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mercoledì 30 gennaio 2013

Prove di libertà di Stefano Dal Bianco (Mondadori). Intervento di Nunzio Festa



Decorato a suo tempo d’alloro dal critico Mengaldo, il poeta Stefano Dal Bianco, dopo oltre un decennio dall’ultima opera letteraria, ridiscute la sua poesia con “Prove di libertà”. Scandito dalle sette note del pentagramma, il libro si rasserena solamente nelle brevi prose poetiche poste quasi a far da pausa al navigare. Nell’agire, invece, è più che compulsivo. Anche quando, pure senza dimostrarlo sfacciatamente, parla dei doveri sentimentali. Esplorando le grazie dell’esser padre. Le cadute arrivano molto prima dei passaggi che intercettano le dolci violenze dedicate all’Io. Debolezze che san di canzonetta battistiana, per giunta. Eppur l’imperfezione, allora, condisce il Prove di libertà dell’olio dell’arte. Il meglio e il peggio di Dal Bianco è tutto comunque in questi versi: “Qui davanti alla finestra bellissimo / c’è un arcobaleno ogni tre giorni / che canta la gloria di Dio, e io / che me ne faccio?”. La Fede ‘anti-retorica’ assicura la forza della parola. Mentre il frugare nelle tasche del semplice ammorbidisce il Tono. In “Arcobaleno”, questo il titolo esemplare della composizione, abbiamo Dal Bianco. Per intero. Prima di mischiare, invece, il verso impareggiabile con il male del petto a petto con la poesia stessa, anzi solamente con la parola “poesia”. (E’ necessario che ci si sbatta? E l’han fatto i più grandi, - e lo fanno e faranno i minori). Le poesie destinate agli sguardi dal finestrino della vita, invece, partono lentamente. Ma per divenire frenesia pura. Non serve, in effetti, farsi afferrare dalla chiusa. Per capirlo. Ché le chiuse portano i puntini di sospensione alla ricerca. Non terminano. Saluta il mondo Stefano Dal Bianco. Quando s’inabissa nella propria dimensione personale. Dove la navigazione si tiene ferma nei contrappunti del parlare. Non è parlato, quello del poeta. Comunque. Però la voce dice. Il metro tutt’altro che antico si ricopre di nudità allevando negli scatti facili la semplicità dell’errore dovuto all’incedere. I cambi di passo, ritmo, lo testimoniano. Il poeta Dal Bianco si scrolla di dosso le regole dell’accademia. In quanto vuole fidarsi ciecamente di se stesso, affidarsi a sé stesso. Come se il mondo fosse piccolo. Consapevole, di contro, della sua vastità. Ascoltata.
   

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