Un'Annamaria per tutte le stagioni. Anzi tredici. Come le tredici parti della sua anima che ci mostra in questo booklet, “Tredici di me”, una pubblicazione nata quasi per scherzo, ma pregna di quella che è realmente la poetica di Annamaria Mangia, grafica pubblicitaria con la passione per la poesia. I tredici componimenti che percorrono questo libretto, caratterizzato da questo inusuale formato tipico delle pubblicazioni dei Seventies, si snodano lungo i desideri, i sentimenti, le voglie, le paure dell'anima. Un'anima personale, che nell'aprirsi si fa universale. Ci sono dei forti richiami alle strutture tipiche della Beat Generation, ma il messaggio che passa più forte degli altri è che qui è la scrittura stessa a essere beat, spontanea, salvifica. Con degli intermezzi di Salento qui e là, musica, profumi, gesti rituali, colti in eredità da questa poetessa del Sibilo Lungo, movimento nato in questi anni e che si ispira all'opera di Antonio Verri. Quello che colpisce maggiormente è che Annamaria fa della quotidianità e dell'abitudine un'esperienza unica e irripetibile, sigarette col caffè, capelli che ingrigiscono, le luci che cambiano, da mattina a sera e viceversa. O i topoi presenti, che sono comuni a molti poeti, ma la ricetta iniziale ricorda tantissimo quella della Lussu (anche se qui ci appare una punta di pessimismo), che “cucinava” con le poesie per salvare il suo menage matrimoniale: per Annamaria la poesia è impasto di parole, che, in fin dei conti, servono a fare un “unguento che allevia il dolore per te sola”. Nella circolarità degli argomenti il pessimismo viene rovesciato pian piano per gradi giungendo al crescendo finale, in cui ritorna la luce, “che dentro di te poi ti illumini il viso e riprenda colore la vita”.
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sabato 16 gennaio 2010
“Tredici di me” di Annamaria Mangia. Intervento di Angela Leucci
Un'Annamaria per tutte le stagioni. Anzi tredici. Come le tredici parti della sua anima che ci mostra in questo booklet, “Tredici di me”, una pubblicazione nata quasi per scherzo, ma pregna di quella che è realmente la poetica di Annamaria Mangia, grafica pubblicitaria con la passione per la poesia. I tredici componimenti che percorrono questo libretto, caratterizzato da questo inusuale formato tipico delle pubblicazioni dei Seventies, si snodano lungo i desideri, i sentimenti, le voglie, le paure dell'anima. Un'anima personale, che nell'aprirsi si fa universale. Ci sono dei forti richiami alle strutture tipiche della Beat Generation, ma il messaggio che passa più forte degli altri è che qui è la scrittura stessa a essere beat, spontanea, salvifica. Con degli intermezzi di Salento qui e là, musica, profumi, gesti rituali, colti in eredità da questa poetessa del Sibilo Lungo, movimento nato in questi anni e che si ispira all'opera di Antonio Verri. Quello che colpisce maggiormente è che Annamaria fa della quotidianità e dell'abitudine un'esperienza unica e irripetibile, sigarette col caffè, capelli che ingrigiscono, le luci che cambiano, da mattina a sera e viceversa. O i topoi presenti, che sono comuni a molti poeti, ma la ricetta iniziale ricorda tantissimo quella della Lussu (anche se qui ci appare una punta di pessimismo), che “cucinava” con le poesie per salvare il suo menage matrimoniale: per Annamaria la poesia è impasto di parole, che, in fin dei conti, servono a fare un “unguento che allevia il dolore per te sola”. Nella circolarità degli argomenti il pessimismo viene rovesciato pian piano per gradi giungendo al crescendo finale, in cui ritorna la luce, “che dentro di te poi ti illumini il viso e riprenda colore la vita”.
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