“Mentre stavo costruendo un tavolo
con tante mele sovrapposte di gesso, infinite mele che diventavano una montagna
di mele e il tavolo scompariva quasi inghiottito da queste mele, e il tempo
passava ed io continuavo a produrre mele di gesso e quando il piacere si esaurì
nel fare distrussi il tavolo e tutte le mele, mi consolai con la nutella.
Questa fu la mia prima crociata. Nella ricerca della montagna scoprii la rovina
di un delirio, stavo costruendo un insolito costrutto ma attraverso tale edificazione
capii che volevo definire un gesto. Arrivò il mio turno quando l’uomo mi disse
che l’arte è cosa da uomo e di tornare a casa e fare la calzetta, tornai
appunto a casa e della calzetta feci il mio lavoro e della casa la mia
professione. Cominciai a lavorare sull’autentico, nella casa appunto, per
superare quella giustapposizione tra pensiero artistico ed essere donna: il
ruolo assurgeva a simbolo stesso di femminilità. Ecco che iniziai a sviluppare
una dimensione quotidiana vivendo l’arte come esistenza congiunta alle pratiche
manuali, all’aspetto più umile delle fatiche femminili, quello che si consuma
all’interno della casa in gesti e rituali ripetuti, come nutrire, vestire,
preparare la tavola, conservare il cibo. Conservare tutta la casa svolgendo il
domopak su mobili e suppellettili. Nei cassetti della storia seppellii la mia
cravatta e senza rappresaglie, ma con estrema libertà, sperimentai le gioie del
grembiulino e il birkenstock; mi calai dolcemente nella veste di sposa, nella
veste di madre e feci del croco le mie forme, del nardo i miei contenuti fino a
cingermi d’alloro il capo e ripetei e ripetei il mio canto... così il lavoro
nasceva come mimesi dell’esperienza vissuta, senza prigioni ma con la coscienza
di usare proprio quei mezzi domestici per riportarli stravolti sul piano
dell’arte.
La casa diventava oggetto di discorso, viverci dentro e proiettarla fuori
significava cercare un valore di discussione mettendo in campo un senso di
responsabilità nei confronti della propria esistenza, della propria situazione:
l’oltraggio al pudore di voler essere madre, moglie e artista. L’arte come
diceva Caravaggio è attività morale, è immergersi nella realtà, perchè
dipingendo si rifà e si rivive il fato. Ripeto e rivivo il gesto nel luogo dove
si consumano storie e memorie tra ciò che si fa e si faceva, concentro
l’attenzione su tutto, simpatizzo con tutto ciò che manipolo tra le mani.
Niente di straordinario, oggetti e gesti comuni che mi stanno sotto il naso:
l’abituale, l’ordinario, le faccende di ogni giorno - Odinea Pamici” (l’opera
qui proposta è di Odinea Pamici)
QUI
Nessun commento:
Posta un commento