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domenica 6 giugno 2010

Sono ateo e ti amo, di Irene Chias (Elliot). Intervento di Nunzio Festa



















“Fucsia è il colore del disincanto”, “San Francisco 17”, “L’amica di Parigi”. Sono i titoli dei tre, sorprendenti, racconti che vanno a costruire, incastrandosi, il romanzo “Sono ateo e ti amo”. Quest’ opera prima è frutto delle invenzioni, si deve cominciare a precisare, della giornalista finanziaria Irene Chias; una penna, dunque, ben abituata e atta benissimo a indagare altri settori – soprattutto, meandri meno vergati da fantasia e ‘creatività’. Dove, per esempio, si deve solamente fare a conti con le certezze dei numeri e degli Affari. Chias s’affida, dunque, a tre racconti, in sostanza, che dopo aver fatto il giro del mondo convergono in un puntino sul globo: la Sicilia: per comporre un romanzo di parenti vicini e lontani. Sull’evasione e sull’inevitabile legame alle radici. Una fotografia (uno scatto di quelli arcaici e perfino moderni) ai circa trent’anni delle tre giovani protagoniste della storia. In sostanza: Ulna, Adele ed Elena. Tre donne fermatesi un attimo nel quotidiano tram-tram a contemplare i rapporti e le solitudini. Le assenze e le presenze. Un libro che porta a riflettere sulle origini e sui “cortili che ci hanno cresciuti”, senza perdere le occasioni che il presente offre e quelle che il futuro a volte non sembra propinare proprio rosee. Un inno alle sorelle e ai fratelli. Che simili o diversi che siano, originati dallo stesso grembo e cresciuti calpestando la stessa terra sono o dovrebbero essere i primi a sapersi nell’apice dei momenti di gioia o dolore. Tre storie che toccano tre intimità differenti fatte di lutti, ritorni e partenze. Senza mai perdere di vista crisi economiche, esistenziali e affettive che a trent’anni sembrano prendere forma in una società che offre lavori gratis a neolaureati e relazioni yogurt (con scadenza ben in vista sull’etichetta) con uomini – ma con uomini né uomini né ragazzini. In tutto ciò l’ultimo racconto almodovariano. Una full immersion sulla forza dei rapporti non solo del sangue ma del cuore. La volontà di non separarsi nonostante la morte imminente. La forza dell’amore che capovolge l’ordine costituito, e anche in un luogo difficile fatto di pregiudizi. E un segreto che nel rispetto delle parti, nel silenzio del segno solcato, in un silenzio dove lascerà un sorriso di stupore per la possibilità del non detto di persone care. Il linguaggio della Chias, pronto e vispo, praticato in special modo per trovare perfetta intesa con chi legge, subisce il fascino del racconto diretto e non condizionato da fluttuazioni retoriche. Una lingua a servizio della trama, innanzitutto. Dal suo mondo lavorativo, certamente, Irene Chias prende qualcosa. Ma senza farsi schiacciare da questo. Per uscire da fredde chiesette del Tremila.


2 commenti:

  1. Letto. Hai detto bene, sorprendente.

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  2. questa lettura non la lasci sul comodino, la finisci in fretta.

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