Forse ne scriverò. L’ho detto a
me stesso, alla fine dell’anno scorso, dopo aver ascoltato due pezzi live
eseguiti da (quelli di) “Piazza Indipendenza”. Poi, ho iniziato a ascoltare le
dodici tracce del CD, fino a farmi accompagnare dai loro respiri durante il mio
primo respiro in movimento, nel mentre in auto, la mattina, sulla strada
raggiungo un luogo che certo una piazza non è. Adesso tutti e dodici i pezzi
continuano a girarmi dentro, anche senza musica né parole nell’aria, anche
quando non li ascolto. Ormai fanno parte del mio metabolismo. E “Piazza
Indipendenza” non è più Max Vigneri & C., non è più il luogo aperto di un
quartiere popolare di una città che non è più la stessa, non è più l’astrazione
d’un reale, ma una storia narrata oggi e cominciata oltre mezza vita fa.
Siccome “Caffè Buda” non è un ritrovo (di pensieri liberati nel fumo delle
sigarette sorbendo una granita al limone) che non c’è più, ma un ricordo che
(se fosse soltanto memoria resterebbe confinato nel passato, invece) pulsa
forte nel sangue di chi non ha mai smesso di credere e di trasmettere il senso
di ciò per cui è vissuto. E non c’è nostalgia in questo lavoro, ma ferma
affermazione dell’evoluzione di un’idea, il risultato d’un cammino traverso
(sì) quel che (per sé, ma non solo) non c’è più (radio libere, movimenti
studenteschi, la politica come strumento di cambiamento del mondo, e via
dicendo…), traverso delusioni cocenti, traverso frantumi di sogni (a volte
degenerati in incubi), ma sempre trattenendo il valore dei valori: l’immarcescibile
fede del fare nonostante tutto per tutti! Quella del proprio operare tra gli
altri con passione, sognando, progettando, coltivando, prendendosi cura,
realizzando qualcosa come se fosse l’ultima che si fa su questa Terra. No, non
c’è nostalgia in “Caffè Buda”, non c’è nostalgia in “Piazza Indipendenza”, non
c’è nostalgia nei testi delle “ballate” contenute in questo CD (Edizioni
Musicali Città Futura - Lecce), ché mai ho percepito un qualsivoglia desiderio
di ritorno a un tempo ormai chiuso. E anche per questo ho amato e amo il
passato cantato da Max Vigneri. Ché, l’ho scritto detto e ripetuto fino alla
noia, la nostalgia è perniciosa: è quella strana e selvaggia bestia che
t’inchioda su qualcosa ch’è stato e, comunque, non potrà più tornare. Mai più!
E mastica senza gusto i giorni tuoi. Che non sono più tuoi. Chi pensa di poter
rivivere un momento andato non vive più. La bestia della nostalgia si ciba di
te e ingrassando t’annienta. Fino a che non scompari. Meglio la malinconia,
meglio quella sorta di tristezza che pure immobilizza e fa volere (non un
ritorno, ma) qualcosa che non è stato. Almeno, da lì (a un certo punto) ci si
può muovere, si può andare, si può cercare quel che non si è vissuto… O la si
può sciogliere sorseggiando un bicchiere di buon vino rosso. O liberando una
lacrima. Magari entrambe. La malinconia non illanguidisce i sensi come la
nostalgia, li lascia in stand by. La nostalgia fotte e può deprimere. La
malinconia, per dirla con Victor Hugo, è la gioia di sentirsi tristi. La nostalgia
è un sole che tramonta per l’ultima volta. La malinconia è un sole oltre la
linea d’orizzonte che non t’appartiene, ma che sai si leverà ancora. Con un
sorriso. E che sia tuo dipende soltanto da te.
Così è “Caffè Buda”, un distillato di fine malinconia con effluvi di
tristezza e di gioia. Uno scrigno che contiene storie d’un altro tempo
diventate adulte, ri-viste senza desiderio di attualizzarle, ma col disincanto
del presente che vuol diventare domani per raccontarlo. Insomma, l’importanza
del passato senza il quale nessun uomo sarebbe tale. Per dire d’esserci adesso
e qui. Praticando ancora la possibilità che un sogno possa divenire tangibile.
Questo è il mio ascolto di “Caffè Buda”, nel mentre (sarà un caso?) sto
leggendo d’un’altra Buda, capitale d’Ungheria, Budapest che oggi accoglie Buda,
Pest e Óbuda, e d’un anomalo commissario Kruger… Ma questa, come dicono i
sapienti (e purtroppo, a volte, anche i saccenti), è un’altra storia. Un’altra
allegria. E, a questo punto, potrei dirvi di ogni singolo pezzo di questo CD,
di “Quante storie” e di tutte quelle microstorie che scorrono in pochi minuti
ma evocano (ché li contengono) temi eterni, potrei parlarvi di ogni singola
traccia, ma credo d’aver speso già qualche parola tra le righe fin qui. E la musica
è fatta per essere ascoltata, non per spendere inutili parole. E questo mio
dire non farebbe una piega e potrei mettere un bel punto esclamativo se non
fosse che la musica può essere, contenere o diventare anche poesia e se non
fosse che le parole –se le si dà voce…- sono (prima d’ogn’altra cosa) suono. E
possono essere, contenere o diventare musica. In “Caffè Buda” non c’è soltanto
ottima musica, fatta di buoni arrangiamenti e sound gradevolissimo, con
incursioni in diversi generi (dallo swing alla bossa nova a contaminare
l’evidente origine cantautorale), ma ci sono anche testi importanti, che
trasudano incanto poetico… è sufficiente ascoltare la seconda traccia del CD,
“Marta ha 10 anni”, per comprenderlo: “Marta ha 10 anni e un futuro davanti /
una stanza da curare e un cane molto piccolo / e se la guardi / mi ritrovi un
po’ nei gesti suoi / e il mondo glielo regalerei / se fosse un mondo bello come
lei / Marta ha 10 anni e un cuore grande / grande così… / si preoccupa di cose
che non la riguardano / si preoccupa di cose enormi e stupide / di questo mondo
che le regalerei / se fosse un mondo azzurro come lei / Marta ha 10 anni e
molti amici fragili / è fragile anche lei / e si commuove subito / e piange e
si dispera e mi fa ridere / pensa che questo mondo io lo trasformerò / in un
mondo azzurro come lei”. Max Vigneri, lo senti dalla voce, mentre canta questo
pezzo, dà qualcosa che non so tradurre, qualcosa che non è soltanto
un’interpretazione, è molto di più. E i musicisti sono assolutamente all’altezza.
Una grande bellezza. Per me questo pezzo è bellezza pura. Ché Max in “Marta ha
10 anni” non evoca atmosfere che ricordano Franco Battiato (come in “El Cid”),
né solleticano parallelismi con Paolo Conte (come in “Due volte stupida”), ma è
lui stesso un’atmosfera unica, irripetibile, straordinaria. È giusto menzionare
i musicisti impegnati in questo “progetto”, non solo genericamente, ma uno a
uno, con nome cognome e sensibilità: Debora Negro (tastiere & synth), Marco
Maria Polo (basso elettrico), Angelo Benedetto (batteria), Irene Marchese
(oboe) e, poi, un’altra voce, ma femminile: quella di Lucia (Lulù) Ingrosso,
che lascia il segno in “Buonanotte children”. E questo pezzo (il mio, che state
leggendo) chiudeva così: “E adesso che della loro musica ne ho scritto, via,
andiamo al concerto. Basta parole!”. Dopo, però, non posso fare a meno di
aggiungere che il concerto mi ha regalato “Marta ha 10 anni” completamente
diversa da quella registrata, con una parte in più e le altre tre rimescolate.
E, confermo, è il brano che mi piace di più.
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