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venerdì 13 aprile 2012

ODINEA PAMICI


“Mentre stavo costruendo un tavolo con tante mele sovrapposte di gesso, infinite mele che diventavano una montagna di mele e il tavolo scompariva quasi inghiottito da queste mele, e il tempo passava ed io continuavo a produrre mele di gesso e quando il piacere si esaurì nel fare distrussi il tavolo e tutte le mele, mi consolai con la nutella. Questa fu la mia prima crociata. Nella ricerca della montagna scoprii la rovina di un delirio, stavo costruendo un insolito costrutto ma attraverso tale edificazione capii che volevo definire un gesto. Arrivò il mio turno quando l’uomo mi disse che l’arte è cosa da uomo e di tornare a casa e fare la calzetta, tornai appunto a casa e della calzetta feci il mio lavoro e della casa la mia professione. Cominciai a lavorare sull’autentico, nella casa appunto, per superare quella giustapposizione tra pensiero artistico ed essere donna: il ruolo assurgeva a simbolo stesso di femminilità. Ecco che iniziai a sviluppare una dimensione quotidiana vivendo l’arte come esistenza congiunta alle pratiche manuali, all’aspetto più umile delle fatiche femminili, quello che si consuma all’interno della casa in gesti e rituali ripetuti, come nutrire, vestire, preparare la tavola, conservare il cibo. Conservare tutta la casa svolgendo il domopak su mobili e suppellettili. Nei cassetti della storia seppellii la mia cravatta e senza rappresaglie, ma con estrema libertà, sperimentai le gioie del grembiulino e il birkenstock; mi calai dolcemente nella veste di sposa, nella veste di madre e feci del croco le mie forme, del nardo i miei contenuti fino a cingermi d’alloro il capo e ripetei e ripetei il mio canto... così il lavoro nasceva come mimesi dell’esperienza vissuta, senza prigioni ma con la coscienza di usare proprio quei mezzi domestici per riportarli stravolti sul piano dell’arte.

La casa diventava oggetto di discorso, viverci dentro e proiettarla fuori significava cercare un valore di discussione mettendo in campo un senso di responsabilità nei confronti della propria esistenza, della propria situazione: l’oltraggio al pudore di voler essere madre, moglie e artista. L’arte come diceva Caravaggio è attività morale, è immergersi nella realtà, perchè dipingendo si rifà e si rivive il fato. Ripeto e rivivo il gesto nel luogo dove si consumano storie e memorie tra ciò che si fa e si faceva, concentro l’attenzione su tutto, simpatizzo con tutto ciò che manipolo tra le mani. Niente di straordinario, oggetti e gesti comuni che mi stanno sotto il naso: l’abituale, l’ordinario, le faccende di ogni giorno - Odinea Pamici” (l’opera qui proposta è di Odinea Pamici)

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