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giovedì 18 novembre 2010

Fame di realtà. Un manifesto, di David Shields, traduzione di Marco Rossari, prefazione di Stefano Salis (Fazi). Intervento di Nunzio Festa












Questo fondamentale libro di David Shields deve essere nostro. “Fame di realtà”, col chiaro sottotitolo, apparentemente fuorviante ma tutto puntuale all’opera, appunto, “Un manifesto”, del romanziere possiamo dire pentito, oramai, David Shields, è uscito, anche se solamente quest’anno – quindi bel plauso all’editore italiano – prima negli Usa col titolo “Realty Hunge. A Manifesto”; perché si deve partire da questo? Proprio in quanto, e già ad anticipare l’ingresso in libreria, le argomentazioni (è soprattutto il loro svilupparsi, il metodo quindi) hanno provocato un bellissimo e fluido dibattito negli States. Al quale diversi ottimi scrittori, compreso per dire la scrittrice Smith, presero parte. E giustamente. In quanto, ricominciamo, questo piccolo capolavoro di “teoria letteraria” presenta tesi innovative e impostazione rivoluzionaria. Non che si debba necessariamente, e magari a tutto tutto, d’accordo. Eppure non si può che riconoscere lo stravolgimento delle abitudini alle quali invita Shields. E che, innanzitutto, David Shields opera. Spiega, tra l’altro. ‘Giustifica’. In che senso, retoricamente e funzionalmente abbiamo messo partenza col dire che “Fame di realtà” deve essere nostro? Che, in Italia, altro che la Francia stata o l’Inghilterra che fu eccetera, abbiamo per dire avuto casi che vanno e sono andati da “Il nome della rosa” a tantissimo più oltre. Il realismo. Fino al neorealismo. E, dunque, tutto quello che è successo a seguire. Sfinendoci, e non tenendo conto delle ‘prescrizioni’ dell’autore, per entrare meglio nel libro si potrebbe leggere l’appendice. Allora non lo si farà. Meglio di no. Il testo imprescindibile di Shields esplora la letteratura. In specie quella americana, del Nord America per l’esattezza. Dalle definizioni di memoir e lyric essay e fiction e non-fiction. Per rifarci alle forme attuali che sono e dovrebbero, per l’autore David Shields, d’espressività. Con puntate, precisamente, ai film, e alla pittura. Un viaggio nella narrazione, nel narrare. Sulla verità e sulla realtà che non può starci. Il ribelle D. Shields miscela parole di tanti altri, uno esempio: J. M. Shilds. Segue la ‘logica’ del collage. Per ragionare sulla forma espressiva in divenire. In progress stretto. Stretto stretto stretto. A sentire Shields è necessario sempre e comunque destrutturare la stessa narrazione della narrazione della realtà, del narrare spingendo sul piede della racconto reale, che è solamente realistico. Nel frattempo, pochi tempo fa, il signor McEwan e il buon Roth che servono gocce di reale imbevute in centilitri di Falso. Ci saranno autrici e autori disposti a continuare la strada segnata dal ‘Manifesto Shields’? Si vedrà. Per il momento non ci resta che piangere e ridere, a sentire le frasi mandateci da David Shields. Firmatario d’opera imperdibile. Il ragionamento dell’autore statunitense, adesso, apre ampi spazi di dialogo. D’ipotesi. L’importante è che sia solo a bacio sulla letteratura. In ciò, anzi prima, la traduzione accurata di Rossari e, più dentro, la prefazione dell’italianissimo Stefano Salis aggiungono tratti spigolosi. A creare, ovunque, fame di realtà. Al di là della smarrimento suadente di sperimentare quel che rimane dalla realtà.
Fame di realtà. Un manifesto, di David Shields, traduzione di Marco Rossari, prefazione di Stefano Salis, Fazi (Roma, 2010, pag. 262, euro 18.50.

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