Tra melma e sangue è un’opera da custodire. Rossi, il curatore dell’imponente lavoro, ha compiuto un’operazione che potrà essere segnalata per anni. Le righe di una recensione, lunga o breve che questa sia, non potranno mai presentare in maniera adeguata il volume. Che tanto per cominciare, le poesie sono tutte commentate. Eppure è indispensabile e doveroso dire. Clemente Rebora, il Rebora di queste poesie e lettere, da più parti definito tra i migliori poeti del Novecento italiano, suda versi in tempo di Prima guerra mondiale che fanno marcire ogni pur piccolissima idea sul fatto che la guerra possa non essere la più grande barbarie voluta dall’uomo. Siamo di fronte a un dramma e il dramma vitale di Clemente Rebora è scritto con poesia drammatica. Due pezzi estorti al libro servono per argomentare l’unico punto che forse con meno forza era venuto fuori. “La sciagura ritmava in lontananza; / Or s’avvicina. Il patrio terreno / In bilico, già crolla: / E’ un invito di danza… / Signori, alla coda!”. Il secondo: “Poesia, arpeggiante / Zanzara che succhi dal sangue, / Or ciascuno t’intende / E si difende”. I due estratti, in parallelo, ci spiegano di un elemento unico. La poesia di Rebora, nei contenuti, dimostra quello che la guerra provoca nell’individuo oltre che nelle categorie e persino nelle classi. Il canto individuale ma frutto di una sostanza collettiva, il canto spropositato in quanto pure privo a grandi linee di liricità, dice di quello che la guerra combina in ogni uomo e non solamente negli uomini tutti. La tanto citata spiritualità di Rebora è proprio questa prova. Il prima e il durante la guerra, con tutto il suo dopo, sono la poesia stessa di Clemente Rebora, anzi un pezzo della sua esistenza appunto provata dallo sconvolgente avvenimento. I versi di Rebora, ma persino le lettere, riproducono (termine qui utilizzato in chiave comunque salvifica per l’autore) l’animo dell’io di ciascun individuo a contatto con la tragedia.
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lunedì 9 febbraio 2009
Tra melma e sangue. Lettere e poesie di guerra, di Clemente Rebora, a cura di Valerio Rossi, Interlinea edizioni. Recensione di Nunzio Festa
Tra melma e sangue è un’opera da custodire. Rossi, il curatore dell’imponente lavoro, ha compiuto un’operazione che potrà essere segnalata per anni. Le righe di una recensione, lunga o breve che questa sia, non potranno mai presentare in maniera adeguata il volume. Che tanto per cominciare, le poesie sono tutte commentate. Eppure è indispensabile e doveroso dire. Clemente Rebora, il Rebora di queste poesie e lettere, da più parti definito tra i migliori poeti del Novecento italiano, suda versi in tempo di Prima guerra mondiale che fanno marcire ogni pur piccolissima idea sul fatto che la guerra possa non essere la più grande barbarie voluta dall’uomo. Siamo di fronte a un dramma e il dramma vitale di Clemente Rebora è scritto con poesia drammatica. Due pezzi estorti al libro servono per argomentare l’unico punto che forse con meno forza era venuto fuori. “La sciagura ritmava in lontananza; / Or s’avvicina. Il patrio terreno / In bilico, già crolla: / E’ un invito di danza… / Signori, alla coda!”. Il secondo: “Poesia, arpeggiante / Zanzara che succhi dal sangue, / Or ciascuno t’intende / E si difende”. I due estratti, in parallelo, ci spiegano di un elemento unico. La poesia di Rebora, nei contenuti, dimostra quello che la guerra provoca nell’individuo oltre che nelle categorie e persino nelle classi. Il canto individuale ma frutto di una sostanza collettiva, il canto spropositato in quanto pure privo a grandi linee di liricità, dice di quello che la guerra combina in ogni uomo e non solamente negli uomini tutti. La tanto citata spiritualità di Rebora è proprio questa prova. Il prima e il durante la guerra, con tutto il suo dopo, sono la poesia stessa di Clemente Rebora, anzi un pezzo della sua esistenza appunto provata dallo sconvolgente avvenimento. I versi di Rebora, ma persino le lettere, riproducono (termine qui utilizzato in chiave comunque salvifica per l’autore) l’animo dell’io di ciascun individuo a contatto con la tragedia.
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