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lunedì 1 febbraio 2010

Le perfezioni provvisorie di Gianrico Carofiglio (Sellerio editore). Intervento di Vito Antonio Conte

Aspettavo questo ritorno. Ché mi è sempre piaciuto il ritorno. E l'attesa del ritorno. Come quando, specialmente dall'Università immersa nelle nebbie delle lande padane, dopo un esame o uin periodo del cazzo, tornavo a casa. A volte con decisione immediata. Altre programmando il giorno del rientro. E vivendo -appunto- l'attesa. Man mano che svaniva l'Emilia e, poi, la Romagna, e si attraversavano le Marche e giù, giù, giù sino a Termoli, l'anticamera delle Puglie, il respiro diventava sempre più profondo, più largo, più lento, e l'aria trattenuta, ch'era quella della mia Terra. Poi, cominciavano gli uliveti e i vigneti e quelle distese severe e familiari, coi paesaggi finiti dai cieli sulle Murge e degli azzurri infiniti oltre il mare. Mi è sempre piaciuto il ritorno. Specialmente dopo lunghe assenze. Quel senso di appartenza evocato dai luoghi. Quella speciale intimità dettata dalle bianche costruzioni di una volta sperdute nello spazio dimenticato dal tempo. E quell'andare lento del treno senza elettricità. Che si svuotava via via che la strada ferrata s'accorciava. Mi è sempre piaciuto il ritorno. Mi è piaciuto questo ritorno. Quello di Guido Guerrieri, avvocato sui generis, anche in quest'ultima storia, nonostante l'imborghesimento apparente, se così si può dire. Mi è piaciuto moltissimo il titolo, più di quelli precedenti che, invero, già avevo amato molto. Mi è piaciuto ritrovarlo a quarantacinque anni con il corpo appena appena scalfito dal tempo e l'anima allargata da un altro tempo: quello della memoria che diventa -in qualche misura- evanescente ma -paradossalmente- più forte, affievolita e accresciuta dall'esperienza. affievolita da qualche bicchiere in più. Accresciuta dallo scherzo di qualche bicchiere in più. Affievolita dal presente intenso che oscura la percezione del futuro. Accresciuta dal passato -un passato dimenticato- che riemerge come non mai, a quell'età. Meravigliosamente incantato dalla consapevolezza che la felicità dura sempre troppo poco, ma se sai aspettarla è, nella sua provvisorietà, perfetta. Basta lasciarsi andare un po'. E vivere. Compiutamente vivere. In culo tutto il resto. Quello che ti appartiene, come tatuaggio impresso sulla pelle e oltre. E quello d'intorno, che c'è, soprattutto fuori di te c'è, per quanto possa neppure sfiorarti. “Le perfezioni provvisorie” è il ritorno dell'avvocato Guerrieri, l'ultimo libro di Gianrico Carofiglio (Sellerio Editore, pagine 336, € 14,00). Il titolo, dicevo, è significativo (oltre ch'essere un bel titolo) e riflette la vicenda (oggettiva e personale) dell'ultimo caso dell'avvocato Guido Guerrieri. Ché gli avvocati (e il mondo giudiziario in generale) non li sopporto più da un pezzo, ma Guido è l'eccezione che alimenta la speranza senza la quale nemmeno io farei più il mio lavoro... Sì, è di carta, direte, ma vi assicuro che esiste... Siccome esiste il suo Autore e non solo lui... Risulterà chiaro, a questo punto, che (pur avendo amato tutta la scrittura di Carofiglio) la saga di Guerrieri e dei suoi casi mi provoca stati d'immersione e d'emersione unici. Da questo mondo. Da quel mondo. Da questo reale, come da quello giudiziario. E credo, fermamente credo, che la scrittura (e non la poesia e/o altro) davvero può salvare il mondo. Ché, se ognuno trovasse il tempo per fermare il suo di tempo e si concedesse una buona lettura (qualunque sia) con la mente pronta a accogliere parole e storie, il vivere sarebbe un altro vivere, anch'esso più predisposto all'accogliere. In questa nuova avventura dell'avvocato Guerrieri, troviamo un nuovo studio legale, una nuova equipe, un nuovo Guido, un caso ancora più difficile da risolvere, un modo ancora più sofisticato per risolverlo, un'inezia ancora più banale che diventa risolutiva, un guardare alle cose ancora più speculare del guardarsi dentro e un arrapamento cresciuto con l'età e con l'assenza di un amore (definitivamente perduto?), sfogato in una notte di cui resterà quella sensazione di perfezione provvisoria che si può pienamente cogliere soltanto quando quella notte c'è stata e sai -per un motivo qualunque- che un'altra -come quella- non la seguirà mai. Perché, dinanzi all'unica scelta possibile (perché quella giusta), troppo spesso qualcuno -in una maniera qualsiasi- finisce per sputare sopra a tutto quel ch'è stato... Questo caso è tanto inventato quanto reale. Questo caso contiene tanto desiderio quanto trascendenza. Questo caso è talmente fantastico quanto denso di innumerevoli concretezze. Questa scrittura di Carofiglio rievoca quella dei precedenti episodi di Guerrieri, ma ha riverberi chiarissimi di “Nè qui né altrove”, la sua migliore scrittura. Chè la scrittura (con le dovute eccezioni...) migliora con le letture, con gli ascolti, con la vita, con la morte, con l'amore, con l'esperienza. In una parola, col tempo. Come il buon vino. Basta che il luogo dov'è riposto sia quello giusto. Basta conservare e custodire la purezza della scoperta. E la passione. Anzi la Passione... e altro ancora. Tutto quello che, dopo mille comparsate, dopo un incontro imprevisto, dopo la rabbia e la solitudine sferrate coi pugni sul sacco da boxeur, dopo Nadia e il suo locale all'angolo tra finitudine e infinito, dopo una scopata che non è stata come dice lei o forse sì ma per te è stata altro comunque, dopo il vecchio fallito che ti rammenta ogni fallimento, dopo altra routine, dopo ogni passeggiata nella notte, dopo il cane che non ha abbaiato quando l'hai carezzato, dopo quelli che hanno abbaiato anche se proprio non li hai cagati (o, forse, proprio per quello!?), dopo il vino del Nord (per me un ottimo Traminer... quasi come Guerrieri...) e dopo quello del Sud (Negroamaro...), dopo il mare in gommone, dopo un vecchio amico, dopo ogni verità, dopo le bugie ch'è meglio non dire anche impossibile ma almeno a se stessi mai, dopo tutto, tutto quel che -dicevo- rimane è -oltre al fatto che “il rimedio all'imprevedibilità della sorte, alla caotica incertezza del futuro è la facoltà di dare e mantenere promesse”- che, alla fine, “la notte sembrava di nuovo un luogo tranquillo e accogliente”. E bella da attraversare. Come questo libro. Come questa vita.

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