Credo che qualunque
scrittura non possa (e, soprattutto questa, non debba) sottrarsi dal rispondere
almeno a una delle domande note con la regola delle cinque W. L’ideale sarebbe
non trascurarne neppure una. Ma l’idealità, si sa, è un’aspirazione e, per
definizione, essendo il tentativo di elevarsi spiritualmente oltre la realtà, è
irraggiungibile. Difficile, quindi, far aderire l’idea alla vita reale.
Difficile, ma non del tutto impossibile. E, anche questo è noto, le gesta
immortali son quelle che hanno fatto (o sono andate più vicine a realizzare)
concretezza di un sogno. Qualunque scrittura non può sottrarsi dal rispondere
almeno a una delle domande note con la regola delle cinque W. Oppure a porre
almeno una di quelle domande. Ossia: Who? (Chi?), When? (Quando?), Where?
(Dove?), Why? (Perché?), What? (Cosa?). Leggendo “Ebano” (Feltrinelli Editore,
Collana: Universale Economica, traduzione di Vera Verdiani, pagine 280, € 8,00
), di Ryszard Kapuściński (1932 – 2007), il miracolo è compiuto! Questa la
sensazione che ho percepito alla fine di questo libro che ho distillato a un
ritmo equatoriale perché desideravo non fosse mai l’ultima pagina. Una specie
di magia. Non solo ho trovato tutte le risposte alle suddette domande, ma ho
dovuto pormi almeno altrettanti interrogativi. Ho spesso citato “Ebano” e di
Kapuściński altre volte ho scritto. Porsi domande è bene. Non trovare le
risposte può diventare un problema. Secondo Kapuściński ogni crisi è la
conseguenza di una domanda a cui non può darsi risposta. Ma c’è crisi e crisi.
Per quella che attanaglia oggi l’Occidente la risposta ci sarebbe, ma non viene
praticata. E ahi voglia a parlare di decrescita felice… ma nella coscienza
collettiva qualcosa si muove… c’è che, come sempre, è necessario iniziare da
sé! E, a proposito di incipit, così comincia “Ebano”: “La prima cosa che
colpisce è la luce. Luce dappertutto, forte, intensa. Sole dappertutto. Solo
ieri, la Londra
autunnale, inondata di pioggia. L'aereo lucido di pioggia. Il vento freddo,
l'oscurità. Qui, di primo mattino, l'aeroporto inondato di sole e noi tutti
immersi nel sole. In passato, quando gli uomini giravano il mondo a piedi, a
cavallo o per nave, il viaggio dava loro il tempo di abituarsi al cambiamento.
Le immagini della terra scorrevano con lentezza, la scena del mondo si spostava
un po' alla volta. Un viaggio durava settimane, mesi. L'uomo aveva il tempo di
abituarsi al nuovo ambiente, al nuovo paesaggio. Anche il clima mutava gradualmente,
a tappe successive. Prima di raggiungere la fornace equatoriale, il viaggiatore
proveniente dalla gelida Europa aveva già attraversato il grato tepore di Las
Palmas, la canicola di El-Mahara e l'inferno di Capo Verde…”. Questo libro, che
non è (come alcuni hanno scritto) un romanzo, raccoglie una serie di reportage
del grande giornalista-narratore nel continente madre. E, per dirla con le sue
parole, “Questo libro non parla dell’Africa, ma di alcune persone che vi
abitano e che vi ho incontrato, del tempo che abbiamo trascorso insieme.
L’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un oceano, un
pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo. È solo per semplificare e
per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione
geografica, in realtà l’Africa non esiste”. Esistono, invece, i luoghi vissuti
e le persone incontrate dal viaggiatore Kapuściński, che –evitando
accuratamente ogni stereotipo- s’immerge nella vita dei neri e si lascia
sommergere dalla cruda esistenza dei popoli africani, cogliendone
contraddizioni e ricchezza. Una ricchezza che nulla ha a che fare col concetto
che questo lemma evoca (ancora) qui, dov’io sto! La ricchezza che emerge dalle
pagine di questo libro è quella insita nel significato di ogni rapporto
dell’uomo con l’uomo: trasmettersi sapere. Condividendo momenti. Qualcosa che
non si può comprare in nessun supermercato! “In un paese ricco, i soldi sono
pezzi di carta con cui si possono comprare oggetti di consumo al mercato. In
questo modo siamo solo clienti. Perfino un milionario è solo un cliente e
niente di più. E in un paese povero? In un paese povero, i soldi sono una
stupida barriera, bizzarra e spesso fiorente, che separa da qualsiasi altra
cosa”. L’altro è il tema fondamentale di “Ebano”, l’altro come ricchezza.
Qualunque scrittura non può sottrarsi dal rispondere almeno a una delle domande
note con la regola delle cinque W. Oppure a porre almeno una di quelle domande.
Ora non posso e non voglio più dire di domande e risposte. Ognuno ha le
proprie. Spesso ignoriamo quelle altrui. Quelle che aprono all’occhio la via
dell’anima. E indicano la via del fare. Qui e adesso. O così dovrebbe essere.
LEGGETE QUESTO LIBRO! Ché basta una lettura e poco altro per vivere bene.
Sottraete gente. Sottraete.
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