In "Cena a
sbafo" l'autore ci parla del suo mondo, fatto di ippodromi e di scommesse,
di bar di quart'ordine e di bevute, di camere in affitto e di incontri e
rapporti occasionali; e lo fa con il graffiante umorismo di sempre, raccontando
la sua America perduta, i suoi emarginati cronici, i suoi vigliacchi e i suoi
vinti. Ma anche, e soprattutto, raccontando di sé, delle sue sconfitte e della
sua fama crescente di scrittore, che non di rado vive come una condanna alla
persecuzione. Scrivere rappresenta per lui un gesto scaramantico, l'esorcismo
violento di chi non accetta di piegarsi alle logiche di un mondo che lo ha
troppo a lungo escluso per poterlo sedurre adesso, da vecchio. Bukowski
possiede il dono della sincerità, di una lucidità dello sguardo che non sa e
non vuole negare la bruttezza, quella del mondo e della gente, ma anche la
propria. Ed è, forse, un tale disincanto che potrà salvare chi ha scritto
questi versi, denunciando anche se stesso pur di trovare un riscatto che sia di
conforto.
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