Pubblicato per la prima volta nel 1927, “Orient Express” è
il reportage artistico e onirico che John Dos Passos porta indietro dai
Balcani, dalla Turchia, dal Caucaso e dal Medio Oriente. Un reportage
allucinato che può esser datato 1921: anno di capovolgimenti totali delle
regioni visitate dallo scrittore statunitense, che parte apprezzando la
lentezza meridiana dei luoghi scelti; un attraversamento discreto, si potrebbe
dire, che oggi finalmente è riproposto in italiano. Come si potrà capire dalle
immagini che accompagnano le visitazioni, le stazioni di sosta e di ridiscesa
l'autore è autore appassionato, dalla tempra disposta a incastrarsi nei pruriti
politici e quindi civili, sociali e dunque infine epocali; più che attuale, per
dire, rimane il guardare all'invenzione dell'Iraq. Ad abbozzi sempre e comunque
artistici e spiritati. Ovviamente, come si capisce fin dalle primissime pagine
dell'opera, il testo si fa immenso per la straordinaria e fiammeggiante forza
evocativa della parola. Del tocco smaliziato di già, che fanno sentire questo
Dos Passos appoggiato e quindi agganciato alle vette del lirismo. Orient Express,
reportage di viaggio d'uno scrittore che poi diventa punto di riferimento della
letteratura, è la trasposizione letteraria del dubbio che spinge l'autore
nordamericano a entrare fuori dai limiti degli Usa: un interrogativo universale
e intimo assai che permette di vivere la curiosità delle scoperte. Lo scrittore
venticinquenne, che ha già scritto due romanzi a questo punto, si stupisce in
ogni istante eppure ingrandisce lo stupore di chi legge con l'appropriazione
delle immagini ascoltate. Con un percorso che va da Europa a Europa. Ovvero che
prendendo le mosse dalla Francia si rimette in Spagna ma avendo registrato per
esempio la Turchia,
il Caucaso, Damasco e finanche il Marocco. Orient Express esce in traduzione
italiana a novant'anni esatti dal viaggio. Insegnando a lettrici e lettori la
bellezza del reportage che si nutre di sociale epperò allo stesso tempo non
scade nel giornalismo d'attualità (che ovviamente potrebbe persino ammazzare il
fine del libro). Perché a John Dos Passos interessa spiegare l'umanità.
All'umanità. Sconfiggendo il passaggio dei tempi. Che lo scrittore vive la
poesia meridiana. Cioè, diremmo noi innamorati di quest'elemento, affermando in
pagina la lentezza orientale ferma in nero comportamenti e spigoli di luoghi e
persone. Un'opera immensa e difficile per noi occidentali, accidentati dalle
velocità. Eppur, forse, inspiegabilmente essenziale.
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