antonio
Gurrado (2009), nella quale sono presenti alcuni suoi racconti inediti. È
operatrice culturale della Biblioteca Provinciale di Foggia. Dal 2006 al 2009, ha curato il
progetto e Premio Letterario nazionale ‘Libri a trazione anteriore’ della
Provincia di Foggia, in collaborazione con Casa Circondariale di Foggia, con la
direzione artistica di Michele Trecca, che includeva, in Carcere, un ciclo di
incontri con gli autori ed eventi per i detenuti’; ha collaborato con il
Kollettivo – associazione studentesca dell’Università degli Studi Foggia, nella
realizzazione delle prime edizioni di BAOL – concorso letterario per scrittori
esordienti, rivolto agli studenti e ai detenuti di Foggia, giunto ora alla sua
4° edizione.
Nel 2006 ha curato
l’organizzazione del convegno nazionale sui blog letterari, “Le tribù dei
Blog”, tenutosi a Foggia e al quale hanno partecipato (anche) Christian Raimo,
Maurizio Cotrona, Giulio Mozzi, Michele Trecca, Enzo Verrengia, Anna Maria Paladino,
Rossano Astremo, Ivano Bariani, Luciano Pagano, Silvana Rigobon, Fabio
Dellisanti, Manila Benedetto.
Ha collaborato con il gruppo di
musica popolare ‘I cantori di Carpino’ e con studiosi e portatori della
tradizione, lavorando sulla struttura originaria della Danza Tradizionale
Pugliese e sulle sue contaminazioni.
Il suo blog personale è “In punta
di dita”: http://robertajarussi.blogspot.com/
domenica 27 gennaio 2013
sabato 26 gennaio 2013
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