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domenica 4 marzo 2012

Caffè Buda. Intervento di Vito Antonio Conte


Forse ne scriverò. L’ho detto a me stesso, alla fine dell’anno scorso, dopo aver ascoltato due pezzi live eseguiti da (quelli di) “Piazza Indipendenza”. Poi, ho iniziato a ascoltare le dodici tracce del CD, fino a farmi accompagnare dai loro respiri durante il mio primo respiro in movimento, nel mentre in auto, la mattina, sulla strada raggiungo un luogo che certo una piazza non è. Adesso tutti e dodici i pezzi continuano a girarmi dentro, anche senza musica né parole nell’aria, anche quando non li ascolto. Ormai fanno parte del mio metabolismo. E “Piazza Indipendenza” non è più Max Vigneri & C., non è più il luogo aperto di un quartiere popolare di una città che non è più la stessa, non è più l’astrazione d’un reale, ma una storia narrata oggi e cominciata oltre mezza vita fa. Siccome “Caffè Buda” non è un ritrovo (di pensieri liberati nel fumo delle sigarette sorbendo una granita al limone) che non c’è più, ma un ricordo che (se fosse soltanto memoria resterebbe confinato nel passato, invece) pulsa forte nel sangue di chi non ha mai smesso di credere e di trasmettere il senso di ciò per cui è vissuto. E non c’è nostalgia in questo lavoro, ma ferma affermazione dell’evoluzione di un’idea, il risultato d’un cammino traverso (sì) quel che (per sé, ma non solo) non c’è più (radio libere, movimenti studenteschi, la politica come strumento di cambiamento del mondo, e via dicendo…), traverso delusioni cocenti, traverso frantumi di sogni (a volte degenerati in incubi), ma sempre trattenendo il valore dei valori: l’immarcescibile fede del fare nonostante tutto per tutti! Quella del proprio operare tra gli altri con passione, sognando, progettando, coltivando, prendendosi cura, realizzando qualcosa come se fosse l’ultima che si fa su questa Terra. No, non c’è nostalgia in “Caffè Buda”, non c’è nostalgia in “Piazza Indipendenza”, non c’è nostalgia nei testi delle “ballate” contenute in questo CD (Edizioni Musicali Città Futura - Lecce), ché mai ho percepito un qualsivoglia desiderio di ritorno a un tempo ormai chiuso. E anche per questo ho amato e amo il passato cantato da Max Vigneri. Ché, l’ho scritto detto e ripetuto fino alla noia, la nostalgia è perniciosa: è quella strana e selvaggia bestia che t’inchioda su qualcosa ch’è stato e, comunque, non potrà più tornare. Mai più! E mastica senza gusto i giorni tuoi. Che non sono più tuoi. Chi pensa di poter rivivere un momento andato non vive più. La bestia della nostalgia si ciba di te e ingrassando t’annienta. Fino a che non scompari. Meglio la malinconia, meglio quella sorta di tristezza che pure immobilizza e fa volere (non un ritorno, ma) qualcosa che non è stato. Almeno, da lì (a un certo punto) ci si può muovere, si può andare, si può cercare quel che non si è vissuto… O la si può sciogliere sorseggiando un bicchiere di buon vino rosso. O liberando una lacrima. Magari entrambe. La malinconia non illanguidisce i sensi come la nostalgia, li lascia in stand by. La nostalgia fotte e può deprimere. La malinconia, per dirla con Victor Hugo, è la gioia di sentirsi tristi. La nostalgia è un sole che tramonta per l’ultima volta. La malinconia è un sole oltre la linea d’orizzonte che non t’appartiene, ma che sai si leverà ancora. Con un sorriso. E che sia tuo dipende soltanto da te.  Così è “Caffè Buda”, un distillato di fine malinconia con effluvi di tristezza e di gioia. Uno scrigno che contiene storie d’un altro tempo diventate adulte, ri-viste senza desiderio di attualizzarle, ma col disincanto del presente che vuol diventare domani per raccontarlo. Insomma, l’importanza del passato senza il quale nessun uomo sarebbe tale. Per dire d’esserci adesso e qui. Praticando ancora la possibilità che un sogno possa divenire tangibile. Questo è il mio ascolto di “Caffè Buda”, nel mentre (sarà un caso?) sto leggendo d’un’altra Buda, capitale d’Ungheria, Budapest che oggi accoglie Buda, Pest e Óbuda, e d’un anomalo commissario Kruger… Ma questa, come dicono i sapienti (e purtroppo, a volte, anche i saccenti), è un’altra storia. Un’altra allegria. E, a questo punto, potrei dirvi di ogni singolo pezzo di questo CD, di “Quante storie” e di tutte quelle microstorie che scorrono in pochi minuti ma evocano (ché li contengono) temi eterni, potrei parlarvi di ogni singola traccia, ma credo d’aver speso già qualche parola tra le righe fin qui. E la musica è fatta per essere ascoltata, non per spendere inutili parole. E questo mio dire non farebbe una piega e potrei mettere un bel punto esclamativo se non fosse che la musica può essere, contenere o diventare anche poesia e se non fosse che le parole –se le si dà voce…- sono (prima d’ogn’altra cosa) suono. E possono essere, contenere o diventare musica. In “Caffè Buda” non c’è soltanto ottima musica, fatta di buoni arrangiamenti e sound gradevolissimo, con incursioni in diversi generi (dallo swing alla bossa nova a contaminare l’evidente origine cantautorale), ma ci sono anche testi importanti, che trasudano incanto poetico… è sufficiente ascoltare la seconda traccia del CD, “Marta ha 10 anni”, per comprenderlo: “Marta ha 10 anni e un futuro davanti / una stanza da curare e un cane molto piccolo / e se la guardi / mi ritrovi un po’ nei gesti suoi / e il mondo glielo regalerei / se fosse un mondo bello come lei / Marta ha 10 anni e un cuore grande / grande così… / si preoccupa di cose che non la riguardano / si preoccupa di cose enormi e stupide / di questo mondo che le regalerei / se fosse un mondo azzurro come lei / Marta ha 10 anni e molti amici fragili / è fragile anche lei / e si commuove subito / e piange e si dispera e mi fa ridere / pensa che questo mondo io lo trasformerò / in un mondo azzurro come lei”. Max Vigneri, lo senti dalla voce, mentre canta questo pezzo, dà qualcosa che non so tradurre, qualcosa che non è soltanto un’interpretazione, è molto di più. E i musicisti sono assolutamente all’altezza. Una grande bellezza. Per me questo pezzo è bellezza pura. Ché Max in “Marta ha 10 anni” non evoca atmosfere che ricordano Franco Battiato (come in “El Cid”), né solleticano parallelismi con Paolo Conte (come in “Due volte stupida”), ma è lui stesso un’atmosfera unica, irripetibile, straordinaria. È giusto menzionare i musicisti impegnati in questo “progetto”, non solo genericamente, ma uno a uno, con nome cognome e sensibilità: Debora Negro (tastiere & synth), Marco Maria Polo (basso elettrico), Angelo Benedetto (batteria), Irene Marchese (oboe) e, poi, un’altra voce, ma femminile: quella di Lucia (Lulù) Ingrosso, che lascia il segno in “Buonanotte children”. E questo pezzo (il mio, che state leggendo) chiudeva così: “E adesso che della loro musica ne ho scritto, via, andiamo al concerto. Basta parole!”. Dopo, però, non posso fare a meno di aggiungere che il concerto mi ha regalato “Marta ha 10 anni” completamente diversa da quella registrata, con una parte in più e le altre tre rimescolate. E, confermo, è il brano che mi piace di più.


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